venerdì 25 marzo 2011

‘MMESCAFRANCÉSCA & ALTRO.

‘MMESCAFRANCÉSCA & ALTRO.
Un mio caro amico del quale per i consueti problemi di riservatezza indicherò le sole iniziali delle generalità: P.Y. mi chiede notizia dell’ icastica voce napoletana in epigrafe e di eventuali sinonimi. L’accontento subito.
‘mmescafrancésca s.vo f.le che in primis e piú esattamente vale 1zuppa di vari tipi di ortaggi;
• per traslato generico e spesso dispregiativo vale 2 miscuglio, mistura, misto, miscela, mescola;
etimologicamente la voce risulta l’agglutinazione del sostantivo ammesca→’mmesca = mescolanza (deverbale di un lat.volg.*in+miscicare→inmisc(ic)are→*’mmiscare→*’mmiscà→’mmesca) con l’aggettivo francesca per francese: infatti il francesca che unito al s.vo ’mmesca forma la voce in esame non è il nome proprio femminile, ma solo la corruzione dell’aggettivo francese e la cosa è facilmente comprensibile se si tiene presente che con la voce ‘mmescafrancésca i napoletani a far tempo dal 1769 indicarono la zuppa di vari tipi di ortaggi condita con salsa béchamel approntata in origine dai cuochi francesi chiamati nel Reame, in occasione delle proprie nozze(1768) dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, sorella di Maria Antonietta regina di Francia, quella che il giorno prima che fosse ghigliottinata, per lo spavento incanutí d’un colpo. Fu normale per quei napoletani d’antan e per i loro eredi corrompere in francesca l’originaria francese di talché la ‘mmesca francese finí per diventare sulla bocca di tutti ‘mmescafrancesca ed indicò sia la zuppa, sia in senso dispregiativo qualsiasi miscuglio, mistura, misto, miscela, mescola poco gradito. A margine e completamento rammento che nello stesso periodo di tempo i napoletani idearono il sostantivo zòza E chiarisco dicendo che

con il sostantivo f.le zòza in napoletano si indicano varie cose: il sudiciume in genere,un brodo sciapito o preparato senza il rituale mazzetto di erbe aromatiche, ma pure il fango o la fanghiglia, i rimasugli o pure gli intrugli edibili che, pur presentati come autentiche leccornie,non incontrando il favore del gusto delle persone cui siano ammanniti, vengon da costoro rifiutati e definiti tout court zòza ed infine qualsiasi roba che sia ributtante, nauseante, una generica robaccia, una porcheria od anche una minestra eccessivamente brodosa e cattiva, una brodaglia insomma o ancora una pozione medicamentosa,dal disgustoso sapore tale che proprio non la si riesca a deglutire(e mi tornano in mente i maleolenti olio di ricino e olio di fegato di merluzzo della fanciullezza o talune preparazioni galeniche, dal nausebondo sapore, approntate - contro tossi e febbri - da volenterosi semplicisti : farmacisti/ erboristi cosí chiamati in quanto venditori di preparati per i quali venivano usate erbe medicinali dette appunto simplex) ed infine estensivamente ogni cosa che sia stata fatta male, in maniera raffazzonata di talché il risultato risulti essere scadente, riprovevole e non confacente; fino a giungere all’offensivo: sî ‘na zòza totalizzante offesa rivolta all’indirizzo di chi si voglia concisamente , ma duramente indicare come persona fisicamente sporca, laida, ma soprattutto moralmente disgustosa e ributtante.
Tutte le medesime cose,con l’eccezione della totalizzante offesa, in toscano sono indicate con il termine zózza che nel suo significato primo stette ad indicare una miscela di liquori scadenti e successivamente tutto il surriportato e che etimologicamente risulta essere un’alterazione popolare della parola suzzacchera (forgiata sul greco:oxy-sakcharòn=zucchero acido) con eliminazione della parte finale: cchera ritenuta, ma erroneamente, terminazione diminutiva.
Detto ciò, seguitiamo col dire, quanto all’etimologia della parola zòza in esame, che bisogna lasciar perdere innanzitutto la tentazione che zòza sia semplicemente un adeguamento dialettale (mediante l’eliminazione di una Z e cambio di accento della o tonica, chiusa nel toscano e aperta in napoletano) della zózza toscana; alla medesima stregua, a mio avviso non bisogna lasciarsi suggestionare dalla base latina suc da cui sucus= succo, unto - sucidus donde per metatesi sudicius per il tramite di una forma sostantivata neutra, poi sentita femminile sucia =cose sporche, sudice.
In realtà la parola napoletana è molto piú recente rispetto al basso latino sucia o alla voce toscana zózza, e risale alla seconda metà del ‘700, quando come ò accennato vi fu a Napoli una sorta d’invasione dei cuochi francesi – che súbito, i napoletani, corrompendo il termine monsieur dissero munzú - chiamati nel Reame, in occasione delle proprie nozze(1768) dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, sorella di Maria Antonietta regina di Francia. L’intento di Maria Carolina sarebbe stato quello di voler elevare, mediante il supporto dei raffinati cuochi francesi, la troppo semplice cucina partenopea; il risultato però non fu quello sperato: i munzú d’oltralpe e le loro raffinate preparazioni culinarie mal si sposarono (con la sola eccezione del sartú (dal francese surtout ) tronfio e saporito timballo di riso, che entrò a vele spiegate nella cucina napoletana dapprima di corte e della nobiltà, poi della borghesia ed infine del popolo minuto) mal si sposarono, dicevo con i gusti dei partenopei; essi – è noto – amano ed amavano preparazioni semplici e veloci ed i sughi a base di pomodoro, per cui non compresero, né apprezzarono le sauces francesi a base di burro, latte, farina e talvolta uova e rifiutarono le salse galliche storpiandone il nome che da sauce (lèggi: sós(e)) divenne zòza con tutte le estensioni summenzionate, e trattandosi di un sostantivo fu e viene usato nel napoletano quale apposizione di molti altri sostantivi.
Ciò non pertanto il titolo di monzú attecchí fino a diventare la denominazione che spettava solo ai grandi cuochi.
Divenne quasi come un titolo onorifico, tanto ambíto che - cosí come riportato da Salvatore di Giacomo - un celebre cuoco lo preferí ad una lauta ricompensa che Ferdinando II di Borbone pure gli aveva offerto, per i servigi resi nelle cucine di palazzo. Giunto a questo punto rammento i sinonimi nel senso esteso della voce ‘mmescafrancésca;e sono
‘mmescammesca s.vo f.le
in primis 1amalgama, impasto, pot-pourri, melange (spec. di colori);
(in senso spreg.)2 accozzaglia, guazzabuglio, intruglio (di cibi o bevande).
Come è facilmente intuibile e verificabile la voce etimologicamente è formata agglutinando la reiterazione del s.vo ‘mmesca sino a formare il s.vo ‘mmescammesca usato il piú delle volte nel senso spregiativo sub 2.

