sabato 28 febbraio 2015
VARIE 15/132
1.JÍ TRUVANNO CRISTO ‘INT’ Ê LUPINE o meglio JÍ TRUVANNO CRISTO DINTO A LA PINA
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini o meglio Andar cercando Cristo nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca di una cosa difficile da trovarsi o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte, non metterebbe conto il mettersene alla ricerca.
Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della seconda che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione (quella consigliata), si può intendere a pieno la valenza delle espressioni, valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento ad incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú corretta la seconda, quella che fa riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un ciuffetto di cinque peli comunemente détto: manina di Cristo e la locuzione richiama appunto la ricerca di détta manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente: infatti occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè per metinomia,di Cristo; spesso càpita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta vada sprecata e si riveli inutile. Qualche altro scrittore di cose napoletane nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata leggenda che vede stranamente la Vergine Maria non esser misericordiosa con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta, mentre non v’è anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
2.JÍ TRUVANNO CHI LL’ACCIDE nell’espressione: VA TRUVANNO CHI LL’ACCIDE
Ad litteram: andare in cerca di chi l’uccida nell’espressione va in cerca di chi l’uccida.
Espressione usata per commentare le antipatiche azioni del provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi.
3.JÍ TRUVANNO GUAJE CU ‘A LANTERNELLA
Ad litteram: andare in cerca di guai con un lanternino detto di chi per suo puro masochismo e non per sopraggiunte casualità, si vada cacciando di proposito nei guai, quasi andandone alla ricerca con una lanterna per meglio trovarli.
4.JÍ PE FFICHE E TRUVÀ CETRÓLE
Ad litteram: andare in cerca di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata simile a quella ricordata alibi: (jí p’ajuto e truvà sgarrupo) cioè andare in cerca di qualcosa di buono ed imbattersi nel contrario atteso che il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico.Di analogo significato e portata è la locuzione molto becera, ma molto icastica: (jí pe ‘nu culo truvà ‘nu cazzo) con la quale si adombra l’incresciosa situazione di chi vada in cerca di una persona da sodomizzare e si imbatta in una che lo sodomizzi.
5. JÍ Ô BBATTESEMO SENZA ‘O CRIATURO
Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da battezzare) locuzione usata per bollare situazioni macroscopicamenti carenti degli elementi essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti si accingono ad operazioni destinate a fallire perché prive del necessario sostrato dimenticato per distrazione o non conferito per disattenzione.
6.JÍ A PPUORTECE PE ‘NA RAPESTA.
Ad litteram: recarsi a Portici per (acquistare) una rapa. Id est: Agire sconsideratamente impegnandosi eccessivamente, affaticandosi oltremodo per raggiungere un risultato modesto o meschino. Cosí si dice, a dileggio, di chi si comporta in maniera poco giudiziosa, assennata, attenta, accorta o riflessiva sprecando energie e – nella fattispecie - si recasse al mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Portici, piccolo comune agricolo nei pressi di Napoli, per acquistare una sola, insignificante rapa.
6 bis.JÍ A PPUORTO P’ ‘A RAPESTA. Ad litteram: recarsi al porto per la rapa. L’espressione in esame è una corruzione della precedente, ma è di significato alquanto diverso; questa in esame è una locuzione usata a dileggio di chi si comporti in maniera imprudente, scriteriata, dissennata mettendosi in situazioni pericolose, come quella di frequentare la malfamata e perigliosa zona portuale, e lo faccia non per necessità o per lavoro, ma al solo scopo di dar soddisfazione alle proprie esigenze sessuali frequentando le prostitute stanziali del porto atte ad occuparsi della ... rapesta del loro cliente. Infatti nella locuzione il s.vo rapesta [1 in primis rapa; 2 per traslato furbesco membro maschile; 3per traslato offensivo uomo inetto e dappoco; la voce rapa è dal lat. rapa←rapu-m = rapa, mentre la voce napoletana rapesta è dal neutro lat. rapistru-m attraverso il pl. rapistra poi inteso f.le e lètto rapista→ rapesta con semplificazione di str→st come in fenesta da fenestra(m) ] qui rapesta è usato appunto nel senso traslato/furbesco.A margine rammento infatti che è da collegarsi alla rapa l’agg.vo arrapato che è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare), v.bo tr.vo di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. è un denominale del lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa!
7.JÍ DINT’ A LL’OSSA.
Ad litteram: andare nelle ossa detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi assaporarne i benefici fin dentro le ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano fisico , potendosi usare anche o spesso con riferimenti morali.
