mercoledì 1 gennaio 2020

52 INCISIVE ESPRESSIONI


52 INCISIVE ESPRESSIONI

1.    FÀ A UNO ‘NZOGNA E PPUMMAROLA.
Ad litteram:  fare (cucinare) uno (con) sugna e pomodoro Icastica espressione  usata per indicare  che si intende maltrattare qualcuno, violentemente percuoterlo, ridurlo a cattivo stato  fino ad iperbolicamente cucinarlo  in forno dopo averlo schiacciato a dovere come si farebbe  con  una pizza condita, a maggior disdoro, non con il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna  e la classica salsa di pomodoro.
La pizza ‘nzogna e ppummarola fu anticamente uno dei piú classici modi di approntare la pizza che veniva appunto condita con sugna,  pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser cotta in forno; successivamente il condimento per questa pizza napoletana mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed origano e la pizza cosí condita non ebbe piú il nome di napoletana,  ma divenne â marenara. E tutto ciò con buona pace di un tal Luciano Galassi che in un suo volumetto, pur citando questa mia esposizione, me ne contesta la morfologia asserendo che nel caso l’espressione derivasse veramente dal modo di condire e cucinare una pizza la locuzione avrebbe dovuto essere:  Fà a uno cu  ‘nzogna e ppummarola” laddove basta semplicemente entrare in una autentica pizzeria napoletana ed ordinare una pizza ‘nzogna e ppummarole per rendersi conto che il cu è o sarebbe pleonastico ed irrilevante; il pizzaiuolo capirebbe che tipo di pizza gli si stesse ordinando con e senza il “cu”!

