sabato 31 ottobre 2015
VARIE 15/824
1.Coppola pe ccappiello e ccasa a ssant'Aniello.
Ad litteram:Berretto per cappello, ma casa a sant'Aniello (a Caponapoli). Id est: vestirsi anche miseramente, ma prendere alloggio in una zona salubre ed ariosa, poiché la salute viene prima dell'eleganza, ed il danaro va speso per star bene in salute, non per agghindarsi.
2. Tené tutte 'e vizzie d''a rosamarina.
Ad litteram: avere tutti i vizi del rosmarino. Id est: avere tutti i difetti possibili, essere cioè cosí poco affidabile ed utile alla stregua del rosmarino, l'erba aromatica che serve a molto poco; infatti oltre che per dare un po' di aroma non serve a nulla: non è buona da ardere, perché brucia a stento, non fa fuoco, per cui non dà calore, non produce cenere che - olim - serviva per il bucato, se accesa, fa molto, fastidioso fumo...
3.Si 'o Signore nun perdona a 77, 78 e 79, llà 'ncoppa nce appenne 'e pummarole.
Ad litteram: Se il Signore non perdona ai diavoli(77), alle prostitute(78) e ai ladri(79), lassú (id est: in paradiso ) ci appenderà i pomodori. Id est: poiché il mondo è popolato esclusivamente da ladri, prostitute e cattivi soggetti (diavoli), il Signore Iddio se vorrà accogliere qualcuno in paradiso, dovrà perdonare a tutti o si ritroverò con uno spazio enormemente vuoto che per riempirlo dovrebbe coltivarci pomodori.
4.Chillo se mette 'e ddete 'nculo e ne caccia 'anielle.
Ad litteram: Quello si mette le dita nel culo e ne tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili.
5.Avimmo perduto 'aparatura e 'e centrelle.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
6.'A femmena è ccomme â campana: si nun 'a tuculje, nun sona.
Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la donna à bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma pure i propri istinti.
7. 'A tonaca nun fa 'o monaco, 'a chiereca nun fa 'o preveto, nè 'a varva fa 'o filosefo.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo.
8. Me parono 'e ccape d''a Vecaria.
Ad litteram: mi sembrano le teste della Vicaria. Lo si suole dire di chi è smagrito per lunga fame, al segno di averne il volto affilato e scavato quasi come le teste dei giustiziati, teste che nel 1600 venivano esposte per ammonimento infilzate su lunghe lance e tenute per giorni e giorni all'esterno dei portoni del tribunale della Vicaria, massima corte del Reame di Napoli.
9. Aria netta nun ave paura 'e tronnele.
Ad litteram: aria pulita non teme i tuoni; infatti quando l'aria è tersa e priva di nuvole, i tuoni che si dovessero udire non sono annunzio di temporale. Per traslato: l'uomo che à la coscienza pulita non teme che possa ricevere danno dalle sue azioni, che - improntate al bene - non potranno portare conseguenze negative .
10.Ascí 'a vocca 'a 'e cane e ferní 'mmocca ê lupe
Ad litteram: scampare alla bocca dei cani e finire in quella dei lupi. Maniera un po' piú drammatica di rendere l'italiano: cader dalla padella nella brace: essere azzannati da un cane è cosa bruttissima, ma finire nella bocca ben piú vorace di un lupo, è cosa ben peggiore.
11. Rrobba 'e mangiatorio, nun se porta a cunfessorio.
Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione. Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un gran peccato, a malgrado che la gola sia uno dei vizi capitali, il popolo napoletano, atavicamente perseguitato dalla fame, non riesce a comprendere come sia possibile ritenere peccato lo sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.
12.Cu ll'evera molla, ognuno s'annetta 'o culo.
Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione , anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati
13.T'ammeretave 'a croce ggià 'a paricchio..
Ad litteram: avresti meritato lo croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco di coloro che, ottenuta la croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo raggiunto; ebbene a costoro, con la locuzione in epigrafe, si vuol rammentare che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendendo che li si ritiene malfattori, delinquenti, masnadieri tali da meritare il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...
14.Ll'avvocato à dda essere 'mbruglione.
Ad litteram: l'avvocato deve essere imbroglione. A Napoli - terra per altro di eccellentissimi principi del foro, si è convinti che un buono avvocato debba esser necessariamente un imbroglione, capace cioè di trovare argomentazioni e cavilli giuridici tali da fare assolvere anche un reo confesso o - in sede civilistica - far vincere una causa anche a chi avesse palesemente torto marcio.
15. Ll'avvocato fesso è cchillo ca va a lleggere dint' ô codice.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che - certamente - sarà stata piú dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
16. Â ggatta ca allicca 'o spito, nun ce lassà carne p'arrostere.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...
17. 'A femmena bbona si - tentata - resta onesta, nun è stata buono tentata.
Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata - resta onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza del compito...
18.Tre ccose nce vonno p''e piccerille: mazze, carizze e zizze!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi: busse, carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportano bene.
19.'E peje juorne so' chille d''a vicchiaia.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si ànno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che in vecchiaia non mancano mai...
20.Dimmènne n'ata, ca chesta ggià 'a sapevo.
Ad litteram: raccontamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi e vanificare il tuo operato.
21.Denaro 'e stola, scioscia ca vola.
Ad litteram: denaro di stola, soffia che vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso.
22.Fatte capitano e magne galline.
Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: infatti chi sale di grado migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser salito di grado, cosí vedrai migliorato il tuo tenore di vita.
23. 'E mariuole cu 'a sciammeria 'ncuollo, so' ppeje 'e ll' ate.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità
24.Dicette frate Evaristo:"Pe mmo, pigliate chisto!"
Ad litteram: disse frate Evaristo: Per adesso, prenditi questo!"Il proverbio viene usato a mo' di monito, quando si voglia rammentare a qualcuno, che si stia eccessivamente gloriando di una sua piccola vittoria, che per raggiungerla à dovuto comunque sopportare qualche infamante danno. Il frate del proverbio fu tentato dal demonio, che per indurlo al peccato assunse l'aspetto di una procace ragazza discinta; il frate si lasciò tentare e partí all'assalto delle grazie della ragazza che - nel momento culminante della tenzone amorosa riprese le sembianze del demonio e principiò a prendersi giuoco del frate, che invece portando a compimento l'operazione iniziata pronunciò la frase in epigrafe.
25.Chi ride d''o mmale 'e ll'ate, 'o ssujo sta arret' â porta.
Ad litteram: chi ride delle digrazie altrui, à le sue molto prossime; id est: chi o per cattiveria o per insipienza si fa beffe del male che à colpito altre persone, dovrebbe sapere che - presto o tardi - il male potrebbe colpire anche lui...
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VARIE 15/823
1. Ô ricco lle more 'a mugliera, ô pezzente le more 'o ciuccio.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio; morta la moglie il ricco non à da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il povero che à perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
2. Pazze e ccriature, 'o Signore ll'ajuta.
Ad litteram: pazzi e bimbi, Dio li aiuta. Id est: gli irresponsabili godono di una particolare protezione da parte del Cielo. Con questo proverbio, a Napoli, si soleva disinteressarsi di matti o altri irresponsabili, affidandoli al buonvolere di Dio e alla Sua divina provvidenza e protezione .
3. Si comme tiene 'a vocca, tenisse 'o culo, farrísse ciento pirete e nun te n'addunasse.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per
bollare l'eccessiva verbosità di taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di chi - come si dice - apre la bocca per farle prendere aria, non per esprimere concetti sensati.
culo = culo, sedere; etimo:dal lat. culum che è dal greco koilos – kolon
pireto= peto, scorreggia; etimo: latino peditum
addunasse= accorgeresti voce verbale (cong. imperfetto 2° p. sing.) di addunà/arse= accorgersi; etimo: franc. s’addonner (darsi, dedicarsi).
4. Si 'a rena è rrossa, nun ce mettere nasse.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile). Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna ànno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
5. Si 'a tavernara è bbona, 'o cunto è sempe caro.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser remunerate in maniera eccessiva...
6. Nun te dà malincunía, nè pe malu tiempo, nè pe mala signuria.
Ad litteram: non preoccuparti nè per cattivo tempo, nè per pessimi governanti. Id est: sia il cattivo tempo, che i governanti cattivi prima o poi cambiano o spariscono per cui non te ne devi preoccupare eccessivamente fino a prenderne malinconia...
7. 'Ammuina è bbona p''a guerra...
Ad litteram: il caos, la baraonda è utile in caso di guerra; id est: per aver successo in caso di lotta occorre che ci sia del caos, della baraonda; mestando in esse cose si può giungere alla vittoria nella lotta intrapresa.
ammuina = chiasso, confusione, fastidio; etimo: deverbale del verbo spagnalo amohinar(infastidire).
8. Astipate 'o piezzo janco* pe quanno venono 'e juorne nire.
Ad litteram: conserva il pezzo bianco per quando verranno le giornate nere. Id est: cerca di comportarti come una formica;
‘o piezzo janco è letteralmente il pezzo bianco e cioè la grossa moneta d’argento (scudo) anticamente detta appunta piezzo; non dilapidare tutto quel che ài: cerca di tener da parte sia pure un solo scudo d'argento (pezzo bianco) di cui potrai servirti quando verranno le giornate di miseria e bisogno.
9. Male e bbene a ffine vène.
Ad litteram: il male o il bene ànno un loro termine. Id est: Non preoccuparti soverchiamente ma non vivere sugli allori perché sia il male sia il bene che ti incorrono,non sono eterni e come son cominciati, cosí finiranno.
10. Chi tène pane e vvino, 'e sicuro è giacubbino.
Ad litteram: chi tiene pane e vino, di certo è giacobino. Durante il periodo (23/1-13/6 1799)della Repubblica Partenopea, il popolo napoletano considerò benestanti, i sostenitori del nuovo regime politico. Attualmente il proverbio è inteso nel senso che sono ritenuti capaci di procacciarsi pane e vino, id est: prebende e sovvenzioni coloro che militano o fanno vista di militare sotto le medesime bandiere politiche degli amministratori comunali, regionali o provinciali che a questi nuovi giacobini son soliti procacciare piccoli o grossi favori, non supportati da alcuna seria e conclamata bravura, ma solo da una vera o pretesa militanza politica.
