IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. Parte 2°
3 - Paré variante stà cazza e cucchiara
Letteralmente: sembrare variante stare (uniti come) secchio della calcina e cazzuola/mestola; détto di tutti coloro che sceltosi un amico o un compagno non si separano da lui che per brevissimo lasso di tempo;andare di pari passo, stare sempre insieme come càpita con il secchio della calcina e la cazzuola che vengono usate dal muratore di concerto durante il lavoro giornaliero ed anche quando questo sia terminato il muratore, nettati i ferri del mestiere è solito conservarli insieme ponendo la cazzuola nel secchio della calcina per modo che l’indomani possa facilmente ritrovarli ed usarli alla ripresa del lavoro.
La cazza come ò accennato fu in origine un recipiente per lo piú di ferro, provvisto di manico, nel quale si fondevano i metalli , poi indicò ed ancóra indica quel contenitore ,quel secchio di ferro in cui i muratori usano impastare malta e/o calcina; la voce è dal lat. tardo cattia(m), da collegarsi al gr. ky/athos 'coppa, tazza'; la voce è usata piú spesso in italiano che in napoletano dove il suddetto contenitore è chiamato piú acconciamente cardarella diminutivo adattato di caldara→cardara= caldaia = in origine recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa e poi estensivamente ogni capace recipiente metallico atto a contenere materiali caldi o freddi; caldara→cardara è voce derivata del latino tardo caldaria(m), deriv. di calidus 'caldo'.
Poiché, come ò detto, la voce cazza è poco nota e usata a Napoli accade che l’espressione in epigrafe venga talvolta impropriamente enunciata come Essere cazzo e cucchiara con un accostamento erroneo ed inconferente non essendovi certamente nessun nesso tra il membro maschile e la cucchiara= cucchiaia, cazzuola che è appunto la mestola che usano i muratori per prelevar la calcina o malta dalla cazza distribuendola e pareggiandola su muri e/o mattoni;
cucchiara è di per sé il femminile di cucchiaro con etimo dal latino cochlearju(m) con normale semplificazione - di rj→r e chiusura di o in u in sillaba atona; cucchiaro è stato reso femminile appunto per indicare, come già dissi altrove, un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo – tina piú grande etc. con le sole eccezioni di caccavella piú piccola – caccavo piú grande e di tiana piú piccola – tiano piú grande );ugualmente è erroneo stravolgere l’espressione in epigrafe in (come pure talvolta m’è occorso d’udire) Essere tazza e cucchiara , atteso che la tazza , per grande che possa essere (fino a diventar una ciotola) potrebbe procedere di conserva con un cucchiaino (tazza da caffè), al massimo con un cucchiaio (tazza/ciotola da caffellatte) mai con una cucchiara (cazzuola).
Qualcuno, mi ripeto, meno esperto della tradizione e/o della parlata napoletane riferisce erroneamente il modo di dire con l’espressione:Paré oppure stà tazza e cucchiaro:sembrare oppure stare tazza e cucchiaio, espressione inesatta come ò spiegato ed invece la locuzione, sulle labbra dei vecchi napoletani comporta la presenza della cucchiara arnese tipico dei muratori .
4 - Paré ‘a gatta d’ ‘a sié Marí: ‘nu poco chiagne e ‘nu poco rire: quanno sta moscia, rire e quann’è cuntenta, chiagne! Letteralmente: sembrare la gatta della signora Maria, un po’ piange ed un po’ ride:quando è triste, ride, quando è contenta piange! Caustica espressione che prende a modello la gatta d’una non meglio identificata signora Maria (nell’espressione, come si vede, in luogo di sié Maria di quest’ultimo nome è usato una forma apocopata Marí che torna comoda per rimare (sia pure solo fonicamente nel parlato) con il primo successivo rire (ride) (pronunciato come rí tenendo cioè ben evanescente l’ intera sillaba re ed escludendo addirittura a livello vocale la pronuncia della liquida r)) rammento che il gatto/la gatta è un animale domestico molto comune nelle case napoletane,quasi come componente di famiglia; presente anche in tantissime icastiche espressioni partenope non poteva mancare nel libro dei sogni;
; la gatta, animale protagonista(vedi ultra) come ò détto anche d’altre espressioni è accreditata nella fattispecie, quasi fosse un essere umano, di immotivatamente un po’ ridere ed un po’ piangere indecisa sempre su quale comportamento tenére;anzi è addirittura accreditata di tènere un comportamento sciocco, illogico e non spiegabile ridendo in tempo di mestizia e piangendo in quello della gioia. Della medesima strambe, sconcertanti, ma volute indecisione ed incongruenza sono accusate soprattutto le giovani donne lunatiche e capricciose incapaci di tenére un comportamento stabile, donne che infatti si abbandonano ad un costante altalenare spesso immotivato e/o incomprensibile, tra uggiose scontentezze ed inopinate gaiezze et versa vice!
