52 INCISIVE
ESPRESSIONI
1. FÀ A UNO ‘NZOGNA E PPUMMAROLA.
Ad
litteram: fare (cucinare) uno (con) sugna e pomodoro Icastica
espressione usata per indicare che si intende maltrattare qualcuno,
violentemente percuoterlo, ridurlo a cattivo stato fino ad iperbolicamente cucinarlo in forno dopo averlo schiacciato a dovere
come si farebbe con una pizza condita, a maggior disdoro, non con
il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna
e la classica salsa di pomodoro.
La pizza ‘nzogna
e ppummarola fu anticamente uno dei piú classici modi di approntare la
pizza che veniva appunto condita con sugna,
pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser cotta in forno;
successivamente il condimento per questa pizza napoletana mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed
origano e la pizza cosí condita non ebbe piú il nome di napoletana, ma divenne â marenara. E tutto ciò con buona pace
di un tal Luciano Galassi che in un suo volumetto, pur citando questa mia
esposizione, me ne contesta la morfologia asserendo che nel caso l’espressione
derivasse veramente dal modo di condire e cucinare una pizza la locuzione
avrebbe dovuto essere: “Fà a uno cu
‘nzogna e ppummarola” laddove basta semplicemente entrare in una
autentica pizzeria napoletana ed ordinare una pizza ‘nzogna e ppummarole per rendersi conto che il cu
è o sarebbe pleonastico ed irrilevante; il pizzaiuolo capirebbe che tipo di
pizza gli si stesse ordinando con e senza il “cu”!
2. FÀ ‘O MANTESENIELLO
Letteralmente:
fare il grembiulino. Id est:
comportarsi come chi indossi il grembiulino; locuzione usata a dileggio di certi uomini che,
dimenticando la loro (supposta) mascolinità, si comportino da donnetta mostrandosi pettegoli e linguacciuti, ciarlieri al punto di propalare notizie
apprese: fatto di per sé disdicevole, ma
che lo è ancora di piú quando le notizie,
che ci si diverte a portare in giro, sono state apprese in “camera caritatis” per le pubbliche
funzioni che svolge il manteseniello della locuzione.
manteseniello= grembiulino s.vo m.le diminutivo (cfr. il suff. iello) di mantesino= grembiule, zinale; la voce mantesino è dal tardo lat. mantu(m)+ ante+ sinu(m)→mantesinu(m).
3. FÀ ‘O MASTO ‘E FESTA.
Ad
litteram: fare il maestro della festa
Locuzione da intendersi sia in senso
strettamente letterale che in senso figurato;
intesa in senso letterale si fa
riferimento a chi, sia pure dispoticamente,
si impegna ad organizzare feste
pubbliche o private conferendo spesso il
proprio danaro oltre che il proprio tempo ed impegno;in senso traslato la locuzione si usa con dispetto nei
confronti di chi, senza esserne né invitato, né delegato a farlo pretende di organizzare l’altrui esistenza;
costui con incredibile faccia tosta si
presenta non richiesto in casa altrui e
disponendosi ad agire tamquam un
fac-totum dispensa sgraditi consigli sul
modo migliore di comportarsi ed agisce quasi alla medesima stregua del tipo
detto spallettone o mastrisso(cfr. ultra).
4. FÀ ‘O GALLO ‘NCOPP’Â MMUNNEZZA
Ad
litteram: fare il gallo sull’immondizia Id est: assumere gratuitamente arie di
superiorità, montare saccentemente in
cattedra cercando di imporsi su tutti
gli altri che però a ragion veduta non sono altro che un cumulo di rifiuti di talché, solamente messo al loro confronto,
il gallo può primeggiare; altrove non conterebbe nulla, potendosi quasi definirlo: monoculo in terra
coecorum.
5. FÀ ‘O NNACCHENNELLO
Ad
litteram: fare il cicisbeo
Il
vocabolo in epigrafe è oggi fra i napoletani piú giovani quasi sconosciuto, mentre persiste nella
memoria e nell’uso di quelli piú avanti negli anni. Con tale vocabolo si indica
il lezioso, lo svenevole, lo eccessivamente complimentoso, il vagheggino, il
manierato cicisbeo; è chiaro che in un’epoca come la nostra che à statuito la parità dei sessi sarebbe impensabile
un uomo che si comportasse verso il gentil sesso in maniera tale da esser paragonato a quei settecenteschi cavalier
serventi che solevano portare lunghe capigliature spartite sulle fronte e portate
sul volto a coprire un occhio, mentre con l’altro, attraverso un
occhialetto,spesso colorato, sogguardavano le dame ; tale postura faceva
pensare che i suddetti cavalieri non avessero che un occhio;in francese la cosa
suonava: il n’à q’un oeil che letto rapidamente diveniva il n’à che n’el da cui i napoletani trassero
nnacchennello.
