giovedì 30 giugno 2016
VARIE 16/676
1 - QUANNO ‘A GATTA NUN CE STA ‘E SURECE ABBALLANO
Quando il gatto non c’è i sorci ballano
Id est:quando è assente il capo o il superiore tutti i sottoposti, siano figli o studenti o impiegati o operai ne profittano, facendo il proprio comodo e contravvenendo alle previste regole comportamentali.
2 - QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CCHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE
Quando una moglie è procace e piacente ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corne
Id est:la moglie procace e sfrontata d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà.
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;
3 - QUANNO ‘A PALLA FA TTA-TTÀ, O SÎ STRUNZO O NUN SAJE JUCÀ
Quando la palla rimpalla (fa tta-ttà) o sei uno sciocco o non sai giocare.
Locuzione proverbiale in uso tra i giocatori di biliardo con la quale si assicura che il giocatore che con il suo colpo induca la propria palla a rimpallare ripetutamente con un’ altra o è uno stupido o – piú probabilmente – è incapace di giocare; per estensione la locuzione è usata tutte le volte che si voglia accusare di inettitudine chi non riesce a portare a buon fine un’operazione, confondendosi anche in mancanza di conclamati intralci.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
4.'A CARNE SE JETTA I 'E CANE S'ARRAGGIANO.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe.
5.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo,in napoletano trapanaturo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
Trapanaturo s.vom.le = aspo, strumento girevole che serve per avvolgere in matassa un filato; la voce napoletana trapanaturo deriva dal gr. trypanon, deriv. di trypân 'forare/girare', mentre la voce italiana aspo deriva dal gotico *àspa.
6. JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi dal greco astrakon= coccio: l’impiantito dei solai era formato con cocci di anfore e/o lapillo vesuviano;) ed in basso (i lavatoi [da un lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare']erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
7. PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso (giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle.). La frase viene usata a sarcastico commento delle azioni iniziate da qualcuno ritenuto tanto inetto da non poter portare mai al termine ciò che intraprende.Sovente l’espressione è pronunciata preceduta da un esclamatorio Ahé!
8. 'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TTE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie (dantoti dell’)'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
9. JÍ CASCIA E TTURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TTURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.
10. TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipico dei fanciulli, ma pure degli adulti afflitti dalla sindrome di Peter Pan, soggetti tutti che rifiutano l’idea che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e non si rassegnano ad ammettere il fatto che tutto debba essere accettato; il termine frusta lla discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
11.HÊ 'A MURÍ RUSECATO DÊ ZZOCCOLE I 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MAMMÈTA
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (dal lat. sorcula) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare.
12.MA TE FOSSE JIUTO 'O LLICCESE 'NCAPO?
Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi della nota città pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso cosí le facoltà raziocinanti del... fiutatore.Dal punto di vista grammaticale la geminazione iniziale della L di Liccese connota un agg.vo sostantivato neutro[il tabacco] , laddove se i l medesimo articolo ‘o avesse preceduto un liccese con la L scempia quest’ultimo sarebbe stato un agg.vo sostantivato m.le ed avrebbe connotato un abitante di Lecce.
13. 'A FATICA D''E FRACETE SE VENNE A CARO PREZZO.
Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera.
14.DALLE E DDALLE 'O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO.
Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male, come a cogliere zucchini continuamente non ne restano che le foglie. Il tallo (dal lat. tàllu(m), dal gr. tàllós 'germoglio', deriv. di thállein 'fiorire')è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata o gustosa della zucchina che già di suo non è molto saporita.
15. QUANN'È PPE VIZZIO, NUN È PPECCATO!
Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto,errore si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore.
16. PASSASSE LL'NGELO E DICESSE: AMMENNE!
Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con i verbi all'indicativo à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed à con il suo assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico.
17. VA TRUVANNO: 'MBRUOGLIO, AIUTAME.
Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi
18. PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il nome Pasquale usato nell’espressione è mutuato da un tal Pasquale Barilotto personaggio del teatro pulcinellesco di A. Petito, personaggio comicamente perseguitato continuamente da malasorte ed affanni, spesso solo paventati ma in realtà inesistenti.
19. PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.
20.MEGLIO A SSAN FRANCISCO CA 'NCOPP' Ô MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco,nei pressi di porta Capuana a Napoli, in quello che era stato il convento francescano dei cosiddetti monaci di sant’Anna e sino a non molto tempo fa ospitava gli uffici della pretura, erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.
21. FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: far di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
22. FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, senza che ce ne fosse necessità o urgenza, un trentunesimo.
23.ESSERE CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
24. ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato.
25. 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per dolersi dell'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res.
26. 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente con intenzioni poco pacifiche; la postura delle bestie fa pensare, sia pure erroneamente, a pratiche sodomitiche.
27. AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA.
Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza (solo) con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; occorrono gravi ed importanti ragioni per troncare un’autentica amicizia, che non viene meno per futili motivi.
28. TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: per potersi vantare di taluni risultati, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura.
29.TRE CCALLE E MMESCAMMÉCE.
Letteralmente: tre cavalli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, con pochissima spesa, ama intromettersi nelle faccende altrui, per dire la sua. Il tre ccalle era una moneta di infimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo rampante, poi simbolo della città di Napoli, da cui per contrazione ca(va)llo prese il nome di callo, ed al plurale calle La locuzione significa: con poca spesa ci si interessa delle faccende altrui.
30. CHI SE FA MASTO, CADE ‘INT' Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
masto = maestro, mastro (dal lat. magistru(m)→ma(gi)st(r)u(m)→masto, deriv. di magis 'di piú, molto'
mastrillo = trappola per topi ( dal lat. mustriculu(m).
31. TUTTO A GGIESÚ E NNIENTE A MMARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
32. CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O MMAGNATO.
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri!
33. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, pagliaccio inglese d’un circo venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e/o moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
34. FÀ COMME A SANTA CHIARA CA DOPP' ARRUBBATA CE METTETENO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti in danno della antica chiesa partenopea.
35. 'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.
Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla.
36. NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.
37. MENARSE DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia.
38. CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE.
Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso
39. LASSA CA VA A FFUNNO 'O BASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRENO 'E ZZOCCOLE.
Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo, improcrastinabile scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi.
40. NCE VONNO CAZZE 'E VATECARE PE FFÀ FIGLIE CARRETTIERE
Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma...
