IL VERBO PISCIÀ, I
SUOI DERIVATI E LA FRASEOLOGIA
Questa volta
prendendo spunto dalla richiesta dell’amico carissimo D.C. (i consueti problemi
di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e
cognome)che nel riportarmi il quesito d’ un suo amico, mi à chiesto di illustrare, chiarire ed esaminare il significato l’ uso e l’ origine di un’ antica
espressione partenopea (cfr. ultra sub 1); prendendo spunto appunto da tale richiesta mi soffermerò a dire del verbo in
epigrafe dei suoi derivati e della relativa fraseologia. Cominciamo dunque con
il dire che il verbo piscià
vale mingere, orinare
ed è derivato dal tardo lat. pitissare→pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);normale nel
napoletano risoluzione in sci seguíto
da vocale della consonante fricativa dentale sorda o sonora (s)
sia scempia che doppia purché seguíta da
vocale; e veniamo súbito alle voci derivate dal verbo per agglutinazione (In linguistica
l’agglutinazione è la riunione in una
sola unità grafica e fonetica di due o piú elementi lessicali originariamente
distinti, ma che si trovano spesso insieme in un sintagma (per es., disotto←di sotto , disopra←di sopra , perlopiú←per lo piú, eppure←e pure , ecc.). Il
processo, che come fatto grafico è frequentissimo in antiche scritture e che
spesso rispecchia fedelmente l’effettiva realtà fonetica (come in ammodo, eppure, ovvero, sebbene, macché, pressappoco, ecc.), à
molta importanza nell’evoluzione diacronica in quanto può dare luogo alla
formazione di nuove parole, soprattutto per la fusione (détta in questi casi
anche concrezione)
dell’articolo o di una preposizione, come per es. il region. loppio (da l’oppio, un albero),
l’avv. ant. incontanente
(dal lat. tardo in
continenti [tempore]),
l’ant. e pop. ninferno
(da [i] n inferno).Rammento ad
abundantiam che ad una agglutinazione e
falsa deglutinazione dell’articolo si devono le antiche varianti oncenso, onferno per incenso, inferno, sviluppatesi
dalle forme lo ’ncenso,
lo ’nferno,
scritte e pronunciate loncenso→l’oncenso,
lonferno→l’onferno)dicevo agglutinazione di una voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo
presente dell’inf. piscià/are) con un
avverbio o un sostantivo. Abbiamo dunque
pisciasotto s.vo ed
agg.vo m.le e f.le = letteralmente:
chi/ che si minge addosso; la voce nasce come s.vo e vale in primis bimbo/a, piccolo/a; neonato/a, poppante,
lattante; usato come agg.vo m.le e fem.le vale timido/a,debole, pauroso/a, pavido/a ; schivo/a,
chiuso/a,introverso/a insicuro; etimologicamente la voce, come ò già
cennato e qui preciso è formata dall’
agglutinazione della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo
presente dell’inf. piscià) con avverbio sotto
(dal lat. subtus→suttus→sotto,
deriv. di sub 'sotto'; il collegamento semantico tra i
significati del sostantivo e quelli dell’aggettivo si colgono se solo si
considera il fatto che chi è piccolo/a;
neonato/a, poppante, lattante è di per sé timido/a,debole, pauroso/a, pavido/a etc e mai potrebbe
essere coraggioso/a, audace,
intrepido/a, ardito/a, impavido/a audace, disinvolto/a, sicuro/a, deciso/a;
piscianzogna s.vo ed
agg.vo m.le e solo m.le=
letteralmente: chi/che minge strutto;
id est pubere, adolescente; non si tratta di un’iperbolicità divertente o ironica
(atteso che non è dato a nessuno poter
mingere sugna...), ma solo di una rappresentazione icastica di una
manifestazione dell’età evolutiva: è allorché un ragazzo abbia raggiunto la
pubertà e sia diventato adolescente che
può dar luogo, per la prima volta, all’emissione di seme spermatico, quel seme
che per il suo colore biancastro e la sua viscidità viene assomigliato allo
strutto; etimologicamente la voce, come ò già cennato e qui preciso è formata dall’ agglutinazione della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià) con il s.vo ‘nzogna= sugna, strutto sostantivo sul quale mette conto io mi
soffermi alquanto; preciso súbito che la voce napoletana ‘nzogna che rende l’italiano sugna o strutto è voce
che va scritta [come ò fatto!] ‘nzogna
con un congruo apice (‘)
d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno
d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo
súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna,
( cosí erroneamente scritto e non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna)
con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il
segno d’aferesi (‘) e successivo
passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis
'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del
carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il
condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura,
filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per
uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la
cotenna di porco ancòra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la
napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato
occorrenze se si esclude un assogna che
è la 3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. assognare = sognare che [come ognuno vede] nulla può avere a che
spartire con il grasso per condimento! Messe perciò da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e
morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella
proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n)
illativo + un *suinia (neutro plurale,
poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di
pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
Proseguiamo e prima di illustrare la fraseologia costruita
con il verbo pisciare rammento che esiste un solo s.vo derivato dal
verbo in esame che connota non una persona, ma un oggetto; si tratta del s.vo
pisciaturo s. m. impianto dotato di apparecchiature
igieniche per orinare, per uso pubblico maschile, orinatoio;voce derivata dal
part. pass. di piscià addizionato del
suffisso uro/a suffisso deriv. dal
fr. -ure, usato al maschile (uro)per formare sostantivi per
oggetti (cfr. pisciaturo,trapenaturo,
ballaturo) o termini tecnici,
chimici etc.ed al f.le (ura) per formare sostativi astratti (cfr. friscura,bruttura, pensatura).