8. JÍ ‘NFREVA
Ad litteram: andare in febbre id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti da destare agitazione, foriera di febbre.
9.JÍ METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE
Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte. Locuzione che si usava pronunciare risentitamente, in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domande retoriche:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?),oppure ma che te cride ca vaco mettenno fune ‘e notte? (pensi forse ch’io vada tendendo funi di notte?) per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste di carattere economico; a mo’ d’esempio quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui nel negargli il richiesto usa a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare: essendo una persona onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue esose richieste; perciò règolati e mòderale !
10.JÍ TRUVANNO OVA ‘E LUPO E PIETTENE ‘E QUINNECE.
Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare alla ricerca di uova di lupo che è un animale viviparo o cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai piú di tredici.
11.JÍ TRUVANNO SCESCÉ
Espressione intraducibile ad litteram con la quale si identifica chi, in ogni occasioni cerchi cavilli, pretesti, adducendo scuse per non operare come dovrebbe o facendo le viste di non comprendere, per esimersi; talvolta chi si comporta come nella locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara corruzione del francese chercher (cercare), ma non ci sono certezze circa il suo primo utilizzo nel senso indicato. Si può però tranquillamente ipotizzare che durante la dominazione murattiana, se non durante quella angioina, un milite francese si fermasse a chiedere una informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usasse una frase analoga contenente l’infinito: chercher”
Il popolano che con ogni probabilità non conosceva la lingua francese fraintese lo chercher, che gli giunse all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé).
12.LL’URDEMU LAMPIONE ‘E FOREROTTA.
ad litteram:l’ ultimo lampione di Fuorigrotta id est: essere l’ultimo, inutile, insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i lampioni dell’illuminazione stradale erano numerati ed accesi a sera progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di essi lampioni contrassegnato con il num. 6666 era ubicato nella periferica zona occidentale della città nel quartiere detto di Fuorigrotta ed era l’ultimo ad essere acceso , quando già le prime luci del giorno ne sminuivano l’utilità;alla luce di quanto detto si comprende che è solo un divertente, ma incoferente esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num. 6 che nella smorfia indica tra l’altro lo sciocco, il lampione contrassegnato 6666 possa indicare un gran babbeo.
13.LL’OMMO ‘NCOPP’Â SALÈRA
Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati a quella statuina posta come impugnatura alla sommità dei coperchi delle saliere di terracotta, statuina che riproduceva le sembianze di un tal Tom Pouce nanetto inglese che intorno al 1860 si esibí a Napoli in uno spettacolo di circo equestre.
14.LLOCO TE VOGLIO, ZUOPPO, A ‘STA SAGLIUTA
Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita (vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si parrà la tua nobilitate e che viene usata nei confronti di tutti i saccenti, supponenti millantatori che certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando non saranno sufficienti per raggiungere un risultato le parole di cui i millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i fatti che i soliti millantatori sono incapaci di produrre.
15.LEVAMMO ‘ACCASIONE
Ad litteram: Togliamo l’occasione id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di non favorire la maldestra commistione di terzi, in faccende che non dovrebbero riguardarli.
16. LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A NANTE A CCARNEVALE.
Ad litteram: Togliamo la taverna di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici eccessi alimentari che si potrebbero produrre se non si procedesse ad eliminare eventuali occasioni scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata ad esempio in tutte le case dove, preparata una buona torta, si correva il rischio che i bambini ne mangiassero continuatamente fino, forse ad incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni un adulto, provvedendo a metter la torta fuori della portata dei ragazzi , si esprimeva con la locuzione in epigrafe, usata in occasioni analoghe quando occorresse sottrarre qualcosa ad un utilizzo sfrenato ed incontrollato.
17. LEVÀTE ‘O BBRITO.
Ad litteram: Togliete il vetro id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e lavassero i bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi.