Vatecare s.m. pl. di vatecaro= vetturale, carrettiere che trasporta merci, che guida bestie da soma; quanto all’etimo è un denominale dell’agg.vo lat. viaticus=relativo al viaggio
41. SI MINE 'NA SPORTA 'E TARALLE 'NCAPO A CHILLO, NUN NE VA MANCO UNO 'NTERRA
Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna.
42. MUNTAGNE E MMUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO.
Letteralmente: (Solo) le montagne non si scontrano con le proprie simili. È una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili...
340. FACCIA 'E TRENT'ANNE 'E FAVE.
Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze.
44.SPARÀ A VRENNA.
Letteralmente: sparare a crusca. Id est: minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati. L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si esercitava.
Vrenna s.f. = crusca, residuo della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; è usato soprattutto come alimento per il bestiame | (pop.) lentiggini. La voce napoletana vrenna è da un lat. med. brinna, mentre la voce italiana crusca è dal germanico *kruska.
45. 'E SCIABBULE STANNO APPESE I 'E FODERE CUMBATTONO.
Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con risultati chiaramente inferiori alle attese.
46. 'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna (bettola, osteria dal lat. taberna(m)) del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco (oggi 16), all’insegna : Taverna del trenta e trentuno che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte
47. 'A VACCA, PE NUN MOVERE 'A CODA SE FACETTE MAGNÀ 'E PPACCHE DÊ MOSCHE.
Letteralmente: la mucca per non voler muovere la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca, bestia notoriamente inadatta al lavoro, escluso quello di lasciarsi mungere, bestia accidiosa che assalita dalle mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lascia che le mosche le pizzichino il fondo schiena! E che la vacca sia bestia inadatta al lavoro è confermato nel detto che segue.
48. ZAPPA 'E FEMMENA E SSURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
49. TRASÍ O PASSÀ CU 'A SCOPPOLA.
Letteralmente: entrare o passare con lo scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove gratuitamente si ottengono benefíci per la magnanimità di coloro che invece dovrebbero controllare.
Brak
VARIE 16/675
1.Senza 'e fesse nun campano 'e deritte
Senza gli sciocchi, non vivono i dritti. Id est: i furbi prosperano perché c'è chi glielo permette, non per loro forza intrinseca.
2.Nun fà pírete a cchi tene culo...
Non fare scorregge contro chi à sedere. Id est: Non metterti contro chi à mezzi adeguati e sufficienti per risponderti per le rime...
3.Quanno 'o piro è ammaturo, cade senza turceturo.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone. IL turceturo è un bastone uncinato atto a pigare il ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id Est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere.
4.Jirsene a cascetta(te ne vaje a cascetta!).
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone: il posto piú alto, ma anche il piú scomodoe il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
5. casa d' 'o ferraro, 'o spito 'e lignammo...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata professionalità ci si attenderebbero, nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
6.Pigliatélla bbella e cóccate pe tterra.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati pure con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze: spese e tradimento;l’eccessiva bellezza di una moglie comporta spesso danno e sofferenze.
7.Abbaccà cu chi vence.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
abbaccà = colludere [dal lat. ad+vadicare→avva(di)care→abbaccare=andare con].
8.Quanno 'a cunnimma è ppoca, se ne va p' 'a tiella.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
9.A lu frijere siente 'addore, allu cagno,siente 'o chianto.
Letteralmente: al momento di friggere sentirai l'odore, al momento del cambio, piangerai. Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete un pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per rime dicendogli che al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non intende di esser stato ripagato con medesima moneta...
10.Voca fora ca 'o mare è maretta...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere
11.Mettere ll'uoglio 'a copp' a 'o peretto.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
12.Quanno jesce 'a strazziona, ogne ffesso è prufessore...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
13.'A moneca 'e Chianura:muscio nun 'o vuleva ma tuosto le faceva paura...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane. La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...
14.Fà 'e scarpe a uno e coserle 'nu vestito.
Letteralmente:confezionare scarpe ad uno e cucirgli un vestito.Id est: far grave danno a qualcuno o augurargli di decedere.Un tempo alla morte di qualcuno gli si metteva indosso un abito nuovo e gli si facevano calzare scarpe approntate a bella posta.
15.Tiene 'a casa a ddoje porte.
Letteralmente: Ài la casa con due porte d'ingresso.Locuzione ingiuriosa in cui si adombra l'infedeltà della moglie di colui cui la frase viene rivolta.In effetti la casa con due usci d'ingresso consentirebbe l'entrata e l'uscita del marito e dell'amante senza che i due venissero a contatto.
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1'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno;sarcastica locuzione usata per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
2 E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagasse con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
3 TRE CCOSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO 'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini, di loro natura esuberanti, sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse.
4 UOVO 'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GUAGLIONA 'E VINT'ANNE.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare per intera tutta l'umidità dovuta alla cottura divenendo croccante al meglio, vino giovane che è il piú dolce ed il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte.
5 A CCHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio).
6 ADDÓ NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
7 ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
8 VUÓ CAMPÀ LIBBERO E BBIATO: MEGLIO SULO CA MALE ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo., ma precisa che se proprio si debba andare in compagnia, che questa sia buona e non foriera di danno.
9. QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di amante che soddisfi le sue voglie sessuali.
10 QUANNO QUACCHE AMICO TE VENE A TRUVÀ, QUACCHE CAZZO LLE VVENE A MMANCÀ.
Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare, qualcosa gli manca (e la vuole da te)Id est: non bisogna mai attendersi gesti di liberalità o affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono - in fondo - degli sfruttatori, che ti frequentano solo per carpirti qualcosa. brak
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1.QUANNO SIENTE 'O LLATINO DÊ FESSE, È SSIGNO 'E MAL' ANNATA.
Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti...
2.PARE 'O SORICE 'NFUSO 'A LL'UOGLIO.
Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleipàr=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante.
3.'A CARNE SE JETTA E 'E CANE S'ARRAGGIANO.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe.
4.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di coloro che si atteggino a giovani, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
5.JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
6.PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine nulla di ciò che intraprende.
7.'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
8.JÍ CASCIA E TURNÀ BBAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BBACCALÀ.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi (per parlar figuratamente) inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzoche diventa stoccafisso se eviscerato, essiccato ed affumicato o baccalà se eviscerato e conservato in barile sotto sale Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.
9.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
10.'E DENARE SO' COMM' Ê CHIATTILLE: S'ATTACCANO Ê CUGLIUNE.
Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente.
