giovedì 30 aprile 2020

VEDÉ ‘E FILMME LUCE


VEDÉ ‘E FILMME LUCE

Quella in epigrafe  è un’espressione sarcastica usata a divertito commento delle affermazioni di chi si inventa avvenimenti mai accaduti e che invece egli racconta con dovizia di particolari chiaramente frutto di fantasia. L’espressione si riallaccia ai filmati dell’Istituto Luce la piú antica istituzione pubblica destinata alla diffusione cinematografica a scopo didattico e informativo del mondo. Nato in Italia nel 1924, l'Istituto Luce divenne ben presto un potente strumento di propaganda del regime fascista.
I filmati dell’Istituto [che rappresenta l’archivio degli accadimenti mondiali dal 1924 al 2009] non sono accessibili indiscriminatamente a tutti e liberamente per cui chi si inventa avvenimenti o cose mai accaduti e li racconta con dovizia di particolari è accreditato di avere avuto accesso alla visione di filmati per certi versi segreti per cui implicitamente si autoaccusa d’essersi inventato di sana pianta, cose non viste o non accadute.
Rammento che nell’espressione in esame è usato impropriamente  il termine pl.  filmme adattamento di comodo del s.vo m.le invariabile inglese film [pellicola fotografica o cinematografica, opera cinematografica], adattamento ottenuto mediante il raddoppiamento espressivo della consonante finale (M) e paragoge di una vocale semimuta (E) (cfr. alibi tramme←tram, bisse←bis, bbarre←bar,gasse←gas, autobbusso←autobus); film  per solito nell’idioma partenopeo è reso acconciamente  con la voce f.le pellicula (dal lat. pellicula(m), dim. di pellis 'pelle').
Brak


6 LOCUZIONI VARIE (30.4.20)


6 LOCUZIONI VARIE (30.4.20)

1)NUN ME FIRO
Letteralmente: non mi fido cioè non mi sento bene, oppure non ò voglia o volontà di fare alcunché; semanticamente l’espressione nel senso di non mi sento bene  si spiega sottintendendo  delle mie condizioni fisiche  cioè non confido, non faccio affidamento sulle mie condizioni fisiche; id est: non sto bene;  nel senso di non ò voglia o volontà di fare alcunché si spiega sottintendendo  del mio desiderio, della mia volontà cioè non faccio affidamento sulle mia volontà o sul mio desiderio
Etimologicamente il verbo fidà (fidarse) viene dal Lat. volg. *fidare, per il class. fidere 'confidare'.
2)MEGLIO 'NU MINUTO ARRUSSÍ, CA CIENT’ANNE AVVERDÍ
Letteralmente: Meglio arrossire un minuto che diventar verdi (di bile) per cento anni.
Id est: Meglio brevemente vergognarsi (arrossire) (per avere opposto un rifiuto ad una richiesta) che esser costretti a lunghi travasi di bile (per aver acconsentito a qualcosa che ci costerà lungo lavoro, dispendio d’energie, fatica e tormenti morali)
Etimologicamente il verbo arrussí (vergognarsi) viene dall’agg.vo russo (rosso) che è dal lat. parlato *russu(m) per il class. ruber; etimologicamente il verbo avverdí (farsi verde di bile) vienedall’agg.vo vierde= verde che è dal lat.  viride(m), deriv. di viríre 'verdeggiare'.
3) CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
 avverbio olofrastico affermativo corrispondente all’italiano
1) si usa dunque nelle risposte come equivalente di un'intera frase affermativa (può essere ripetuto o rafforzato): "Ệ capito?" "Sí"; "Venono pure lloro?" "Sí"; anche, "Sí, sí", "Sí certo", "Comme!Sí!", "Sí overamente ", "Ma sí!" | ' dicere ‘e sí, acconsentire ' risponnere ‘e sí, affermativamente ' paré, sperà, crerere ecc. ‘e sí, che sia cosí ' | e ssí ca = e dire che ' sí, dimane, (fam. iron.) no, assolutamente no
2) spesso contrapposto a no: dimme sí o no!; un giorno sí e n’ato no, a giorni alterni ' sí e nno, a malapena ' ti muove, sí o no?, esprimendo impazienza ' cchiú ssí ca no, probabilmente sì ;
3) con valore di davvero, in espressioni enfatiche: chesta sí ca è bbella!; chesta sí ch’è ‘na nuvità!
talvolta è usato come  s. m. invar.