11. Dicette 'o paglietta: a ttuorto o a rraggione, 'a cca à dda ascí 'a zuppa e 'o pesone.
Ad litteram: disse l'avvocatucolo: si abbia torto o ragione, di qui devon scaturire il pasto e la pigione; id est: non importa se la causa sarà vinta o persa, è giusto assumerne il patrocinio che procurerà il danaro utile al sostentamento e al pagamento del fitto di casa. Oggi il proverbio è usato quando ci si imbarchi in un'operazione qualsiasi senza attendersene esiti positivi, purché sia ben remunerata.
pesone = pigione, fitto da pagare; etimo: latino acc. pensione(m)da pendere= pesare, pagare.
12. 'O diavulo, quanno è vviecchio, se fa monaco cappuccino.
Ad litteram: il diavolo diventato vecchio si fa monaco cappuccino. Id est: spesso chi à vissuto una vita dissoluta e peccaminosa, giunto alla vecchiaia, cerca di riconciliarsi con Dio nella speranza di salvarsi l'anima in extremis.
13. Chi tène 'o lupo pe cumpare, è mmeglio ca purtasse 'o cane sott'ô mantiello.
Ad litteram: chi à un lupo per socio, è meglio che porti il cane sotto il mantello. Id est: chi à cattive frequentazioni è meglio che si premunisca fornendosi di adeguato aiuto per le necessità che gli si presenteranno proprio per le cattive frequentazioni. Da notare come in napoletano il congiuntivo esortativo non è reso con il presente, ma con l'imperfetto...
14. Si 'o ciuccio nun vo' vevere, aje voglia d''o siscà...
Ad litteram: se l'asino non vuole bere, potrai fischiare quanto vuoi (non otterrai nulla)Id est: è inutile cercar di convincere il saccente e presuntuoso; tale ignobile testardo si redime ed accetta il nuovo solo con il proprio autoconvincimento... ; alibi si dice:’o purpo s’à dda cocere cu ll’acqua soja=il polpo deve cuocersi nella propria acqua…
15.Mo m'hê rotte cinche corde 'nfacci' â chitarra e 'a sesta poco tene.
Ad litteram: ora mi ài rotto cinque corde della chitarra e la sesta è prossima a spezzarsi. Simpatica locuzione che a Napoli viene pronunciata verso chi à cosí tanto infastidito una persona da condurlo all'estremo limite della pazienza e dunque prossimo alla reazione conseguente, come chi vedesse manomessa la propria chitarra nell'integrità delle corde di cui cinque fossero state rotte e la sesta allentata al punto tale da non poter reggere piú l'accordatura.
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VARIE 15/822
1 -TENÉ 'A VOCCA SPORCA
Ad litteram:tenere la bocca sporca Detto di chi, per abitudine parli facendo uso continuato ed immotivato di volgarità e/o parole sconce ed oscene al segno da restarne figuratamente con la bocca sporcata.
2 - TENÉ 'E CHIRCHIE ALLASCATE
Ad litteram:tenere i cerchi allentati Detto di chi, vacillandogli la mente, sragioni o abbia vuoti di memoria, alla stregua di una botte che per essersi allentati i cerchi contentivi delle doghe, vacilla e perde il liquido contenuto.
3 -TENÉ 'E GGHIORDE
Ad litteram:tenere la giarda Cosí ironicamente si usa dire di chi, pigro, infingardo e scansafatiche mostri di muoversi con studiata lentezza, tardo e dolente all'opera, quasi come i cavalli che affetti dalla giarda ne abbiano le giunture e il collo delle estremità ingrossati al punto da esserne impediti nei movimenti.
4 -TENÉ 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ P''A CAPA
Letteralmente: Avere le matite a quadretti per la testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratum (corrotto poi in lapis quadrellatum), seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno,ed il vertice verso l'interno, di piccole piramidi di tufo o altra pietra , per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare fastidio e ... mal di testa per la tensione ed il nervosismo, quelli che figuratamente sono indicati con la locuzione in epigrafe.Ricorderò che erroneamente qualche scrittore di cose napoletane chiama in causa le matite o lapis propriamente detti, ed in particolare una pubblicità d'inizio del 20° secolo che mostrava una testa su cui erano conficcate a mo' di raggiera delle matite laccate a quadrettini neri e bianchi; ma atteso che la locuzione in epigrafe è molto antecedente all'epoca ( ca. 1790) di quando furono commercializzate le matite, ne discende che l'ipotesi è da scartare.
5 - TENÉ 'E PPALLE QUADRATE
Ad litteram:tenere i testicoli quadrati. Icastico ed iperbolico modo di dire usato ad encomio di chi appaia nel proprio agire solerte, pronto ed attento, dotato di efficaci capacità operative attribuite all'inusuale quadratura dei suoi testicoli che risultano sia pure figuratamente non banalmente sferici.
6 -TENÉ 'E PECUNE
Ad litteram:tenere i pichi Espressione che con valenza positiva viene riferita a coloro che sebbene giovani di età, si mostrino moralmente cresciuti, intelligenti e capaci di operare al di là del presagibile, quasi che non siano gli imberbi adolescenti che l'anagrafe dice, ma a mo' degli uccelli prossimi a metter le piume, mostrino di avere, figuratamente, sparsi per il corpo quei pichi propedeutici negli uccelli allo spuntar delle piume.
7 -TENÉ 'E PAPPICE 'NCAPA
Ad litteram:tenere i tonchi in testa Id est: sragionare, non connettere. Locuzione usata nei confronti di coloro che con parole o atti adducano nei rapporti interpersonali, ragionamenti non consoni, assurdi, sciocchi e pretestuosi, quasi fossero generati da teste i cui cervelli fossero assaliti e lesi nelle capacità raziocinanti dai tonchi quei minuscoli insetti che talora infestano i cereali in genere e la pasta in particolare.
8 - TENÉ 'E PPIGNE 'NCAPO
Ad litteram:avere le pigne in testa. Locuzione di identica valenza della precedente, usata però quando si voglia intendere che la mancanza di raziocinio è ritenuta esser dovuta ad una ipotetica violenza subíta, come potrebbe esser quella di sentirsi cadere in testa i duri stròbili del pino.
9 -TENÉ 'E RRECCHIE 'E PULICANO
Ad litteram:tenere le orecchie di pubblicano Locuzione dalla duplice valenza usata sia per indicare sia dotato di udito finissimo , sia - piú spesso per indicare coloro che stiano sempre, con l'orecchio teso attenti ad ascoltare ciò che accade a loro intorno, vuoi per informarsi, vuoi per non lasciarsi cogliere impreparati, comportandosi alla medesima stregua degli antichi esattori pubblici: pubblicani da cui per sincope è ricavato pulicano (pubblicano→pu[bb]licano→pulicano), pronti ad ascoltar qualunque cosa venisse detta in giro sul conto di chiunque, per non lasciarsi sfuggire un eventuale contribuente.
10 - TENÉ 'E RRECCHIE PE FFINIMENTE 'E CAPA
Ad litteram:tenere le orecchie per guarnimento della testa. Divertente locuzione di portata esattamente contraria alla precedente, che viene usata nei confronti di chi sia cosí duro d'orecchio da fare ritenere i loro padiglioni auricolari buoni solo per agghindare la testa.
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VARIE 15/821
1 -TENÉ 'A BBOTTA DINT' Â SCELLA
Ad litteram: avere un colpo nell'ala Locuzione usata per sarcasticamente commentare il comportamento di chi tenti disperatamente di dissimulare o tener nascosta una colpa o magagna a lui attribuibili; di costui, costretto ad arrangiarsi per non far scoprire quanto tenga noscosto, si dice che tene 'a bbotta dint' â scella (à un colpo nell'ala) si comporti cioè quasi come un uccello che, ferito ad un ala, è costretto alle piú strane posizioni e circonvoluzioni pur di continuare a volare.
2 -TENÉ 'A CAPA A PPAZZÍA
Ad litteram: tenere la testa al giuoco. Detto di chi, contrariamente a quanto ipotizzabile dati la sua congrua età ed il suo status sociale, si mostri eccessivamente incline al giuoco, prendendo tutto a scherzo, non dimostrando serietà alcuna né nel lavoro, né nei rapporti interpersonali.
3 -TENÉ 'A CAPA A TTRE ASSE
Ad litteram: tenere la testa a tre assi id est: essere nervoso e preoccupato; locuzione mutuata dal giuoco del tressette dove un giocatore in possesso di tre assi,che valgono ciascuno un punto intero, sebbene ipoteticamente possa conquistare i relativi tre punti, in realtà si preoccupa, non essendo certo che potrà raggiungere lo scopo atteso che gli assi possono venir catturati dall'avversario che sia in possesso del due o del tre del medesimo seme degli assi; il due ed il tre infatti, sebbene valgano un terzo di punto ciascuno, sono nella scala gerarchica delle prese superiori all'asso e possono catturarlo.
4 -TENÉ 'A CAPA A VVIENTO
Ad litteram: tenere la testa nel vento id est: essere una banderuola, un essere poco affidabile e/o raccomandabile.
5 - TENÉ 'A CAPA FRESCA
Ad litteram: tenere la testa fresca id est: non coltivare pensieri serii, anzi - al contrario - essere occupato solo da fandonie, quisquilie, scherzi e futilità cose tutte che, lasciando la mente sgombra di preoccupazioni, tengono la testa fresca, al contrario dei pensieri serii che, altrove, si dice fanno cocere 'o fronte (fanno scottar la fronte).
6 -TENÉ 'A CAPA 'E PROVOLA
Ad litteram: tenere la testa di provola Detto di chi abbia la testa bernoccoluta, con la tipica protuberanza della provola gustoso formaggio fresco, dalla caratteristica forma; al di là però del riferimento alla forma del latticino, la locuzione è usata anche per significare che colui che à la testa di provola non è particolarmente intelligente e manca perciò di sale cosí come la suddetta provola, che non essendo un formaggio stagionato, è piuttosto sciapito.
7 -TENÉ 'A CAPA GLURIOSA
Ad litteram: tenere la testa gloriosa Si dice cosí di chi sia incline ad improvvisazioni assurde, astruse trovate, soluzioni ardite quando non pericolose, espedienti improvvisati.
8 - TENÉ 'A CAPA SCIACQUA.
Ad litteram: tenere la testa annacquata. Si dice cosí, offensivamente , ma anche solo causticamente di chi si ritenga non abbia la testa a posto, e sia dotato di minime qualità intellettive quasi che nella testa abbia non il cervello, ma dell' acqua .
