VULÉ ‘A VERMUTTA SEMPE DA QUACCHEDUNO
Questa volta tento
di dare adeguata risposta ad un quesito
dell’amica I.D.S. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar
solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche)
che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza dell’ antica espressione partenopea in epigrafe,
molto usata un tempo e che ancóra si può cogliere sulle labbra dei napoletani
d’antan. Entro súbito in argomento chiarendo che l’espressione [da rendersi in
italiano con: Volere(esigere, pretendere) Il vermut, o vermutte sempre
dal (medesimo) qualcuno] è da intendersi nel senso di Volere,
anzi esigere, pretendere dalla medesima persona una determinata prestazione e/o
attività quasi che fósse dovuta e non
graziosamente fornita dal soggetto al quale con atti o con parole la si
richiede. L’espressione perciò nella
morfologia:”Ma ‘a vuó sempe ‘a me ‘a vermutta?”[Lo reclami sempre da me il vermut?] la si poté e si puó cogliere sulle risentite labbra di chi si
vedesse o si veda assalito [con atti o
parole] da richieste onerose sia di denaro, ma piú spesso di comportanenti
impegnativi. L’espressione à una ben precisa origine risalente a gli anni ’40 e
’50 del secondo ‘900 allorché, continuando la tradizione di fine
‘800,soprattutto nella città bassa, si diede vita alla consuetudine delle
cosiddette “periodiche” cioè delle riunioni in case private, tenute a
Napoli, con cadenza settimanale, tra
amici, parenti o semplici conoscenti a scopo di intrattenimento.Durante queste
riunioni, che nelle case della borghesia benestante avevano la forma e la
tipologia del salotto letterario, si esibivano
cantanti lirici, assoldati allo scopo perché
cantassero arie di opera o canzoni classiche napoletane; talora l’intrattenitore fu un comico che si esibiva nelle cosiddette
"macchiette",cioè un numero comico a metà strada tra un monologo ed
una canzone umoristica, mentre veniva servito un rifresco freddo. Nelle case più modeste in luogo di cantanti lirici o
di altri artisti ci si accontentava, per ascoltare canzoni e macchiette, di un
grammofono, ed in luogo di costosi rinfreschi freddi si servivano piú economici "tarallucci e vino", oppure
pinocchiate e casarecci dolci rosoli d’inverno Oppure coppe di gelato d’estate. Una volta dismesso l’uso del
rosolio fatto in casa fu servito il piú costoso vermut, o vermutte per
accompagnare le pinocchiate.In prosieguo, durante i mesi estivi, le pinocchiate
furono accompagnate da birra e non piú da vermut o vermutte. Accadeva però talora, soprattutto,nel ceto meno abbiente che
solo alcune famiglie erano tanto ospitali da tenere viva la tradizione delle
periodiche accollandosi le relative spese per canto e rinfreschi e ci fu
qualcuno che, per spilorceria, prese la
cattiva abitudine di profittare dell’altrui ospitalià partecipando ad ogni periodica che capitasse senza mai
aprire l’uscio della propria dimora per qualche riunione di cui sostenesse, di
buon grado, le relative spese tanto da suscitar le rimostranze di chi,
spazientito, si sentí facultato a chiedergli: :”Ma ‘a vuó sempe ‘a me ‘a
vermutta?” Chiediamoci però perché mai si parlò di “vermutta” e non di
"tarallucce e vvino" o “rosolio o birra”. La risposta sta nel
fatto che tarallucci, vino, rosolio o birra erano prodotti locali meno
dispendiosi del vermut, prodotto di importazione piú costoso che meglio di "tarallucce e vvino" o “rosolio” o “birra”
poté rappresentare il fastidio arrecato dal profittatore.
Vermutta s.vo f.le = vermut/vermutte [voce dal ted.
wermut(wein)]→vermut con raddoppiamento espressivo della consonante finale e
paragoge di una vocale evanescente] = vino liquoroso, bianco o rosso, ad alta
gradazione alcolica, aromatizzato con erbe e spezie; si beve come aperitivo o
come accompagnamento di dolcini ed entra nella composizione di molti cocktail. E qui
giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento, d’aver adeguatamente risposto al quesito
dell’amica I.D.S. e
sperando d’avere interessato i miei
consueti ventiquattro lettori o chi si imbattesse in queste paginette
Satis est.
R.Bracale Brak
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