1) risposta affermativa, positiva: m’aspettavo ‘nu sí; risponnere cu ‘nu un bellu sí; ‘e spuse ànno ggià ditto ‘o sí; stare tra ‘o sí e o no, essere incerto; decidersi p’’o ssí, decidere di fare qualcosa '
2) pl. voti favorevoli: si songo avute tre ssí e quatto no.
L’etimo di questo è dal lat. sic 'cosí', forma abbreviata della loc. sic est 'cosí è'; poi che la voce in esame deriva  da un si(c) con la caduta di una consonante e non di una sillaba non sarebbe previsto alcun segno diacrito sulla parola derivata, ma è stato giocoforza accentare la i di questo sí per con confonderlo anche graficamente dal si  congiunzione o dal si’ apocope di signore.
Di... segno opposto l’avverbio olofrastico negativo
no  scritto privo di qualsiasi segno diacritico, da non confondersi con l’omofono,ma non omografo art. indeterminativo ‘nu/’no. A margine rammento che nel napoletano diversi tipi di SI: SI –SI’ -  Sĺ E SÎ

 Cominciamo con la congiunzione
A)--si  corrispondente all’italiano se

1) posto che, ammesso che (con valore condizionale; introduce la protasi, cioè la subordinata condizionale, di un periodo ipotetico): si se mette a pparlà,nun ‘a fernesce cchiú; si i’ fosse a tte ,me ne jesse a ffà ‘na scampagnata ; si tu avisse sturiato ‘e cchiú ,fusse o sarriste stato prumosso; si fosse dipeso ‘a me, mo  nun ce truvarriamo o truvassemo   a chistu  punto; si fusse stato cchiú accorto , non te fusse o sarrisse  truvato dinto a ‘sta situazziona (o pop.: si ire  cchiú accorto , non te  truvave dinto a ‘sta situazziona  ) | in espressioni enfatiche, in frasi incidentali che attenuano un'affermazione o in espressioni di cortesia: ca me venesse ‘na cosa si nun è overo!; pure tu, si vulimmo sî ‘nu poco troppo traseticcio; si nun ve dispiace, vulesse ‘nu bicchiere ‘e vino; pecché, si è llecito,aggio ‘a jirce semp’i’?  | può essere rafforzata da avverbi o locuzioni avverbiali: si pe ccaso cagne idea, famme ‘o ssapé; si ‘mmece nun è propeto pussibbile, facimmo ‘e n’ata manera | in alcune espressioni enfatiche e nell'uso fam. l'apodosi è spesso sottintesa: ma si non capisce ‘o riesto ‘e niente!; si vedisse comme è crisciuto!; se sapessi!; se ti prendo...!; e se provassimo di nuovo...? | si maje, nel caso che:  si maje venisse, chiàmmame; anche, col valore di tutt'al più: simmo nuje, si maje, ca avimmo  bisogno ‘e  te;
2)  fosse che, avvenisse che (con valore desiderativo): si vincesse â  lotteria!; si putesse turnarmene â  casa mia!; si ll’ avesse saputo primma!
3) dato che, dal momento che (con valore causale): si ne sî proprio sicuro, te crero; si ‘o ssapeva, pecché nun ce ll’ à ditto?
4) con valore concessivo nelle loc. cong. se anche, se pure: si pure se pentesse, ormaje è troppo tarde; si  anche à sbagliato, no ppe cchesto  ‘o cundanno
5) preceduto da come, introduce una proposizione comparativa ipotetica: aggisce comme si nun te ne ‘mportasse niente; me guardava comme si nun avesse capito; comme si nun si sapesse chi è!
6) introduce proposizioni dubitative e interrogative indirette: me dimanno si è ‘na bbona idea; nun sapeva si avarria o avesse  fernuto pe ttiempo; nun saccio  che cosa fà, si partí o restà; s’addimannava  si nun se fosse pe ccaso sbagliato | si è overo?, si tengo  pacienza?, sottintendendo 'mi chiedi', 'mi domandi' ecc.
Rammento che questa congiunzione  si  napoletana non viene mai usata  come sost. m. invar. come invece capita con il corrispettivo se dell’italiano. Quanto all’etimo il si a margine è dal  lat. tardo sí(d), dall'incrocio del class. si'se' col pron. (qui)d 'che cosa'.