E veniamo alla fraseologia costruita con il verbo in
epigrafe; comincio
1)pisciarse dê rrisa letteralmente
mingersi dalle risate cioè orinarsi addosso per il troppo ridere, id est
scompisciarsi, sbellicarsi;
2)si
pisce chiaro, ffa’ ‘e ffiche ô miedeco oppure 2 bis) si
pisce chiaro futtatenneoppure fruculeatenne
d’ ‘o miedeco = letteralmente nel primo caso Se mingi
chiaro fa’pure gli scongiuri alla vista
d’un medico o scherniscilo (perché non ne avrai bisogno); nel caso sub 2
bis Se mingi chiaro (addirittura) impípitane del
medico (perché mai ne avrai
bisogno);fa’ ‘e ffiche! =fai le fiche!;fà ‘e ffiche= far le fiche è un gesto internazionale di scongiuro e/o di scherno, dileggio che à una tradizione millenaria ed appartiene ad un po’ tutto il mondo; consiste nell’introdurre il dito pollice della mano destra serrata a pugno,tra l' indice ed il medio e tenerlo ben dritto accompagnando il gesto con l’agitar la mano con un movimento ripetuto dal basso in alto nell’intento di mimare il coito in atto; rammento in proposito che trattasi di gesto che è diffusissimo ed addirittura nei paesi dell’America meridionale (Brasile in testa) si è soliti produrre delle minuscole statuine apotropaiche in legno di bosso riproducenti il gesto che è stato ovunque abbondantemente studiato e commentato;qui mi limito a rammentare che un tempo in origine il gesto non ebbe significato di scherno o scaramantico, ma fu un palese invito all’atto sessuale rivolto da un uomo alla sua donna o ad un’occasionale conoscenza; va da sé che (linguisticamente parlando) ‘e ffiche è il pl. di ‘a fica che in napoletano è sí il s.vo f.le usato per indicare il frutto del fico, ma è altresí il s.vo f.le volg. che è uno dei numerosi sinonimi(cfr. alibi) sia del napoletano che dell’italiano dell’insieme degli organi genitali esterni femminili:1 vulva;semanticamente la fica= frutto del fico frutto rosso e carnoso è preso a riferimento per indicar la vulva , cosí come l’altrove usato pummarola = pomodoro, non perché la vulva sia edula come il pomodoro o il frutto del fico, ma perché sia la vulva che il pomidoro o il frutto del fico ànno il loro interno rosso vivo; | 2 (estens.) donna bella e desiderabile. Etimologicamente è voce dal lat. tardo fīca per fīcus «fico, frutto del fico»; il sign. fig. era già nel gr. σῦκον «fico».
futtatenne e fruculeatenne
Queste in esame
sono due
delle piú concise, ma icasticamente significative espressioni del parlar napoletano, espressioni che
si sostanziano in due imperativi (2 pers. sg.) addizionati in posizione
enclitica da un ne che è una particella pronominale o locativa
atona corrispondente al ne dell’italiano; come pron. m. e f. , sing. e
pl. è forma atona che in
genere si usa in posizione piú
spesso enclitica, ma talora anche
proclitica (ad es. nun me ne parlà);
mentre è sempre posposta ad altro pron.
atono che l'accompagni (come nei casi in epigrafe); esso nelle espressioni in
epigrafe vale di ciò; altrove (cfr. ad
es. vattenne= vattene) à altra
valenza (locativa), ma comporta sempre in tutti i casi il raddoppiamento espressivo della nasale per
cui ne→nne.
Ma torniamo alle due espressioni in esame e dandone il significato che ovviamente necessiterà
d’un giro di parole; il napoletano
infatti spessissimo è piú stringato ed gli occorrono meno parole dell’italiano
per esprimere incisivamente un concetto.
