sabato 20 febbraio 2016

RIMPROVERO & dintorni



RIMPROVERO & dintorni
Questa volta raccolgo la sfida del mio caro amico N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che,memore ch’io abbia piú volte affermato che il napoletano sia piú preciso e circostanziato dell’italiamo, mi à sollecitato a parlare delle eventuali voci del napoletano che rendano quella italiana dell’epigrafe. Il caro amico – come diciamo dalle mie parti -  m’ à rattato addó me prore (letteralmente: mi à grattato dove mi prude, id est: mi à sollecitato sul mio terreno preferito) per cui raccolgo il guanto di sfida cominciando, come è mio solito,  con l’esaminare dapprima le voci dell’italiano:
rimprovero s.vo m.le d’uso generico
indistinta  voce che non à alcun riferimento all’intensità emotiva delle azioni espresse,  usata per indicare  le parole o gli atti di biasimo blandi o energici rivolti a chi abbia  commesso un errore; è voce deverbale comp. di ri- ed un derivato  del lat. tardo improperare
richiamo s.vo m.le d’uso generico come sinonimo della precedente, ma dai numerosi significati:
 L’azione di richiamare, il fatto di venire richiamato, e il modo con il quale si effettuano. In partic.: 1. a. L’azione di chiamare e il fatto di essere chiamato nuovamente: r. in servizio (per es., di un impiegato o funzionario già collocato a riposo); r. alle armi, la chiamata in servizio del militare in congedo (avviso, ordine di r. alle armi; è stato disposto il r. di alcune classi). b. Invito oppure ordine di fare ritorno, di rientrare: r. del proprio rappresentante; r. dell’ispettore da una missione; r. di un ambasciatore, di un agente diplomatico, come atto disposto dallo stato inviante per cause varie, ma indipendenti dai rapporti con l’altro stato; r. di una divisione dal fronte; r. dall’esilio. c. (ed è il caso che ci occupa) Invito, sollecitazione a ritornare a un determinato atteggiamento o modo di comportarsi: r. alla realtà, da uno stato di illusione, di sogno; r. all’ordine, al dovere, alla disciplina. Quindi, con uso assol., avvertimento che costituisce un rimprovero, riprensione: il r. del capufficio lo lasciò indifferente; nonostante i continui r. dell’insegnante, seguitò a non studiare. d. Richiesta di riconsegna, di restituzione, di rinvio: r. di effetti, nel linguaggio bancario, l’ordine che un cliente dà a una banca di restituirgli l’effetto rimesso precedentemente per l’incasso; r. di decimi, nelle società per azioni, l’invito della società ai proprietarî di azioni non ancora interamente pagate di versare i decimi ancora dovuti. e. In medicina, iniezione di r., o assol. richiamo, la reinoculazione; anche questa è una voce deverbale comp. di ri- ed un derivato di  chiamare dal lat. clamare
rimbrotto s.vo m.le disusato,  un tempo  generico sinonimo delle precedenti  l’atto del redarguire, rimprovero, riprensione anche questa è una voce deverbale di rimbrottare che è voce  comp.  da re- probitare letto nella forma contratta re-prob’tare→reprottare con assimilazione regressiva b→t e successiva epentesi eufonica di una emme che forní remprottare donde remprotto ed infine rimbrotto