9 -TENÉ 'A CAPA PE SPARTERE 'E RRECCHIE
Ad litteram: tenere la testa per dividere le orecchie Locuzione di valenza molto simile alla precedente riservata a coloro che sono inveteratamente sciocchi, stupidi ed incapaci; di costoro si ritiene iperbolicamente e furbescamente che abbiano la testa (priva di cervello e dunque di raziocinio) solo come elemento necessario alla separazione delle orecchie.
10 -TENÉ 'A CAPA TOSTA
Ad litteram: tenere la testa dura id est: esser caparbio, cocciuto, ma anche: ben fermo nelle proprie opinioni; estensivamente, poi: esser duro di comprendonio, tardo all'apprendimento.
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VARIE 15/820
1.'A CARNE SE VENNE Â CHIANCA
'A carne se venne â chianca. Ad litteram: La carne viene venduta in macelleria. Id est: per acquistare qualcosa bisogna rivolgersi al suo commerciante o per ottenere alcunché bisogna necessariamente rivolgersi a chi ne sia esperto; insomma per ottenere qualcosa, non si può fidare del dilettante o di chi improvvisi, ma bisogna rivolgersi sempre al competente ed al professionista.
Chianca beccheria, macelleria (dal lat. planca(m)=panca di legno perché un tempo la carne era esposta e sezionata per la vendita al minuto, su di un tavolo di legno; normale il passaggio di pl→chi (cfr. plus→cchiú – plena(m)→chiena - plumbeum→chiummo etc.).
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2 . CHI CAMPA STURTARIELLO CAMPA BUNARIELLO, CHI CAMPA ADDRITTO...CAMPA AFFLITTO!
Chi vive di sotterfugi e di espedienti riesce sempre a sbarcare il lunario, chi vuol vivere in modo retto e corretto troverà sempre tante difficoltà sul suo cammino.
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3. ANCÒRA NUN È PPRENA MARIANNA E GGIÀ ÀNNO SPASO FASCIATORE E PPANNE.
Letteralmente: Marianna non è ancora incinta e già ànno sciorinato fasce e pannolini Locuzione proverbiale usata a divertito commento delle azioni di chi si predispone e si prepara a qualcosa con evidente eccessivo anticipo.
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4. A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TARDE SE PO’
Ad litteram: A pagare ed a morire, quando piú tardi sia possibile... Id est:
È buona norma il tentare di rimandare sine die due cose ugualmente nocive: il pagare ed il decedere.
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5.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’ Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie"(prima di abdicare a questo nome – ceduto ai villici – per assumere quello di “mangiamaccheroni”), sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specialmente nell'intimità, moine che semanticamente sono per traslato appaiate ai broccoli perché come questi ultimi son fatte di tenerezza; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
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6. ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
7. AMICE E VVINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE! Adlitteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
8.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DENARE. Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
9. 'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GGHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
10.'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorrono.
11.'O GALANTOMO APPEZZENTÙTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
12. ‘E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
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13. LL'UOCCHIE SO' FFATTE PE GUARDÀ, MA 'E MMANE PE TUCCÀ.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano - sogliono azzardare furtivamente o meno palpeggiamenti delle rotondità femminili.
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14.DICETTE ‘O PAPPICE VICINO Â NOCE: "DAMME ‘O TIEMPO CA TE SPERTOSO!"
Disse il tonchio alla noce "dammi il tempo che ti foro".Anche chi non sia dotato di molta prestanza fisica può ottenere – con il tempo e l’applicazione – i risultati sperati.
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15.CHISTO È ‘NA GALLETTA CA NUN SE SPOGNA!
Ad litteram: Costui è una galletta che non si (riesce a) spugnare. Icastica espressione partenopea usata sarcasticamente nei confronti di qualcuno che sia cosí tanto avaro o cosí tanto restio a conferire la propria opera da poter esser messo a paragone ad una galletta (dal francese galette, deriv. di galet, ant. gal 'ciottolo', per la forma e/o durezza) quel tipico pane biscottato, a forma di focaccia, conservabile per lunghissimo tempo, pane impastato con pochissimo lievito e perciò durissimo; tali gallette un tempo entrarono a far parte delle razioni alimentari dei soldati (fanti o marinai) ma pure delle delle riserve alimentari dei pescatori che le preferirono al pane giacché non ammuffivano e si conservavano per un tempo quasi indeterminato. Per potersene nutrire militari e pescatori usavano mettere a mollo in acqua di fonte o addirittura di mare...) le gallette fino a che, non se ne fossero ben bene imbibite, diventando morbidi ed edibili; tale operazione fu detta in napoletano spugnatura che come significato non corrisponde alla omofona ed omografa spugnatura della lingua italiana dove significa, quale deverbale di spugnare:(che è un denominale di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía) il bagnarsi, lo strofinarsi per mezzo di una spugna; in partic., lo spremere spugne imbevute di acqua o di liquidi medicamentosi su parti del corpo a scopo terapeutico; la spugnatura napoletana invece, quantunque pur essa derivata di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía indica esattamente l’operazione di mettere a mollo in acqua o altro liquido (brodo) le gallette spezzettate per modo che si imbibiscano d’acqua, brodo etc. a mo’ di una spugna, ammorbidendosi; cosa che non si può dire del protagonista della locuzione in epigrafe, protagonista che è cosí duro di cuore e/o volontà che mai lo si riuscirebbe ad ammorbidire convincendolo ad allargare i cordoni della propria borsa o convincendolo a prestar la propria opera a pro di terzi. chisto = questo, costui ( dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo') agg.vo e qui pronome dimostrativo; come agg. dimostr. [precede sempre il sostantivo] indica persona o cosa vicina, nel tempo o nello spazio, a chi parla o indica persona o cosa di cui si sta parlando o anche vale simile, siffatto, di questo genere ( ad es. nun ascí cu chistu tiempo! = non sortire con un tempo simile!); come pron. dimostr. indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando; o ciò, la cosa di cui si parla;
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16.NUN MANNÀ BBENE Ô PEZZENTE CA NCE ‘O PPIERDE!
Ad litteram: Non far del bene ad un povero ché lo perdi. Id est: Il bene fatto a chi è veramente povero è irrimediabilmente perduto;infatti in caso di prestito il povero non sarà mai in grado di restituire la cosa avuta in prestito, in caso di liberalità non si otterrà nemmeno riconoscenza: chi è povero, veramente povero per il suo stesso status è purtroppo proclive all’invidia anche del proprio benefattore!
Raffaele Bracale
venerdì 30 ottobre 2015
VARIE 15/819
1. 'O PATAPATO (o anche 'O PARAPATO oppure 'o PATABBATE) 'E LL'ACQUA oppure ‘O PATAPATO (o anche 'O PARAPATO oppure 'o PATABBATE)D''E MAZZATE etc.
Iperbolica locuzione, intraducibile ad litteram, con la quale si vuol significare che l'acqua o le percosse o quanto altro non richiamato espressamente dall'epigrafe è sparso in gran quantità e viene usata ad es. a commento di un improvviso copioso temporale o come pesante minaccia rivolta da un adulto nei confronti di un ragazzo al quale si promette una estesa gragnuola di percosse.
Premesso che, contrariamente da quanto affermato da taluno, il termine patabbate non richiama nessuna gerarchia ecclesiastica, essendo solo la corruzione del termine cardine parapato,ricorderò che quest'ultimo deriva dal greco parapatto donde in primis il parapato poi patapato richiamato che significa spargere, distribuire copiosamente in giro, proprio nel senso che si attaglia alla locuzione in epigrafe.
2. 'O PIZZO CCHIÚ SCURO È 'O FUCULARE
Ad litteram: il posto più buio è il focolare. Icastica espressione che si suole pronunciare per avvertire chi ci stia sollecitando d'un alcunché che non si è pronti, nè disposti all'azione, mancandone i relativi presupposti; in senso letterale l'espressione è usata per significare che il pasto richiestoci non è pronto, nè sarà pronto in quanto addirittura il fuoco non è stato acceso ancóra (o per mancanza di vettovaglie o perché non si è disposti a lavorare preparando il desinare) di talché il focolare risulta essere il luogo piú buio della casa; per traslato l'espressione è usata per render noto che non si potrà addivenire al richiestoci, in quanto, volontariamente o involontariamente, ma chiaramente, impreparati all'occorrenza.
3. 'O SAZZIO NUN CRERE Ô DIUNO
Ad litteram: il sazio non crede al digiuno Amara constatazione di chi si trovi in istato di necessità e venuto a contatto con colui a cui, invece, non manchi nulla, non sia considerato da quest'ultimo, come chi, sazio o in buona salute, difficilmente può veramente comprendere i disagi di uno che soffra la fame o sia ammalato.
In napoletano il s.vo ed agg.vo sazzio/a = sazio/a (deverbale del lat. satiare[contrazione del part. pass. sazziato→sazzi(at)o→sazzio]), nel napoletano esige la geminazione dell’affricata alveolare sorda ‹z› in quanto nel napoletano l’esito del digramma latino ti è sempre zzi laddove nel fiorentino toscano l’esito prevede la zeta scempia[ti→zi] cfr. azzione/a ← actione-m mentre nel fiorentino toscano troviamo azione← actione-m, oppure spazzio←spatiu-m mentre nel fiorentino toscano troviamo spazio ←spatiu-m etc.
4. 'O SENZO D''A BONANEMA.
Ad litteram: il gusto della buonanima. Simpatica espressione con la quale si tenta di canzonare chi, pervenuto per disattenzione od insipienza ad un risultato errato e negativo voglia farlo ritenere giusto e migliore di quel che sia, dichiarandolo legato ad ottimi insegnamenti; si narra che un giovane sposo si lagnava dei manicaretti che la sua mogliettina gli preparava ed adduceva che non avevano mai il gusto di quelli che sua mamma soleva preparargli quando ancora era scapolo; le cose si misero a posto allorché la giovane mogliettina si adeguò al sistema della suocera e facendo bruciacchiare le pietanze, come era solita fare la di lei suocera,conferí alle pietanze il famoso gusto della buonanima, cosí gradito all’abituato palato dello sposo.
5. 'O SIGNORE CU LL'OGNA SPACCATA
Ad litteram: il signore dall'unghia bipartita. Cosí, a mo' di dileggio, viene indicato chi si atteggia ad individuo raffinato ed elegante e magari vanti falsamente nobili prosapie ed invece sotto le mendaci spoglie di un gran signore, sia solo un signore con l'unghia bipartita e cioè un maiale.
