giovedì 16 gennaio 2020

VARIE 1500


VARIE 1500
1.NUN CE STANNO FÓSE ‘A APPENNERE
Letteralmente: Non ci sono fusi (tanto difettosi )  da (potersi) appendere (al vestito).Antichissima locuzione (già presente nel D’Ambra) incisiva, efficace, chiara, viva, mordace, graffiante di esclusiva pertinenza femminile. Di per sé l’espressione in generale  vale non ci sono difetti ma in senso piú circoscritto ed esatto è espressione  con la quale si fa riferimento all’onestà dei costumi di un donna  ed alla totale assenza in lei  di colpe, manchevolezze , mancanze,sia fisiche che morali, insomma una  donna tanto priva di difetti da essere  accreditata di essere cosí sana, pudica, virtuosa, irreprensibile, integerrima, costumata, morigerata da non concedere neppure figurati appigli sul proprio vestito cui attaccare fallici fusi, cioè di non dare ad alcun uomo modo o maniera di circuirla per poterne attinger le grazie. Normalmente un fuso ben costrutto è un arnese di legno, panciuto al centro ed  assottigliato alle estremità, che nella filatura a mano serve per torcere il filo e per avvolgerlo sulla spola, arnese privo di asperità, sporgenze o ganci con cui poterlo appuntare o sospendere ed è perciò un arnese privo di difetti, come priva di difetti è una donna che non conceda appigli sulle sue vesti  a figurati fusi maschili.
fósa s.vo pl. f.le del m.le fuso s.vo m.le [dal lat. fūsus] (pl. fose e fosa). – 1.in sé ed in primis Arnese di legno dalla caratteristica forma rigonfia al centro e con le estremità assottigliate (dette cocche), usato nella filatura per produrre mediante rotazione la torsione del filo e intorno al quale il filo stesso si avvolge;
2 per traslato furbesco  membro maschile, verga, asta
2.NUN VULÉ FÀ CARTE
Cominciamo con il dire che l’espressione è mutuata ovviamente dal giuoco delle carte e che l’espressione è da tradursi con Non voler distribuire le carte e non con un inconferente Non voler fabbricare  le carte  come – inorridendo – mi occorse di cogliere sulle labbra di uno spocchioso, ma sprovveduto docente universitario, sedicente cultore esperto [a sentir lui] di proverbi e/o locuzioni partenopee.  In effetti  l’espressione fare le carte è usata anche fuor dell’àmbito napoletano e vale distribuire le carte o talora,  se riferito ad un/una cartomante,  sta per leggere le carte, ma in nessun caso  fabbricare  le carte Tanto premesso partendo come détto dall’esatta traduzione Non voler distribuire le carte è facile cogliere che con l’espressione ci si riferisce ad un soggetto che prepotente ed arrogante non intende mai assumersi il còmpito di cartaro,sia cioè restio a farsi carico di svolgere il  còmpito che invece in ògni giuoco di carte deve essere svolto per avvicendamento  da tutti i giocatori,; il soggetto di cui dico invece pretenderebbe di esser sempre servito di carte, piuttosto che farle,  per poter aprire il giuoco a suo piacimento e non esser costretto  (da cartaro) a chiuderlo accodandosi al giuoco altrui. In tal senso colui che non vuol far carte è il soggetto che in ogni occasione non intende addivenire ad alcuna proposta e  si dimostra riottoso ad accodarsi alle altrui idee o iniziative,recalcitrante persino a discuterne; è il soggetto che presuntuoso e supponente si pone davanti la realtà contigente con la boria di avere lui le soluzioni adatte ad ògni tipo di problema mostrandosi indocile all’accoglimento di proposte che abbiano fatto altre persone e senza distinguere se si tratti di cattive o di buone, di perseguibili o campate in aria. Vengono da altri? Ed allora, per il saccente che non vuol far carte, non sono accettabili e non mette conto neppure discuterne!
In senso esteso infine  l’espressione in epigrafe si attaglia a qualsiasi persona sia restia ad addivenire ad alcunché; per cui ad es. nu’ vvo’ fà carte una ragazza che rifiuti le avances di un corteggiatore, nun vo’ fà carte  un genitore che rifiuti di soddisfare le richieste pecuniare d’un figliolo, nun vo’ fà carte una mamma che opponga un rifiuto al desiderio d’ una figliola che vorrebbe un abito nuovo, nu’ vvo’ fà carte una moglie che respinga l’istanza di preparare un’elaborata pasta al forno o che opponga alle richieste del coniuge, un improvviso mal di capo e cosí via.
