1.'O PURPO S'À DDA COCERE
CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto. |
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2. DÀ 'NCOPP' Ê RRECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana metaforica violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele abbassare. |
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3. N' AGGIO SCAURATO
STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei un stronzo cosí grosso)che non entri per intero nella ipotetica pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti di una ipotetica pentola destinata all’uso di una ancóra piú ipotetica bollitura! |
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4.TANTE GALLE A CCANTÀ NUN
SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Dunque non è da farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti... |
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5.SÍ, SÍ QUANNO CURRE E
'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi. |
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6. MADONNA MIA, MANTIENE
LL'ACQUA!
Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti. |
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7. OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria. |
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8. 'A NAVE CAMMINA E 'A
FAVA SE COCE.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che favorisce la sopravvivenza, frutto di una continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è piú opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce (e si vive bene…). |
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9. ESSERE 'NU CASATIELLO CU
LL'UVA PASSA.
Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena distrutto, formaggio, uova, salame, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita e dei pinoli. |
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10. NCE MANCANO 'E CQUATTE
LASTE E 'O LAMPARULO.
Letteralmente: Mancano i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità: i quattro vetri protettivi laterali ed il reggimoccolo centrale. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente.
19.
QUANNO
CHIOVONO PASSE E FICUSECCHE
Ad litteram: quando pioveranno uva passita e fichi secchi
Id est: mai; La locuzione è usata,
per dileggio, a sarcastico commento di
avvenimenti che si pensa non potranno mai verificarsi, o di situazioni che
vengono ritenute non suscettibili di miglioramento alcuno, che potrebbe
verificarsi solo nel caso di una fortuita ipotetica pioggia(novella manna) di
uva passita e fichi secchi, evento - peraltro – ritenuto chiaramente impossibile da verificarsi.
quanno = quando, allorché ogni volta che, tutte le volte che (con valore
iterativo) giacché, dal momento che
(con valore causale):: avv. di tempo derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;
chiovono= letteralmente
piovono voce verbale (3ª pers. plur.
ind. presente) dell’infinito chiovere che è dal latino pluere con tipico passaggio di pl→chi (vedi alibi: plaga→chiaia
etc.) ed epentesi eufonica della v (vedi
alibi:ruina→rovina, vidua→vedova etc.).Da notare che il
verbo a margine, pur essendo indicativo
presente è reso in italiano con il tempo futuro che acconciamente avrebbe
dovuto essere: chiuvarranno che è il futuro, tempo che pur essendo previsto nell’
idioma napoletano è pochissimo usato, sostituito quasi sempre
dall’indicativo presente o dalla costruzione verbale: devo da= aggi’’a etc. Ad es.: Domani
mi taglierò i capelli si rende con: Dimane me taglio ‘e capille oppure Dimane m’aggi’’a taglià ‘e capille.
passe = uva passita o passa; trattasi di un aggettivo sostantivato, plurale di passo:
appassito, secco: uva passa e
come tale derivato dal lat. passu(m), part. pass. di pandere
'aprire, stendere'; propr. 'steso a seccare, ad appassire';
ficusecche = fichi secchi; in napoletano plurale della voce femminile: ficusecca
con derivazione, con passaggio al femminile dal masch. lat. ficum(che
corrisponde al greco sýcon con cambio
s/f)+ siccum da una radice sik
= secco, sterile.
A
margine della voce fica da cui poi ficusecca rammento che il passaggio al
femminile dal maschile fico è determinato dal fatto che con la voce fica
si intende un frutto piú grosso del fico atteso che in napoletano s’usa
femminilizzare un termine maschile quando
si voglia indicare una cosa intesa piú grande
della corrispondente maschile (cfr. cucchiara=
mestola del muratore piú grande di cucchiaro=
cucchiaio da minestra, tina piú grande di tino,tavula piú grande di tavulo,
tammorra piú grande di tammurro, carretta piú grande di carretto etc.Fanno eccezione
tiana piú piccola di tiano
e caccavella piú piccola del caccavo). Rammento infine che con la
voce ficusecca usata in senso
furbesco, in napoletano si identifica anche la vulva e segnatamente quella avvizzita d’una donna anziana e non piú
appetita; al proposito preciso che anche in greco con la voce sýcon
si indica sia il frutto del fico che,
furbescamente, la vulva.
RaffaeleBracale
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