6. 'O SCARFALIETTO 'E GIESÚ CRISTO
Ad litteram: Lo scaldino di Gesú Cristo. Non si direbbe, ma la locuzione in epigrafe è una dura, sia pure sorridente offesa che si rivolge agli uomini ritenuti ignoranti o anche becchi. Non v'è chi non sappia che Gesú Cristo fu riscaldato nella greppia di Betlemme da un bue ed un asinello; di talché affibbiare ad uno il titolo di scaldino di Gesú Cristo significa dargli dell' asino e del bue id est: ignorante e cornuto e perciò significa accusare sua moglie di infedeltà continuata.
7 - 'O SPASSO D''O CARDILLO È 'O/’A PAPPAMOSCA
Ad litteram:il divertimento del cardellino è il ragno/la cinciallegra. Cosí si suole commentare il fastidioso, reiterato comportamento di chi si diverte a tormentare, insolentendolo e molestandolo chi sia meno dotato soprattutto fisicamente, tenendo il medesimo comportamento che tiene il cardellino con il ragno o - secondo altri - con la cinciallegra, che - pare - sia continuatamente e provocatoriamente angariata immotivatamente dal cardellino.Ricorderò che usata come voce maschile: ‘o pappamosca significa il ragno, mentre usata al femminile ‘a pappamosca è la cinciallegra.
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VARIE 15/818
1'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno;sarcastica locuzione usata per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
2 E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagasse con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
3 TRE CCOSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO 'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini, di loro natura esuberanti, sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse.
4 UOVO 'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GUAGLIONA 'E VINT'ANNE.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare per intera tutta l'umidità dovuta alla cottura divenendo croccante al meglio, vino giovane che è il piú dolce ed il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte.
5 A CCHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio).
6 ADDÓ NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
7 ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
8 VUÓ CAMPÀ LIBBERO E BBIATO: MEGLIO SULO CA MALE ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo., ma precisa che se proprio si debba andare in compagnia, che questa sia buona e non foriera di danno.
9. QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di amante che soddisfi le sue voglie sessuali.
10 QUANNO QUACCHE AMICO TE VENE A TRUVÀ, QUACCHE CAZZO LLE VVENE A MMANCÀ.
Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare, qualcosa gli manca (e la vuole da te)Id est: non bisogna mai attendersi gesti di liberalità o affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono - in fondo - degli sfruttatori, che ti frequentano solo per carpirti qualcosa. brak
VARIE 15/817
1 - PURE ‘E CUFFIATE VANNO ‘MPARAVISO
Anche i gabbati vanno in Paradiso
Locuzione proverbiale usata a mo’ di conforto dei corbellati per indurli ad esser pazienti e sopportare chi gratuitamente li affanna , atteso che anche per essi derisi ci sarà un gran premio: il Paradiso.
Cuffiate plurale di cuffiato =deriso, corbellato; etimol.: part.pass. di cuffià che è un denominale dell’arabo còffa=corbello.
2-PURE ‘E MMURE TENONO ‘E RRECCHIE
Anche i muri ànno orecchi
Fa d’uopo, quindi, se non si vuole far conoscere in giro le proprie idee o considerazioni usare, anche in casa un eloquio misurato e di basso volume evitando altresí di spettegolare o di dire cose pericolosamente compromettenti per sé o altri.
3 - PURE LL’ONORE SO’ CCASTIGHE ‘E DDIO.
Anche gli onori sono castighi di Dio
Atteso che comportano comunque aggravio di lavoro ed aumento delle responsabilità.
4 - PURE ‘NU CAUCIO ‘NCULO FA FÀ ‘NU PASSO ANNANTE
Anche un calcio in culo fa compiere un passo in avanti
Id est: per progredire nella vita, come nel lavoro, occorrono forti spinte, magari violente che vanno comunque accettate considerato i vantaggi che ne possono derivare.
5 -PUR’IO TENGO ‘A MANO CU CINCHE DÉTE.
Anche io ò la mano con cinque dita.
Proverbio dalla duplice valenza; nella prima si adombra quasi un avvertimento minaccioso che significa: anche io sono dotato delle vostre medesime capacità operative,[comprese quelle di rubare] per cui fate attenzione a non misurarvi con me pensando di prevalere: potreste avere una brutta sorpresa! La seconda valenza sottindende una garbata protesta volendo significare: ò soltanto le vostre stesse capacità e/o possibilità; miracoli non ne posso fare: non chiedetemeli!
6 - QUANNO ‘A CAPA PERDE ‘E SENZE SE NE STRAFOTTE PURE ‘E SUA ECCELLENZA!
Quando la testa perde il raziocinio se ne impipa anche di Sua Eccellenza
Id est: Quando, nella vita, si è in preda all’ira o alla follia non si à rispetto per nessuno, nemmeno per l’autorità.
7 - QUANNO ‘A CARNA È CCOTTA È CCHIÚ FFACILE A SCEPPÀ LL’OSSA.
Quando la carne è cotta è piú facile spolparla
Id est: per ottenere il miglior risultato è necessario attendere il momento piú adatto che è il piú propizio o favorevole, armarsi di pazienza ed attenderlo.
8 - QUANNO ‘A CAURARA VOLLE MENA SÚBBETO ‘E MACCARUNE
Quando la pentola bolle, cala súbito i maccheroni
Id est:nella vita bisogna esser sempre solleciti e profittare del momento adatto per fare ciò che è da farsi, evitando,per non correre l’alea di un insuccesso, di rimandare o procrastinare la propria azione.Il proverbio à anche un significato furbesco ed in tale connotazione significa: quando una donna avverte i primi bollori, occorre darle súbito marito che la soddisfi e la calmi.
9 -QUANNO ‘A CUMETA ‘O VVO’, DALLE CUTTONE
Quando l’aquilone lo chiede, dagli spago
Al di là del suo concreto chiaro ed esatto significato, il proverbio vale:nella vita spesso è opportuno, se non necessario, assecondare le vanterie di chi si vanta ed è vanitoso, per tenerselo amico ed al fine di riceverne possibili futuri vantaggi.
10 - QUANNO Â FEMMENA ‘O CULO LL’ABBALLA, SI NUNN’ È PPUTTANA, DIAVULO FALLA!
Quando una donna ancheggia, se non è una meretrice ritienila tentatrice.
Le donne che sculettano o lo fanno di mestiere o provocatoriamente per trovar partito.
11 - QUANNO ‘A FEMMENA VO’ FILÀ LL’ABBASTA PURE ‘NU SPRUOCCOLO.
Quando una donna vuol filare le è sufficiente un piccolo bastoncino.
Id est: Quando la donna intende raggiungere un determinato scopo usa, per farlo, ogni mezzo anche quelli apparentemente meno adeguati.
Brak
VARIE 15/816
1 -VENÍ A MMENTE
Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato.
2 -VENIMMO A NNUJE
Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere!
3 -VÉNNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO
Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini.
Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso)
Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio)
4 - VOCA FORA CA 'O MARE È MMARETTA
Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza.
Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi.
maretta s. f.le
1 il movimento del mare quando il vento lo frange in onde piccole e brevi
2 (fig.) situazione di nervosismo, di tensione, di malcontento; voce derivata dal lat. mare addizionato del suffisso f.le etta suffisso che al m.le è etto e che altera in senso diminutivo, e spesso vezzeggiativo, sostantivi o aggettivi;si tratta d’un suffisso di origine gallica.
5 -VIDE ADDO hê ‘A Jí
Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire.
6- VA' FELICITA QUACCUN'ATO
Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire.
7 -VOLLE 'A CAURARA!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
8 - VÉNNERLO PE DINT' Â SENGA D''A PORTA
Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta.
9 -VIDE 'O CIELO CHE TE MENA!
Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo.
10 -VRENNA E SCIUSCELLE nell'espressione: FERNÍ A VVRENNA E SCIUSCELLE
Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: FERNÍ A TARALLUCCE E VVINO
(finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
11-ESSERE RICCO ‘E VOCCA.
Ad litteram: essere ricco di bocca Id est: : essere un vuoto parolaio che parla a sproposito, a vanvera, e si autocelebra vantando doti fisiche e/o morali che in realtà non possiede, nè possiederà mai; essere un millantatore a cui fanno difetto i fatti, ma non le chiacchiere, essere insomma un miserabile la cui unica ricchezza è rappresentata dalla bocca.
12- 'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco oggi 16, all’insegna : TAVERNA DEL TRENTA E TRENTUNO che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte.
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B - V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse la voce puteca.
trentuno = agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a trenta unità piú uno; nella numerazione araba è rappresentato da 31, in quella romana da XXXI; l’etimo è dal lat. triginta + unum.
raffaele bracale
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VARIE 15/815
1 -TURNÀ 'A STIMA A QUACCUNO
Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est: riconfermare la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore o transeunti, futili motivi erano stati tolti.
2 -UNA NE FA E CCIENTO NE PENZA
Ad litteram: una ne fa e cento ne progetta Locuzione che fotografa il comportamento iperattivo di chi si dedichi , ma non si sa con quanto successo, a troppe iniziative di varia portata; la locuzione è usata altresí per stigmatizzare,anche se bonariamente, la ipercinecità di un ragazzo attivamente impegnato a fare innumerevoli marachelle.
3 - UOCCHIE CHINE E MMANE VACANTE
Ad litteram: occhi pieni e mani vuote; cosí si suole dire di chi, o per suo demerito o per sopravvenute contrarietà insormontabili, non riesce a raggiungere il risultato sperato e resti a bocca asciutta o mani vuote e si debba contentare di veder prossimo il risultato sperato, senza però avere la capacità o possibilità di toccarlo con le mani ossia
realizzarlo; in chiave piú becera, ma simpatica la locuzione fu usata per stigmatizzare la situazione di chi, attratto da procaci, provocatorie rotondità femminili si doveva contentare di guardare, senza poter toccar con mano e quindi senza potersi regolare nel modo ricordato altrove.
4 -UOCCHIE 'NFRONTE NUN NE TIENE?
Ad litteram: occhi sulla fonte non ne ài? Icastica ed ironica domanda retorica che si suole rivolgere, per redarguirlo, a chi colpevolmente distratto o disattento sia incorso in errori che si ritenga siano stati provocati dal fatto che egli non abbia esattamente guardato o badato a ciò che faceva, quasi non fosse munito di occhi.