Nella fattispecie sia con l’espressione fruculeatenne
(che letteralmente è: stropicciatene!)
sia con l’espressione futtatenne (letteralmente impípatene!) si intende quasi imporre
oppure pressantemente consigliare (ed
ecco perché è usato
l’ imperativo
piuttosto che un piú morbido congiuntivo ottativo...) si intende consigliare,
dicevo, colui cui venga rivolta una o ambedue le espressioni di
impiparsi di un qualcosa, di tenere in non cale un’accadimento, una
faccenda, di non curarsi, di
infischiarsi di qualcuno o piú spesso
di qualcosa.
Piú esattamente l’espressione fruculeatenne(che, mi ripeto letteralmente è: stropicciatene!) è potremmo
dire un modo piú dolce e meno duro, quando non addirittura piú frivolo, per
significare il medesimo concetto
dell’espressione futtatenne
che risulta essere piú dura, salutarmente sanguigna pur se
addirittura becera; ambedue gli imperativi in epigrafe risultano,
comunque incisivamente piú significativi
del corrispondente algido impípatene della
lingua italiana!
Ora consideriamo piú da presso le due espressioni e
cominciamo con
-
fruculeatenne come ò già detto si tratta di un imperativo (2ª
pers. sg.) del verbo riflessivo fruculearse-ne/fruculiarse-ne=
impiparse-ne; e vale morfologicamente esattamentestropícciati di ciò, impípa-tene; l’etimo del verbo fruculeà/fruculià affonda
nel lat. fricare= strofinare,
stropicciare ed estensivamente frantumare
in piccoli pezzi ed è a questa estensione che occorre pensare per
percorrere la via semantica seguíta per
comprendere il passaggio tra il verbo latino inteso come frantumare in piccoli pezzi ed il napoletano fruculearse-ne/fruculiarse-ne= impiparse-ne; in effetti di
qualcosa che venga frantumato in minutissimi
pezzi, non vale mettere conto, interessarsene per modo che se ne può impipare tranquillamente, cioè quasi fumarsi
nella pipa quei minutissimi pezzi.
E passiamo a
-
Futtatenne!
Anche per la voce a margine, come ò già détto, ci troviamo a che fare con una voce verbale e cioè con l’imperativo (2ª pers. sg.) del verbo
riflessivo fotterse-ne= impiparse-ne,
infischiarse- ne nella medesima
valenza del pregresso fruculeatenne quantunque
la voce a margine abbia rispetto alla prima voce in esame un’espressività piú dura, sanguigna,
impetuosa, anzi addirittura becera
atteso che col verbo di cui è imperativo non
richiama la frantumazione di qualcosa
in piccoli pezzi di cui disinteressarsi, ma molto piú sanguignamente –
direi – chiama in causa una... pratica sessuale (il coito) quasi che la
faccenda di cui disinteressarsi sia di nessun conto o non abbia nerbo per cui
se ne possa con ogni tranquillità abusare quasi congiungendovisi in un ...
rapporto sessuale. In effetti l’etimo
del verbo fottere donde il riflessivo fotterse-ne e l’imperativo a
margine affonda nel lat. futúere→fúttere (con tipico raddoppiamento della consonante antecedente la ú seguíta da vocale
e ritrazione dell’accento) verbo che sta per coire, avere rapporti sessuali oltre che raggirare,
imbrogliare. Semanticamente anche in questo caso, come per la precedente
voce fruculeatenne occorre pensare
che di qualcosa che venga impunemente
posseduto carnalmente ad libitum, non vale mettere conto, interessarsene per
modo che uno se ne può impipare tranquillamente come si terrebbe in
nessun cale un fortuito rencontre con
un’occasionale donna.
Preciso ancóra, ad abundantiam, che letteralmente la voce a margine vale Infischiatene, Non dar peso, Lascia correre, Non porvi attenzione. È il pressante invito a tenere i comportamenti indicati rivolto a chi si stia adontando o si stia preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Rammento che tale icastico, sanguigno invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un offensivo declassamento del loro santo e allora scrissero a caratteri cubitali sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano consigliare al loro santo patrono di non adontarsi per l’offesa ricevuta e rassicuralo, al contempo, che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma e Gli avrebbero in ogni caso tributato tutta la dulía che sin dal 305 anno del martirio del santo vescovo, gli era stata devotamente riconosciuta.
Preciso ancóra, ad abundantiam, che letteralmente la voce a margine vale Infischiatene, Non dar peso, Lascia correre, Non porvi attenzione. È il pressante invito a tenere i comportamenti indicati rivolto a chi si stia adontando o si stia preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Rammento che tale icastico, sanguigno invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un offensivo declassamento del loro santo e allora scrissero a caratteri cubitali sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano consigliare al loro santo patrono di non adontarsi per l’offesa ricevuta e rassicuralo, al contempo, che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma e Gli avrebbero in ogni caso tributato tutta la dulía che sin dal 305 anno del martirio del santo vescovo, gli era stata devotamente riconosciuta.