6. FÀ ‘O PRUTUSENIELLO
Ad
litteram: fare il prezzemolino; id
est: fare il ficcanaso, voler partecipare ad ogni conversazione esprimendo la propria opinione,
specialmente se non sollecitata o richiesta; comportarsi cioè come fa il
prezzemolo erba aromatica largamente
presente nelle minestre della cucina partenopea; è chiaro che la locuzione in
epigrafe si riferisce agli uomini ed è
usata a mo’ di dileggio, ritenendosi che normalmente un uomo non debba
tenere simili comportamenti, piú consoni alle donne.
Prutuseniello =
prezzemolino s.vo neutro diminutivo (cfr. il suff. iello) di prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto
famosissima erba aromatica largamente
presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica
del tardo lat *petrosinu(m)
che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra
'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le
pietre'.
7. FÀ ‘O PORTAPULLASTE.
Ad
litteram: fare il porta pollastri Id est: agire da mezzano, da ruffiano che
rechi messaggi alternativamente all’ amoroso o all’amorosa; per traslato fare il propalatore di notizie, per il solo
gusto di portarle in giro senza neppure
riceverne alcun sia pure piccolo vantaggio quale ad es.
una mancia che si è soliti dare ad un garzone di macellaio che rechi
effettivamente dei polli acquistati e non bigliettini amorosi.
Interessantissima l’etimologia del sostantivo ricavato con traduzione
pedissequa dell’espressione francese porte-poulet
(portapolletto) ma che in realtà non si riferiva a qualcuno che realmente
portasse dei polli, bensí a chi favorisse,recandoli, lo scambio di bigliettini
amorosi tra gli innamorati; la
particolare piegatura dei foglietti li faceva assomigliare a dei piccoli polli
con le alucce donde il nome di poulet
(polletto) ed ovviamente chi recava quei bigliettini fu détto porte-poulet (portapolletto);
originariamente, tale scambio di bigliettini amorosi avveniva tra innamorati della medio-alta
borghesia partenopea, adusa alla lingua
francese, usata anche nella corte, per cui
il mediatore fra innamorati, piú che esser détto semplicemente portabigliettini, fu détto alla
francese porte-poulet; quando poi la medesima abitudine passò tra gli
innamorati del popolo che non avevano dimestichezza con la lingua d’oltralpe,
ma solo con l’idioma partenopeo ecco che porte-poulet
(portapolletto)diventò portapullaste restando
acquisito come sostantivo per indicare il mezzano, il ruffiano etc.
8. FÀ ‘O PÍRETO
CCHIÚ GGRUOSSO D’’O CULO.
Ad
litteram: fare il peto piú grande del
culo. Versione piú prosaica, ma quanto piú icasticamente viva dell’algido
italiano: fare il passo piú lungo della gamba; in effetti il massimo danno che
potrebbe derivare dall’operare secondo la locuzione italiana sarebbe quello di
dover sopportare il dolore di uno strappo muscolare; nel caso della locuzione napoletana i danni sarebbero ben piú gravi ed ignominosi.
9. FÀ ‘O VIAGGIO D’’O MISCHINO
Ad
litteram: fare il viaggio del Meschino
Id est: impegnarsi in una faticosissima attività, un’improba impresa, ma
totalmente inutile vuoi per le ragioni
che la promuovono, vuoi per i risibili risultati che si raggiungono; la
locuzione in epigrafe richiama le avventure di uno degli eroi del ciclo
carolingio : Guerino detto il
Meschino protagonista di numerose dure
ma inutili avventure narrate dallo scrittore italiano Andrea da Barberino e riprese oltr’ alpi da
narratori francesi.
10. FARNE CCHIÚ ‘E CATUCCIO.
Ad
litteram: farne piú di Catuccio Id
est: comportarsi, per iperbole, in
maniera piú truffaldina e delittuosa di
quel tal Luigi Filippo Bourguignon celebre bandito parigino (La Courtille,
Belleville, 1693 -† Parigi 1721); tale noto masnadiero francese fu soprannominato
Cartouche corrotto nel napoletano Catuccio, e sin da
giovanissimo operò in Francia e prima di finire i suoi giorni sulla forca
ne combinò di tutti i colori, compiendo scelleratezze e nefandezze
efferate.