Lasciando da parte altre congiunzioni monosillabiche che non sono tipiche del napoletano in quanto corrispondenti in tutto e per tutto a quelle della lingua nazionale ( e, ma, o= oppure etc.) mi lascio  portar per mano  dalla congiunzione si  per illustrare l’omofono, ma non omografo
B --SI’  che è l’apocope di si(gnore) e pertanto esige il segno diacritico dell’apostrofo. viene usato per solito davanti ad un sostantivo comune o davanti a nome proprio di persona (ad es.: ‘o si’ prevete= il signor prete, ‘o si’ Giuanne = il signor Giovanni.) L’etimo del lemma signore da cui l’apocope a margine si’ è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo di senex=vecchio,anziano.
 Ricordo che càpita  spesso che   sulla bocca  del popolino, meno conscio  o attento  della/alla propria lingua, (la qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla punta della penna  di taluni  pur grandi e grandissimi autori partenopei accreditati d’essere esperti e/o studiosi della lingua napoletana  la voce a margine  è resa con la trasformazione del corretto si’ (che è di per sé – come ò sottolineato - è l’apocope di si(gnore) ) con uno scorretto
C –sî  = corrispondente all’italiano sei  voce verbale (2° p.sg. indicativo pres. o cong. ) dell’infinito essere dal lat. esse la forma   forse derivata, piú che dalla scrittura contratta dell’italiano sei (il napoletano non è mai tributario dell’italiano!...)  etimologicamente  dal lat. si(s) che eccezionalmente esige l’indicazione di   un segno diacritico (accento circonflesso) non etimologico, ma utile  per distinguere la voce verbale a margine dagli illustrati altri omofoni si presenti nel napoletano.
D - SÍ  avverbio olofrastico affermativo ò già detto.
 --NO  scritto privo di qualsiasi segno diacritico, da non confondersi con l’omofono,ma non omografo art. indeterminativo ‘nu/’no  Avverbio olofrastico negativo corrispondente al no dell’italiano
1) negazione equivalente a una frase negativa, usata spec. nelle risposte (si contrappone a ): «Ll'hê visto?» «No»; «Parte oje?» «No, dimane» | accompagnato da rafforzativi: proprio no;; certamente no; ma no! | no e pò no!, proprio no | pare ‘e no, sperammo ‘e no, che non sia cosí | dicere ‘e no, negare, rifiutare: à ditto ‘e no; ‘na perzona ca nun dice maje ‘e  no, che è spesso incline ad acconsentire, disponibile | nun dicere ‘e no, acconsentire, ammettere, o almeno non escludere: «È ‘na cosa straurdinaria» «Nun dico ‘e no, ma nun se po’ ffà!» | risponnere ‘e no, dare una risposta negativa | fà ‘e no cu ‘a capa,  dare una risposta negativa senza parlare | si no, (fam.) altrimenti: aggi’ ‘a jí â casa ampressa , si no sarranno guaje | meglio ‘e  no!, meglio ca  no per esprimere un parere negativo: «T’’a siente ‘e ascí?» «Meglio ca no!» | comme no!, altro che, eccome: «Te piaceno ‘e sfugliatelle ?» «Comme no!» | E pecché no, come risposta affermativa a una proposta: «Ce jammo ô cinema stasera?» «E pecché no!» | anze ca  no, alquanto, piuttosto: ‘na pellicula scucciante  anze ca no | sí e nno, neanche, appena: ce sarranno state sí e nno vinte  perzone | cchiú ssí ca  no, probabilmente sí; cchiú nno ca sí  , probabilmente no | forze sí forze no , può darsi | ‘nu juorno sí e ‘nu juorno  no, a giorni alterni
2) nelle proposizioni disgiuntive stabilisce una contrapposizione: dimme si t’è piaciuto o no; chi sturia, e  chi no; bella jurnata o no , ce vaco ‘o stesso | sí o no?, per esprimere impazienza: viene sí o no?
3) con valore rafforzativo o enfatico: no, nun ce vengo!; nun ce pozzo credere, no!; aggiu  ditto ca nun ce vaco, no!; ma no, nun è ppe cchesto! | ma no!, per esprimere sorpresa, incredulità o una forte emozione: «’A  quistione è ggià risolta» «Ma no!»; «Aggio  avuto ‘na brutta brunchita» «Ma no!»