5 -UH, ANEMA D''E PIERE 'E PUORCHE!
Locuzione esclamativa intraducibile ad litteram atteso che è impossibile che le zampe di un maiale abbiano quell'anima che iperbolicamente, ma erroneamente, nella locuzione viene chiamata in causa;
il senso celato della locuzione è: che esagerazione!, cosa mi vai raccontando?, è incredibile ciò che mi dici!, come incredibile sarebbe un maiale provvisto nelle zampe o altrove di anima.
6 -UOCCHIE SICCHE
Ad litteram:occhi seccati, o - meglio - seccanti,cioè: occhi capaci di seccar, prosciugare(ossia arrecar danno) coloro contro cui vengon rivolti. Cosí, come in epigrafe, vengono chiamati i menagramo, gli iettatori, tutti coloro che con i loro sguardi sono ritenuti capaci di grandemente danneggiare qualcuno, non con azioni proditorie, ma semplicemente guardandolo.
7 -USO NUN METTERE E USO NUN LEVÀ
Ad litteram: non creare (nuove) abitudini e non toglierne; id est: lascia stare il mondo cosí com'è; non impegnarti a tentare di cambiarlo introducendo nuove abitudini che specialmente se si concretano in liberalità, omaggi e donativi nei confronti di terzi, diventano con il trascorrere del tempo eccessivamente onerosi e difficili se non impossibile toglier via; la cosa vale anche quando si trattasse di togliere inveterate abitudini; il tentativo di estirparle potrebbe ingenerare malumori nei terzi che vedendo eliminati o lesi alcuni pregressi privilegi potrebbero ribellarsi anche violentemente.
8 -UH, SSEVERE 'E PAZZE !
Esclamazione impossibile da tradurre ad litteram che viene pronunciata nell'osservare situazioni o accadimenti ritenuti cosí strani ed improbabili da destare gran meraviglia, stupore e/o rabbia, nell'intento di sottolineare che quelle situazioni o accadimenti son cose da matti, quasi incredibili.
Strana locuzione quella in esame dove con ogni probabilità il termine ssevere è l’adattamento corruzttivo dell'espressione francese: c'est vrai[lèggi:sè-vrè] ( de foux) (è veramente da folli); la stranezza della espressione napoletana consiste nel fatto che ci si è limitati nella sua formulazione, alla sola corruzione della prima parte di quella francese: c'est vrai,[sè-vrè→severe] completandola con il termine pazze = pazzi esatta traduzione del francese foux.
9 - VA' A FFÀ 'E PPEZZE!
Ad litteram: va’ a raccattare cenci!
Eufemistica espressione usata in luogo di altra piú corposa anche se becera, che qui di seguito illustrerò, per invitare un importuno, fastidioso individuo a liberarci della sua sgradita presenza, ed andare a raccattare cenci.
10 -VA' A FFÀ 'NCULO! ma meglio VALLO A PIGLIÀ 'NCULO!
Superfluo tradurre questi conosciutissimi modi di rendere l'italiano: va' a quel paese!La variante è sí piú becera, ma quanto piú corposa, esplicita, icastica ancorché dura, atteso che colui cui è rivolta la locuzione è invitato a tenere nell'ipotetico rapporto sodomitico la posizione soccombente, non quella attiva prevista dalla prima locuzione; ambedue però, come quella del num. precedente, si rivolgono ad un importuno, fastidioso soggetto, invitato qui a dedicare il suo tempo ad altre attività che non quella di infastidirci.
Rammento che nel fiorito linguaggio espressivo popolare talora la prima espressione in esame, (nello sciocco intento di evitar di pronunciare la parola culo ingiustamente intesa volgare o becera) viene imbarocchita in VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E MAZZO che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di sedere dove con il termine piega di sedere si intende il solco anatomico di separazione delle natiche solco che icasticamente rappresenta una piegatura di quelle. Nel pronunciare tuttavia quest’ultima espressione accade che in luogo di pronunciare il termine culo, becero e volgare, se ne pronuncia uno analogo: mazzo di talché per ovviare a tutto ciò qualcuno trasforma eufemisticamente l’espressione in un’altra di analogo significato, ma che suona VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E VESTA! che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di veste e con essa espressione si dà luogo ad una precisazione utilissima , con cui si chiarisce che la piega di sedere da prendere in considerazione è esattamente una piega femminile, cosa che si evince dal fatto che la veste è un indumento femminile!
chieja sv.vo f.le =piega, piegatura, ma anche incavo, solco; voce dal lat. plica-m con consueta risoluzione del digramma latino pl seguito da vocale nel napoletano chi (cfr. chiummo←plumbeu(m) - chiazza←platea – pluere→chiovere etc.).
mazzo sv.vo m.le di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. ultra) non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione ‘a gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo si preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare de ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo nell’accezione indicata è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone.
A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom. lat. med. macĭus.
11 -VA' TE COCCA!
Ad litteram: va' a coricarti Altro modo di invitare qualcuno a togliersi di torno, ad andar via, a sparire per non importunarci o tediarci. Qui con modi piú contenuti e gentili rispetto a quelli dei numeri precedenti, lo si vuol convincere di liberarci della sua presenza, andandosene a dormire. Talvolta però, atteso che per coricarsi occorre stendersi su di un letto, con la locuzione in epigrafe si adombra il recondito, cattivo, se non pessimo desiderio che il soggetto contro cui è rivolta debba giacere definitivamente disteso cioè debba mancare, andarsene, scomparire, passare nel numero dei piú, liberandoci per sempre della sua sgradita presenza!
12 -VATTE A FFÀ FOTTERE!
Ad litteram: va' a farti possedere Ma è il medesimo perentorio invito a farsi sodomizzare - sia pure metaforicamente - contenuto nella variante di cui precedentemente al n°10.
13 -VEDÉ 'A MORTE CU LL'UOCCHIE
Ad litteram: vedere la morte con gli occhi ; e sarebbe sciocco ed inopportuno chiedere: e con che altro si può vedere?, atteso che il napoletano è ricchissimo di simili tautologie, come appunto:'a vista 'e ll'uocchie, puorto 'e mare, palazzo 'e case, etc. tutte però necessarie a quel tipico barocchismo dell'eloquio partenopeo.La locuzione si usa per riferire di essersi trovati in situazioni di vita di relazione o di salute cosí gravi e/o pericolose da vedere la morte in viso e di esserne fortunatamente venuti fuori tanto da raccontarne.
14 -VEDÉ COMME SE METTONO 'E CCOSE
Ad litteram: vedere come evolvono le cose; id est: mettersi in prudente attesa, vagliare e soppesare le situazioni e decidersi all'azione solo quando ci si sia resi ben conto di quali pieghe posson prendere o stanno prendendo le faccende che ci occupano
15 -VEDERSENE BBENE
Locuzione, impossibile da tradurre alla lettera, dalla doppia valenza: in primis: profittare di ciò che ci venga messo a nostra disposizione, godendone ampiamente, senza remore o misura; con altra valenza la locuzione è usata per indicare il franco, disinibito comportamento di chi apertamente affronti qualcuno e gli dica a muso duro tutto il fatto suo, senza scrupoli e/o timori reverenziali.
16 -VEDERSE PIGLIATO DÊ TURCHE
Ad litteram: vedersi preso dai Turchi Id est: Essere assalito da grande timore e disperazione , trovandosi in situazioni pericolose o cosí ingarbugliate e contorte da non poterne venire fuori, come temporibus illis dovevano trovarsi i rivieraschi assaliti continuamente da quei pirati saraceni, tutti ritenuti e detti Turchi adusi alle piú efferate violenze.
17 -VENÍ FRISCO FRISCO
Ad litteram: giungere fresco fresco; detto di chi con tranquilla faccia tosta si presenti ed entri nel merito di un accadimento già da gran tempo avviato ed in corso e senza dimostrare di essersi impegnato per parteciparvi o di avere conclamate capacità organizzative o risolutive, voglia imporre il proprio punto di vista a dispetto di quanti stiano da gran tempo e con grande impegno lavorando al progetto de quo.
18 -VENÍ FRISCO E D''A GROTTA.
Ad litteram: giunger fresco e dalla grotta; locuzione simile alla precedente con l'aggravante qui che il soggetto cui si riferisce avrebbe dovuto concorrere all'accadimento in questione ed invece se ne è a lungo disinteressato, per presentarsi a reclamare il proprio utile a giuochi fatti, quando le asperità sono state affrontate e livellate da altri.
L'immagine della locuzione ripete quella del cocomero che arriva in tavola solo a fine pasto dopo essere stato tenuto al fresco artificiale del ghiaccio o a quello naturale d'una cantina.
19 -VENCERE 'O PUNTO
Ad litteram: vincere il punto; id est: riuscire, in un contrasto, a far prevalere il proprio punto di vista, affermandolo e mantenendolo quasi che esso fosse un premio da conseguire.
20 -VENÍ O SCENNERE DÂ MUNTAGNA
Ad litteram: venire o scendere dalla montagna; Detto di chi sia ritenuto sciocco, stupido e credulone, nella erronea convinzione che coloro che vivono in luoghi impervii ed appartati siano, nel confronto con i cittadini cosí corrivi, sempliciotti e creduloni da poterli facilmente circuire ed imbrogliare.Per converso, ma con medesimo intento di dileggio, sulla bocca dei montanari si posson cogliere le espressioni vení dô mare oppure vení dâ riviera.
21 – FORA MARIA DÊ CRESTIANE!
Ad litteram: Fuori Maria dai cristiani! ; id est:la vergine Maria venga estromessa dal culto dei cristiani! Espressione usata quando si voglia imporre a chicchessia di tenersi fuori da ogni coinvolgimento in quale che sia azione o situazione (atteso che non si à fiducia nelle sue capacità operative o nella sua intelligenza.) La Maria coinvolta nell’espressione è proprio la Vergine Maria, madre del Cristo; l’espressione antichissima risale al tardo settecento quando i protestanti, che notoriamente negano la dulia mariana, vennero in contatto con i partenopei e fecero qualche proselito. A proposito dell’avverbio fora= fuori rammento come sia interessante e meritevole di sottolineatura la differenza di evoluzione della voce napoletana fora (fuori)derivato dal lat. fŏras e della evoluzione della voce italiana fuori derivato dal lat. fŏris.