gatta/’atta/jatta s.vo f.le ma usato senza differenza per indicare sia la bestia maschio che quella femmina; gatto, mammifero carnivoro domestico, con corpo agilissimo e flessuoso, capo rotondo, occhi fosforescenti, baffi (vibrisse) sul labbro superiore, zampe con artigli retrattili; la voce etimologicamente è dal lat. parl. *catta(m) per il class. cattu(m);
sié s.vo f.le = signora
quanto all’etimo è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur cioè da seigneuse→sie-(gneuse).
poco/u agg. indef. = poco, che è in piccola quantità o misura, in piccolo numero: pocu vvino; pocu ddenaro; poca pacienza; nce steva poca ggente; pe poche minute; ‘nfra pochi mise; essere ‘e pochi pparole, essere una persona riservata; pochi cchiacchiere, e sim., espressioni usate per tagliar corto | scarso, debole, insufficiente (con riferimento all'intensità): nce steva poco viento; ‘o ffa cu pocu ggenio con poco entusiasmo; tengo poca memmoria; tène pocu ggenio ‘e sturià | breve, corto: me ce vularrà poco tiempo; nc'è poca strata ‘a fà; cca ce sta pocu spazzio(c'è poco spazio qui) | piccolo, esiguo: cu poca spesa; è ppoca cosa, essere scarso di quantità, qualità, valore, importanza e sim. || nella loc. avv.’nu poco à valore attenuativo: è ‘nu poco cchiú ccurto; sta ‘nu poco meglio d’ ajere ; stongo ‘nu poco stanca; m’ à fatto arraggià ‘nu poco(mi à fatto inquietare un poco) | con valore enfatico: tiene mente ‘nu poco che mm’hê cumbinato!(guarda un po' che cosa mi ài combinato!); dimme ‘nu poco che ‘ntenzione tiene!(dimmi un po', che intenzioni ài!); rifliette ‘nu poco si te cummiene!(considera un po' tu se ti conviene!) | ‘nu bbellu ppoco , parecchio, molto: è cresciuto‘nu bbellu ppoco | ‘nu poco... ‘nu poco... , in parte... in parte...: ‘nu poco p’ ‘o ccavero, ‘nu poco p’ ‘o remmore se senteva stupetiato(un po' per il caldo, un po' per il rumore, si sentiva frastornato)
come pron. indef. [f. -a]
1 à gli stessi sign. dell'agg. e sottintende un sostantivo precedentemente espresso: «Tiene pane?» «Sí, ma ne tengo poco»; «Ce sta ancòra spazzio dint’ô baúglio? » «Poco» «Ài del pane?» «Sí, ma ne ò poco»; «C'è ancora spazio nel baule?» «Poco»
2 pl. non molte persone: èramo poche(eravamo in pochi); pochi / poche ‘e nuje; (pochi, poche di noi); tu, io e poch’ ate(tu, io e pochi altri)
3 con valore neutro, in espressioni ellittiche: è ppoco ca à scritto(è poco che à scritto), è poco tempo; starrà cca ‘nfra poco(sarà qui fra poco), fra poco tempo; da cca â stazzionance passa poco(da qui alla stazione c'è poco), poca distanza; oje aggiu spiso poco(oggi ò speso poco), poco denaro; ce corre poco (ci passa poco), c'è poca distanza o poca differenza; ogni poco, | con lo stesso uso della loc. ‘nu poco , un poco/un po’: aspettava ‘a ‘nu bbellu ppoco(aspettava da un bel po');avesse ‘a necessità ‘e guadagnà ‘nu poco ‘e cchiú( avrebbe bisogno di guadagnare un poco di piú).
