SCATOLOGICA
L’amico R.M. ( le consuete questioni di riservatezza, mi
impongono di indicare le sole iniziali
di nome e cognome) mi à proditoriamente invitato ad illustrare alcune
espressioni partenopee a sostrato scatologico; pensava di mettermi in difficoltà,
conoscendomi per persona beneducata, compita, corretta e paventava ch’ io mi rifiutassi; si sbagliava: è vero che son un uomo perbene,
civile, costumato, ma non sono un pusillanime né temo di lordarmi la
bocca o le mani parlando di sterco ed affini. Perciò bando alle ciance, mi turo
il naso, infilo i guanti e tento di contentare
l’amico R.M. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
1 ESSERE N’ OMMO
‘E MMERDA
Ad litteram: essere un uomo fatto di merda. Id est: essere una
persona infida, scostante, repellente,ributtante, disgustosa, nauseabonda,
rivoltante e – per ampliamento semantico
- inaffidabile,subdola, falsa, doppia, ambigua, ingannatrice tamquam
qualcosa formata di escrementi.
2 FÀ ‘NA FIJURA ‘E
MMERDA.
Ad litteram: fare una figura di sterco.Locuzione
simile a quella che recita fà ‘na fijura
‘e chiuove (id est:fare una figura da chiodi cioè fare una
figuraccia), ma connotata da una maggior durezza di linguaggio in
quanto che la figuraccia derivante dall’errato comportamento e
battezzata di chiodi è quella meritevole quasi di essere attaccata con dei chiodi, e tenuta
a vista a mo’ di ammonimento o ricordo,
mentre la figura battezzata di merda è
quella da considerarsi tanto lercia di escrementi da non meritare d’esser
considerata neppure come ammonimento o ricordo, né può pretendere d’essere
tenuta in vista sorretta da chiodi, trattandosi di cosa piú che umiliante e
mortificante, ma eliminata assieme ad altre deiezioni!
3JÍ
CU ‘O MUSSO DINT’Â MMERDA. variante
JÍ CU ‘A FACCIA DINT’Ô PANECUOTTO.
Ad litteram: Finire con il muso nello sterco
variante finire con la faccia nel pan cotto.
La locuzione a
margine e la sua variante sono usate
per significare il comportamento di
tutti coloro che per propria ingenuità o insipienza finiscono per fare meschine figure al pari (cfr. variante) di un bimbo che si
sia imbrattato il volto mangiando pan cotto; la prima parte molto piú dura ed icastica prende a modello il
comportamento del maiale che frugando nel porcile alla ricerca di cibo,
spesso affonda il muso nei suoi stessi
escrementi, e tale comportamento viene
appaiato ai presuntuosi atteggiamenti di coloro che abituati a fare i saccenti
ed i supponenti spesso vedono le loro
affermazioni, se non le loro azioni vanificate queste e contraddette quelle, dalla chiara realtà e finiscono per fare figure cosí meschine da
esserne quasi insozzati come un porco dal suo sterco.
4 STÀ POCA MMERDA 'A FÀ PALLOTTOLE
Ad litteram:c'è poca
merda da farne palle. Id est: c'è
poco da fare, non è possibile raggiungere
i risultati sperati: mancano la materia prima ed i mezzi occorrenti. Locuzione nata nell'ambito
dei raccoglitori (détti mmerdajuole) degli escrementi di animali,escrementi atti ad esser venduti come concime; la locuzione
veniva pronunciata con profondo senso di
rincrescimento, allorché nel loro quotidiano girovagare ,i raccoglitori
trovavano poco da portar via, raccolto
con le pale e compattato a mo’ di palle(per completezza aggiungerò qualcosa,
illustrando l’espressione
4 bis ESSERE ‘A
TINA ‘E MIEZO.
Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco, lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di un carro atto allo scopo(carro trainato da un bove), tino nel quale, originariamente in quel di Torre del Greco, e poi in ogni paese rurale, veniva posto tutto il letame che, raccolto in giro e convogliato nel tino centrale per il tramite di due altri tini piú piccoli allogati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime naturale.
tina = tino, ma di piú grosse dimensioni; etimologicamente da tardo latino tinu(m), derivato da tina 'bottiglia', di orig. greca; tinum diede originariamente il maschile tino, poi volto al femminile tina in quanto di maggiori dimensioni, come spesso nell’idioma napoletano, dove un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella;
‘e miezo dal lat. mediu(m) = di mezzo: posto nella parte mediana di qualcosa; senza la preposizione ‘e (di) il solo miezo è aggettivo che vale: mezzo, metà.
