VARIE
1500
1.NUN
CE STANNO FÓSE ‘A APPENNERE
Letteralmente: Non ci sono fusi (tanto difettosi ) da (potersi) appendere (al
vestito).Antichissima locuzione (già presente nel D’Ambra) incisiva, efficace,
chiara, viva, mordace, graffiante di esclusiva pertinenza femminile. Di per sé
l’espressione in generale vale non ci
sono difetti ma in senso piú circoscritto ed esatto è espressione con la quale si fa riferimento all’onestà dei
costumi di un donna ed alla totale
assenza in lei di colpe, manchevolezze ,
mancanze,sia fisiche che morali, insomma una
donna tanto priva di difetti da essere
accreditata di essere cosí sana, pudica, virtuosa, irreprensibile,
integerrima, costumata, morigerata da non concedere neppure figurati appigli
sul proprio vestito cui attaccare fallici fusi, cioè di non dare ad alcun uomo
modo o maniera di circuirla per poterne attinger le grazie. Normalmente un fuso
ben costrutto è un arnese di legno, panciuto al centro ed assottigliato alle estremità, che nella
filatura a mano serve per torcere il filo e per avvolgerlo sulla spola, arnese
privo di asperità, sporgenze o ganci con cui poterlo appuntare o sospendere ed
è perciò un arnese privo di difetti, come priva di difetti è una donna che non
conceda appigli sulle sue vesti a figurati
fusi maschili.
fósa s.vo pl. f.le del m.le fuso s.vo m.le [dal lat.
fūsus] (pl. fose e fosa). – 1.in sé ed in primis Arnese di legno dalla
caratteristica forma rigonfia al centro e con le estremità assottigliate (dette
cocche), usato nella filatura per produrre mediante rotazione la torsione del
filo e intorno al quale il filo stesso si avvolge;
2 per traslato furbesco
membro maschile, verga, asta
2.NUN
VULÉ FÀ CARTE
Cominciamo con il dire che l’espressione è mutuata
ovviamente dal giuoco delle carte e che l’espressione è da tradursi con Non
voler distribuire le carte e non con un inconferente Non voler fabbricare le carte
come – inorridendo – mi occorse di cogliere sulle labbra di uno
spocchioso, ma sprovveduto docente universitario, sedicente cultore esperto [a
sentir lui] di proverbi e/o locuzioni partenopee. In effetti
l’espressione fare le carte è usata anche fuor dell’àmbito napoletano e
vale distribuire le carte o talora, se
riferito ad un/una cartomante, sta per
leggere le carte, ma in nessun caso
fabbricare le carte Tanto
premesso partendo come détto dall’esatta traduzione Non voler distribuire le
carte è facile cogliere che con l’espressione ci si riferisce ad un soggetto
che prepotente ed arrogante non intende mai assumersi il còmpito di cartaro,sia
cioè restio a farsi carico di svolgere il
còmpito che invece in ògni giuoco di carte deve essere svolto per
avvicendamento da tutti i giocatori,; il
soggetto di cui dico invece pretenderebbe di esser sempre servito di carte,
piuttosto che farle, per poter aprire il
giuoco a suo piacimento e non esser costretto
(da cartaro) a chiuderlo accodandosi al giuoco altrui. In tal senso
colui che non vuol far carte è il soggetto che in ogni occasione non intende
addivenire ad alcuna proposta e si
dimostra riottoso ad accodarsi alle altrui idee o iniziative,recalcitrante
persino a discuterne; è il soggetto che presuntuoso e supponente si pone
davanti la realtà contigente con la boria di avere lui le soluzioni adatte ad
ògni tipo di problema mostrandosi indocile all’accoglimento di proposte che
abbiano fatto altre persone e senza distinguere se si tratti di cattive o di
buone, di perseguibili o campate in aria. Vengono da altri? Ed allora, per il
saccente che non vuol far carte, non sono accettabili e non mette conto neppure
discuterne!
In senso esteso infine
l’espressione in epigrafe si attaglia a qualsiasi persona sia restia ad
addivenire ad alcunché; per cui ad es. nu’ vvo’ fà carte una ragazza che
rifiuti le avances di un corteggiatore, nun vo’ fà carte un genitore che rifiuti di soddisfare le
richieste pecuniare d’un figliolo, nun vo’ fà carte una mamma che opponga un
rifiuto al desiderio d’ una figliola che vorrebbe un abito nuovo, nu’ vvo’ fà
carte una moglie che respinga l’istanza di preparare un’elaborata pasta al
forno o che opponga alle richieste del coniuge, un improvviso mal di capo e
cosí via.