11. FÀ PALLA CORTA
Ad
litteram: fare la palla corta Id est: mancare il fine prefissato, non
giungere al risultato per avere
errato nel conferire la forza
necessaria affinché si potesse raggiungere lo scopo; locuzione
mutuata dal giuoco delle bocce o del bigliardo
nel quale la biglia (palla) messa in giuoco può mancare di raggiungere il punto voluto e risultare corta se nel lanciarla il giocatore non vi à
impresso la necessaria e giusta spinta.
12. FÀ ZITE E MURTICIELLE E BATTESIME BUNARIELLE.
Letteralmente:
fare (partecipare a) matrimoni e funerali
e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non
espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e
libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle
cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non
mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla
tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle)
giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti
del defunto un pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose
portate di pesce fresco. dette cuònsolo
(consolazione).
13. FÀ SCENNERE 'NA COSA DÊ CCOGLIE 'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stantene la augusta (ma in realtà falsa) provenienza.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stantene la augusta (ma in realtà falsa) provenienza.
coglie s.vo f.le pl. di coglia=
testicolo ( voce dal lat. coleu(m).
14. FÀ TRE FICHE NOVE ROTELE
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli.
Con
l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o -
meglio - il vaniloquio di chi esagera e
si ammanti di meriti che non possiede, né può possedere.
Per
intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era
una unità di peso del Regno delle Due Sicilie corrispondente in Sicilia a
gr.790 mentre a Napoli e suo circondario, ad
890 grammi
per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre
fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica
rammentiamo che il rotolo, come unità di peso,
è in uso ancora oggi a Malta, che prima di divenire colonia inglese
apparteneva al Reame delle Due Sicilie.
Ricordo
altresí che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba
RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente
indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca
romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che
indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi,
pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano.
15. FÀ FETECCHIA.
Ad
litteram: emettere una vescia, ma per
traslato mancare completamente il
risultato di un’azione.
I l
termine in epigrafe à un variegato ventaglio di significati nella parlata
napoletana, ma tutti riconducibili al
primario significato di vescia, scorreggia non rumorosa, scoppio silenzioso
simile a quello del fungo che giunto a maturazione esplode silenziosamente
emettendo le spore; col termine fetecchia , restando nell’ambito della
silenziosità,viene indicato altresí lo scppio non riuscito di un fuoco
d’artificio, e piú in generale un qualsiasi fallimento o fiasco di
un’operazione non giunta a buon fine
Per ciò
che attiene l’etimologia, tutti concordemente la fanno risalire al latino
foetere nel suo significato di puzzare - tenendo presente il primario
significato di fetecchia, ma anche negli altri significati c’è una sorta di non olezzo che pervade la parola.e la
riconduce al foetere latino.
16. FÀ ‘O RRE CUMMANNASCOPPOLa
Locuzione
intraducibile ad litteram con la quale si suole a Napoli porre alla berlina l’atteggiamento supponente
di chi non avendo né il carisma, nè
l’autorità fisica e/o morale pretende di
impancarsi a re e duce delle umane vicende, ma è destinato
miseramente a fallire atteso che le sue
qualità al massimo lo potrebbero far considerare un re dei bambini ai quali
però, per farsi ubbidire dovrebbe assestare qualche scappellotto; atteggiamento
tipico tenuto da uomini affetti da
complessi d'inferiorità, o - peggio ancora - grandemente frustrati che non
valendo una cicca e non essendo, nell'ambito della loro famiglia, tenuti in
alcun conto, sfogano la loro repressione e frustrazione vessando in qualche
modo, o tentando di vessare le persone con le quali,
per il loro ufficio vengono a
contatto, ben sapendo però che non
riusciranno nè a farsi ubbidire, nè addirittura ad esser presi in
considerazione e saranno reputati alla stregua del re riportato in epigrafe.
17. FÀ ‘O SPALLETTONE oppure al femminile FÀ ‘A
CCIACCESSA
Espressioni intraducibili ad litteram in quanto in
italiano manca un vocabolo unico che
possa tradurle, per cui bisogna dilungarsi nella spiegazione per poter venire a capo delle espressioni in
esame.