2.    FÀ ‘O MANTESENIELLO
Letteralmente: fare il grembiulino. Id est: comportarsi come chi indossi il grembiulino; locuzione  usata a dileggio di certi uomini che, dimenticando la loro (supposta) mascolinità, si comportino da donnetta  mostrandosi pettegoli e linguacciuti,  ciarlieri al punto di propalare notizie apprese:  fatto di per sé disdicevole, ma che lo è ancora di piú quando  le notizie, che ci si diverte a portare in giro,  sono state apprese  in “camera caritatis” per le pubbliche funzioni che svolge il manteseniello della locuzione.
manteseniello= grembiulino  s.vo m.le diminutivo  (cfr. il suff. iello) di mantesino= grembiule, zinale; la voce mantesino  è dal tardo lat. mantu(m)+ ante+ sinu(m)→mantesinu(m).
3.    FÀ ‘O MASTO ‘E FESTA.
Ad litteram: fare il maestro della festa Locuzione da intendersi  sia in senso strettamente letterale che in senso figurato;  intesa in senso letterale  si fa riferimento a chi, sia pure dispoticamente,  si impegna ad organizzare  feste pubbliche o private  conferendo spesso il proprio danaro oltre che il proprio tempo ed impegno;in senso traslato  la locuzione si usa con dispetto nei confronti di chi, senza esserne né invitato, né delegato a farlo   pretende di organizzare l’altrui esistenza; costui  con incredibile faccia tosta si presenta non richiesto in casa altrui  e disponendosi ad agire  tamquam un fac-totum dispensa sgraditi consigli  sul modo migliore di comportarsi ed agisce quasi alla medesima stregua del tipo detto spallettone o mastrisso(cfr. ultra).
4.    FÀ ‘O GALLO ‘NCOPP’Â MMUNNEZZA
Ad litteram: fare il gallo sull’immondizia  Id est: assumere gratuitamente arie di superiorità, montare saccentemente  in cattedra   cercando di imporsi su tutti gli altri che però a ragion veduta non sono altro che un cumulo di rifiuti  di talché, solamente messo al loro confronto, il gallo può primeggiare; altrove non conterebbe nulla,  potendosi quasi definirlo: monoculo in terra coecorum.
5.    FÀ ‘O NNACCHENNELLO
Ad litteram: fare il cicisbeo
Il vocabolo in epigrafe è oggi fra i napoletani piú giovani  quasi sconosciuto, mentre persiste nella memoria e nell’uso di quelli piú avanti negli anni. Con tale vocabolo si indica il lezioso, lo svenevole, lo eccessivamente complimentoso, il vagheggino, il manierato cicisbeo; è chiaro che in un’epoca come la nostra che à  statuito la parità dei sessi sarebbe impensabile un uomo che si comportasse verso il gentil sesso in maniera tale da esser  paragonato a quei settecenteschi cavalier serventi che solevano portare lunghe capigliature spartite sulle fronte e  portate  sul volto a coprire un occhio, mentre con l’altro, attraverso un occhialetto,spesso colorato, sogguardavano le dame ; tale postura faceva pensare che i suddetti cavalieri non avessero che un occhio;in francese la cosa suonava: il n’à q’un oeil che letto rapidamente diveniva  il n’à che n’el da cui i napoletani trassero nnacchennello.
6.    FÀ ‘O PRUTUSENIELLO
Ad litteram: fare il prezzemolino; id est: fare il ficcanaso, voler partecipare ad ogni  conversazione esprimendo la propria opinione, specialmente se non sollecitata o richiesta; comportarsi cioè come fa il prezzemolo erba aromatica  largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; è chiaro che la locuzione in epigrafe si riferisce agli uomini  ed è usata a mo’ di dileggio, ritenendosi che normalmente un uomo  non debba   tenere simili comportamenti, piú consoni alle donne.
Prutuseniello = prezzemolino s.vo neutro diminutivo (cfr. il suff. iello) di prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica  largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica  del tardo lat *petrosinu(m) che è  dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
7.    FÀ ‘O PORTAPULLASTE.
Ad litteram: fare il porta pollastri  Id est: agire da mezzano, da ruffiano che rechi messaggi alternativamente all’ amoroso o all’amorosa; per traslato  fare il propalatore di notizie, per il solo gusto di portarle in giro senza neppure  riceverne alcun sia pure piccolo vantaggio  quale ad es.  una mancia che si è soliti dare ad un garzone di macellaio che rechi effettivamente dei polli acquistati e non bigliettini amorosi. Interessantissima l’etimologia del sostantivo ricavato con traduzione pedissequa dell’espressione francese porte-poulet (portapolletto) ma che in realtà non si riferiva a qualcuno che realmente portasse dei polli, bensí a chi favorisse,recandoli, lo scambio di bigliettini amorosi   tra gli innamorati; la particolare piegatura dei foglietti li faceva assomigliare a dei piccoli polli con le alucce donde il nome di poulet (polletto) ed ovviamente chi recava quei bigliettini fu détto porte-poulet (portapolletto); originariamente, tale scambio di bigliettini amorosi   avveniva tra innamorati della medio-alta borghesia partenopea,  adusa alla lingua francese, usata anche nella corte, per cui  il mediatore fra innamorati, piú che esser détto semplicemente portabigliettini, fu détto alla francese  porte-poulet; quando poi la medesima abitudine passò tra gli innamorati del popolo che non avevano dimestichezza con la lingua d’oltralpe, ma solo con l’idioma partenopeo ecco che porte-poulet (portapolletto)diventò portapullaste restando acquisito come sostantivo per indicare il mezzano, il ruffiano etc.