Nel caso di fŏri(s)→fuori in sillaba libera la
vocale tonica “ŏ” subí la normale dittongazione “uó”; nel caso invece di fora che derivò dal collaterale “fŏra(s)”, data la vocale terminale “-a”, non si incorse nel fenomeno della dittongazione dovuta alla metafonia dialettale, onde la forma definitiva di “fora”, con conservazione della tonica e con la solita vocale finale atona di tipo evanescente.
Brak
giovedì 29 ottobre 2015
VARIE 15/814
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1 CCA SSOTTO NUN CE CHIOVE
Ad litteram: Qui sotto non ci piove
L’espressione che viene pronunciata puntando il dito indice della mano destra ben teso contro il palmo rovesciato della mano sinistra, viene usata, a mo’ di risentito avvertimento , nei confronti di chi - dopo di aver promesso un aiuto o una liberalità - sia venuto meno clamorosamente a quanto promesso; e ciò nell’intento di fargli capire che non si è piú disposti a sopportare una simile mancanza di parola data e, per converso, si è pronti secondo un noto principio partenopeo che statuisce: fa’ comme t’è ffatto ca nun è peccato (comportati con gli altri come gli altri si sono comportati con te, ché non peccherai…) a restituire pan per focaccia;
cca ( e non ca)avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (e)cc(um) (h)a(c); da notare che nell’idioma napoletano (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; nel napoletano esistono , per vero,anche una congiunzione ca = (giacché, poiché, perché) ed un pronome ca = (che); la congiunzione ca è derivato del francese car→ca(r)→ca di uguale significato mentre il pronome ca = (che) è dal lat. quia→q(ui)a→qa→ca; ora sia la congiunzione che il pronome si rendono con la c iniziale scempia (ca), laddove l’avverbio a margine(cca) è scritto sempre con la c iniziale geminata e basta ciò ad evitar confusione tra i tre monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’(con un inutile segno d’apocope…, inutile giacché non è caduta alcuna sillaba!) e talora addirittura ccà’ addizionando errore ad errore, aggiungendo (nel caso di ccà’) cioè al già inutile accento un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che, ripeto, non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico! In coda a quanto fin qui détto, mi occorre però aggiungere un’ultima osservazione: è vero che gli antichi vocabolaristi (P.P. Volpi, R. Andreoli) registrarono l’avverbio a margine come cà per distinguerlo dagli omofoni ca (che) pronome e congiunzione. Si trattava d’una grafia erronea, giustificata forse dal fatto che temporibus illis lo studio della linguistica era ancóra gli albori e quei vocabolaristi, meritorî peraltro per il corposo tentativo operato nel registrare puntigliosamente i lemmi della parlata napoletana, non erano né informati, né precisi. Ancóra tra gli antichi vocabolaristi devo segnalare il caso del peraltro preziosissimo Raffaele D’Ambra che, diligentemente riprendendo l’autentica parlata popolare registrò sí l’avverbio a margine con la c iniziale geminata (cca) ma lo forní d’un inutile accento (ccà) forse lasciandosi fuorviare dal cà registrato dai suoi omologhi. Dal tempo però dei varî P.P. Volpi, R. Andreoli e Raffaele D’Ambra la linguistica e lo studio delle etimologie à fatto enormi passi per cui se mi sento di perdonare a Raffaele D’Ambra,P.P. Volpi, R. Andreoli e ad altri talune imprecisioni o strafalcioni, non mi sento di perdonarli a taluni spocchiosi sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura cattedratico d’ateneo , colpevolmente a digiuno di regole linguistiche, (quando non sai una cosa, insegnala!) che si abbandonano a fantasiose, erronee soluzioni grafiche!
2.CE MANCANO DICIANNOVE SORDE P’APPARÀ ‘A LIRA.
Ad litteram:ci mancano (ben) diciannove soldi per raggranellare una lira. Poiché la lira de quo contava venti soldi il fatto che, come affermato in epigrafe, mancassero diciannove soldi, significava genericamente che ci si trovava in gran carenza di mezzi, in conclamata imopia e la locuzione, riferita ad una azione principiata con tal carenza voleva significare che, con ogni probabilità, non si sarebbe riusciti a portare a compimento il principiato e che, forse, sarebbe stato piú opportuno il desistere.
3. CE MANCANO ‘E QUATTO LASTE E ‘O LAMPARULO.
Ad litteram: mancano i quattro vetri e il reggimoccolo Locuzione di portata simile alla precedente; in questa, in luogo della lira, il riferimento è fatto ad una ipotetica lanterna costruita in maniera raffazzonata di talché non sia adatta allo scopo per cui è stata costruita e non potrà produrre vantaggi a chi se ne dovesse servire, posto che essa lanterna manca dei quattro vetri che ne costituiscono le pareti e manca addirittura del reggimoccolo centrale: un simile oggetto non potrà mai servire ad illuminare.
4.CHESTA È ‘A RICETTA E CA DDIO T’’A MANNA BBONA!
Ad litteram: Questa è la ricetta e che Dio ti assista favorevolmente. Locuzione che viene usata ogni volta che si voglia avvertire qualcuno che, nei suoi confronti, si è fatto quanto era nelle nostre possibilità o capacità. A colui a cui viene rivolta la locuzione non resta che prender per buono quanto gli sia stato prescritto o suggerito e mettersi poi nelle mani di Dio, augurandosi che l’Onnipotente voglia tutelarlo ed adeguatamente soccorrerlo.
5.CHI À AVUTO, À AVUTO E CHI À DATO, À DATO
Locuzione che non à bisogno di traduzione, essendo di facile intellezione e che viene usata tutte le volte che, intendendo por fine a piccole querelle o questioncelle, ci si accontenta di fare piccole reciproche concessioni, pur di pacificarsi e di non procrastinare oltre il diverbio, accontendandosi saggiamente dell’avuto e del dato, senza stare a rifare lunghi e pretestuosi calcoli.
6.CARO TE/ME COSTA!
Ad litteram:ti/mi costerà caro; id est: il prezzo o lo scotto che dovrai/dovrò sborsare, per ciò che vuoi/voglio o per quel che stai/sto facendo, sarà molto rilevante; è meglio che ti/mi assuefaccia all’idea di dovere incorrere in simili gravose spese. La locuzione, per traslato, nella morfologia Caro te costa! è usata a mo’ di avvertimento o minaccia per chiunque si imbarchi in un’impresa a cuor leggero Da notare che la locuzione in epigrafe che usa l’indicativo presente, è stata da me tradotta con il futuro, perché nella parlata napoletana che pure possiede (nella sua grammatica) il tempo futuro, esso non viene usato e l’idea della cosa di là da venire è resa spesso con l’indicativo o con costruzioni verbali particolari del tipo: ò da cioè devo fare, in luogo di farò: es.: domani taglierò i capelli viene reso con dimane me taglio ‘e capille o piú spesso con dimane m’aggi’’a taglià ‘e capille.
7.CASALE SACCHIATO specialmente nell’espressione fà ‘nu casale sacchiato
Ad litteram: casale saccheggiato specialmente nell’espressione fare un casale saccheggiato; letteralmente l’espressione si riferirebbe ad un villaggio messo a ferro e fuoco, ma con la locuzione in epigrafe si suole per iperbole indicare qualsiasi ambiente in cui contrariamente a quanto ci si attenda, regni il massimo disordine e la confusione piú grande e dalle mamme napoletane la locuzione viene usata nei confronti dei propri figli accusati normalmente di fare delle stanze loro assegnate luoghi cosí disordinati e pieni di confusione al punto di apparire come villaggi appena saccheggiati.Per esprimere il medesimo concetto alibi si usa una icastica espressione che suona:
7.bis 'STA CASA ME PARE RESÍNA: CIRCHE 'NA MALLARDA E TRUOVE 'NA MAPPINA...
Ad litteram: Questa casa sembra Resína: cerchi un cappello e trovi uno straccio! Divertente espressione partenopea usata per descrivere icasticamente la insopportabile situazione di una casa dove - per ignavia di coloro che vi vivono - regni il piú grosso disordine e /o caos al segno da poter far paragonare detta casa al corso Resína della città di ERCOLANO dove si tiene quotidianamente mercato di abiti usati e dismessi nonché di altri capi di abbigliamento usato, mercato caotico e variopinto, dove per trovare il voluto, occorre cercare tra la piú varia mercanzia affastellata sui banchetti di vendita senza ordine o sistematicità.
RESINA fu l'antico nome della cittadina sorta sull'area della città di Ercolano all'indomani dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.c. che seppellí le città di Pompei, Stabia ed Ercolano. nel 1969 la città di Resína riprese il primitivo nome di Ercolano assegnando la Corso principale il nome di Resína; è su questo corso che aprono bottega i commercianti di abiti usati.
Mallarda s.vo f.le è voce dal dal franc. malart ed è in primis il nome con cui in napoletano si indica una grossa anitra; per traslato poi si indica un vasto ed ingombrante cappello da donna.Da ricordare che il poeta- giornalista napoletano Ugo Ricci (detto: Triplepatte) usava, nei suoi componimenti indicare con il nome di "mallardine " le signorine della media borghesia aduse ad indossare le c.d. mallarde. mappina s.vo f.le è voce in napoletano adattamento metaplasmatico del diminutivo del lat. mappa= cencio, straccio: è parola che anche con la primitiva desinenza del diminutivo latino la ( mappila), con identico significato si trova in altri dialetti centro-meridionali.
8.CHESTA È ‘A ZITA E SE CHIAMMA SABBELLA
Ad litteram: Questa è la ragazza e si chiama Isabella. Id est: Questi sono e cosí vanno i fatti; non puoi pretenderli di mutare o aggiustarli a tuo piacimento; ti devi accontentare ed accettare il mondo per quel che è; qualsiasi cosa tu faccia non potrai o potresti né mutarlo, né migliorarlo. La locuzione riporta la risposta risentita data da una vecchia mezzana ad un giovanotto che faceva le viste di non gradire appieno la ragazza che la mezzana gli stava proponendo in isposa.
Per traslato la locuzione è usata in ogni affare da colui che si vede costretto a contrattare con un eterno scontento che voglia condurre in altro modo le trattative che invece non sono suscettbili di mutamento.
9.CHE CE AZZECCA?!