Ciò
premesso, dirò che esiste, o meglio,
esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune, conglobava in sè
tutto un vasto ventaglio di significati. E’ il vocabolo in epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis
dirò che con esso vocabolo si indica il
saccente, il supponente, il sopracciò, il millantatore, colui che anticamente
era definito mastrisso ovvero colui
che si ergeva a dotto e maestro, ma non
aveva né la cultura, nè il carisma necessarii per essere preso in seria
considerazione.
Piú
chiaramente dirò, per considerare le
sfumature che delineano il termine in
epigrafe, che vien definito spallettone chi
fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti
i problemi, specie di quelli altrui , problemi che lo spallettone dice di
essere attrezzato per risolvere, naturalmente senza farsi mai coinvolgere in
prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna
conclamata scienza o esperienza, ma son frutto della propria saccenteria in
virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo
spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione
dei figli altrui, mai dei propri !? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come
farne degli esseri commendevoli; e cosí via
non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che, specie quando non
sia interpellato, si offre e tenta di imporre la propria presenza dispensando
ad iosa consigli non richiesti che - il piú delle volte- comportano in
chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio
che va da sé finisce per essere motivo
di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere
dello spallettone.
E
passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del
termine in epigrafe.
Premesso
che tutti i compilatori di dizionarii della lingua napoletana, anche i piú
moderni, con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco e del suo Alfabeto
napoletano, non fanno riferimento alla lingua parlata, ma
esclusivamente a quella scritta nei
classici partenopei, va da sè che il termine spallettone non è registrato da
nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per
esser già presente nei classici.
Orbene
reputo che essendo il sostrato dello
spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel
tentare di trovare l’etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul
verbo parlettià (ciarlare)con
la classica prostesi della S non
eufonica, ma intensiva partenopea,
l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del
suffisso accrescitivo ONE.
Per
concludere potremo definire cosí lo spallettone:ridicolo millantatore, becero,
vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il
pettegolo che è altra cosa e che in
napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
Va da sè
che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste
però un corrispondente termine
femminile con i medesimi significati del maschile ed è come riportato nella
variante in epigrafe: cciaccessa
correttamente scritto con la geminazione iniziale della C: cciaccessa; l’etimo mi è
sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto
parlare che possa essere un deverbale formatosi su di un iniziale ciarlare.
18.
Hê
TRUVATO ‘A FORMA D’’A SCARPA TOJA
Ad
litteram: ài trovato la forma (su cui è stata modellata la tua scarpa) Id est:
Ti conosco benissimo, sei stato addirittura modellato su di me e pertanto ti sei imbattuto in una persona cosí tanto
simile a te (da poterti contrastare efficacemente in ogni circostanza giacché
ti conosce bene ed a fondo e sa di te pregi e difetti). Espressione usata per
mettere sull’avviso gradassi o prepotenti che erroneamente pensassero di poter sorprendere il
contendente senza rendersi conto della vanità
del loro comportamento che non rappresenta una sorpresa e/o un pericolo.
19. - QUANNO ‘A GATTA NUN CE STA ‘E SURECE ABBALLANO
Quando il gatto non c’è i sorci ballano
Id
est:quando è assente il capo o il superiore
tutti i sottoposti, siano figli o studenti o impiegati o operai ne profittano, facendo il proprio comodo e contravvenendo alle previste regole
comportamentali.
20. QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CCHIACHIELLO,
SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE
Quando una moglie è procace e piacente ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le
corne
Id est:la
moglie procace e sfrontata d’un marito
fesso e credulone, prima o poi lo tradirà.
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di
bassa statura e poi per estensione
semantica lo sciocco credulone, il
babbeo di nessuna personalità,l’inetto,
l’incapace, il mancator di parola, il
bonaccione, il banderuola aduso a mutar
continuamente parere ed intenti e
pertanto un essere inetto,spregevole,
persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base
lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da
collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però
già diede il seguente chiafèo
morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;
21. - QUANNO ‘A PALLA FA TTA-TTÀ, O SÎ STRUNZO O NUN SAJE JUCÀ
Quando la palla rimpalla (fa tta-ttà) o sei uno sciocco o non sai
giocare.