4 con valore neutro, nel sign. di poca cosa, poche cose: oje ce sta poco ‘a fà; pe stasera me rummane poco ‘a sturià (oggi c'è poco da fare; per stasera mi rimane poco da studiare); se l'è ppigliata p’accussí ppoco?!; e chesto te pare poco? (se l'è presa per cosí poco?!; e questo ti sembra poco?) | | vulerce poco a…(volerci poco a…), per esprimere la facilità con cui può accadere o si può fare qualcosa: ce vo’ poco a ffà succedere ‘nu guajo(ci vuol poco a far succedere un guaio); ce vuleva poco a ‘ntennerlo!(ci voleva poco a capirlo!) | ce manca poco ca…(mancarci poco che), per indicare che un fatto sta per accadere (sempre seguito da frase negativa):ce mancaje poco ca nun cadesse (mancò poco che non cadesse) | pe poco nun, quasi: pe poco nun cadeva |
5 con valore neutro, nel sign. di piccole quantità:’nu poco ‘e pane, ‘nu poco ‘e vino; «Vuó ancòra zuccaro?» «Sí,’nu poco»; «Vuoi ancora zucchero?» «Sí, un poco»; pigliane ‘nu poco pe vvota(prendine un po' per volta); facimmo ‘nu poco peduno(facciamo un po' per ciascuno)
come s. m. ciò che è poco; in partic., pochi beni, poche sostanze: m’ accuntento ‘e poco; vive cu chellu ppoco ca ll’ à lassato ‘o marito;
la voce è dal lat. paucu(m).
quanno = quando, allorché ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo) giacché, dal momento che (con valore causale):: avv. di tempo derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;
sta voce verbale (3° pers. sg. ind. pres. dell’infinito stare = stare, fermarsi, restare ma anche come in questo caso essere voce dal lat. stare
chiagne voce verbale (3° pers. sg. ind. pres. dell’infinito chiagnere= piangere dal lat. plangere in origine 'battere, battersi il petto' con il tipico passaggio del gruppo pl + vocale al napoletano chi (cfr.plus→cchiú – plumbeu(m)→chiummo – plaga→chiaja etc.);
ride/rire voce verbale (3° pers. sg. ind. pres. dell’infinito ridere/rirere dal lat. tardo ridere, con mutamento di coniug. rispetto al class. ridíre e con rotacizzazione osco-mediterranea della dentale, che da ridere dà rirere;
moscia agg.vo f.le = mogia, depressa, abbattuta, avvilita, abbacchiata, mesta triste; etimologicamente è la femminilizzazione metafonetica del masch. muscio che è dal lat. musteu(m), deriv. di mustum 'mosto'; propr. 'simile a mosto
cuntenta agg.vo f.le soddisfatta, appagata, lieta, allegra etimologicamente è la femminilizzazione di cuntento che è dal lat. contentu(m), part. pass. di continíre 'contenere', propr. 'contenuto, appagato'.
5 - Paré ‘a gatta d’ ‘o sturente ca fótte e s’allamenta variante
5bis - Paré ‘a gatta d’ ‘o sturente ca magna e s’allamenta
Letteralmente la prima (5) Sembrare la gatta dello studente che coisce e si lamenta; la variante (5bis) Sembrare la gatta dello studente che mangia e si lamenta; ambedue usate per sarcasticamente bollare la pessima,incomprensibile abitudine delle persone (soprattutto donne che tengono, per partito preso, un ingiustificato comportamento immotivatamente lagnoso, uggioso e piagnucoloso anche in occasioni del tutto gradevoli, quali nel primo caso il coire, nel secondo il mangiare. Anche di queste due espressioni è protagonista una gatta (presumibilmente femmina) atteso che - come ò anticipato – le locuzioni vengon di preferenza riferite al comportamento di donne; in queste due espressioni in esame però la gatta non è piú la bestiola della sié Maria come nella locuzione sub 4, ma è la bestiola (forse tenuta come domestico animale di compagnia) d’un non meglio identificato studente che entra nelle due locuzioni soltanto per fornire una rima al verbo allamenta,tenendo presente che nell’idioma napoletano, quando non siano parole tronche accentate sull’ultima sillaba, le vocali finali delle parole son tutte pronunciate in modo evanescente e/o debole per cui un’acconcia rima con allamenta può esser fornita da qualsiasi parola terminante ovviamente in ènta, ma pure in ènte o ènto e sturente può rimare tranquillamente con allamenta!
Studente/sturente agg.vo e s,vo m.le (al f.le è sturentessa) = studente, chi è iscritto a una scuola media o ad una università: di per sé la voce è il p. pres. dell’infinito studià/sturià denominale dal lat. studiu(m)→sturiu(m)→sturio
fótte voce verbale (3° pers. sg. ind. pr. dell’infinito fottere = coire, possedere carnalmente dal lat.. volg. *futtere, per il class. Futuere;
allamenta voce verbale (3° pers. sg. ind. pr. dell’infinito allamentar(se) dal lat.parlato ad + lamentare, class. lamentari, deriv. di lamentum 'lamento'
magna voce verbale (3° pers. sg. ind. pr. dell’infinito magnà= mangiare etimologicamente magnare/magnà è forma metatetica del francese manger originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico.
(Continua)
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