3.NUN FA/FÀ ASCÍ ‘O GGRASSO FORA DÂ PIGNATA. Letteralmente l’espressione si traduce con : Non fa/fare uscire il grasso fuor dalla pignatta. Passando al campo applicativo preciso che la locuzione à un doppio significato:
1) in primis essa vale una sorta di constatazione osservando l’atteggiamento di qualcuno/a che sia molto misurato/a nei consumi, tanto accorto/a e/o  parsimonioso/a da evitare qualsiasi spreco al segno di non permettere che il condimento in cottura  trabocchi per eccessivo bollore  dalla pentola   e tale accezione è quella esatta allorché il fa dell’espressione è la 3ª pers. sg. indicativo presente dell’infinito fà.
2)Tutt’altro significato prende l’espressione allorché il fa’ dell’espressione è la 2ª pers. sg. imperativo dell’infinito fà.  In tal caso la locuzione diventa non una costatazione, ma quasi un ordine perentorio a non far traboccare il condimento dalla pentola di pertinenza. Tuttavia mentre nel caso sub 1) la locuzione può essere tranquillamente intesa nel senso letterale con riferimento alla avvedutezza e/o parsimonia di chi si adopera per evitare che si cada nell’eccesso facendo traboccare il condimento o conferito in maniera sovrabbondante,o non tenuto sotto controllo durante la sua cottura, nel caso sub 2) con l’uso dell’imperativo l’espressione non si deve  intendere come un consiglio/ordine a non far  traboccare il condimento o conferito in maniera sovrabbondante,o non tenuto sotto controllo durante la sua cottura,ma deve intendersi in senso traslato  come consiglio/ordine dato ad un familiare di  non lasciar  trapelare all’esterno [dandoli in pasto ai terzi] i fatti e/o i problemi di famiglia che vanno rigorosamente tenuti segreti e sotto il controllo di chi compone la famiglia.Ed ancóra l’espressione sub 2) in un suo sotteso significato metaforico vale: adoperarsi per non permettere che le risorse familiari travalichino i sacrosanti confini della famiglia per essere destinate ad estranei e/o a parenti non molto prossimi.
Giunti qui , prendiamone in esame alcune parole:
‘o ggrasso  letteralmente il grasso= condimento ricavato dalla sottocute del maiale; ovviamente qui è usato nel senso traslato ed estensivo di risorsa economica; la voce a margine è un sost. neutro (la gran parte degli alimenti in napoletano è di genere neutro) derivato dal lat. volg. grassu(m), da crassus 'grasso', forse per incrocio con grossus 'grosso';
ascí = uscire, venir fuori, debordare voce verb. infinito dal lat. volg. parlato *axire  marcato su   exire, comp. di ex- 'fuori' e ire 'andare'; 
fora avv. di luogo= fuori, all'esterno di qualcosa, non in esso; anche, lontano da esso; voce derivato dal lat. fora(s) collaterale di fŏri(s) donde l’italiano fuori.
la voce pignata/pignato s.vo f.le/m.le nell’unico significato di pentola di coccio bassa, ma capace riprende forse per adattamento la voce toscana pignatta→pignata
s. f. , che  anticamente fu anche: pignatto→pignato s. m. nei significati di
1) pentola molto capace, per lo piú di terracotta | (fam.) qualunque tipo di pentola. dim. pignattella, pignattina, pignattino (m.)
2) sorta di mattone forato impiegato nella costruzione dei solai. Tutto ciò sempre che non sia vero il contrario e cioè che un/una originario/a  pignato/a partenopei non siano diventati pignatto e pignatto  nell’italiano;  
L’etimo è  incerto; forse da un deriv. del lat. pinguis 'grasso', col sign. di 'recipiente per conservare il grasso, la sugna;con una lettura metatetica di pinguis→pignuis addizionato di apta→atta donde *pignatta (adatta a contenere il grasso).