Ad litteram: che ci lega? Locuzione che spesso in maniera risentita viene usata in una discussione da chi voglia far capire al proprio interlocutore che le ragioni addotte, i discorsi tenuti ed i ragionamenti fatti non ànno niente a che vedere con l’assunto da cui si è partiti e che pertanto vanno cambiati in quanto, per comune logica, non legano con quanto si è detto fino a quel momento ed il mantenerli peggiorerebbe solo la discussione
azzecca voce verbale (3ª p. sg. ind. pres. dell’infinito azzeccà=colpire nel segno, indovinare, legare,attaccare,appiccicare, collegare; voce dall’alto tedesco med. ad+zechen ).
10. CHIJARSELA A LIBBRETTO
Ad litteram: piegarsela a mo’ di libriccino id est:accettare, sia pure obtorto collo, che le cose vadano in un certo modo ed uniformarvisi atteso che non ci sia altro da fare per migliorare la situazione. La locuzione in origine si riferisce al modo piú opportuno di consumare una pizza allorché non ci si possa accomodare ad un tavolo e servirsi di adeguate posate; in tal caso la pizza viene consumata addentandola stando all’impiedi o addirittura passeggiando e la maniera piú acconcia di tenere fra le mani la pietanza è quella di piegare la pizza in quattro parti fino a farle assumere quasi la foggia di un piccolo libro di quattro fogli, affinché, cosí piegata trattenga e non lasci cadere i condimenti di cui è coperta , che se cadessero imbratterebbero gli abiti di colui che mangia la suddetta pizza da asporto.
11. CHESTO PASSA ‘O CUNVENTO oppure ‘O GUVERNO
Letteralmente: questo elargisce il convento oppure il governo id est: questo ci viene dato e di questo occorre contentarsi; bisogna far buon viso a cattivo gioco essendo inutile ribellarsi o adontarsi, tanto la situazione non potrebbe migliorare, né migliorerà!
12. CHI VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA
ad litteram: chi va per questi mari, questo pesce pesca; id est: chi si imbarca in certe avventure, non può che conseguire questo tipo di scadenti risultati e se ne deve contentare, specie se si è imbarcato volontariamente e non spinto da necessità.
13. CHI M’À CECATO!?
Ad litteram: chi mi à accecato!? Id est: chi mi à indotto a regolarmi nella maniera in cui mi sono regolato, accecandomi quasi al punto di non farmi rendere conto o del pericolo a cui andavo incontro o degli errori che mi accingevo a compiere. Va da sé che la locuzione non è una vera e propria domanda, quanto una sorta di pubblica confessione del proprio errore a causa del quale ci si trova in situazioni fastidiose; ci si chiede cioé da chi/cosa dipenda ciò che capiti o ci sia capitato, ma lo si fa quasi surrettiziamente, ben sapendo, ma tacendolo di essere i soli responsabili degli accadimenti cui ci si riferisce.
14. COMME ‘AVUOTE E CCOMME ‘O GGIRE, SEMPE SISSANTANOVE È.
Ad litteram: come lo volti o come lo giri sempre sessantanove è Detto di cose o avvenimenti che non prestano il fianco ad interpretazioni non univoche essendo, per loro natura o apparire di semplice e diretta intellizione di talchè è inutile arzigogolare intorno alla loro essenza o sostanza.
La locuzione nasce dall’osservazione dei piccoli cilindretti di legno su cui sono incisi i novanta numeri del giuoco della tombola; orbene, detti numeri una volta estratti dal bussolotto che li contiene sono tutti facilmente riconoscibili ed individuabili o perché scritti in maniera tale da non ingenerare confusione (come ad es. il caso del numero 1 che sia che venga guardato e letto da ds. o da sn. , dal basso in alto o viceversa rimane sempre 1 e non può esser confuso con altro numero) o perché si è ricorsi allo strataggemma di segnalare con un piccolo tratto la base del numero che se letto in maniera capovolta potrebbe risultare un numero diverso ( ad es. il numero sei è vergato 6 con una congrua sottolineatura, che se mancasse, potrebbe far leggere il sei - visto in maniera capovolta - come nove). Il numero 69 invece non à bisogno di sottolineatura, perché da qualsiasi parte lo si guardi permane 69, atteso che il numero 96 nella tombola non esiste.
15. COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VENE PE MMO.
Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli e con il ricavato celebrare solennemente la pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono e da questo stabilire la congruità delle offerte raccolte, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí il ladruncolo.
16. COMME PAGAZIO, ACCUSSÍ PITTAZIO
Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata su di un’antica albarella detta di san Brunone. da F.sco Antonio Saverio Grue (Castelli (Teramo).1686 -†1746), famosissimo artista noto per i suoi vasi di maiolica (usati quali contenitori nelle antiche farmacie conventuali) artista che seppe dare nuovi colori alle decorazioni delle sue ceramiche con storie sacre e profane derivate da modelli dell'arte bolognese e della scuola napoletana contemporanea.
17. CAPURÀ È MUORTO ‘ALIFANTE!
Ad litteram: caporale, è morto l’elefante! Id est: è morto l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere laute mance , torna con i piedi a terra!Piú genericamente, con la frase in epigrafe a Napoli si vuol significare che non è piú né tempo, né caso di gloriarsi e la locuzione viene rivolta contro chi, pur in mancanza di acclarati e cogenti motivi, continui a darsi delle arie o si attenda onori immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700, allorché il re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un elefante che fu affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia per il compito ricevuto al quale annetté grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone mance da tutti coloro che andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il pachiderma. Di lí a poco però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era possibile vederne la carcassa conservata nel museo archeologico della Università di Napoli ed il povero caporale vide venir meno con le mance anche le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva le viste di dimenticarsi che non era piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che non era piú il caso di montare in superbia era solito gridargli la frase in epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti coloro che senza motivo si mostrino boriosi e supponenti.
18.FÀ 'E BBÒTTE CU 'E PIERE
L’espressione in esame da rendere con fare i bòtti, le deflagrazioni con i piedi significa Essere povero ed indigente al segno che non potendo spendere soldi per acquistare fuochi d'artificio ('e bbòtte) ci si contenta di far rumore con i piedi battendoli violentemente a terra.
bbòtta s.vo f.le
1 percossa, colpo violento dato con le mani, con un bastone o altro: dà, avé ‘na bbòtta( dare, ricevere una bòtta)
2 colpo che si riceve cadendo o urtando contro qualcosa: dà, piglià ‘na bbòtta ‘nfaccia a ‘nu pizzo ‘e porta (dare, prendere una bòtta contro uno spigolo di porta) | (estens.) il segno che resta dopo una caduta o un urto:tengo ancòra ‘a bbòtta ‘ncopp’ô vraccio( ò ancóra la bòtta sul braccio |sott’â bbòtta (a botta calda), (fig.) a caldo, sotto la forte impressione di un fatto recente
3 (fig.) guaio, danno improvviso: ‘o licenziamento è stato ‘na bbella bbòtta pe isso (il licenziamento è stato una bella botta per lui)
4 (estens.come nel caso che ci occupa) rumore provocato da un corpo che cade o da un'esplosione; botto | (estens.) tiro, colpo di arma da fuoco, rumore di fuoco artificiale
5 nella scherma, colpo: tirà, parà ‘na bbòtta; bbòtta deritta (tirare, parare una botta; botta dritta), stoccata semplice e diretta, vibrata con l'affondo
6 (fig. fam.) motto pungente, espressione provocatoria e allusiva: chella bbòtta era pe tte (quella bòtta era per te); bbòtta e risposta, motto o fatto cui segue prontissima la risposta o la reazione.
Brak
VARIE 15/813
1.A CRAJE A CRAJE COMME Â CURNACCHIA.
Letteralmente: a crai, a crai come una cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia e la parola latina cras che in napoletano suona craje e che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non à seria intenzione di lavorare .
CRAJE = domani avv. di tempo derivato dal latino cras; Cosí a Napoli si suole rispondere a chi faccia le viste di voler rimandare ad un non meglio precisato domani (craje←cras) i suoi obblighi ed i suoi adempimenti, laddove sarebbe tenuto ad un rapido adempimento di quanto dovuto. A chi, interrogato sul quando avrebbe intenzione di tener fede al promesso, dovesse rispondere con un latineggiante: “Cras, cras” nel chiaro intento di procrastinare sine die il suo obbligo, gli si può opporre la locuzione in epigrafe per indurlo a tener fede al suo dovere.
Trovandomi a dire di cras, continuo a parlare di tempo ricordando che una volta in napoletano oggi si disse con derivazione dal lat. hodie, OJE; epperò taluni sprovveduti scrittori partenopei usarono impropriamente questo termine oje al posto del vocativo oj (ehi!); per la verità il termine oje è un termine ormai in disuso e viene usato il piú italianizzato ogge, ma un tempo era usatissimo come usati erano i termini che seguono tutti oggi desueti, abbandonati e non sostituiti o sostituiti usando i termini dell’italiano pronunciati sciattamente per conferir loro una qualche veste di napoletanità, ma falsa come e piú di Giuda
craje = domani dal lat. cras; oggi indegnamente si usa un raffazzonato dimane che scimmiotta l’italiano domani;
PISCRAJE= dopodomani dal latino biscras; oggi invece si usa un raffazzonato doppodimane che scimmiotta l’italiano dopodomani
PESCRILLE/ PESCRIGNO = tra tre giorni;oggi si usa : ‘nfra tre gghiuorne; pescrillo è dal latino post tres ille=dopo tre di quei(giorni);pescrigno = tra tre giorni o meglio: dopo quel domani piú lontano da un acc. lat. volg. post crineu(m)←cras+ineu(m) questo ineu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo piú lontano;
PESCRUOZZO=tra quattro giorni da un acc. lat. volg. post croceu(m)←cras+oceu(m) questo oceu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo molto lontano; oggi: ‘nfra quatte juorne
JESTERZA = l’altro ieri per l’etimo occorre partire dalla base dell’aggettivo latino “hesternus” (= giorno di ieri, della vigilia) , che mostra un suffisso “-nus” frequente nella formazione dei temi nominali, per modo che facilmente si è potuto forgiare un composto aggettivale femminile hester-tertia dies che –soggetto poi ad aplologia(caduta sillabica per similitudine totale o parziale rispetto alla sillaba vicina: cfr. ad es.qualche cosa→qualcosa; mineralo-logia → mineralogia,cavalli leggeri→ cavalleggeri
ecc. Nel lemma in esame, caduto un “-ter-” per la stretta contiguità di “-ster- si è sfociati in hestertia→jesterza = “il terzo giorno a ritroso” rispetto a quello di partenza, fondamentale per il conteggio della distanza temporale da ricavare arretrando: “ieri l’altro”, cioè “il terzo giorno (non “da ieri”), ma di ieri…; oggi si usa in luogo di jesterza il raffazzonato ll’autrjere che scimmiotta l’italiano l’altro ieri.