Locuzione
proverbiale in uso tra i giocatori di biliardo con la quale si assicura che il
giocatore che con il suo colpo induca la propria palla a rimpallare
ripetutamente con un’ altra o è uno stupido o – piú probabilmente – è incapace
di giocare; per estensione la locuzione è usata tutte le volte che si voglia
accusare di inettitudine chi non
riesce a portare a buon fine un’operazione, confondendosi anche in mancanza di
conclamati intralci.
strunzo = stronzo,
escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa
etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
22.'A
CARNE SE JETTA I 'E CANE S'ARRAGGIANO.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. |
23.'A
VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo,in napoletano trapanaturo (deverbale del greco trypân) l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
Trapanaturo
s.m. = aspo,
strumento girevole che serve per avvolgere in matassa un filato; la voce
napoletana trapanaturo deriva dal gr. trypanon, deriv. di trypân
'forare/girare', mentre la voce italiana aspo deriva dal gotico *àspa.
|
24. JÍ
ZUMPANNO ASTECHE E LLAVATORE.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi dal greco astrakon= coccio: l’impiantito dei solai era formato con cocci di anfore e/o lapillo vesuviano;) ed in basso (i lavatoi (da un lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare')erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. |
|
25. 'O
CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È
MMUORTO.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie (dantoti dell’)'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. |
26. JÍ
CASCIA E TURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. |
27. TU
MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipico dei fanciulli, ma pure degli adulti afflitti dalla sindrome di Peter Pan, soggetti tutti che rifiutano l’idea che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e non si rassegnano ad ammettere il fatto che tutto debba essere accettato; il termine frusta lla discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci. |
|
28.HÊ
'A MURÍ RUSECATO DA 'E ZZOCCOLE E 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MAMMÈTA
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (dal lat. sorcula) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare |
29.MA
TE FOSSE JIUTO 'O LLICCESE 'NCAPO?
Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso cosí le facoltà raziocinanti del... fiutatore. |
30. 'A
FATICA D''E FRACETE SE VENNE A CARO PREZZO.
Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. |
31.DALLE
E DDALLE 'O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO.
Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male, come a cogliere zucchini continuamente non ne restano che le foglie. Il tallo (dal lat. tàllu(m), dal gr. tàllós 'germoglio', deriv. di thállein 'fiorire')è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata o gustosa della zucchina che già di suo non è molto saporita. |
32.
QUANN'È PE VIZZIO, NUN È PECCATO!
Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto,errore si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore. |
33.
PASSASSE LL'NGELO E DICESSE: AMMENNE!
Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed à con il suo assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico. |
34. VA
TRUVANNO: 'MBRUOGLIO, AIUTAME.
Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi |
35. PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il nome Pasquale usato nell’espressione è mutuato da un tal Pasquale Barilotto personaggio del teatro pulcinellesco di A. Petito, personaggio comicamente perseguitato continuamente da malasorte ed affanni, spesso solo paventati ma in realtà inesistenti. |
36.
PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt. |
37.MEGLIO
A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP' Ô MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporrti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco,nei pressi di porta Capuana a Napoli, in quello che era stato il convento francescano dei cosiddetti monaci di sant’Anna e sino a non molto tempo fa ospitavano gli uffici della pretura, erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. |
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38. FÀ
‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: far di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. |
39. FÀ
TRENTA E UNA TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, senza che ce ne fosse necessità o urgenza, un trentunesimo. |
40.ESSERE
CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve. |
41.
ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato. |
42. 'O
RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res. |
43. 'E
PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. |
44.
AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA.
Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza (solo) con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; occorrono gravi ed importanti ragioni per troncare un’autentica amicizia, che non viene meno per futili motivi. |
45.
TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: per potersi vantare di taluni risultati, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura. |
46.TRE
CCALLE E MMESCAMMÉCE.
Letteralmente: tre cavalli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, con pochissima spesa, ama intromettersi nelle faccende altrui, per dire la sua. Il tre ccalle era una moneta di infimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo rampante, poi simbolo della città di Napoli, da cui per contrazione ca(va)llo prese il nome di callo, ed al plurale calle La locuzione significa: con poca spesa ci si interessa delle faccende altrui. |
47. CHI
SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
masto =
maestro, mastro (dal lat. magistru(m)→ma(gi)st(r)u(m)→masto, deriv. di
magis 'di piú, molto'
mastrillo
= trappola per topi ( dal lat. mustriculu(m).
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48.
TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. |
49. CHI
GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O MMAGNATO.
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! |
50.
PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, pagliaccio inglese d’un circo venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e/o moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. |
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51.
MENARSE DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia. |
52. CHI
POCO TÈNE, CARO TÈNE.
Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso.
Brak
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