3.NUN
FA/FÀ ASCÍ ‘O GGRASSO FORA DÂ PIGNATA. Letteralmente
l’espressione si traduce con : Non fa/fare uscire il grasso fuor dalla
pignatta. Passando al campo applicativo preciso che la locuzione à un doppio
significato:
1) in primis essa vale una sorta di constatazione
osservando l’atteggiamento di qualcuno/a che sia molto misurato/a nei consumi,
tanto accorto/a e/o parsimonioso/a da
evitare qualsiasi spreco al segno di non permettere che il condimento in
cottura trabocchi per eccessivo
bollore dalla pentola e tale accezione è quella esatta allorché il
fa dell’espressione è la 3ª pers. sg. indicativo presente dell’infinito fà.
2)Tutt’altro significato prende l’espressione allorché il
fa’ dell’espressione è la 2ª pers. sg. imperativo dell’infinito fà. In tal caso la locuzione diventa non una
costatazione, ma quasi un ordine perentorio a non far traboccare il condimento
dalla pentola di pertinenza. Tuttavia mentre nel caso sub 1) la locuzione può
essere tranquillamente intesa nel senso letterale con riferimento alla
avvedutezza e/o parsimonia di chi si adopera per evitare che si cada
nell’eccesso facendo traboccare il condimento o conferito in maniera
sovrabbondante,o non tenuto sotto controllo durante la sua cottura, nel caso
sub 2) con l’uso dell’imperativo l’espressione non si deve intendere come un consiglio/ordine a non far traboccare il condimento o conferito in
maniera sovrabbondante,o non tenuto sotto controllo durante la sua cottura,ma
deve intendersi in senso traslato come
consiglio/ordine dato ad un familiare di
non lasciar trapelare all’esterno
[dandoli in pasto ai terzi] i fatti e/o i problemi di famiglia che vanno
rigorosamente tenuti segreti e sotto il controllo di chi compone la famiglia.Ed
ancóra l’espressione sub 2) in un suo sotteso significato metaforico vale:
adoperarsi per non permettere che le risorse familiari travalichino i
sacrosanti confini della famiglia per essere destinate ad estranei e/o a
parenti non molto prossimi.
Giunti qui , prendiamone in esame alcune parole:
‘o ggrasso
letteralmente il grasso= condimento ricavato dalla sottocute del maiale;
ovviamente qui è usato nel senso traslato ed estensivo di risorsa economica; la
voce a margine è un sost. neutro (la gran parte degli alimenti in napoletano è
di genere neutro) derivato dal lat. volg. grassu(m), da crassus 'grasso', forse
per incrocio con grossus 'grosso';
ascí = uscire, venir fuori, debordare voce verb. infinito
dal lat. volg. parlato *axire marcato
su exire, comp. di ex- 'fuori' e ire
'andare';
fora avv. di luogo= fuori, all'esterno di qualcosa, non
in esso; anche, lontano da esso; voce derivato dal lat. fora(s) collaterale di
fŏri(s) donde l’italiano fuori.
la voce pignata/pignato s.vo f.le/m.le nell’unico
significato di pentola di coccio bassa, ma capace riprende forse per
adattamento la voce toscana pignatta→pignata
s. f. , che
anticamente fu anche: pignatto→pignato s. m. nei significati di
1) pentola molto capace, per lo piú di terracotta |
(fam.) qualunque tipo di pentola. dim. pignattella, pignattina, pignattino (m.)
2) sorta di mattone forato impiegato nella costruzione
dei solai. Tutto ciò sempre che non sia vero il contrario e cioè che un/una
originario/a pignato/a partenopei non
siano diventati pignatto e pignatto
nell’italiano;
L’etimo è incerto;
forse da un deriv. del lat. pinguis 'grasso', col sign. di 'recipiente per
conservare il grasso, la sugna;con una lettura metatetica di pinguis→pignuis
addizionato di apta→atta donde *pignatta (adatta a contenere il grasso).
Tuttavia un'altra
scuola di pensiero ( alla quale mi piace aderire!) pensa ch'essa voce
pignata possa derivare dal latino
pineata(olla)in quanto il coperchio della pignata termina e terminava quasi sempre a mo' di pigna (in
latino pinea donde pineata→pignata).
4.È
FFERNUTA 'A ZEZZENELLA!