Rammenterò che proprio per l’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini, la città di Torre del Greco finí per essere detta tout cour ‘A tina ‘e miezo e tale nomignolo le derivò anche per il fatto (rammentato nell’altra espressione: Napule fa ‘e peccate e ‘a Torre ‘e sconta (Napoli si macchia di peccati che vengono pagati da Torre)) che per un dannato, particolare gioco di correnti marine, le deiezioni corporali dei napoletani abbondantemente riversate in mare (cfr. alibi ‘a malora ‘e Chiaja) venivano trasportate verso Torre del Greco arenandosi sulla spiaggia della cittadina vesuviana;
peccate plurale di peccato che di per sé è la colpa, il peccato, ma ovviamente qui è inteso in senso lato e traslato di escremento;
etimologicamente dal latino peccatu(m) deverbale di peccare = macchiarsi di una colpa
Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco, lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di un carro atto allo scopo(carro trainato da un bove), tino nel quale, originariamente in quel di Torre del Greco, e poi in ogni paese rurale, veniva posto tutto il letame che, raccolto in giro e convogliato nel tino centrale per il tramite di due altri tini piú piccoli allogati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime naturale.
tina = tino, ma di piú grosse dimensioni; etimologicamente da tardo latino tinu(m), derivato da tina 'bottiglia', di orig. greca; tinum diede originariamente il maschile tino, poi volto al femminile tina in quanto di maggiori dimensioni, come spesso nell’idioma napoletano, dove un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella;
‘e miezo dal lat. mediu(m) = di mezzo: posto nella parte mediana di qualcosa; senza la preposizione ‘e (di) il solo miezo è aggettivo che vale: mezzo, metà.
Rammenterò che proprio per l’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini, la città di Torre del Greco finí per essere detta tout cour ‘A tina ‘e miezo e tale nomignolo le derivò anche per il fatto (rammentato nell’altra espressione: Napule fa ‘e peccate e ‘a Torre ‘e sconta (Napoli si macchia di peccati che vengono pagati da Torre)) che per un dannato, particolare gioco di correnti marine, le deiezioni corporali dei napoletani abbondantemente riversate in mare (cfr. alibi ‘a malora ‘e Chiaja) venivano trasportate verso Torre del Greco arenandosi sulla spiaggia della cittadina vesuviana;
peccate plurale di peccato che di per sé è la colpa, il peccato, ma ovviamente qui è inteso in senso lato e traslato di escremento;
etimologicamente dal latino peccatu(m) deverbale di peccare = macchiarsi di una colpa
sconta voce verbale (3ª pers. sing.ind. pres.) dell’infinito scuntà =
scontare, pagare un po’ per volta o anche ripetutamente;
etimologicamente da un tardo latino computu(m)= conto, con protesi di una s distrattiva.
Sempre con riferimento all’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini,faccio un passo indietro e reitero il riferimento alla locuzione C’è poca ‘a fà mmerda, pallottole! che viene usata a sapido commento di incresciose situazioni dalle quali non è dato ricavare (vuoi per mancanza di mezzi, vuoi per difficoltà intrinseche o per conclamate incapacità operative degli addetti) effetti o risultati positivi; ripeto che in effetti gli escrementi animali, il letame venivano raccolti con le pale,compattati dandogli una forma vagamente sferica a mo’ di palla; quando mancava il materiale da raccogliere, o non ce ne fosse a bastanza gli addetti commentavano la faccenda con la frase summenzionata, usata in seguito in ogni altra situazione incresciosa per insufficienza di mezzi, difficoltà operative etc.
etimologicamente da un tardo latino computu(m)= conto, con protesi di una s distrattiva.
Sempre con riferimento all’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini,faccio un passo indietro e reitero il riferimento alla locuzione C’è poca ‘a fà mmerda, pallottole! che viene usata a sapido commento di incresciose situazioni dalle quali non è dato ricavare (vuoi per mancanza di mezzi, vuoi per difficoltà intrinseche o per conclamate incapacità operative degli addetti) effetti o risultati positivi; ripeto che in effetti gli escrementi animali, il letame venivano raccolti con le pale,compattati dandogli una forma vagamente sferica a mo’ di palla; quando mancava il materiale da raccogliere, o non ce ne fosse a bastanza gli addetti commentavano la faccenda con la frase summenzionata, usata in seguito in ogni altra situazione incresciosa per insufficienza di mezzi, difficoltà operative etc.