4) posposto al termine da negare sta per un non anteposto: «È proprio friddo ‘o ccafè tujo?» «Friddo no, ma appena appena   scarfato»; «’O  vide spisso?» «Spisso no, quacche vota»; «Mi faje ‘o probblema ?» «Fartelo no, ma pozzo aiutà» |
5) con il valore di non è vero?: ti piacesse si fosse accussí, no?; v’aggiu  ggià ditto, no,’e ve stà zitte!  L’etimo dell’avv. no  è dal lat. non.
‘NU/’NO =  corrispondono ad un ed uno della lingua italiana dove sono  agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm. [ in italiano, uno come agg. num. e art. maschile si tronca in un davanti a un s. o agg. che cominci per vocale o per consonante o gruppo consonantico che non sia i semiconsonante, s impura, z, x, pn, ps, gn, sc (un amico, un cane, un brigante, un plico; ma: uno iettatore, uno sbaglio, uno zaino, uno xilofono, uno pneumotorace, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sceriffo); il napoletano non conosce tante complicazioni ed usa indifferentemente ‘nu/‘no davanti ad ogni nome maschile sia che cominci per vocale, sia che cominci  per consonante o gruppo consonantico (ad es.: n’ommo= un uomo – ‘nu  sbaglio= un errore;) da notare che mentre nella lingua nazionale si è soliti apostrofare solo l’art. indeterminativo una  davanti a voci femm. comincianti per vocali, mentre l’art. indeterminativo maschile uno non viene mai apostrofato e davanti a nomi maschili principianti per vocali se ne usa la forma tronca un (ad es.: un osso) nella lingua napoletana è d’uso apostrofare anche il maschile ‘no/‘nu   davanti a nome maschile  che cominci per vocale con la sola accortezza di evitare di appesantir la grafia con un doppio segno diacritico: per cui occorrerà  scrivere n’ommo= un uomo e non ‘n’ommo l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente dal lat. (u)nu(m) l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori  seguano il malvezzo di scrivereno/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile   ;la medesima cosa càpita con il corrspondente art. indeterminativo femm.le
‘na =  corrispondente ad una  della lingua italiana dove è  agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm.come del resto nel napoletano dove però come agg. num. card. non viene usata la forma aferizzata ‘na, ma la forma intera una (cfr. ad es.: pòrtane ‘na cannela= portami una candela quale che sia –ma pòrtame una cannela = portami una sola candela) ;  l’etimo di ‘na è ovviamente dal lat. (u)na(m); l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori, anche preparati,   seguano il malvezzo di scrivere l’articolo  na come pure, come ò detto,  il corrispondente del maschile e neutro  no/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando,  ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile;  a mio avviso infatti  non è ragione concreta e corretta quella, accampata da qualcuno,   che mancando nel napoletano scritto la forma intera degli articoli indeterminativi uno/unu- una ed esistendo pressoché solo quella aferizzata no/nu – na sarebbe  inutile fornire questi ultimi del segno d’aferesi. Nel napoletano scritto c’è del resto  una  parola che potrebbe ingenerare confusione con l’art. indeterminativo ‘nu/’no : sto parlando della negazione  nun= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi però nu’ (facendo un’eccezione rispetto alla regoletta per la quale i termini apocopati di cononante/i e non di sillaba vocalica,  non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu da cum – pe da per – mo da mox – po da post ) dicevo da rendersi però nu’  per evitarne la confusione con l’omofono articolo ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno () d’aferesi  e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso il malvezzo  di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta, laddove  invece,il non segnarlo, a mio avviso,   è segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo,F. Russo, E.De Filippo,  EduardoNicolardi etc.). Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori  napoletani, anche famosi e/o famosissimi non potettero avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del  napoletano, supporti che furono inesistenti del tutto, mentre  i pochissimi esistenti (Galiani, Oliva, Serio) furono malamente diffusi, né  potettero far testo, vergati com’erano stati  da addetti ai lavori  non autenticamente  napoletani   e pertanto, spesso,   imprecisi e/o impreparati. Ancóra ricordiamo che moltissimi autori furono istintivi e spesso  mancavano del tutto di adeguata preparazione scolastica (cfr. V.Russo, R.Viviani etc.), altri avevano studiato poco e male  e quelli che invece avevano adeguata preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, E. Nicolardi etc.  spessissimo la usarono maldestramente  adattando  le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale e diretto discendente del latino parlato.