‘mmescapésca s.vo f.le
in primis 1 mescolanza, miscela,
(in senso spreg.)2 miscuglio, misto, guazzabuglio di oggetti o abiti (biancheria intima assortita e spaiata), intruglio ( soprattutto di cibi brodosi).3 ma è anche il modo napoletano di rendere la voce cocktail;
etimologicamente la voce è formata dall’unione di ‘mmesca (cosí come già illustrato) con il s.vo pesca (deverbale del lat. piscari, deriv. di piscis 'pesce') con riferimento semantico al fatto che per dipanarsi nel guazzabuglio di oggetti o abiti, spesso bisogna quasi fare una sorta di pesca miracolosa; il riferimento semantico alla voce cocktail è da cercarsi nel fatto che spesso al miscuglio di liquori che sostanzia il cocktail sono addizionati fettine di frutta fresca o olive di cui bisogna andare alla pesca!
capriata/crapïata s.vo f.le intruglio di liquidi diversi, inconferente ed inutilizzabile, mescolanza di vino rosso e bianco imbevibile. unica voce dalla doppia morfologia(di cui la seconda è una lettura metatetica della prima) che etimologicamente è dallo spagnolo calabriata→ca(la)briata→capriata/crapïata di identico significato.
‘mmeschiglia s.vo f.le
1mescolanza, confusione di oggetti minuti;
2 per adattamento semantico mescolanza di liquidi diversi,
(sinonimo della voce precedente) voce ricavata quale deverbale da un lat.volg.*in+miscicare→inmisc(ic)are→*’mmiscare→*’mmiscà→’mmesca addizionato del suffisso iglia affine ad aglia che continua il suffisso collettivo latino alia cui è legato il concetto del brutto e del disordinato.
‘gnotula/nchiotula/’gnotularía s.vo f.le
1 in primis nonnulla, sciocchezza, bagattella voce dalla doppia morfologia, ma dall’identico significato;tuttavia ‘gnotula corrotto ed adattato in nchiotula vale anche
2 mescolanza di liquidi diversi, priva di amalgama, bevenda d’incerto sapore; nella morfologia ‘gnotularía vale anche
3 nonnulla, quisquilia. cosa di poco conto ed ancóra estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione non chiara ed inutile etc.
voce dalla varia morfologia; etimologicamente nella prima forma ‘gnòtula è dal lat. ignotus→(i)gnot(us)→’gnotula con influenza del lat. inutilis addizionato del suffisso diminutivo neutro plurale, poi inteso femminile ula; nella seconda forma’gnotularía all’iniziale ‘gnòtula è stato aggiunto il suffisso tonico aría suffisso tonico corrispondente al lat. –aríus/aría, che forma aggettivi e sostantivi, derivati dal latino o formati direttamente in italiano e/o napoletano , che stabiliscono una relazione;mentre nchiotula, come ò accennato è un derivato per corruzione ed adattamento metatetico di ‘gnotula.
In coda ed a completamento di tutto quanto fin qui détto rammento infine che nel napoletano antico vi fu un ultimo sinonimo, ora purtroppo quasi del tutto desueto, e cioè il termine
bazzoffia s.vo f.le che in primis e piú esattamente indicò 1 zuppa mal fatta di vari tipi di ortaggi;
2 mescolanza di vivande cucinate male in modo grossolano;
Come si evince si trattò d’una voce (etimologicamente derivata dallo spagnolo bazofia di pari significato)usata quale sinonimo di ‘mmescafrancésca ma in senso del tutto, affatto dispregiativo. La voce napoletana a margine pervenne anche nell’italiano (attestata sia pari pari come bazzoffia che addolcita come basoffia con sostituzione dell’affricata alveolare sorda (z) con la fricativa dentale sonora(s) addirittura resa scempia)nel significato di 1 vivanda o minestrone abbondante e grossolano;
2. fig. a. Quantità di roba in disordine. b. Componimento lungo e confuso: invece di fare una dissertazione ò fabbricato questa b. (Giusti).


E cosí penso proprio d’avere contentato l’amico P.Y. ed interessato anche qualcun altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale

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