Oggi purtroppo,come ò anticipato si usano nell’imbastardito, imbarbarito napoletano corrente termini italianizzati come ogge invece di oje, dimane invece di craje, doppodimane,e cosí via e non facendo piú progetti a lunga scadenza, non parliamo proprio del terzo giorno antecedente né del terzo giorno dopo, né ovviamente del quarto giorno dopo! Che tristezza! Povero napoletano!
comme= come, allo stesso modo, alla medesima maniera avv. modale e preposizione impropria dal latino quo-mo abbreviazione di quo-modo; normale, come popolare il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale m; quanto alla prep. art. â che segue comme cfr. alibi;
curnacchia = cornacchia: grosso uccello simile al corvo, ma con becco più grosso e incurvato all’estremità; sost. femm. derivato dal lat. volg. *cornacula(m), per il class. cornicula(m), dim. di cornix -icis 'cornacchia'.
2.ESSERE ALL'ABBLATIVO.
Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere alla fine, alla conclusione e, per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine.
3. ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550 ed era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era subito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco.
4. CU 'O TIEMPO E C 'A PAGLIA...
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e saporiti.
5. SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali. Rammento che dell’esistenza di tale mastuggiorgio ←mastro Giorgio (medico o infermiere presso l’ospedale degli Incurabili dove venivano curati anche gli affetti da malattie nervose) si fa menzione oltre che in un canto popolare di fine ‘600 che à i ss. versi: Comme te voglio amà, ca sî ‘na pazza? /Nun tiene ‘na parola de fermezza… /Vatténne a ‘nNincuràbbele pe pazza, / lla ce sta Mastu Giorgio ca t’addrizza! Anche in alcuni versi di Biaso Valentino ? - † fine 1600 ca (di professione scrivano e mediocre poeta, a credere al Galiani) che scrisse: Deh, mastro Giorgio mio, dotto e saputo, /che tanta cape tuoste aje addomate, /si nun te muove a darce quarch’aiuto, nuje simmo tutte quante arrovenate.
6.STAMMO ALL'EVERA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non c'è più niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente detta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera più estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi.
7. HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Hai sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria più cupa ed esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituì la santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes (Troyes, 1135 circa – Fiandre, prima del 1190) scrittore e poeta francese medievale, celebre per i suoi romanzi dedicati al ciclo bretone) che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non abbastanza puri.
8 CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MURÍ QUATRO.
Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato. Id est: è impossibile mutare l'indole di una persona che, nata con un'inclinazione, se la porterà dietro per tutta la vita. La locuzione, usata con rincrescimento osservando l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere le cattive inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio dell'impossibilità della quadratura del cerchio.
9 A CCHI PARLA ARETO, 'O CULO LE RISPONNE.
Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponda il sedere. La locuzione vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un individuo, cioè gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del loro vaniloquio una salve di peti.
10. CHELLO CA NUN SE FA NUN SE SA’.
Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La fama diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto prima o poi viene risaputo.
11. 'O PESCE GRUOSSO, MAGNA Ô PICCERILLO.
Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est piú generalmente: il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari destinata sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro un grande.
12. 'O PUORCO SE 'NGRASSA PE NE FÀ SACICCE.
Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce. La locuzione vuole amaramente significare che dalla disincantata osservazione della realtà si deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi chiunque fa del bene ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che gliene deriverà, come - nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che lo si lasci ingrassare per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui che l'alleva è quello di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di salsicce.
13. JÍ METTENNO 'A FUNE 'E NOTTE.
Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si dice sarcasticamente nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano proditoriamente i prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti coloro che vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei confronti di costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei masnadieri che nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel buio, una fune nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando a terra diventavano facilmente così oggetto di rapina da parte dei masnadieri.
14. SE SO' RRUTTE 'E TIEMPE, BAGNAJUÓ.
Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i tempi(per cui non avrai piú clienti bagnanti ed i tuoi guadagni precipiteranno di colpo). La locuzione è usata quando si intenda sottolineare che una situazione sta mutando in peggio e si appropinquano relative conseguenze negative.
15. PARLA SURTANTO QUANNO PISCIA ‘A GALLINA!
Letteralmente: parla solo quando orina la gallina! Cosí, icasticamente ed in maniera perentoria, si suole imporre il silenzio a chi parli inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini, magari gratuite cattiverie o ad esprimere giudizi e/o pareri non richiesti.
Si sa che la gallina espleta le sue funzioni fisiologiche, non in maniera autonoma e separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe quasi pensare che, non avendo un organo deputato esclusivamente alla bisogna, la gallina non orini mai, di talché colui cui viene rivolto l'invito in epigrafe pare che sia invitato a tacere sempre.
16. PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA.
Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). È come a dire: Possa tu morire. A Napoli per la zona della Loggia di Genova,situata nelle adacienze dell’attuale via Nuova Marina, infatti, temporibus illis, transitavano tutti i cortei funebri provenienti dal centro storico e diretti al Camposanto.
17. CORE CUNTENTO Â LOGGIA.
Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Cosí il popolo suole apostrofare ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di Genova che era una sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi.
18. CESSO A VVIENTO!
Letteralmente: gabinetto aperto. Offesa totalizzante e che non ammette replica rivolta a persona spregevole sia fisicamente, ma soprattutto moralmente che viene equiparata a quei vespasiani pubblici di un tempo costruiti in ghisa ed aperti, per consentire un agevole ricambio d'aria, sia in alto che in basso.
19. 'A MALORA 'E CHIAJA.
Letteralmente: la cattiva ora di Chiaja. Cosí a Napoli viene apostrofato chiunque sia ripugnante d'aspetto e di modi. Occorre sapere, per comprendere la locuzione che Chiaja è oggi uno dei quartieri piú eleganti e chic della città, ma un tempo era solo un borgo molto prossimo al mare ed era abitato da popolani e pescatori d'infimo ceto. Orbene, temporibus illis, era invalso l'uso che le popolane abitanti a Chiaja, sul tardo pomeriggio del giorno solevano recarsi nei pressi del mare a rovesciare nel medesimo i contenuti maleolenti dei grossi pitali nei quali la famiglia lasciava i propri esiti fisiologici: quel lasso di tempo in cui si svolgevano queste operazioni era detto 'a malora (la cattiva ora).
20.COMME ‘A METTIMMO NOMME?
Ad litteram: Come la chiamiamo? Che nome le mettiamo?. Id est:Come vogliamo definire questo inqualificabile comportamento che stai tenendo? Come ci dobbiamo regolare per venire a capo di questo tuo agire cosí tanto riprovevole, biasimevole, criticabile? Non è possibile stabilire un punto di contatto con il tuo incredibile contegno che non può definirsi, a cui non si può dare un nome...
21.COMME ‘A VIDE ACCUSSÍ ‘A SCRIVE!
Ad litteram: come la vedi cosí l’annoti. Id est:(Della persona o cosa di cui stiamo trattando non v’è altro da annotare oltre il modo con cui si presenta).Originariamente la locuzione si riferiva alla promessa sposa di cui al momento di scrivere i capitoli del contratto di matrimonio, non si poteva annotare alcuna dote pecuniaria, ma solo l’avvenente illibatezza di cui era palesemente fornita; in seguito la locuzione passò a significare che di qualsiasi cosa si trattasse non bisognava andare oltre ciò che apparisse ad un primo esame.
22.COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VÈNE PE MMO
Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, Pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli, divisando con il ricavato di celebrare solennemente la Pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono e da questo stabilire la congruità delle offerte raccolte, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí il ladruncolo
23.COMME ME NN’ESCO?!
Ad litteram: Come me ne esco?!
Id est: Come vengo fuori (da questa situazione cosí tanto complicata in cui mi sono cacciato)? Esiste un modo per risolvere questa faccenda? Espressione usata con rammarico davanti ad accadimenti cosí tanto intricati da mettere in dubbio l’esistenza d’ una possibile soluzione.
24.COMME DDIO CUMANNA.
Ad litteram: Come comanda Iddio. Espressione usata come invito a fare una cosa o a portarla a compimento a regola d’arte, nel modo richiesto dall’ Onnipotente , conformemente ai Suoi dettami; oppure usata come osservazione compiaciuta allorché una faccenda sia stata fatta nel migliore dei modi, agendo secondo i princípi, le massime, le regole, le prescrizioni dell’Altissimo.
25.COMME PAGAZZIO ACCUSSÍ PITTAZZIO!
Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata su di un’antica albarella detta di san Brunone da F.sco Antonio Saverio Grue (Castelli (Teramo)1686 -†1746), famosissimo artista noto per i suoi vasi di maiolica (usati quali contenitori nelle antiche farmacie conventuali) artista che seppe dare nuovi colori alle decorazioni delle sue ceramiche con storie sacre e profane derivate da modelli dell'arte bolognese e della scuola napoletana contemporanea.
26.COMME PÓGNE ‘O PRUTUSINO...
Ad litteram: Come punge il prezzemolo! Locuzione sarcastica usata per deridere chi estremamente suscettibile, ombroso, irritabile oltre ogni ragionevolezza, si offenda facilmente, anche per cose da nulla. L’ironia si còglie nel fatto che il prezzemolo non punge affatto essendo una pianticella priva di spine e/o aculei.
prutusino s.vo neutro = prezzemolo, famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
27.COMME SI ‘O FATTO NUN FÓSSE D’ ‘O SUĴO...
Ad litteram: Come se la cosa non fosse di sua pertinenza Detto di chi, per infingardaggine, per superficialità, ma - spesso - per timore di dover assumersi delle responsabilità, si comporta nei confronti di taluni avvenimenti come se questi non lo riguardassero e se ne lava, pilatescamente, le mani, laddove invece dovrebbe parteciparvi attivamente e consapevolmente, assumendosi – ove del caso – tutte le sue relative responsabilità.
28.FÀ COMME A SSANTA CHIARA:
DOPP' ARRUBBATA CE METTETTENO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
Raffaele Bracale
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