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VARIE 16/672
1 - PASSA 'A VACCA
Ad litteram: passa la vacca In realtà l'espressione che di solito è usata assieme all'altra: fa acqua 'a pippa (vedi alibi) viene usata per indicare un chiaro, inequivocabile stato di indigenza, una incommensurabile inopia quando manchi tutto e non si abbiano mezzi per procurarsi alcunché.Come facilmente intuibile, i bovini non c'entrano nulla con la lucuzione che è piú semplicemente corruzione di un latino medioevale: passant vacua/passat vacua espressione usata dai doganieri medioevali per segnalare quel/quei carro/i transitante/i vuoto/i di merci e dunque non soggetto/i al pagamento di balzelli.
2 - PASSÀ CU 'A SCOPPOLA
Ad litteram: passare con lo scappellotto Id est: godere di un' entrata di favore, avere un avanzamento non meritato, sopravanzare gli altri immeritatamente La locuzione si rifà a quanto accadeva anticamente all'ingresso del teatro dei Pupi allorchè in presenza di una ressa di ragazzi sprovvisti di biglietto e della moneta per procurarselo, il custode usava favorire qualcuno di quei ragazzi e lo spingeva in sala assestandogli un piccolo scappellotto.
3 - PASSARSE 'A MANA P''A CUSCIENZA
Ad litteram: passarsi la mano sulla coscienza Id est: farsi un accurato esame di coscienza prima di prendere decisioni ostili o lesive degli interessi altrui, interrogandosi seriamente se il comportamento che si intende tenere sia giusto, adatto e commisurato a quel cui si vada ad opporre, ma soprattutto chiedendosi se si è moralmente scevri da quei difetti che, con la nostra azione, si vorrebbe combattere.
4 -PASSARCE PE COPPA
Ad litteram: passarci sopra Id est: sorvolare, non tener conto di qualcosa, non darvi peso, superarlo quasi come un piccolo ostacolo da poter agevolmente saltare.
5 -PAVÀ A CCAMMISA SUDATA
Ad litteram: pagare a camicia sudata Id est: accordare il compenso solo a lavoro ultimato quando la camicia sudata dimostrerà che ci si è impegnati nel lavoro pattuito. Per traslato la locuzione si usa quando si voglia stabilire in un contratto il conferimento della controprestazione, come è giusto che sia, solo dopo l'avvenuta prestazione.
6 -PENZ' Â SALUTE
Ad litteram: pensa alla salute Id est: non crucciarti soverchiamente, non porti domande, occupati in primis et ante omnia del tuo stato di salute che non deve patire a causa delle quisquilie che ci occupano e che ti preoccupano eccessivamente ed immotivatamente.
7 -PE GGHIONTA 'E RUOTOLO
Ad litteram: per aggiunta al rotolo Id est: come se non bastasse; locuzione usata con un amaro senso di rammarico quando ad un imprevisto danno si accompagni una ancor più deleteria beffa; l'espressione richiama anche se in modo antifrastico quella gratuita giunta di merce che gli onesti e liberali venditori solevano concedere ai clienti più bisognosi affiancandola al rotolo, tipica misura di peso che nel napoletano corrispondeva a circa 900 grammi.
8 -PE TRAMENTE
Nel mentre che, intanto che, nel frattempo che; locuzione temporale avverbiale derivata dal latino: dum- intèrea divenuta dom-mentre poi drommente ed infine tramente, usata per indicare la contemporaneità di due azioni di cui l'una si verifichi nel mentre sia in corso l'altra.
9 - PE N'ACENO 'E SALE SE PERDE 'A MENESTA
Ad litteram: per pochissimo sale va a male la minestra Locuzione usata a mo' di ammonimento quando si voglia consigliare qualcuno, intento a ad una qualsivoglia operazione, a non trascurare i più piccoli particolari, ponendovi la massima attenzione, atteso che basta un nonnulla per rovinare tutta l'opera, come è sufficiente pochissimo sale, o conferito in più o in meno, per rovinare il migliore dei manicaretti.
10 -PRUTUSINO OGNE MENESTA
Ad litteram:prezzemolo in ogni minestra Cosí, con linguaggio mutuato dall'arte culinaria viene indicato l'accanito, onnipresente presenzialista aduso ad intervenire in ogni consesso, in ispecie a quelli dove non sia stato invitato, lí esprimendo, a maggior disdoro, il suo parere non richiesto e comportandosi quasi come il prezzemolo erba aromatica presente a volte anche casualmente in quasi tutte le salse e le minestre della cucina partenopea.
prutusino s.vo neutro = prezzemolo, erba aromatica,pianta erbacea biennale, rustica, dicotiledone, largamente coltivata per le sue foglioline composte di colore verde lucente a margini frastagliati, usate in cucina per le proprietà aromatiche (fam. Ombrellifere) etimologicamente lettura metatetica dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'
11 -PEZZENTE SAGLIUTO
Ad litteram: povero rimpannucciato Cosí viene appellato chi, notoriamente povero ed indigente, sia improvvisamente ed inopinatamente assurto ad uno status emergente; di tali poveri che abbiano asceso di colpo la scala sociale, è bene diffidare, in quanto poco raccomandabili.
pezzente s.vo ed agg.vo m.le e f.le mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di grande miseria: jí vestuto comme a ‘nu pezzente(andare vestito come un pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il pezzente). Si tratta di unavoce di orig. merid., pervenura anche nell’italiano, ed etimologicamente è propriamente il part. pres. del napol. pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. pètere 'chiedere'
12 -PIGLIÀ ASSO PE FIJURA
Ad litteram: prender asso per figura Id est: Detto di chi incorre in un grossolano, sciocco errore, confondendo due elementi d'aspetto e valenza completamente diversi; locuzione mutuata dal giuoco delle carte napoletane nel quale giuoco solo un giocatore molto inesperto ed incapace può incorrere nell'errore di confondere l'asso con il fante o il cavallo o il re.
13 -PIGLIÀ 'A BANCA 'E LL'ACQUA P''O CARRO 'E PIEREROTTA oppure PIGLIÀ 'A SPUTAZZA P''A LIRA 'ARGIENTO.
Ad litteram: confondere il banco della mescita dell'acqua per il carro della festa di Piedigrotta oppure confondere uno sputo per una lira di argento Locuzione con cui si indicano sesquipedali errori in cui incorrono soprattutto gli stupidi ed i disattenti atteso che, per quanto coperto di elementi ornativi il piccolo banco dell'acquaiolo non può mai o meglio, non poteva mai raggiungere l'imponenza di un carro della festa di Piedigrotta, né mai un volgare sputo può esser confuso con una moneta d'argento.Per altri macroscopici errori vedi alibi.