18.LEVÀ ‘A FRASCA ‘A MIEZO
Ad litteram: togliere la frasca di mezzo; id est: cessare definitivamente un’ attività, togliersi di mezzo, sbaraccare; la locuzione richiama ciò che facevano gli antichi osti - con mescita specialmente in strade di campagna - i quali al momento della cessazione anche solo stagionale della propria attività solevano staccare dall’architrave della porta dell’osteria il telaio ligneo ricoperto di frasche che vi avevano apposto all’inizio della stagione per segnalare che in quella osteria era giunto il vino nuovo. A Napoli vi fu una strada un tempo periferica che proprio per la presenza di numerose osterie che inalberavano le frasche (segno che in quelle mescite si vedeva o serviva accanto al vino stagionato, anche vino nuovo) fu detta ‘a ‘Nfrascata; attualmente la strada è intitolata al poeta pittore Salvator Rosa ((Napoli, 21 o 22 luglio 1615 – † Roma, 15 dicembre 1673)
19. LILLO, LÉLLA Ô PERE ‘E SANT’ ANNA.
Ad litteram: Lillo, Lélla al piede di sant’Anna.id est: prostrati ai piedi di Sant’Anna. Cosí con l’espressione in epigrafe vengono indicate tutte le coppie di coniugi anziani in ispecie quelli che si recano insieme a quotidiane funzioni religiose o anche quelle coppie di anziani che non ricevono mai visite di parenti od amici e si devono contentare della reciproca compagnia; la locuzione rammenta una coppia di attempati coniugi realmente esistiti e dimoranti in quella strada detta ‘a ‘nfrascata, coniugi che non si volevano rassegnare alla mancanza di figli e solevano recarsi in una cappella privata della zona a prostarsi davanti all’effige di sant’Anna per impetrare la grazia di un erede, ma restarono ugualmente soli.
L’espressione in epigrafe nacque in origine come Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna con riferimento ad un’abitudine invalsa nel popolino di recarsi a venerare una presunta reliquia di Sant’ANNA (un piede!) conservato nella cappella della propria abitazione napoletana dal conte Giovan Battista di Tocco di Montemiletto[esponente d’una nobile famiglia feudale, insignita dell'ordine del Toson d'oro cheprese nome appunto dalla signoria di Tocco (da Casauria) da essa posseduta. Fiorì a Napoli, a Venezia, a Benevento, ecc. Si estinse nel ramo primogenito dei principi di Montemiletto (1613), e continuò nel ramo dei T. già despoti dei Romeni da quando Leonardo di T. fu inviato (1357) a conquistare la Romania, l'Epiro, l'Acaia da Filippo principe di Taranto, e ritornati nel 1517 in Italia sfuggendo all'occupazione di Maometto II abitazione ubicata appunto alla confluenza piú alta della strada detta ‘a ‘nfrascata; tale nobiluomo fu discendente del capostipite Guglielmo di Tocco che s’ebbe il titolo di conte di Montemiletto (Av) al tempo degli Angioini sotto Carlo III Durazzo. L’incredibile reliquia (oggetto della venerazione di creduli fedeli) era esposta dal conte in occasione della ricorrenza di sant’Anna (26 luglio) sull’altarino della propria cappella privata,ma nell’occasione della festa aperta ai visitatori; la reliquia era conservata in una preziosa teca di cristallo tempestata di gemme preziose, ma (a mio avviso) probabilmente si trattava – come è lecito supporre! - solo di un reperto artistico ligneo e/o di cartapesta che in quell’epoca (fine ‘500 principio ‘600) di smaccata credulità popolare era stata accreditata come una autentica reliquia; questo piede di sant’Anna faceva il paio con altra presunta reliquia (il bastone di san Giuseppe) protagonista d’un’altra espressione che suona
20. SFRUCULIÀ 'A MAZZARELLA 'E SAN GIUSEPPE
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone cantante lirico Nicola Grimaldi (Napoli 1673 - † ivi 1732). Debuttò all'età di dodici anni e divenne in seguito uno dei piú celebri cantanti evirati, prima con voce di soprano, poi con voce di contralto.), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo cantante il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque, in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire.
Normalmente, a mo' di ammonimento, la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON.
Torniamo alla locuzione di partenza per la quale si può ipotizzare che - correttamente! - l’originario Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna (Lillo, Lélla e il piede di sant’ Anna) sia stato trasformato in Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna. (Lillo, Lélla al piede di sant’ Anna id est: Lillo, Lélla(prostrati) ai piedi di sant’Anna) quando ci si rese conto che il piede oggetto di venerazione non era una reliquia del corpo di sant’Anna, ma solo un pregevole (?) manufatto.