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3)SUNNARSE E PISCIÀ DINT’Ô LIETTO = Letteralmente; sognare e
mingere nel letto; id est: dar credito ai sogni, spaventarsene al segno di
mingere tra le coltri, reputar vere le
ombre, prender per sostanza le apparenze, scambiar sogni e realtà.
sunnarse = sognarsi trattasi del verbo sunnà =sognare addizionato come frequentente
accade della particella pronominale se =
si in funzione riflessiva, intensiva e/o espressiva]
1 vedere, immaginare in sogno: sunnà(sognare),sunnarse ‘nu cane a ddoje cape( sognarsi un cane a due teste); sognare, sunnarse ‘e vulà(sognarsi di volare); me songo sunnato ca ire partuto(ò sognato che eri partito);
2 raffigurare nella fantasia come reale; desiderare con viva immaginazione; vagheggiare: sunnarse ‘na bbella casa(sognarsi una bella casa);sunnarse ‘e addivintà ricco (sognarsi di diventare ricco) | con riferimento al carattere irreale dei sogni: nun m’ ‘’o ssonno nemmeno!( non me lo sogno neanche!), non ci penso neanche, non lo farei mai, oppure non posso nemmeno sperarlo; nun mme ll’aggiu sunnato!(non me lo sono mica sognato), è vero, è accaduto realmente; ‘a villa ô mare s’ ‘a sonna, s’ ‘a po’ sunnà!(la villa al mare se la sogna, se la può sognare!), non l'avrà mai; nun sunnarte d’ ‘o ffà(non sognarti di farlo), non farlo assolutamente, non pensarci neanche | con riferimento al carattere divinatorio attribuito ai sogni: nun putevo sunnarmelo(non potevo sognarmelo), non potevo saperlo; chi s’ ‘o ffósse sunnato?(chi se lo sarebbe sognato?) chi poteva prevederlo? ||| v. intr. [ pure in napoletano come accade per l’italiano il sognare(quale intr.) vuole l’aus. avere, mentre se costruito con la particella pron.,vuole l’aus. essere, ] fare sogni: sonna tutte ‘e nnotte(sogna tutte le notti);aggiu sunnato ‘e mamma mia (ò sognato di mia madre); me so’ sunnato d’ ‘e tiempe passate(mi sono sognato dei tempi passati) | me pare ‘e sunna(mi sembra di sognare), si dice di fronte a cosa straordinaria, imprevista o meravigliosa 'sunnà a uocchie apierte ( sognare a occhi aperti), fantasticare. Voce dal lat. somniare→sonniare→sunnà, deriv. di somnium 'sogno'.
1 vedere, immaginare in sogno: sunnà(sognare),sunnarse ‘nu cane a ddoje cape( sognarsi un cane a due teste); sognare, sunnarse ‘e vulà(sognarsi di volare); me songo sunnato ca ire partuto(ò sognato che eri partito);
2 raffigurare nella fantasia come reale; desiderare con viva immaginazione; vagheggiare: sunnarse ‘na bbella casa(sognarsi una bella casa);sunnarse ‘e addivintà ricco (sognarsi di diventare ricco) | con riferimento al carattere irreale dei sogni: nun m’ ‘’o ssonno nemmeno!( non me lo sogno neanche!), non ci penso neanche, non lo farei mai, oppure non posso nemmeno sperarlo; nun mme ll’aggiu sunnato!(non me lo sono mica sognato), è vero, è accaduto realmente; ‘a villa ô mare s’ ‘a sonna, s’ ‘a po’ sunnà!(la villa al mare se la sogna, se la può sognare!), non l'avrà mai; nun sunnarte d’ ‘o ffà(non sognarti di farlo), non farlo assolutamente, non pensarci neanche | con riferimento al carattere divinatorio attribuito ai sogni: nun putevo sunnarmelo(non potevo sognarmelo), non potevo saperlo; chi s’ ‘o ffósse sunnato?(chi se lo sarebbe sognato?) chi poteva prevederlo? ||| v. intr. [ pure in napoletano come accade per l’italiano il sognare(quale intr.) vuole l’aus. avere, mentre se costruito con la particella pron.,vuole l’aus. essere, ] fare sogni: sonna tutte ‘e nnotte(sogna tutte le notti);aggiu sunnato ‘e mamma mia (ò sognato di mia madre); me so’ sunnato d’ ‘e tiempe passate(mi sono sognato dei tempi passati) | me pare ‘e sunna(mi sembra di sognare), si dice di fronte a cosa straordinaria, imprevista o meravigliosa 'sunnà a uocchie apierte ( sognare a occhi aperti), fantasticare. Voce dal lat. somniare→sonniare→sunnà, deriv. di somnium 'sogno'.
dint’ô corrisponde
all’italiano nel/nello. Al proposito rammento che con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la
nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla
preposizione impropria dinto (dentro – in); come ò già
détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie
ànno nel napoletano tutte una forma
scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre
nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo,
nel napoletano occorre indefettibilmente
aggiungere alla preposizione
impropria non il solo articolo, ma la
preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es.
nell’italiano si à: dentro la stanza,
ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il
pensiero di chi mentalmente articola in
napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e
(i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente
nel/néllo,nélla,negli/nelle; dinto è dal lat. dí intro→d(í)int(r)o→dinto 'da dentro'.