14 -PIGLIARLA 'E LISCIO
Ad litteram: prenderla di liscio, scivolare, slittare id est: prendere uno scivolone e ciò in senso reale, ma anche figuratamente riferito alla incapacità di porsi un freno dando una adeguata regolata alle azioni o al discorso.
15 - PIGLIÀ CU 'E BBONE o all'inverso PIGLIÀ CU 'E TTRISTE
Ad litteram: pigliar con le buone; id est: trattar qualcuno con buone maniere, con dolcezza, nel tentativo di ottener quello che se chiesto cu'e triste ovvero le maniere forti, probabilmente non si otterrebbe.
16- CHI ALLUCCA GRAN DELORE SENTE.
Ad litteram: Chi urla avverte un gran dolore; espressione usata per sottolineare che chi piange, urla, strepita o si lamenta in genere non lo fa per partito preso o per il gusto di farlo, ma per il fatto cogente di avvertire su di sé un gran dolore che lo spinge al lamento. allucca= grida; voce verbale (3ª p.sg. ind. pr. dell’inf. alluccà = gridare, urlare[dal lat. volg. *adloquicare→alloq(ui)care→ alloccare→alluccà intensivo di loqui].
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mercoledì 29 giugno 2016
VARIE 16/671
1. FÀ ZITE E MMURTICIELLE E BBATTESIME BBUNARIELLE.
Letteralmente: fare(partecipare a)matrimoni e funerali e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose portate di pesce fresco.
2. VIESTE CICCONE, CA PARE BBARONE.
Letteralmente:vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco. Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone...
3. PIGLIARSE 'E PENZIERE D''O RUSSO.
Letteralmente: Prendersi i pensieri del Rosso. Id est: preoccuparsi di faccende senza importanza, trascurandone altre ben piú importanti.Il Rosso della locuzione fu un famoso ladro, che condannato al capestro, invece di preoccuparsi della propria sorte, si chiedeva chi sarebbe stato incaricato di portare la scala necessaria all'esecuzione.
4.JÍ FACENNO 'E SSETTE CHIESIELLE.
Letteralmente: Andar visitando le sette chiesine. Id est: andar perdendo tempo occupato nella visita delle altrui abitazioni e non per una reale necessità o incombenza, ma solo per il gusto di bighellonare, soffermandosi nelle case di amici e conoscenti, magari per scroccare un caffè o un pasto che a Napoli non si nega a nessuno! Le sette chiese indicate nella locuzione, a Napoli sono ben note a tutti essendo quelle disseminate sulla famosa strada di Toledo partendo da piazza Dante per giungere a piazza del plebiscito o Largo di PALAZZO. Esse nell'ordine sono:Spirito santo - San Nicola alla Carità - San Liborio - Santa Maria delle Grazie - Santa Brigida - San Ferdinando - San Francesco di Paola e vengon visitate da tutti i napoletani che nel pomeriggio del giovedí santo si recano a fare il tradizionale "struscio" ossia la passeggiata rituale che comporta la visita (da farsi in numero dispari)dei cosí detti Sepolcri ossia delle solenni esposizioni del SS. Sacremento, che si tiene in tutte le chiese cattoliche per ricordare l'istituzione del sacramento dell' Eucarestia.
5. VESTIRSE 'A FESSO.
Letteralmente: indossare l'abito dello stupido. Id est: comportarsi in maniera volutamente sciocca, fare lo gnorri, tenere un comportamento da stupido nella speranza che cosí facendo si possa indurre una ipotetica controparte a non calcar la mano con pretese e richieste e raggiungere cosí il fine sperato con poca fatica e minimo impegno.È l'atteggiamento che temporibus illis tenevano taluni chiamati alle armi per evitare la partenza per il fronte.Il fatto era compendiato nella frase: fà 'o fesso pe nun gghí â guerra(fare lo sciocco per non andare in battaglia; spesso si raggiungeva lo scopo, giacché non erano graditi soldati stupidi.
6.FÀ 'NU SIZZIA-SIZZIA.
Letteralmente: fare un sitio- sitio Id est: richiedere ripetutamente e lamentosamente qualcosa con ossessiva petulanza. La locuzione nasce prendendo spunto dal Sitio! pronunciato da Cristo sulla croce. Alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli dell'aceto misto ad acqua e non per vilipenderlo ancóra di piú,come si è - da sempre - cercato di far credere, ma perché l’aceto misto ad acqua è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
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VARIE 16/670
1. ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Pi ú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando.
Pacifica la etimologia della voce strummolo che indica lo strumento di un gioco addirittura greco se non antecedente e greca è l’etimologia della parola che viene dritta dritta dal greco strómbos trasmigrato nel latino strumbus con consueta assimilazione progressiva strummus addizionato poi del suffisso diminutivo olus→olo (per cui strummus+olus→strummolus→strummolo) con il suo esatto significato di trottola.
la voce tiriteppeto, talvolta usata, ma erroneamente, anche come tiriteppola è voce onomatopeica riproducente appunto il rumore prodotto dalla trottolina nel suo incerto movimento inclinato e ballonzolante.
Rammento che la voce strummolo s.vo m.le à due plurali: l’uno maschile: ‘e strummole = le trottoline e l’altro f.le: ‘e strommole dove il termine, con evidente traslato, le cui ragioni illustrerò a seguire, indica le fandonie, le sesquipedali sciocchezze,le panzane,le frottole gratuite; semanticamente la faccenda si spiega con il fatto che di per sé lo strummolo = trottolina è un semplice giocattolino con cui trastullarsi; alla stessa maniera le frottole, panzane, fandonie altro non sono che una sorta di innocente mezzo dilettovole con cui prendersi giuoco di qualcuno; ugualmente semplice da spiegarsi la differenza di morfologia tra il maschile strummole ed il f.le strommole, rammentando il fatto che nel napoletano un oggetto (o cosa che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; va da sé che essendo la fandonia certamente piú grossa della trottolina necessitasse d’un genere femminile (per cui ‘e strommole = le sciocchezze, fandonie, frottole etc. da non confondersi con il maschile ‘e strummole= le trottoline).
2. AIZARSE ‘NU CUMMÒ
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente ed, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da ponderose lastre di marmo.
cummò s.vo m.le = canterano,cassettone dal fr. commo(de)
3. Ê CANE DICENNO
letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani ciò che stiamo dicendo!
4. A MMORTE ‘E SUBBETO.
Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto di ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina.
5. AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE.
Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.
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1.'O dulore è dde chi 'o sente, no 'e chi passa e ttène mente.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! - affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
2.'O fatto d''e quatte surde.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, cosí dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
3.A 'nu cetrangolo spremmuto, chiavece 'nu caucio 'a coppa.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
4.Chi va pe cchisti mare, chisti pisce piglia.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce. Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi risultati diversi o migliori.
5.Ammore, tosse e reogna nun se ponno annasconnere.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre situazioni sono cosí eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
6.'Mparate a pparlà, no a faticà.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ma ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere la disistima tenuta dai napoletani per tutti coloro che non si guadagnano da vivere con un serio e duro lavoro, ma fondono la propria esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro (FATICA); in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai, vivendo ugualmente benissimo.
7.Chi troppo s''o sparagna, vene 'a gatta e sse lu magna.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio- che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o consuma tutto il messo da parte; tale terzo profittatore è spesso rappresentato dal/dagli erede/i che gode/godono fino allo scialacquamento del patrimonio del de cuius.
8.'A sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi erigere un palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ) la voce chiancarella (panconcello) deriva quale diminutivo (cfr. suff. r+ ella) dal lat. planca (asse di legno); normale il passaggio di pl a chi (cfr. plus→cchiú – plumbeum→ chiummo – plaga→chiaja etc.).
9.A 'stu nunno sulo 'o càntero/càntaro è nnicessario.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla buona riuascita dell'esistenza la sola cosa che conta è la salute e per essa il nutrirsi bene e il digerire meglio. In effetti con la parola càntero/càntaro - oggetto destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare proprio la buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che la parola càntero/càntaro (dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos) non à l'esatto corrispettivo in italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il ccàntero/càntaro era destinato ad accogliere quelli solidi.
A margine rammenterò ora di non confondere le voci càntero/càntaro con un’altra voce partenopea : cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
10.Sparterse 'a cammisa 'e Cristo.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota , divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
11.Essere aúrio 'e chiazza e ttríbbulo 'e casa.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire - specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto e simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
12.Avenno, putenno, pavanno.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando Strana locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
13.Ammèsurate 'a palla!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; renditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te delle tue azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
14.A -Appennere 'a giacchetta. B - Appennere 'o cazone.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone. Si tratta in fondo di due indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma quanto diverso tra loro il significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello sub A - fa riferimento alla giacca e sta a significare che si è smesso di lavorare e ci si è pensionati, rammentando che - normalmente - specie per lavori manuali l'uomo è solito liberarsi della giacca e lavorare in maniche di camicia; per cui disfarsi del tutto della giacca significa che non si è intenzionati a rimettersi al lavoro. Diverso e di significato piú grave la locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una vedova, tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del calzone lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
15. bbona 'e Ddio!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci assista Dio. E' l'augurio che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa affinché la si possa portare a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad litteram l'augurio A la buena de Dios che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar delle àncore.
16.Scuntà a ffierre 'e puteca.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id est: saldare un debito conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di lavoro confacente al proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati nella propria bottega.
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1.Ô RICCO LLE MORE 'A MUGLIERA, Ô PEZZENTE LLE MORE 'O CIUCCIO.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio; morta la moglie il ricco non à da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il povero che à perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
2. A PPAZZE I A CCRIATURE, 'O SIGNORE LL'AJUTA.
Ad litteram: a pazzi ed a bimbi, Dio li aiuta. Id est: gli irresponsabili godono di una particolare protezione da parte del Cielo. Con questo proverbio, a Napoli, si soleva disinteressarsi di matti o altri irresponsabili, affidandoli al buonvolere di Dio e alla Sua divina provvidenza e protezione .
3.SI COMME TIENE 'A VOCCA, TENISSE 'O CULO, FACÍSSE CIENTO PIRETE E NUN TE N'ADDUNASSE.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per
bollare l'eccessiva verbosità di taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di chi - come si dice - apre la bocca per prendere aria, non per esprimere concetti sensati.
*culo = culo, sedere; etimo:dal lat. culum che è dal greco koilos – kolon
**pireto= peto, scorreggia; etimo: latino peditum
***addunasse= accorgeresti voce verbale (cong. imperfetto 2° p. sg.) di addunà/arse= accorgersi; etimo: franc. s’addonner (darsi, dedicarsi).
4.SI 'ARENA È RROSSA, NUN CE METTERE NASSE.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile). Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna ànno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
5. SI 'A TAVERNARA È BBELLA E BBONA, 'O CUNTO È SSEMPE CARO.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser remunerate in maniera eccessiva...
6. NUN TE DÀ MALINCUNÍA, NÈ PPE MALU TIEMPO, NÈ PPE MALA SIGNURÍA.
Ad litteram: non preoccuparti nè per cattivo tempo, nè per pessimi governanti. Id est: sia il cattivo tempo, che i governanti cattivi prima o poi cambiano o spariscono per cui non te ne devi preoccupare eccessivamente fino a prenderne malinconia...
7.'AMMUINA* È BBONA P''A GUERRA...
Ad litteram: il caos, la baraonda è utile in caso di guerra; id est: per aver successo in caso di lotta occorre che ci sia del caos, della baraonda; mestando in esse cose si può giungere alla vittoria nella lotta intrapresa.
* ammuina = chiasso, confusione, fastidio; etimo: deverbale del verbo spagnalo amohinar(infastidire).
8.ASTÍPATE 'O PIEZZO JANCO* PE QUANNO VENONO 'E JUORNE NIRE.
Ad litteram: conserva il pezzo bianco per quando verranno le giornate nere. Id est: cerca di comportarti come una formica;
* ‘o piezzo janco è letteralmente il pezzo bianco e cioè la grossa moneta d’argento (scudo) anticamente detta appunta piezzo; non dilapidare tutto quel che ài: cerca di tener da parte sia pure un solo scudo d'argento (pezzo bianco) di cui potrai servirti quando verranno le giornate di miseria e bisogno.
9. MALE E BBENE A FFINE VÈNE.
Ad litteram: il male o il bene ànno un loro termine. Id est: Non preoccuparti soverchiamente ma non vivere sugli allori perché sia il male sia il bene che ti incorrono,non sono eterni e come son cominciati, cosí finiranno.