21. LEVARSE ‘A MIEZ’Ê BBOTTE
Ad litteram: togliersi di mezzo ai, sottrarsi al pericolo dei fuochi artificiali. Id est: Defilarsi, sottrarsi ai rischi e/o pericoli e farlo vilmente magari in danno altrui. Da notare che con la voce bbotte nell’espressione in esame si intendono i fuochi d’artificio e non si intendono le percosse,(come improvvidamente ritiene qualcuno dei sedicenti addetti ai lavori del napoletano, ma colpevolmente a digiuno dell’autentica parlata napoletana nella quale ‘e bbotte non sono le percosse,ma i fuochi artificiali; è nell’italiano, non nel napoletano!, che le botte son sinonimo di percosse, e l’espressione in esame è napoletana non italiana e quindi chi opera la confusione tra le botte italiane e ‘e bbotte napoletane (che al sg. bòtta vale colpo,scoppio di fuoco artificiale o di arma da fuoco e per ampiamento semantico anche schianto, dolore improvviso, colpo apoplettico, ma non percossa!) è un asino calzato e vestito e non si può arrogare il diritto di sedere tra gli addetti ai lavori del napoletano!
22. SI SCAMPA ‘A CHESTI BBOTTE MASTU FRANCISCO NUN GHIESCE CCHIÚ ‘E NOTTE
Ad litteram: Se esce (uscirà) indenne da questi colpi, mastro Francesco non esce (uscirà) piú di notte. Occorre far tesoro dell’esperienza e ripromettersi di non incorrere nei medesimi errori. Un tal non meglio identificato mastro Francesco aveva preso la pessima abitudine di recarsi a defecare nottetempo lungo il muro di cinta della casa d’ un suo vicino, fabbricante di fuochi artificiali; costui una notte per dissuaderlo lo accolse con una salva di fragorosi e pericolosi colpi di fuoco d’artificio ed il mastro Francesco si ripropose di tenere altro comportamente per non incappare in altre disavventure.
23.FARSE ‘NTERESSE
Locuzione intraducibile ad litteram che fotografa l’amara situazione di chi per conseguire una merce o altro quid sia costretto a sborsare una somma di danaro cosí eccedente il preventivato da essere costretto ad intaccare altre somme di danaro e perderne cosí un eventuale interesse che gli fruttavano tenendole ferme in banca.
24. FARSE PASSÀ ‘A FANTASIA
Locuzione intraducibile ad litteram in quanto di duplice valenza: una positiva ed una negativa, valenze che per esser comprese necessitano di un’ ampia spiegazione, non riducibile ai tre termini della locuzione che se intesa nella sua valenza positiva sta per: concedersi un gusto spirituale o, piú spesso, materiale, raggiungere finalmente e far proprio un oggetto del desiderio lungamente agognato e bramato; in senso negativo la locuzione è usata quando ci si convice che determinati gusti a lungo covati, purtroppo non possono essere soddisfatti o non possono esser fatti propri determinati oggetti a lungo bramati e ci si impone di farsi passar di testa l’idea di raggiungere quegli oggetti o soddisfare quei gusti.
25.FÀ SCENNERE ‘O PARAVISO ‘NTERRA
Ad litteram: far scendere il paradiso in terra Becera locuzione con la quale si significa il profferire bestemmie in maniera eccezionalmente violenta e prolungata chiamando quasi sulla terra con una sineddoche tutti gli... abitanti del paradiso.
26. FARSE CHIOVERE ‘NCUOLLO
Ad litteram: lasciarsi piovere addosso; id est:: lasciarsi cogliere impreparato in situazioni nelle quali non si sono prese adeguate preacauzioni e che pertanto posson solo essere foriere di pessimi o anche deleterii risultati, come chi nell’imminenza d’un temporale, si avventuri per istrada senza nemmeno munirsi d’un semplice ombrello e vada perciò certamente incontro a quanto ricordato altrove, cioè vada incontro ad un bagno fuori programma .
27.FARSE VENÍ ‘E RISCENZIELLE
Ad litteram: farsi venire le convulsioni, i deliquii Simpatica locuzione che fotografa l’isterico e falso comportamento di chi, si lasci andare a piccole strane convulsioni, vere o metaforiche condite di sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamento tipico tenuto dalle donne quando vogliono forzare la mano a qualcuno per ottenere ciò che, adducendo normali ragioni o pretesti, non potrebbero raggiungere o quando voglion far pesare su gli altri le responsabilità di taluni accadimenti che sono invece da addebitare unicamente alle medesime donne che ànno messo in atto quegli accadimenti di cui intendono discolparsi.
Il termine riscenziello, rotacizzazione del piú classico discenziello deriva dal latino descensus, col significato di deliquio. ed è usato nel linguaggio popolare oltre che per significare quanto qui sopra illustrato, anche per indicare quei brevi deliqui , piú esattamente eclampsie cui vanno soggetti i neonati o i bambini molto piccoli.