4)PISCIÀ ‘NCOPP’Â SCOPA
Prima di illustrare, chiarire ed esaminare il significato, l’ uso e l’ origine
dell’espressione in esame mi corre l’obbligo d’una precisazione: l’espressione in esame è molto datata, ma
stranamente, di essa non si occupa compiutamente nessuno (con una sola eccezione, di cui
dirò…), non si occupa nessuno dei numerosi addetti ai lavori o degli
appassionati cultori della napoletanità e suoi usi, costumi ed espressioni
linguistiche; nessuno: né il D’Ascoli, né Iandolo, né Zazzera, né
altri;quest’ultimo (Zazzera) – per la verità – né dà una timida, e peraltro,
erronea interpretazione (pur senza chiarire o argomentare) parlando di un
generico rimedio da usarsi quale
antidoto del nervosismo; l’unico
che ne fa menzione nel suo IL
NAPOLETANARIO è l’amico avv.to Renato de Falco, ma anche lui ne dà (e ne dirò in sèguito) una spiegazione
erronea o quanto meno riduttiva.
Mi corre perciò l’obbligo di fare da solo, senza il supporto
d’altre penne e/o idee. Pazienza, poco male! Non mi spaventerò per questo.
Cominciamo con il dire che tradotta ad litteram l’espressione è: Mingere sulla scopa. e piú spesso è
usata nella forma imperativa piscia
‘ncopp’â scopa! ossia mingi sulla
scopa!
Orbene, lètta cosí
semplicemente nella morfologia con l’infinito, l’espressione parrebbe quasi
sostanziare, come ipotizza l’amico Renato,
un innocuo dispettuccio meschino ed insulso fatto ad altri, come ad
esempio, aggiungo io, quello fatto da un ragazzino, un monello che redarguito, sgridato e rimbrottato si vendichi mingendo sulla
scopa che forse è stata usata per accompagnare i rimbrotti con qualche sana
percossa…
Ma le cose non stanno cosí perché l’espressione non è usata
quale fatto di cronaca, ossia non è usata per riportare e riferire il comportamento inurbano, dispettoso e di
risentimento di un bambino; tutt’altro!
L’espressione è usata (nella morfologia imperativa) a sapido provocatorio
commento all’atteggiamento d’ un adulto che si dispiaccia, si adonti di/per
qualcosa che gli accada e che non sia di suo gradimento; chiarisco con un
esempio. Poniamo che un individuo (maschio o femmina, ma piú spesso càpita con una femmina, adusa piú del maschio a
risentirsi, mettere il broncio etc.) abbia ricevuto, da persona a cui non ci si possa opporre o con cui non si possa
competere reagendo, abbia ricevuto, dicevo,
un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto un danno ed
ovviamente se ne dispiaccia, quando non se ne dolga o lamenti adontandosi e
piccandosi, a costui/costei provocatoriamente gli/le si può opporre
l’espressione dispettosa dell’epigrafe: E
piscia ‘ncopp’â scopa! (Mingi sulla scopa!) che però non è lo stupido
consiglio di reagire al rimbrotto, all’offesa, al danno con un dispettuccio infantile, quanto la piú seria
esortazione a fare buon viso a cattivo giuoco, a sopportare, ad arrangiarsi, a
tollerare adattandosi a ciò che avviene.
L’espressione di
origine rurale, nasce prendendo spunto da un’antica pratica dei contadini
che allorché dovevavo pulire l’aia provvedevano a bagnarla
abbondantemente per evitare di sollevare polvere e quando non avevano
sufficiente acqua per inumidire l’aia, si limitavano a bagnare la ramazza,
ottenendo un risultato pressoché simile.
Nella
fattispecie dell’esempio in esame l’uomo o piú spesso la donna che abbia ricevuto, da persona a cui non ci
si possa opporre o con cui non si possa
competere reagendo, un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto
addirittura un danno,l’indivuduo che
cioè non possa bagnare la sua metaforica aia, deve adattarsi a ciò che avviene
tollerando, facendo buon viso a cattivo giuoco magari arrangiandosi ad inumidire con il proprio
metaforico piscio una metaforica scopa. Posta cosí la faccenda l’espressione
assume un significato ben piú pregnante del semplice dispettuccio infantile
ipotizzato dall’amico Renato, dispettuccio che mal s’attaglia al comportamento
di un adulto.
piscia
= mingi
voce verbale ( qui 2ª p. sg.imperativo, altrove anche 3 ª p.
sg. ind. pres. dell’infinito piscià =
orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);
‘ncopp’â = sopra alla; è il modo napoletano di rendere
la preposizione articolata sulla; rammento che con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la
sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla
preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto
alibi e qui ripeto: le locuzioni
articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa,
mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano
s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano
occorre aggiungere alla preposizione
impropria non il solo articolo, ma la
preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es.
nell’italiano si à: sulla tavola o sopra
la tavola , ma nel napoletano si esige sulla
o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il
pensiero di chi mentalmente articola in
napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e
(i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente
sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o
(lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici
napoletane delle italiane per (pe)
tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o ma solo per la preposizione pe,
(mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o
(per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre
avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e.