8.    FÀ ‘O PÍRETO  CCHIÚ GGRUOSSO D’’O CULO.
Ad litteram: fare il peto piú grande del culo. Versione piú prosaica, ma quanto piú icasticamente viva dell’algido italiano: fare il passo piú lungo della gamba; in effetti il massimo danno che potrebbe derivare dall’operare secondo la locuzione italiana sarebbe  quello di  dover sopportare il dolore di uno strappo muscolare;  nel caso della locuzione napoletana  i danni sarebbero  ben piú gravi ed ignominosi.
9.    FÀ ‘O VIAGGIO D’’O MISCHINO
Ad litteram: fare il viaggio del Meschino Id est: impegnarsi in una faticosissima attività, un’improba impresa, ma totalmente inutile  vuoi per le ragioni che la promuovono, vuoi per i risibili risultati che si raggiungono; la locuzione in epigrafe richiama le avventure di uno degli eroi del ciclo carolingio : Guerino  detto il Meschino  protagonista di numerose dure ma inutili avventure  narrate dallo  scrittore italiano  Andrea da Barberino e riprese oltr’ alpi da narratori francesi.
10. FARNE CCHIÚ ‘E CATUCCIO.
Ad litteram: farne piú di Catuccio Id est: comportarsi, per iperbole,  in maniera piú truffaldina e delittuosa  di quel tal Luigi Filippo Bourguignon celebre bandito parigino (La Courtille, Belleville, 1693 -† Parigi 1721); tale noto masnadiero francese fu soprannominato Cartouche  corrotto nel napoletano Catuccio, e sin da giovanissimo operò in Francia  e  prima di finire i suoi giorni  sulla forca  ne combinò di tutti i colori, compiendo scelleratezze e nefandezze efferate.
11. FÀ PALLA CORTA
Ad litteram: fare la palla corta  Id est: mancare il fine prefissato, non giungere al risultato  per avere errato  nel conferire la forza necessaria  affinché  si potesse raggiungere lo scopo; locuzione mutuata dal giuoco delle bocce o del bigliardo  nel quale la biglia (palla) messa in giuoco può  mancare di raggiungere il punto voluto  e risultare corta  se nel lanciarla il giocatore non vi à impresso la necessaria e giusta spinta.
12. FÀ ZITE E MURTICIELLE E BATTESIME BUNARIELLE.
Letteralmente: fare (partecipare a) matrimoni e funerali e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose portate di pesce fresco. dette cuònsolo (consolazione).
13. FÀ SCENNERE 'NA COSA DÊ CCOGLIE 'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stantene la augusta (ma in realtà falsa)  provenienza.
coglie s.vo f.le pl. di coglia= testicolo ( voce dal lat. coleu(m).
14. FÀ TRE FICHE NOVE ROTELE
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli.
Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera  e si ammanti di meriti che non possiede, né può possedere.
Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie corrispondente in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario, ad  890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso,  è in uso ancora oggi a Malta, che prima di divenire colonia inglese apparteneva al Reame delle Due Sicilie.
Ricordo altresí che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano.
15. FÀ FETECCHIA.
Ad litteram: emettere una vescia, ma per traslato mancare completamente  il risultato di un’azione.
I l termine in epigrafe à un variegato ventaglio di significati nella parlata napoletana, ma tutti riconducibili  al primario significato di vescia, scorreggia non rumorosa, scoppio silenzioso simile a quello del fungo che giunto a maturazione esplode silenziosamente emettendo le spore; col termine fetecchia , restando nell’ambito della silenziosità,viene indicato altresí lo scppio non riuscito di un fuoco d’artificio, e piú in generale un qualsiasi fallimento o fiasco di un’operazione non giunta a buon fine
Per ciò che attiene l’etimologia, tutti concordemente la fanno risalire al latino foetere nel suo significato di puzzare - tenendo presente il primario significato di fetecchia, ma anche negli altri significati c’è una sorta  di non olezzo che pervade la parola.e la riconduce al foetere latino.
16. FÀ ‘O RRE CUMMANNASCOPPOLa
Locuzione intraducibile ad litteram con la quale si suole a Napoli  porre alla berlina l’atteggiamento supponente di chi  non avendo né il carisma, nè l’autorità  fisica e/o morale pretende di impancarsi  a re e duce  delle umane vicende, ma è destinato miseramente a fallire  atteso che le sue qualità al massimo  lo potrebbero  far considerare un re dei bambini ai quali però, per farsi ubbidire dovrebbe assestare qualche scappellotto; atteggiamento tipico tenuto da uomini  affetti da complessi d'inferiorità, o - peggio ancora - grandemente frustrati che non valendo una cicca e non essendo, nell'ambito della loro famiglia, tenuti in alcun conto, sfogano la loro repressione e frustrazione vessando in qualche modo, o tentando di vessare  le persone  con le quali,  per il loro ufficio  vengono a contatto, ben sapendo però  che non riusciranno nè a farsi ubbidire, nè addirittura ad esser presi in considerazione e saranno reputati alla stregua del re  riportato in epigrafe.
17. FÀ ‘O SPALLETTONE  oppure al femminile  FÀ ‘A CCIACCESSA
Espressioni  intraducibili ad litteram in quanto in italiano  manca un vocabolo unico che possa tradurle, per cui bisogna dilungarsi nella spiegazione  per poter venire a capo delle espressioni in esame.
Ciò premesso, dirò  che esiste, o meglio, esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo  che,nel parlare comune, conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. E’ il vocabolo in epigrafe  che si dura fatica a spiegare  tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis dirò che con esso  vocabolo si indica il saccente, il supponente, il sopracciò, il millantatore, colui che anticamente era definito mastrisso ovvero  colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non  aveva né la cultura, nè il carisma necessarii per essere preso in seria considerazione.
Piú chiaramente dirò,  per considerare le sfumature che  delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi  fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie di quelli altrui , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per risolvere, naturalmente senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son frutto della propria saccenteria in virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone  sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui, mai dei propri !? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli; e cosí via  non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che, specie quando non sia interpellato, si offre e tenta di imporre la propria presenza  dispensando  ad iosa consigli non richiesti che - il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé  finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo  fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di dizionarii della lingua napoletana, anche i piú moderni, con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco  e del suo Alfabeto napoletano, non fanno riferimento alla lingua parlata, ma esclusivamente  a quella scritta nei classici partenopei, va da sè che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei classici.
Orbene reputo   che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di trovare l’etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià  (ciarlare)con la classica prostesi della S non eufonica, ma  intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso  accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone:ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il pettegolo che è altra cosa e  che in napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine:  parlettiere.
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però   un corrispondente termine femminile con i medesimi significati del maschile ed è come riportato nella variante in epigrafe: cciaccessa correttamente scritto con la geminazione iniziale della C:  cciaccessa; l’etimo mi è sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare che possa essere un deverbale formatosi su di un iniziale ciarlare.
18.     Hê TRUVATO ‘A FORMA D’’A SCARPA TOJA
Ad litteram: ài trovato la forma (su cui è stata modellata la tua scarpa) Id est: Ti conosco benissimo, sei stato addirittura modellato su di me e pertanto  ti sei imbattuto in una persona cosí tanto simile a te (da poterti contrastare efficacemente in ogni circostanza giacché ti conosce bene ed a fondo e sa di te pregi e difetti). Espressione usata per mettere sull’avviso gradassi o prepotenti che erroneamente  pensassero di poter sorprendere il contendente senza rendersi conto della vanità  del loro comportamento che non rappresenta una sorpresa e/o un pericolo.