28. FÀ SCIACQUA ROSA E BBIVE AGNESE.
Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, ma densa di significato, usata in napoletano per indicare chi scialacqui,sciupi, sprechi senza ritegno le proprie sostanze,dandone fondo nel breve; piú esattamente con essa si indica la deleteria gara che incorre tra chi piú sperperi o dilapidi il proprio patrimonio; di tale fatto sono emblematiche figure la Rosa e l’Agnese dell’epigrafe; delle due la Rosa continuava a satollarsi di vino magari accontendandosi di una sciacquatura ossia di vino addizionato d’acqua, o anche di vino puro usato a mo’ di risciacquo della bocca da una precedente bevuta, e l’Agnese lo faceva ancora di piú bevendo senza ritegno come nell’antico giuoco del del padrone e sotto (gioco derivato da quello détto tuocco) che si svolgeva nelle bettole tra due giocatori di cui uno – il padrone – poteva imporre o negare all’altro – il sotto – innumerevoli bevute di vino con l’aggravio di dover pagare il vino bevuto.
29. FÀ TREMMÀ ‘O STRUNZO ‘NCULO.
Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo ; id est: incutere in qualcuno, attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente, un convulso tremore degli intestini e del loro contenuto prossimo ad essere espulso.
30. FÀ CACÀ LL’UVA, LL’ACENO E ‘O STREPPONE.
Ad litteram: far defecare la pigna d’uva, gli acini ed il raspo relativi.Locuzione con la quale si significa l’azione violenta di chi costringe un ladro o anche solo un profittatore a restituire tutto il mal tolto, come chi pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli acini e persino il vuoto raspo.
31. FÀ ASCÍ ‘E SSÒVERE ‘A CULO
Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; id est: percuotere qualcuno, torchiandolo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo iperbolicamente ad emettere le emorroidi (eufemisticamente dette sorbe).
32. FÀ ASCÍ ‘E CAZZE ‘A CANNA
Letteralmente: far emettere i péni dalla gola (introdotti per altra via) Becera e ruvida espressione di portata simile alla precedente da cui si distingue per una iperbolicità di molto superiore, attesa l’impossibilità di realizzare materialmente quanto minacciato in epigrafe.Nell’espressione in esame si minacciano pratiche sodomitiche con iperboliche fuoriuscite…
33. FA ASCÍ ‘O SERPE DÂ MANECA ‘E LL’ATE.
Ad litteram:fare uscire il serpente dalla manica altrui. Id est: riuscire con ogni mezzo a far comunicare da altri ciò che non si ha il coraggio di fare da se medesimi; intesa in senso piú cattivo la locuzione significa: far malevolmente ricadere su terzi le colpe e perciò le responsabilità di proprie azioni.
34. FÀ CCA ‘E PPEZZE E CCA ‘O SSAPONE
Ad litteram: fare qui le pezze e qui il sapone id est: adottare l’economia spicciola delle contestuali prestazioni e controprestazioni, ma anche assumere ed accettare reciprocamente patti semplici e chiari da rispettare comunque; la locuzione ripete l’antico uso esistente nei vicoli napoletani allorché in cambio di pochi stracci o abiti dismessi ceduti ad un robivecchi ambulante, détto sapunaro, se ne riceveva immediata contropartita sotto forma appunto di sapone da bucato detto sapone ‘e piazza in quanto sapone artigianale (spesso prodotto dal medesimo robivecchio) che, un tempo, non si vendeva in negozi atti alla bisogna, ma ceduto esclusivamente in piazza o per istrada dai summenzionati robivecchi.
35. FÀ AVUTÀ ‘A CAPA O ‘E PPALLE ‘E LL’UOCCHIE
Ad litteram: far girare la testa o i bulbi oculari. Iperboliche locuzione atte a significare le sgradevoli sensazioni che si provano allorché ci si trovi coinvolti in confuse situazioni tra irrequieti ragazzi o assillanti vuoti parolai logorroici capaci e gli uni e gli altri di procurare sensi di vertigini con giramenti di testa o vorticoso roteare dei bulbi oculari, dovuti al fastidio procurato o dagli irrequeti ragazzi o dai suddetti logorroici parolai. Locuzione da intendersi sia in senso reale che figurato.
36. FÀ UN’ANEMA E CURAGGIO.
Ad litteram: raccogliere insieme anima e coraggio; id est: disporsi con slancio ad unire l’animo e le forze occorrenti ad affrentare una situazione che si presenti a prima vista densa di incognite e pericolosi risvolti di talché per venirne a capo occorra quasi stringere in un unicum la mente ed il cuore non essendo bastevole usarli separatamente.
Brak
Nessun commento:
Posta un commento