Per concludere, a mio avviso nel napoletano scritti gli articoli indeterminativi vanno sempre corredati del segno d’aferesi (etimologicamente esatti!)ed il non farlo è segno di sciatteria, pressappochismo e forse sicumera! E dunque   ‘nu – ‘no – ‘na  e mai nu – no – na. I grandi autori vanno seguíti quando fanno bene, non quando sbagliano! Si può tentare di capire le ragioni del loro errare, ma occorre evitare  di porsi nella scia di chi sbaglia, fosse pure un grande autore!
5) 'O GUAIO È DE CCHI 'O SENTE, NO ‘E CCHI PASSA E TENE MENTE.
Il guaio è di colui che l’avverte (sulla propria pelle) (non del terzo) che passando guarda ciò che accade, (ma certamente non à diretta contezza o ne subisce gli effetti deleterei).Va da sé cioè che solo chi subisce un danno o una disgrazia è facultato a dolersene, mentre l’occasionale spettatore delle altrui disgrazie potrà solo superficialmente rammaricarsene o far finta di farlo in quanto non è realmente compartecipe  dell’accidente, calamità o sciagura;
guaio s.vo m.le 1 disgrazia; situazione difficile: stà dint’ a ‘nu mare ‘e guaje(essere in un mare di guai);jí cercanno guaje cu ‘o lanterino( andare in cerca di guai con la lanterna)
2 impiccio, inconveniente; danno
voce etimologicamente da un antico tedesco wàwa =disgrazia, sventura ed in senso piú limitato: calamità, fastidio, impiccio;
tene mente = lett.: pone mente, cioè osserva, guarda; espressione verbale formata dall’ unione del s,vo mente con la voce verbale tène (3° p. sg. ind. pres. dell’infinito tènere/tené  = avere, porre,possedere etc. dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere'); il s.vo f.le mente  (che è dal lat. mente(m), da una radice *men- indicante in generale l'attività del pensiero)   vale appunto
1 l'insieme delle facoltà intellettive che permettono all'uomo di conoscere la realtà, di pensare e di giudicare
2 la sede in cui l'attività del pensiero ha luogo; testa, capo
3 particolare attitudine, inclinazione mentale
4 intelligenza, capacità intellettiva
5 il pensiero, l'attenzione
6 memoria
7 il complesso delle idee, delle cognizioni di una persona; anche, la persona stessa fornita di determinate qualità;
nella fattispecie però  in unione con il verbo tenere serve a  dargli  il significato di guardare, osservare, porre attenzione, scrutare, esaminare come chi mettesse al servizio della osservazione tutto l'insieme delle proprie facoltà intellettive che permettono all'uomo di conoscere la realtà, di pensare e di giudicare.
6) CHE SANGO ‘E CHIAVARDA 'E FIERRO!
Si tratta d’un’espressione esclamativa, piuttosto becera, in uso dapprima tra i reclusi delle carceri di san Francesco nella piazza omonima e successivamente  tra il popolino della città bassa,espressione esclamativa,   coniata per leggera assonanza,  marcandola su altra che si   evitava di pronunciare nel timore di incorrere in aggiuntivi rigori di legge per offese ai secondini o forze di polizia.L’espressione originaria fu infatti Mannaggia ô sanco ‘e chi v’afferra con evidente riferimento ai tutori della legge che operavano gli arresti dei delinquenti  o a gli addetti alla sorveglianza nelle carceri, addetti  che  controllavano i detenuti. L’originaria Mannaggia ô sanco ‘e chi v’afferra generò dapprima Mannaggia ô sanco ‘e chiavarda ‘e fierro snellita poi in che sango ‘e chiavarda 'e fierro! portandosi dietro tutto il suo significato di malcelato risentimento, di dolorosa stizza, irritazione, astio, livore, rancore avverso la situazione niente affatto piacevole in cui versavano originariamente  i detenuti e poi – nel parlato comune –  quelle di chiunque si trovasse a gestire situazioni fastidiose, circostanze sfavorevoli.La chiavarda  s.vo f.le che di per sé (cfr. la  derivazione dal s.vo chiave (lat. clavu(m)) è 1 (mecc.) grosso bullone che serve per ancorare i basamenti delle macchine fisse o per unire parti di macchine o di strutture
2  tirante a sbarra che serve a contenere una spinta ( di un lettuccio,di un arco, un tetto e sim.)
3 (rar.) grosso chiodo.  
Nell’accezione sub 2 la chiavarda era ben nota ai carcerati i cui lettucci ne erano forniti ed il sostantivo suggerí il passaggio da e chi v’afferra a  ‘e chiavarda ‘e fierro.
Raffaele Bracale