Per tutte le altre preposizione articolate formate
dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra,
dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima
maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro,
davanti, insieme,vicino, lontano sono rese
rispettivamente con sotto,
‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente
altresí che occorre sempre rammentare
che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero;
ora sia che si parli, sia che si scriva,
un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare
poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per
esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa,
non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma
dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove
la â è la scrittura contratta o crasi della
preposizione articolataa+’a= alla) casa; che sarebbe l’esatta
riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa.
Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a
+’a/’o/’e→’ncopp’â/ô/ê...) o sotto (sott’a. +’a/’o/’e→sott’â/ô/ê...)...) in
mezzo (‘mmiez’ a. +’a/’o/’e→’mmiez’â/ô/ê...)..) vicino al/allo (vicino a
‘o/’a/’e→ vicinoâ/ô/ê ) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente
sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa
sotto al... etc. e non sotto il ... etc.
D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati calepini (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
scopa s. f. arnese di forma varia per spazzare il
pavimento, in genere consistente in una sorta di grossa spazzola fatta di rami
di erica o saggina, oppure di setole o di filamenti di materia plastica, su cui
si innesta un lungo manico 'avé magnato ‘o maneco d’ ‘a scopa (aver mangiato
il manico della scopa), (fig.) si dice di persona che cammina rigida
e impettita |sicco comme a ‘na scopa
(magro come una scopa), (fig.) molto magro; voce dal lat.
scopa(s) di scopae -arum pl., perché fatta con i rami della pianta
omonima.
5)PISCIÀ ACQUA SANTA P’ ‘O VELLICULO = espressione ironica
se non sarcastica che letteralmente è: mingere acqua santa attraverso
l’ombellico; id est: accreditare (per il gusto però di burlarsene, non di
lodarlo) qualcuno di esser migliore di
quanto sia in realtà ritenendolo addirittura capace di poter mingere in luogo
dell’orina, dell’acqua lustrale attraverso un orifizio peraltro inesistente! La
locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata
fama di bontà se non di santità
significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che
buoni, santi o miracolosi, come invece
lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente,
addirittura dell'acqua santa.
velliculo = ombelico; l’etimo di velliculo è il medesimo di
ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós
'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta
l’aferesi della prima sillaba um, il
passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.), il raddoppiamento espressivo della liquida
nella sillaba li→lli e l’aggiunta di un
suffisso diminutivo ulo/olo← olus.
6)VULÉ PISCIÀ E GGHÍ ‘NCARROZZA
Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in
carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma
incompatibili fra di essi.
per il verbo gghí = andare cfr. ultra sub 8).
7)vulé piscià tutte dint'ô rinale oppure vulé
piscià tutto dint'ô rinale
Ad litteram:
voler minger tutti nell'orinale oppure
voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le
espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le
medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere
nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani -
contro il muro. Nella variante si manifesta l’acclarata certezza che orinando
non si può depositare tutto l’orina nel
pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
rinale
s.vo m.le = orinale, pitale,
piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale
per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto
inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→
‘o rinale.
8) ‘A SCIORTA
'E CAZZETTA:JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.
La (cattiva) fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.
La (cattiva) fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.
jette = andò voce verbale
(3ª p.sg. pass. remoto dell’infinito jí= andare); il verbo jí merita una particolare attenzione: Il verbo
italiano andare ( che
etimologicamente qualcuno pensa derivi
dal lat. ambulare o da un lat. volg. *ambitare, ma che molto piú esattamente sembra derivi
da *aditare frequentativo di adire è verbo che à
alcune forme che ànno per tema vad- derivando dal lat. vadere/vadicare
'andare') è reso,in napoletano, con
derivazione dal lat. ire, con l’infinito jí/ghí e son numerose le locuzioni formate con détto
infinito. Premesso che alibi ò esaminato qualcuna di tali locuzioni, preciso qui che
in napoletano la grafia corretta dell’infinito
è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí
(cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per
comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato
(come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!)
rendere in napoletano l’infinito di andare
con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio
ancóra!, seguíta da uno scorretto segno
d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del
pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire;
l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli
28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il
verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici
dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’)
in luogo di jí oppure, ove del caso ghí,
li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il
napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª
e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope
dell’intera sillaba de/di)
ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre
per 1ª e 2ª pers. pl.usa il tema
di ji –re ed à nuje
jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª ps. pl che è lloro
vanno.