 Tuttavia un'altra scuola di pensiero ( alla quale mi piace aderire!) pensa ch'essa voce pignata  possa derivare dal latino pineata(olla)in quanto il coperchio della pignata termina e  terminava quasi sempre a mo' di pigna (in latino pinea donde pineata→pignata).
4.È FFERNUTA 'A ZEZZENELLA!
Letteralmente: è terminata - cioè s'è svuotata - la mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
La voce zezzenella è un s.vo f.le collaterale di zezzella s.vo f.le diminutivo di zizza= mammella [dal lat. titta(m)→zizza.]
5.È MMUORTO 'ALIFANTE!
Letteralmente: È morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussiego, della tua importanza, non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussieguo , si ricollega ad un fatto accaduto sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era piú tempo di darsi arie...
6.CHI SE FA PUNTONE, 'O CANE 'O PISCIA 'NCUOLLO...
Letteralmente: chi si fa spigolo di muro, il cane gli minge addosso. E'l'icastica e piú viva trasposizione dell'italiano: "Chi si fa pecora, il lupo se la mangia" e la locuzione è usata per sottolineare i troppo arrendevoli comportamenti di coloro che o per codardia o per ingenuità, non riescono a farsi valere
7.TRÒVATE CHIUSO E PPIÉRDETE CHIST' ACCUNTO...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente.
8.È MMEGLIO A ESSERE PARENTE Ô FAZZULETTO CA Â COPPOLA
Conviene esser parente della donna piuttosto che dell' uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è tenuta maggiormente in considerazione la famiglia d'origine della sposa che quella dello sposo.
9.ÒGNE STRUNZO TENE 'O FUMMO SUJO.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo. Id est:ogni sciocco à modo di farsi notare
10. CUNSIGLIO 'E VORPE, RAMMAGGIO 'E GALLINE.
Lett.:consiglio di volpi, danno di galline. Id est: Quando confabulano furbi o maleintenzionati, ne deriva certamente un danno per i piú sciocchi o piú buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze.
11.CHIACCHIERE E TABBACCHERE 'E LIGNAMMO, Ô BBANCO NUN NE 'MPIGNAMMO.
Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non sono prese in pegno dal banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel 1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino. La locuzione proclama la necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate azioni, improbabili e vacue promesse.

Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi sottili e ferri(piú doppi)da calze ossia di tutto il necessario ed occorrente per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto in quanto armati degli strumenti adatti.
12. JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andare stoccafisso e ritornare baccalà. La locuzione viene usata quando si voglia commentare negativamente un'azione compiuta senza che abbia prodotto risultati apprezzabiliIn effetti sia che lo si secchi-stoccafisso-, sia che lo si sali-baccalà- il merluzzo rimane la povera cosa che è.
13.ESSERE LL'URDEMU LAMPIONE 'E FOREROTTA.
Letteralmente:essere l'ultimo fanale di Fuorigrotta. Id est: Non contare nulla, non servire a niente. La locuzione prese piede verso la fine dell' '800 quando l'illuminazione stradale napoletana era fornita da fanali a gas in numero di 666; l'ultimo lampione (fanale) contraddistinto appunto col numero 666 era situato nel quartiere di Fuorigrotta, zona limitrofa di Napoli, per cui il fanale veniva acceso per ultimo, quando già splendevano le prime luci dell' alba e la di lui utilità veniva ad essere molto limitata.
14.JÍ TRUVANNO A CRISTO DINTO A LA PINA.
Letteralmente: cercare Cristo nella pigna. Id est:impegnarsi in una azione difficoltosa,lunga e faticosa destinata a non aver sempre successo. Anticamente il piccolo ciuffetto a cinque punte che si trova sui pinoli freschi era detto manina di Cristo, andarne alla ricerca comportava un lungo lavorio consistente in primis nell'arrostimento della pigna per poi cavarne gli involucri contenenti i pinoli, procedere alla loro frantumazione e giungere infine all'estrazione dei pinoli contenuti;spesso però i singoli contenitori risultavano vuoti e di conseguenza la fatica sprecata.
15.QUANNO TE MIETTE 'NCOPP' A DDOJE SELLE, PRIMMA O DOPPO VAJE CU 'O CULO 'NTERRA.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio
16.'E FATTE D' 'A TIANA 'E SSAPE 'A CUCCHIARA.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza.
         Brak


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