10. CHI TÈNE O PPANE E VVINO, 'E SICURO È GIACUBBINO.
Ad litteram: chi tiene pane e vino, di certo è giacobino. Durante il periodo (23/1-13/6 1799)della Repubblica Partenopea, il popolo napoletano considerava benestanti, i sostenitori del nuovo regime politico, sostenitori che erano stati rimunerati dai nuovi governanti.
Attualmente il proverbio è inteso nel senso che sono ritenuti capaci di procacciarsi pane e vino, id est: prebende e sovvenzioni coloro che militano o fanno vista di militare sotto le medesime bandiere politiche degli amministratori comunali, regionali o provinciali che a questi nuovi giacobini son soliti procacciare piccoli o grossi favori, non supportati da alcuna seria e conclamata bravura, ma solo da una vera o pretesa militanza politica.
11. DICETTE 'O PAGLIETTA: A TTUORTO O A RRAGGIONE, 'A CCA À DDA ASCÍ 'A ZUPPA E 'O PESONE*.
Ad litteram: disse l'avvocatucolo: si abbia torto o ragione, di qui devon scaturire il pasto e la pigione; id est: non importa se la causa sarà vinta o persa, è giusto assumerne il patrocinio che procurerà il danaro utile al sostentamento e al pagamento del fitto di casa. Oggi il proverbio è usato quando ci si imbarchi in un'operazione qualsiasi senza attendersene esiti positivi, purché sia ben remunerata. *pesone = pigione, fitto da pagare; etimo: latino acc. pensione(m)da pendere= pesare, pagare.
12. 'O DIAVULO, QUANNO È VVIECCHIO, SE FA MONACO CAPPUCCINO.
Ad litteram: il diavolo diventato vecchio si fa monaco cappuccino. Id est: spesso chi à vissuto una vita dissoluta e peccaminosa, giunto alla vecchiaia, cerca di riconciliarsi con Dio nella speranza di salvarsi l'anima in extremis.
13. CHI TÈNE 'O LUPO PE CCUMPARE, È MMEGLIO CA PURTASSE 'O CANE SOTT'Ô MANTIELLO.
Ad litteram: chi à un lupo per socio, è meglio che porti il cane sotto il mantello. Id est: chi à cattive frequentazioni è meglio che si premunisca fornendosi di adeguato aiuto per le necessità che gli si presenteranno proprio per le cattive frequentazioni. Da notare come in napoletano il congiuntivo esortativo non è reso con il presente, ma con l'imperfetto...
14. SI 'O CIUCCIO NUN VO' VEVERE, AJE VOGLIA D''O SISCÀ...
Ad litteram: se l'asino non vuole bere, potrai fischiare quanto vuoi (non otterrai nulla)Id est: è inutile cercar di convincere il saccente e presuntuoso; tale ignobile testardo si redime ed accetta il nuovo solo con il proprio autoconvincimento... ; alibi si dice:’o purpo s’à dda cocere cu ll’acqua soja=il polpo deve cuocersi nella propria acqua…
15. MO M'HÊ ROTTE CINCHE CORDE 'NFACCI' Â CHITARRA E 'A SESTA POCO TENE.
Ad litteram: ora mi ài rotto cinque corde della chitarra e la sesta è prossima a spezzarsi. Simpatica locuzione che a Napoli viene pronunciata verso chi à cosí tanto infastidito una persona da condurlo all'estremo limite della pazienza e dunque prossimo alla reazione conseguente, come chi vedesse manomessa la propria chitarra nell'integrità delle corde di cui cinque fossero state rotte e la sesta allentata al punto tale da non poter reggere piú l'accordatura. 16. Tené tiérmene e ccrianza
Ad litteram: Avere parole (consone) e buona educazione. Id est: Nei rapporti interpersonali bisogna sempre usare un linguaggio improntato alla buona educazione, alla urbanità soprattutto quando colui/colei con cui ci si confronti sia persona meritevole, per il suo status,di rispetto, dideferenza, d’ossequio, di riguardo, di compitezza, di gentilezza. L’espressione viene spesso usata, coniugata all’imperativo, a mo’ di ammonimento rivolto dagli adulti ai minori per metterli sull’avviso di non usare nei confronti dei superiori un linguaggio men che corretto deferente, rispettoso, un linguaggio che sia privo di maleducazione, scortesia, inciviltà, villania pur se celate. Rammento che in origine l’espressione in esame, nel medesimo significato si usò nella morfologia: Tené tiérmene ‘e crianza (usare parole di educazione,di cortesia, di garbo); successivamente nel parlato popolare della città bassa la preposizione ‘E (di) fu confusa con la congiunzione E e l’espressione diventò quella riportata a margine con la necessaria geminazione della consonante iniziale di crianza e venne usata come Tené tiérmene e ccrianza mantenendo inalterato il senso dell’espressione.
tiérmine s.vo m.le pl. di tiérmino = parola, espressione, vocabolo; voce dal lat. tĕrmine(m);
crianza s.vo f.le creanza, buona educazione, urbanità,compitezza, gentilezza dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare'.
E (pronunzia chiusa) = e congiunzione coordinante comporta il raddoppiamento della consonante iniziale successiva (es.lloro e nnuje – i’ e tte – venco e vvaco etc.) è dal lat. e(t).