Letteralmente: è terminata - cioè s'è svuotata - la
mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
La voce zezzenella è un s.vo f.le collaterale di zezzella
s.vo f.le diminutivo di zizza= mammella [dal lat. titta(m)→zizza.]
5.È
MMUORTO 'ALIFANTE!
Letteralmente: È morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo
cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussiego, della tua importanza,
non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi
arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile
atteggiamento di comando e/o sussieguo , si ricollega ad un fatto accaduto
sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia
regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come
guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza
mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto
l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne
beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non
era piú tempo di darsi arie...
6.CHI
SE FA PUNTONE, 'O CANE 'O PISCIA 'NCUOLLO...
Letteralmente: chi si fa spigolo di muro, il cane gli
minge addosso. E'l'icastica e piú viva trasposizione dell'italiano: "Chi
si fa pecora, il lupo se la mangia" e la locuzione è usata per
sottolineare i troppo arrendevoli comportamenti di coloro che o per codardia o
per ingenuità, non riescono a farsi valere
7.TRÒVATE
CHIUSO E PPIÉRDETE CHIST' ACCUNTO...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente...
Locuzione ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il
cattivo mercato che si sta per compiere, avendo a che fare con un contrattante
che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente.
8.È
MMEGLIO A ESSERE PARENTE Ô FAZZULETTO CA Â COPPOLA
Conviene esser parente della donna piuttosto che dell'
uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è tenuta maggiormente in
considerazione la famiglia d'origine della sposa che quella dello sposo.
9.ÒGNE
STRUNZO TENE 'O FUMMO SUJO.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo. Id
est:ogni sciocco à modo di farsi notare
10.
CUNSIGLIO 'E VORPE, RAMMAGGIO 'E GALLINE.
Lett.:consiglio di volpi, danno di galline. Id est:
Quando confabulano furbi o maleintenzionati, ne deriva certamente un danno per
i piú sciocchi o piú buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i
superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze.
11.CHIACCHIERE
E TABBACCHERE 'E LIGNAMMO, Ô BBANCO NUN NE 'MPIGNAMMO.
Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non
sono prese in pegno dal banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni
sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita
il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco
che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel
1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal
piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino. La locuzione proclama la
necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere
evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione
si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate
azioni, improbabili e vacue promesse.
Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi
sottili e ferri(piú doppi)da calze ossia di tutto il necessario ed occorrente
per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id
est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto
in quanto armati degli strumenti adatti.
12.
JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andare stoccafisso e ritornare baccalà. La
locuzione viene usata quando si voglia commentare negativamente un'azione
compiuta senza che abbia prodotto risultati apprezzabiliIn effetti sia che lo
si secchi-stoccafisso-, sia che lo si sali-baccalà- il merluzzo rimane la
povera cosa che è.
13.ESSERE
LL'URDEMU LAMPIONE 'E FOREROTTA.
Letteralmente:essere l'ultimo fanale di Fuorigrotta. Id
est: Non contare nulla, non servire a niente. La locuzione prese piede verso la
fine dell' '800 quando l'illuminazione stradale napoletana era fornita da
fanali a gas in numero di 666; l'ultimo lampione (fanale) contraddistinto
appunto col numero 666 era situato nel quartiere di Fuorigrotta, zona limitrofa
di Napoli, per cui il fanale veniva acceso per ultimo, quando già splendevano
le prime luci dell' alba e la di lui utilità veniva ad essere molto limitata.
14.JÍ
TRUVANNO A CRISTO DINTO A LA PINA.
Letteralmente: cercare Cristo nella pigna. Id est:impegnarsi
in una azione difficoltosa,lunga e faticosa destinata a non aver sempre
successo. Anticamente il piccolo ciuffetto a cinque punte che si trova sui
pinoli freschi era detto manina di Cristo, andarne alla ricerca comportava un
lungo lavorio consistente in primis nell'arrostimento della pigna per poi
cavarne gli involucri contenenti i pinoli, procedere alla loro frantumazione e
giungere infine all'estrazione dei pinoli contenuti;spesso però i singoli
contenitori risultavano vuoti e di conseguenza la fatica sprecata.
15.QUANNO
TE MIETTE 'NCOPP' A DDOJE SELLE, PRIMMA O DOPPO VAJE CU 'O CULO 'NTERRA.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col
sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio
16.'E
FATTE D' 'A TIANA 'E SSAPE 'A CUCCHIARA.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il
mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a
conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú
persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono
notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia
riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza.
Brak
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