9) PARLA SULO QUANNO
PISCIA 'A GALLINA! Ad litteram: Parla
solo quando orina la gallina! Perentorio icastico monito rivolto a chi (e
segnatamente arroganti, saccenti o
supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle
faccende altrui; monito che è rivolto,
prendendo (però erroneamente) a modello
la gallina che pur non possedendo uno specifico organo deputato all’uopo, non è vero che non orini mai, ma compie le
sue funzioni fisiologiche in un'unica soluzione attraverso un organo
onnicomprensivo détto cloaca.
Analizziamo le singole parole, cominciando da
quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento;
dal latino quando con tipica
assimilazione progressiva nd→nn;
gallina:tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del
maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta
piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e
per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale
stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola –
si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m),
deriv. di gallus 'gallo';
10) JÍ ASCIANNO CHELLO CA PISCIA ‘A QUAGLIA
Ad litteram: Andare in cerca, desiderare, agognare (solo)
ciò che minga la quaglia. Ma va da sé che la ricerca o il bisogno, il desiderio, la brama, la
cupidigia, la smania, lo struggimento, la
bramosia di cui sia accreditato
il protagonista dell’espressione non
siano quelli che mirano al conseguimento degli escrementi liquidi di una
quaglia. L’espressione, nel suo sotteso autentico significato traslato vale
infatti: Andare in cerca, desiderare,
agognare (solo) quanto di meglio o di piú ricercato e/o raro ci sia e ciò in
riferimento al fatto che il il protagonista
dell’espressione, quello cioè che va in cerca, desidera, agogna ciò che
minge la quaglia è inteso incontentabile, pretenzioso, inappagabile. La
faccenda semanticamente si spiega tenendo presente che la quaglia è un uccello migratore diffuso nelle regioni
temperate, cacciato e/o allevato per le sue carni prelibate, ma di dimensioni
veramente piccole di talché anche le sue deiezioni solide o liquide sono
veramente parva res tanto da poterle ritenere scarse, sporadiche quasi rare accostabili per ciò ai desideri dell’
incontentabile che va alla ricerca di
beni di consumo o in generale di prodotti pregiatissimi,
ricercati,straordinari, rari in quanto esigui e perciò di prezzo anche
esorbitante e talora addirittura ingiustificato stante il rapporto prezzo
qualità, insomma proprio chello ca piscia ‘a quaglia!
jí voce verbale inf. = andare; questo infinito del napoletano è una
derivazione del lat. ire; con
tale infinito jí/ghí nel napoletano esistono numerose locuzioni e per esse rimando alibi.
Qui preciso solo che in napoletano la
grafia corretta dell’infinito è – come
ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí (cfr. a
gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità
espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato
(come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!)
rendere in napoletano l’infinito di andare
con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio
ancóra!, seguíta da uno scorretto segno
d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del
pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire;
l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli
28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il
verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici
dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’)
in luogo di jí oppure, ove del caso,
ghí li metteva decisamente
alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A
margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente
(1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con
sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso
va, mentre per 1ª e 2ª pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª pers. pl che è lloro
vanno.
ascianno voce verbale gerundio dell’infinito asciare
= andare alla ricerca (di
qualcosa), ma farlo con intensa
applicazione comportandosi quasi come un cane che annusi per trovare la
traccia cercata; il verbo asciare donde il gerundio ascianno della locuzione deriva infatti dal latino adflare (annusare) con il tipico
mutamento partenopeo FL in SCI come per il latino flos
diventato sciore in napoletano o come
flumen→sciummo oppure flacces→scioccele.
quaglia letteralmente quaglia
voce usata per indicare il volatile
di cui ò détto, ma anche, alibi, per indicare icasticamente un’ernia addominale, inguinale,
o ombelicale, che abbia la tipica forma ad uovo dell’uccello còlto nella
posizione di riposo con le alucce chiuse e raccolte su se stesso; la voce
nap. quaglia
è dall'ant. fr. quaille, che è forse dal lat. volg. *coàcula(m), di probabile orig. onomat. se non, piú
acconciamente, da un latino parlato *quà(r)uala→quàglia che
richiamava il verso dell’uccello;
11) E GGIÀ, MO MORE CHILLO D’ ‘E PPISCIATORE... NUN
PISCIAMMO CCHIÚ!
Ad litteram: E già, ora muore colui (che fabbrica)gli
orinatoi... non mingiamo piú!