‘E(pronunzia chiusa) forma aferizzata della preposizione de→’e = di 1 stabilisce una relazione di specificazione, in cui determina il concetto più ampio espresso dal nome da cui dipende, continuando la funzione che era stata del genitivo latino; 2 rientrano nell'ambito della specificazione talune relazioni particolari; di possesso o appartenenza: ‘e casa ‘e fràtemo; ‘e ffiglie ‘e sòreta (la casa di mio fratello;le figlie di tua sorella) 3 in funzione partitiva, indica un insieme di cui si considera o si sceglie solo una parte: tre ‘e ll’amice suĵe (tre dei suoi amici); 4 in dipendenza da nomi che indicano quantità, insieme, numero, oppure da aggettivi sostantivati o pronomi che indicano una quantità indefinita, introduce ciò a cui quella quantità o quell'insieme si riferisce: ‘nu chilo ‘e pane;’nu paro ‘e cape ‘e sacicce; ‘nu tummolo ‘e guaje (un chilo di pane;due rocchi di salsicce una dozzina di uova; un tomolo di guai) ; 5 davanti a un nome proprio (spec. di città, località, persona) in funzione denominativa, stabilisce una relazione di tipo appositivo: ‘a città ‘e Roma (la città di Roma); 6 limita l'ambito, l'aspetto per cui è valida una qualità, una condizione: sano ‘e cuorpo(sano di corpo); 7 introduce l'argomento di un discorso, di uno scritto, di un'opera: parlà ‘e pallone (discutere di calcio); 8 nelle comparazioni può introdurre il secondo termine di paragone: Mario è cchiú aveto ‘e Giuvanne (Mario è piú alto di Giovanni); 9 esprime una modalità: è bbuono ‘e core (è di buon cuore) 10 introduce una causa: scuppià ‘e caudo (scoppiare di caldo); 11 definisce un mezzo o strumento: spurcà ‘e gnostia(sporcare d'inchiostro); 12 stabilisce il fine o scopo:freno ‘e sicurezza; dama ‘e cumpagnia (freno di sicurezza; dama di compagnia); 13 introduce una relazione di moto da luogo (in senso proprio o fig.): ascí ‘e casa, ‘e mente (uscir di casa, di mente); | in correlazione con in: spustarse ‘e paese ‘mpaese; va ‘e male ‘mpeggio(spostarsi di paese in paese; va di male in peggio) | con sfumatura di allontanamento o separazione: fujrsene ‘e casa; ascirsene ‘e galera(scappar via di casa; uscire di prigione)
14 esprime origine, provenienza:essere ‘e Milano, n’avvocato ‘e Napule essere di Milano; un avvocato di Napoli | discendenza familiare, paternità:’na guagliona ‘e bbona famiglia (una ragazza di buona famiglia
15 introduce una specificazione di tempo determinato: ‘e matina; ‘e dummeneca;’e maggio;’e carnevale (di mattina; di domenica; di maggio; di carnevale) può anche indicare un tempo continuato:’nu viaggetto ‘e tre gghiuorne; ‘na lezziona ‘e doje ore (un viaggio di di tre giorni; una lezione di due ore) | in correlazione con in: ‘e juorne ‘nghiuorno; ‘e semmana ‘nsemmana(di giorno in giorno, di settimana in settimana);
16 in correlazione con in, oltre alle funzioni locativa e temporale, può esprimere una funzione distributiva: ‘e tre ‘ntre (di tre in tre); 17 à funzione rafforzativa in talune espressioni enfatiche: nn’à cumbinate ‘e guaje! (ne à combinati di guai!); 18 introduce prop. infinitive con funzione di oggetto o di soggetto:penza ‘e avé sempe raggiona (crede di aver sempre ragione); 19 concorre alla formazione di loc. prepositive: primma ‘e, fora ‘e, doppo ‘e (prima di, fuori di, dopo di). (voce dal lat. dí)
Questo ‘E preposizione qui esaminato non va confuso con
‘E(pronunzia chiusa) = i, gli, le art. determ. m.le e f.le plurale. si premette ai vocaboli maschili o femminili plurali; deriva dal lat. (ill)ae(s), 'quelli 'di influsso osco; la caduta per aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘);la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo femminile , ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘e pate voce maschile, ma ‘e mmamme voce femminile, ‘e figlie= i figli voce maschile, ma ‘e ffiglie= le figlie voce femminile etc.); la geminazione è ovviamente prevista quando la consonante iniziale del vocabolo femminile sia seguita da una vocale e non da un’altra consonante (ad es. ‘e ppatane= le patate, ma ‘e stanze= le stanze);
17. ESSERE ‘NA BBONA PELLA P’’O LIETTO
Ad litteram: Essere una buona pelle (utile) a letto; id est: essere un’ottima meretrice. Antichissima espressione risalente all’antichità latina allorché con il termine scortum ci si riferiva sia alla pelle propriamente detta che alla meretrice semanticamente raccostati probabilmente perché la meretrice fa esposizione della propria pelle.
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VARIE 16/667
1. MENTRE O MIEDECO STUREJA, 'O MALATO SE NNE MORE. Letteralmente: Mentre il medico studia, il malato se ne muore. La locuzione è usata per sottolineare e redarguire il lento improduttivo agire di chi predilige il vacuo pensiero alla piú proficua, se rapida, opera.
2.M' HÊ DATO 'O LLARDO 'INT' Â FIJURA Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli che gestivano in piazza Carlo III un ospedale per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi. Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna.
3. FÀ CUOFENO SAGLIE E CCUOFENO SCENNE
Ad litteram: Far (sí che un) corbello salga e (l’altro) scenda.
Antica icastica espressione, mutuata dal lavoro dei muratori (come qui di seguito chiarirò) da intendersi nel senso di: evitare di intralciare il normale iter dell’umane faccende, cercando di non intervenire per mutarne il corso vuoi in senso positivo che in senso negativo; lasciare che tutto vada secondo il fato o il destino limitandosi ad osservare tenendosi estraneo da ogni faccenda e mostrandosi impassibile innanzi ad ogni accadimento , anche davanti a quelli che dovessero riguardarci tanto da presso da coinvolgerci e tutto ciò nella convinzione che sia impossibile ed inutile opporsi ai voleri del fato o destino che sia.L’espressione in esame è usata altresí con altra accezione quale imperioso consiglio a non affrettarsi nell’operare limitandosi a tenere il normale ritmo delle cose e ciò tenendo presente che l’operazione descritta nella locuzione à di per sé un andamento blando e non precipitoso. Come ò accennato l’espressione fu mutuata dal lavoro dei muratori e faceva riferimento al consiglio/ordine che il cosiddetto capomanipolo dava ad ogni sottoposto addetto allo sgombero dei calcinacci di demolizione o al trasporto dei materiali da costruzioni calati(i primi) o issati (i secondi) per il tramite di funi e carrucole affinché non impedissero con malaccorti interventi la salita e la discesa delle ceste ricolme. Un tempo il lavoro predetto veniva effettuato servendosi di un paranco provvisto di funi e carrucole cui erano attaccati due cesti, uno riempito del materiale di sgombero, l’altro vuoto; ora mentre il cesto pieno con il suo peso si spostava lentamente dall’alto in basso, contemporaneamente l’altro cesto svuotato risaliva con pari velocità. Oggidí nell’intento di accelerare le operazioni si sono aboliti paranco funi e carrucole e ci si serve di alcuni tronchi di cono di robusta plastica impilati l’uno sull’altro nei quali vengono versati i calcinacci di demolizione che velocemente precipitano dall’alto in basso ed ecco che la locuzione à perduto il suo sapido significato di partenza.
Cuofeno s.vo m.le [dal latino cophǐnus, marcato sul greco kóphinos] è un particolare cesto di vimini piú stretto alla base e provvisto di manici,usato per il trasporto delle merci piú varie.