19. - QUANNO ‘A GATTA NUN CE STA ‘E SURECE ABBALLANO
Quando il gatto non c’è i sorci ballano
Id est:quando è assente il capo o il superiore  tutti i sottoposti, siano figli o studenti o impiegati o operai  ne profittano, facendo il proprio comodo  e contravvenendo alle previste regole comportamentali.
20. QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CCHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE
Quando una moglie è procace e piacente ed il marito  è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corne
Id est:la moglie procace e sfrontata  d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà.
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura  e poi per estensione semantica  lo sciocco credulone, il babbeo  di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola,  il bonaccione, il  banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti  e pertanto un essere inetto,spregevole,  persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però  già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;
21. - QUANNO ‘A PALLA FA TTA-TTÀ, O SÎ STRUNZO O NUN SAJE JUCÀ
Quando la palla rimpalla (fa tta-ttà) o sei uno sciocco o non sai giocare.
Locuzione proverbiale in uso tra i giocatori di biliardo con la quale si assicura che il giocatore che con il suo colpo induca la propria palla a rimpallare ripetutamente con un’ altra o è uno stupido o – piú probabilmente – è incapace di giocare; per estensione la locuzione è usata tutte le volte che  si voglia  accusare di inettitudine  chi non riesce a portare a buon fine un’operazione, confondendosi anche in mancanza di conclamati intralci.
strunzo = stronzo,  escremento solido di forma cilindrica  e figuratamente  persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
22.'A CARNE SE JETTA I 'E CANE S'ARRAGGIANO.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe.
23.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo,in napoletano trapanaturo (deverbale del greco trypân) l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
Trapanaturo s.m. = aspo, strumento girevole che serve per avvolgere in matassa un filato; la voce napoletana trapanaturo deriva dal gr. trypanon, deriv. di trypân 'forare/girare', mentre la voce italiana aspo deriva dal gotico *àspa.

24. JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LLAVATORE.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi dal greco astrakon= coccio: l’impiantito dei solai era formato con cocci di anfore e/o lapillo vesuviano;) ed in basso (i lavatoi (da un lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare')erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.

25. 'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie (dantoti dell’)'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
26. JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.
27. TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipico dei fanciulli, ma pure degli adulti afflitti dalla sindrome di Peter Pan, soggetti tutti  che rifiutano l’idea  che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e non si rassegnano   ad ammettere  il fatto che  tutto debba essere accettato; il termine frusta lla discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci.

28.HÊ 'A MURÍ RUSECATO DA 'E ZZOCCOLE E 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MAMMÈTA
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (dal lat. sorcula) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare
29.MA TE FOSSE JIUTO 'O LLICCESE 'NCAPO?
Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso cosí le facoltà raziocinanti del... fiutatore.
30. 'A FATICA D''E FRACETE SE VENNE A CARO PREZZO.
Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera.
31.DALLE E DDALLE 'O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO.
Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male,  come a cogliere zucchini continuamente non ne restano che le foglie. Il tallo (dal lat. tàllu(m), dal gr. tàllós 'germoglio', deriv. di thállein 'fiorire')è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata o gustosa della zucchina che già di suo non è molto saporita.
32. QUANN'È PE VIZZIO, NUN È PECCATO!
Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto,errore si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore.
33. PASSASSE LL'NGELO E DICESSE: AMMENNE!
Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed à con il suo assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico.
34. VA TRUVANNO: 'MBRUOGLIO, AIUTAME.
Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi
35. PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il nome Pasquale usato nell’espressione è mutuato da un tal Pasquale Barilotto personaggio del teatro pulcinellesco di  A. Petito, personaggio comicamente  perseguitato continuamente da malasorte ed affanni, spesso solo paventati ma in realtà inesistenti.
36. PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.
37.MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP' Ô MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporrti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco,nei pressi di porta Capuana a Napoli, in quello che era stato il convento francescano dei cosiddetti monaci di sant’Anna e sino a non molto tempo fa  ospitavano gli uffici della pretura,  erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.

38. FÀ ‘E  UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: far di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
39. FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, senza che ce ne fosse necessità o urgenza,  un trentunesimo.
40.ESSERE CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
41. ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato.
42. 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res.
43. 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche.
44. AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA.
Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza (solo) con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; occorrono gravi ed importanti ragioni per troncare un’autentica amicizia, che non viene meno  per futili motivi.
45. TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est:  per potersi vantare di taluni risultati,  occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura.
46.TRE CCALLE E MMESCAMMÉCE.
Letteralmente: tre cavalli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, con pochissima spesa,  ama  intromettersi  nelle faccende altrui, per dire la sua. Il tre ccalle era una moneta di infimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo rampante, poi simbolo della città di Napoli,  da cui per contrazione ca(va)llo prese il nome di callo, ed al plurale calle La locuzione significa: con poca spesa ci  si interessa delle faccende altrui.
47. CHI SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
masto = maestro, mastro (dal lat. magistru(m)→ma(gi)st(r)u(m)→masto, deriv. di magis 'di piú, molto'
mastrillo = trappola per topi ( dal lat. mustriculu(m).
48. TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
49. CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O MMAGNATO.
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri!
50. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, pagliaccio  inglese d’un circo venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e/o moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.





51. MENARSE DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia.
52. CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE.
Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso.
Brak












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