LA SCAZZETTA ETC..
Anche questa volta faccio sèguito ad
un quesito rivoltomi dall’amico
A.M. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome
di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi della voce napoletana in epigrafe e delle espressive locuzioni in cui essa è usata.
Comincio súbito col dire che
scazzetta è un s.vo
f.le che indica genericamente un copricapo maschile e piú precisamente indica
1 uno zucchetto
usato dal clero,un copricapo di forma semisferica molto aderente alla nuca
costituito da quattro spicchi (in forma di
triangoli isosceli) di tessuto
foderato, spicchi cuciti in modo da far
convergere i vertici dei triangoli al centro del copricapo cosí da creare una forma sapientemente semisferica che aderisca benissimo
al capo e segnatamente alla nuca.Tale zucchetto è di vario colore a seconda di
chi lo indossi: nero per il clero basso , nero profilato di rosso cremisi per monsignori e canonici, violaceo per i vescovi,
rosso per i cardinali e bianco per il papa, ma una sola è la funzione comune
per tutti, quella di proteggere la zona
della tonsura e temo che tale copricapo sia stato usato nella chiesa cattolica
ad imitazione del kippah quel copricapo
cioè usato correntemente dagli Ebrei osservanti maschi
principalmente all'interno dei luoghi di culto, anche se i
piú religiosi lo indossano anche durante la vita quotidiana;
2 papalina,
piccolo copricapo tondo e rigido,
copricapo d’uso domestico,
berretto di lana tondo e senza tesa,foderato, per lo piú con una nappa laterale o alla sommità, che
un tempo portavano in casa gli uomini anziani.
3 berretto da notte, copricapo di lana foderato in foggia di cono con una
nappa sulla punta del vertice, usato dagli uomini anziani durante la notte per
protezione del capo; tale copricapo è
détto esattamente scazzetta p’ ‘a notte.
Circa l’etimologia
della voce alcuni si trincerano su di un
etimo sconosciuto, cosa che mi dà l’orticaria, molti azzardano varie ipotesi;
insomma non ci sono identità di vedute sull’ etimologia della voce in esame;
non tengo in alcun conto chi sbrigativamente parla di onomatopèia, ma non
precisa poi donde provenga e quale possa
essere la fonte di questa onomatopèia; non mi convince neppure chi
fantasiosamente parla, per la forma del berretto di un denominale di cazza
(lat. tardo cattia(m), dal gr. ky/athos 'coppa, tazza'); non mi convince neppure chi fantasiosamente
parla di un deverbale di un non
attestato *scazzare usato in taluni
lessici meridionali come correlativo di
schiacciare; non mi convince
infine neppure chi farraginosamente
parla di un deverbale di scamazzare→sca(ma)zzare = schiacciare;per il vero queste ultime due ipotesi semanticamente sembrerebbero
corrette atteso che in effetti la
scazzetta insiste sul capo pigiandolo, ma – morfologicamente - m’appaiono ipotesi lontano dal vero. Non mi
resta che far mia l’idea del prof. Giarrizzo che legge in scazzetta un
denominale del greco s + kottis –
kottidos = testa, capo.
Tanto premesso
illustro qui di sèguito due icastiche espressioni partenopee che si servono
della vocer esaminata:
1)
Vulé
trasí
a fforza dint’â scazzetta d’ ‘o prevete.
2)
‘A ‘na
mallarda ‘e prevete nun farne ascí
manco ‘na scazzetta p’ ‘a notte.
1) VULÉ TRASÍ A FFORZA DINT’Â SCAZZETTA D’ ‘O PREVETE.
Ad litteram: volere entrar con prepotenza nello zucchetto del prete. Détto
di chi, soprattutto donne o uomini che si comportano da donnette, che intenda
occuparsi di faccende altrui e tenti in tutti i modi di venire a conoscenza di
fatti, vicende, impegni, occupazioni, lavori, incombenze non di propria
pertinenza, ma riguardanti il prossimo e tale occuparsi venga fatto
addirittura con arroganza, tracotanza, aggressività, imperiosità, potenza, forza, intensità,
vigore, incontenibilità nel tentativo di impossessarsi di notizie del tutto
personali, quando non segrete tenute accuratamente celate cosí come lo zucchetto del prete che, aderendo al
capo, tiene con precisione celata la tonsura del sacerdote.
2)‘A ‘NA MALLARDA ‘E PREVETE NUN FARNE ASCÍ MANCO ‘NA SCAZZETTA P’ ‘A NOTTE. ad
litteram: Da un vasto cappello da prete non ricavarne neppure un berretto da notte.
Détto con sarcasmo e spesso con
risentimento a commento delle errato comportamento di chi (per
incapacità, disattenzione,colpevole ignoranza o connaturata sciatteria) nell’eseguire un lavoro sprechi
materiali e non raggiunga perciò i risultati sperati come chi avesse a
disposizione un enorme copricapo da sacerdote e tagliandolo via via ne sprecasse tanto materiale da non farne
sortire neppure un contenuto berretto da notte. mallarda s.vo
f.le è voce dal dal franc. malart ed è in primis il nome con
cui in napoletano si indica una grossa anitra; per traslato poi si indica un
vasto ed ingombrante cappello da donna.Talora ironicamente lo si usa per
indicare il vasto, enorme cappello indossato dai preti.Da ricordare che il
poeta- giornalista napoletano Ugo Ricci (detto: Triplepatte – Napoli 1875 -†
ivi 25/1/1940) usava, nei suoi componimenti indicare con il nome di
"mallardine " le signorine della media borghesia aduse ad indossare
le cosiddette mallarde.
prèvete è un s.vo m.le
che vale prete,presbitero, sacerdote, uomo consacrato, addetto al
culto, che abbia ricevuto il sacramento
dell’ordinazione; etimologicamente il napoletano prèvete da cui poi per sincope della sillaba centrale ve
si è probabilmente formato il toscano prete
è dal tardo latino presbyteru(m),
che è dal greco presbyteros, propriamente: piú anziano; cfr. presbitero;
la via seguíta per giungere a prèvete
partendo da presbyteru(m) è la seguente: presbyteru(m)→pre’bytero/e→prebeto/e→preveto/e.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per
cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico A.M. ed interessato
qualcun altro dei miei ventiquattro
lettori e chi forte
dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
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