sgridata, s.vo f.le d’uso familiare,   generico sinonimo delle precedenti l’atto dello sgridare, del  redarguire, rimprovero, riprensione;  anche questa è una voce deverbale di sgridare che è voce  comp.  da s-gridare che è molto probabilmente dal lat. quiritare, propr. 'chiamare in aiuto i Quiriti' e quindi 'gridare al soccorso', o, meno probabilmente e morfologicamente improbabile  da un  quirritare 'grugnire', di orig. onomatopeica.
Come abbiamo visto, tutte le voci dell’italiano sono prossoché dei generici  sinonimi; ben diversa cosa càpita con le voci del napoletano ognuna delle quali à un ben determinato e circostanziato campo di applicazione in quanto voci molto piú precise ed appropriate con riferimento a quella che chiamerò intensità espressiva.
Ed eccole  queste voci del napoletano, che eviterò di indicare in ordine alfabetico, ma riporterò  nell’ordine crescente della intensità espressiva:
levata s.vo f.le  contenuta sgridata, paternale con finalità educative. Si tratta d’un’ antica e desueta voce derivata quale deverbale di levare= togliere, sottrarre con riferimento semantico al fatto che il genitore che di solito provvedeva a sgridare i figlioli cui era destinata la levata,l’accompagnava con la limitazione  del godimento di  liberalità che, per punizione di eventuali marachelle, bricconate, ragazzate,  non venivano piú concesse. Rammenterò che la voce ormai non piú usata fu già temporibus illis (dopo l’invasione dei soldati sabaudi)  sostituita sulla bocca del popolo basso (che non ne intendeva bene il significato semantico) fu sostituita con l’assonante lavata (‘e capa) che naturalmente  non era autenticamente napoletana in quanto mutuata dalla lavata di capo della lingua italiana.
Lengorïata s.vo f.le  piú ampia  sgridata,estesa rampogna, durevole strigliata,  verbosa paternale con finalità educative. Si tratta d’un’ antica e desueta voce  derivata dal s.vo lenga/lengua con riferimento semantico alla lunga articolazione della lingua di chi procedesse a tale ampia  sgridata,estesa rampogna, durevole strigliata,  verbosa paternale.
‘ntemmerata s.vo f.le  ampissima, per tempo e modi,    sgridata,estesissima rampogna, durevolissima  strigliata, lunghissimo rimbrotto accompagnato da urli e strilli e da  un tono di voce al di sopra dei righi; voce derivata dalle parole iniziali di una lunga orazione lat. alla Madonna, del sec. XIV.
renfaccio s.vo m.le duro, severo rimprovero,  forte sgridata, rabbuffo  molto aspro, fatto con intonazione sdegnata o con parole minacciose; voce desueta un tempo di competenza di genitori o superiori, usata nei confronti di figlioli riottosi indocili, ribelli,  o di  sottoposti indisciplinati, insubordinati; voce deverbale di rinfacciare derivato di faccia (dal lat. volg. *facia(m), per il class. facíe(m) 'forma esteriore, aspetto, faccia',) con il prefisso iterativo rin.
repulone s.vo m.le durissimo, severissimo  rimprovero aspro e risentito, accompagnato dall’uso delle mani per assestare al malcapitato cui è diretto il repulone, spinte e/o scrollate o scotimenti, scosse, botte, colpi, urti per indurlo a far tesoro della rampogna ricevuta; voce derivata dallo spagnolo repelón (corsa impetuosa di cavallo, tirata di capelli).
cancarïata s.vo f.le  la piú ampia  sgridata, la piú estesa rampogna possibile , strapazzata brusca se non violenta,   insistente e continuata , con cui si biasima il comportamento di qualcuno o gli si rinfaccia inettitudine e/o manchevolezze redarguendolo a piú non posso; si tratta etimologicamente di voce deverbale di cancarïà (rimproverare, sgridare ma anche divorare, mangiare avidamente) che qualcuno (D’Ascoli) ipotizzano da un lat. reg. cumgridiāre frequentativo di gridāre ,mentre la maggior parte degli addetti ai lavori si trincera dietro un pilatesco etimo ignoto che – al solito – mi procura attacchi d’orticaria. Ora a mio avviso, posto che la proposta del D’Ascoli – quantunque semanticamente non faccia una grinza, la vedo morfologicamente difficilmente perseguibile, si devono tentare altre strade etimologiche e penso che il verbo cancarïà (donde è derivato il s.vo a margine in esame) il verbo cancarïà possa essere a sua volta un denominale del s.vo gangaro→cancaro (derivato dal lat. mediev. gangamon, gr. γάγγαμον):   attrezzo da pesca formato da due semicerchi di ferro, del diametro da uno a due metri, che si uniscono ad angolo retto e ai quali si applica una robusta rete a forma di sacco della lunghezza di 2-3 metri; è rimorchiato da un battello mediante due lunghi cavi sui fondi sabbiosi per la pesca di piccoli pesci, di molluschi, crostacei, vermi ed echinodermi; semanticamente la faccenda si spiegherebbe con il fatto che come il  gangaro→cancaro à la funzione di ridurre all’obbedienza ed in cattività piccoli pesci, molluschi, crostacei, vermi etc., cosí la cancariata à la funzione di biasimare il comportamento di qualcuno affinché receda da inettitudine e/o manchevolezze e si ravveda; morfologicamente poi non ci sarebbero grossi problemi atteso che spesso nel napoletano si à  la lenizione di c in g e viceversa.

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