Sarcastica espressione esclamatoria usata irridentemente in
riferimento si ritenga o sia ritenuto tanto essenziale ed importante da far
pensare che se venisse meno la sua operatività si produrrebbero nei terzi molto
danno quasi che con il rifiuto da parte del soggetto messo alla berlina, di
volere adempiere al proprio ufficio ai terzi
fósse precluso di portare a compimento addirittura delle funzioni
fisiologiche imprescindibili. Nella fattispecie dell’espressione si ipotizza
sarcasticamente che con il decesso del
fabbricante degli orinatoi, addirittura
non sia dia piú corso alla minzione! Cosa ovviamente assurda ed
impensabile donde l’accezione ironica, il senso caustico dell’espressione.
pisciatóre pl. f.le del s.vo m.le sg. pisciaturo
1 in primis e come nel
caso che ci occupa
orinatoio pubblico,
2 per traslato caustico e
furbesco uomo dappoco, cattivo soggetto,vile, inetto, incapace,
incompetente, inesperto, buono a nulla. Voce dal lat. pisciatoriu(m); faccio notare che si è usato un plurale femminile di un s.vo maschile
per indicare che ci si intende riferire non ai vasi da notte,a gli orinali
domestici(che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo
ànno il pl. m.le pisciaturi), ma
ci si intende riferire a gli orinatoi pubblici (che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. f.le
metafonetico pisciatore e ciò in ottemperanza del fatto che in napoletano un oggetto (o cosa quale che
sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile;
abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo
piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú
piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú
piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú
piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú
piccolo ), fanno eccezione ‘o
tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de
‘a caccavella; nella fattispecie è ovvio che gli orinatoi pubblici siano
piú grandi dei contenuti vasi da notte, degli orinali domestici; per cui per
indicare al plurale gli orinatoi pubblici si fa ricorso al pl. f.le
metafonetico pisciatóre,
mantenento per i contenuti vasi da notte, e gli orinali
domestici il pl. m.le pisciaturi).
In coda a tutte le esapressioni trattate ne aggiungo una
dodicesima che ancorché non marcata sul verbo in epigrafe, alla minzionr fa
riferimento:
12.JÍ A
MMITTO. Ad litteram: andare a minzione Id est: rovinare
qualcosa o l’intrapreso per precipitazione,per disattenzione o per eccessiva foga. Espressione d’antan e
desueta che corrisponde all’incirca al moderno andare in tilt cioè andare in
confusione con indesiderati
risultati dannosi, nocivi, rovinosi.L’espressine della lingua nazionale
è mutuata dall’espressione inglese tilt = inclinare con riferimento al
gioco del flipper che come è noto
è un gioco di abilità a moneta di
origini statunitensi,
molto diffuso a partire dagli anni cinquanta, soprattutto in bar, sale da giuoco ed altri locali pubblici,
détto anche biliardino elettrico o
elettroautomatico.Il nome originale inglese della macchina è pinball; il termine flipper, usato in Italia, Francia ed altri paesi europei, deriva dalle piccole pinne (flippers), oggi più comunemente note come alette, che corredano il piano di gioco e che sono azionate e comandate da pulsanti esterni e con le quali il giocatore può colpire una biglia d'acciaio[che rotola abbastanza velocemente su di un piano inclinato e che – se non sospinta dalle piccole pinne – può finire in buca, mettendo fine al gioco ed al divertimento] mirando a bersagli posti su un piano inclinato coperto da un vetro trasparente. Ogni singolo bersaglio o combinazione di bersagli colpiti apporta un punteggio o agevolazioni (bonus) al gioco, che addizionati da un numeratore concorrono a stabilire una sorta di classifica fra piú giocatori che si succedessero al bigliardino. Allorché il giocatore, nell’intento di indirizzare ai bersagli voluti la biglia d’acciaio scuote o inclina oltre il consentito il biliardino elettrico la macchina si blocca, impedendo al giocatore di continuare a governar la pallina e sullo scherma appare appunto la scritta TILT per avvisare il giocatore che non può proseguire il gioco avendo inclinato oltre il lecito il flipper. Dal gioco il termine Tilt è passata a connotare con l’espressione “andare in tilt” tutte quelle situazioni della vita reale allorché si rovini qualcosa o l’intrapreso per colpevole confusione,precipitazione,per disattenzione o per eccessiva foga.
Quanto piú icastica l’espressione napoletana che pone in rapporto il fallimento dell’azione intrapresa o la rovina di un non meglio idetificato quid, non con una generica confusione, ma con la volontaria precipitazione di chi avverta l’impellente necessità di mingere e si precipiti a farlo incurante di quanto aveva in corso d’opera; il napoletano mitto altro non è infatti che un participio passato sostantivato marcato sul latino minctu-m→mi(n)ttu-m→mitto participio perfetto passivo maschile dell’infinito mingere= orinare.
Qui giunto penso
proprio d’aver soddisfatto l’amico D.C. ed interessato qualche
altro dei miei ventiquattro lettori e metto un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale
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