4.SE PAVA NIENTE? E SEDÚGNEME DA CAPA Ô PEDE! Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente.
5.DA CH' È MMUORTO 'O CUMPARIELLO, NUN SIMMO CCHIÚ CUMPARE. Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi ci aveva uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
6.LL' AMMORE DA LUNTANO È COMME A LL' ACQUA 'INT' Ô PANARO. L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
7.SANTA CHIARA: DOPP'ARRUBBATO, 'E PPORTE 'E FIERRO! Letteralmente - Santa Chiara: dopo aver subíto il furto, (apposero) le porte di ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare; l’espressione ironizza sul correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
8.'MBARCARSE SENZA VISCUOTTE. Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
9.S'À DDA FÀ 'O PIRETO PE CQUANTO È GGRUOSSO 'O CULO. Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
10.CHI SE METTE CU 'E CRIATURE, CACATO SE TROVA. Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa, come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini.
11.'A GALLINA FA LL'UOVO E Ô VALLO LL'ABBRUSCIA 'O MAZZO. Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora e un altro si lamenta della fatica che non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non à compiute, e di cui invece fa le viste di portare il peso.
12.MO ABBRÚSCIALE PURE 'A BBARBA E PPO DICE CA SO' STAT' IO! Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdí santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
13.QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO. Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli. 14.QUANNO SI 'NCUNIA STATTE E QUANNO SI MARTIELLO VATTE Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
15.À FATTO 'O PIRETO 'O CARDILLO. Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
Brak
martedì 28 giugno 2016
VARIE 16/666
1 JIRSENE A CASCETTA(TE NE VAJE A CASCETTA!)
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone e del cocchiere di carrozze padronali: il posto piú alto, ma anche il piú scomodo e il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
2 Â CASA D' 'O FERRARO, 'O SPITO 'E LIGNAMMO...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali (per la loro supposta, vantata professionalità) ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
3 PIGLIATÉLLA BBELLA E CÓCCATE PE TTERRA.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie comporta danno e sofferenze.
4 ABBACCÀ CU CHI VENCE.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
Abbaccà= andar con [dal lat. volg. ad+vadicare→avvad(i)care→avvaccare→abbaccare]
5 QUANNO 'A CUNNIMMA È PPOCA, SE NE VA P' 'A TIELLA.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
6 A LLU FRIJERE SIENTE 'ADDORE, A LLU CAGNO,SIENTE 'O CHIANTO.
Letteralmente: al momento di friggere sentirai l'odore, al momento del cambio, piangerai. Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete un pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per le rime dicendo che il truffaldino pescivendolo al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata sarcasticamente nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non intende di esser stato ripagato d’una medesima moneta...
7 VOCA FORA CA 'O MARE È MARETTA...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere
8- METTERE LL'UOGLIO 'A COPP' Ô PERETTO.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
9 QUANNO JESCE 'A STRAZZIONA, OGNE FFESSO È PRUFESSORE...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
10 'A MONECA 'E CHIANURA:MUSCIO NUN 'O VULEVA MA TUOSTO LE FACEVA PAURA...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane.) La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...
11 HÊ VIPPETO VINO A UNA RECCHIA.
Ài bevuto vino a una orecchia - cioè vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che faccia reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi abbia agito incongruamente, come dopo di aver bevuto del vino scadente.
12 PURTA'E FIERRE A SSANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
13 'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE 'NU PURTONE.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un potoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
14 NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E SFOTTERE 'O BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che, mancando degli elementi essenziali per far alcunchè, ci si erga ad ipercritico e spaccone.
15 È GGHIUTO 'O CASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
È finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo: il formaggio deve guarnire dal di sopra il piatto di pasta, non far da strame ai maccheroni!
16 À FATTO MARENNA A SSARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
17'O CANE MOZZECA Ô STRACCIATO.
Il cane assale chi veste dimesso - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
18 TRE SONGO 'E PUTIENTE:'O PAPA, 'O RRE E CCHI NUN TÈNE NIENTE...
Tre sono i potenti della terra:il papa, il re e chi non possiede nulla: Il papa è il capo indiscusso della comunità ecclesiale e quando parla ex cathedra è addirittura infallibile;il re è il capo indiscusso della comunità nazionale che gli presta onore ed ubbidienza; chi manca di tutto non à timore né d’esser richiesto d’alcunché, né d’essere defraudato di ciò che non à!
19 Ė GGHIUTA ‘A FESSA 'MMANO Ê CRIATURE, 'A CARTA 'E MUSICA 'MMANO Ê BARBIERE, 'A LANTERNA 'MMANO Ê CECATE...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
20 S' A' DDA JÍ ADD' 'O PATUTO, NO ADD' 'O MIEDECO.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi à patito una malattia, non dal medico - Cioè:la pratica val piú della grammatica.
21 AÚRIO SENZA CANISTO, FA' VEDÉ CA NUN L'HÊ VISTO.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre sempre accompagnare i fatti.
22 Ô PIRCHIO PARE CA 'O CULO LL'ARROBBA 'A PETTULA...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
23 CHI FATICA 'NA SARÀCA, CHI NUN FATICA, 'NA SARÀCA E MMEZA.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
24 'A MAMMA D''E FESSE È SEMPE PRENA.
LA mamma degli sciocchi è sempre incinta - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
25 DICETTE 'O PAPPICE VICINO Â NOCE: DAMME 'O TIEMPO CA TE SPERTOSO!
L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince!
26 A GHIENNERE E NNEPUTE, CHELLO CA FAJE È TUTTO PERDUTO.
A generi e nipoti quel che fai, è tutto perso - Cioè:stante la generale diffusissima irriconoscenza umana, va perduto anche il bene fatto ai parenti prossimi
27 Ô FIGLIO MUTO, 'A MAMMA 'O 'NTENNE.
Il figlio muto è compreso dalla madre - Lo si dice di due persone che abbiano un'intesa perfetta.
28 SAN LUCA NCE S'È SPASSATO...
San Luca ci si è divertito...- Lo si dice di una donna cosí bella che sembra dipinta dal pennello di San Luca, che la tradizione vuole pittore. Ma anche in senso antifrastico quando ci si imbatte in una donna decisamente brutta.
29 QUANNO SIENTE 'O LLATINO D' 'E FESSE, STA VENENNO 'A FINE D' 'O MUNNO...
Quando senti i fessi parlare in latino, s'approssima la fine del mondo. Cioè: quando gli sciocchi prendono il comando a parole e con i fatti, si preparono tempi grami.
Brak
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