mmerda/merda dal lat. merda(m) = escremento, sterco e
figuratamente: cosa che disgusta, persona spregevole, situazione ripugnante |
nella loc.ne agg.le ‘e mmerda=
pessimo, spregevole: fà ‘na fijura ‘e mmerda: fare una figura di merda = fare
una pessima figura; dal s.vo a margine deriva il s.vo mmerdajuolo = raccoglitore di sterco;
dal s.vo a margine deriva altresí l’agg.vo m.le o f,le mmerduso/mmerdosa
= inetto/a, incapace, buono/a a nulla. o di ragazzo/a che si atteggino
ad adulti;in tale significato sono usati piú spesso i diminutivi mmerdusillo/mmerdusella;
pallottole = plurale di pallottola = piccola palla; doppio
diminutivo attraverso i suffissi otto/a ed olus/ola del latino palla mutuato
dal longob. *palla, che à la stessa radice di balla involto di merci apprestato
per il trasporto.
5 MMERDA ‘E SPRUVIERO!
Letteralmente: Sterco
di sparviero!
Icastica, offesa
esclamatoria rivolta all’indirizzo d’uomo (e solo di uomo!) privo di
qualsivoglia personalità sia in senso positivo che in quello negativo; un
essere insomma che non sia né carne, né
pesce, un uomo privo di carattere, incapace di farsi apprezzare sia nel bene,
che nel male, un uomo di quelli che a Napoli son détti
inadatti sia ad esser fritti, sia ad
essere arrostiti; la spiegazione
semantica di tutto ciò è da ricercarsi nel fatto che lo sterco di sparviero si
ritiene non emani né lezzo, né olezzo, tanto
da farsi considerare quasi inesistente.
6 PIGLIÀ ‘NU STRUNZO ‘MBUOLO
intromettersi, intervenire a sproposito in
una questione che non ci riguardi; ‘mbuolo
sta per in + vuolo, dove vuolo
o buolo con tipica alternanza
partenopea b/v è un particolare
piccolo retino da pesca, usato per pescare a volo i pesci in transito; qualora
in luogo di pesce si pescasse uno stronzo
(dal longob. strunz 'sterco') si incorrerebbe in un’azione sciocca
ed inutile tal quale quella tipica di
arroganti, saccenti, supponenti che son soliti intromettersi,non richiesti,né sollecitati,
intervenendo a sproposito, in casi altrui e
non di loro pertinenza;
7 STRUNZO ‘MMIEZO!
Antica espressione dichiarativa del tutto desueta usata un tempo da chi si intromettesse in una
questione non propria o in un litigio, ma
con intenti pacificatorî; una sorta di “Alto là! Ora chetatevi, rappacificatevi, smettetela di litigare!
Ascoltate me che benché sia uno sciocco e non abbia autorità alcuna, vi prego
di desistere dal vostro incongruo comportamento!” Come si evince
l’espressione a margine à sostrato del tutto diverso da quella precedente con
la quale, da qualche sprovveduto, talora viene confusa: quella precedente è
riferita infatti a gli stupidi saccenti
ficcanasi impiccioni, mentre questa a margine è di competenza degli umili,
seppure coraggiosi o temerarî pacieri;
8 QUANNO ‘O MARE È CCALMO, ÒGNE STRUNZO È MMARENARO
Allorché il mare è calmo, cioè non è foriero di pericoli,
ogni incapace riesce a governare una barca o un piccolo naviglio facendo
apparentemente le viste d’essere un
autentico marinaio; allo stesso modo ogni pusillanime, se non ci sono pericoli,
rischi, azzardi o insidie fa le viste d’essere audace, ardimentoso, intrepido, valoroso,
prode, impavido;ugualmente ed ancóra di piú ogni sciocco, incapace, inetto,
inabile, dappoco, parolaio fa le viste d’essere capace, abile, valido, esperto,
sveglio, adatto, idoneo quando non ci sia da adoperarsi fattivamente per
risolvere piccoli o grossi problemi.
9 FÀ TREMMÀ ‘O STRUNZO ‘NCULO. Ad
litteram: far tremare lo stronzo nel culo
; id est: incutere in qualcuno,
attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli,
iperbolicamente, un convulso tremore
degli intestini e del loro contenuto
prossimo ad essere espulso.
10 JVE/GHIVE FACENNO ‘O GUAPPO A MMARE, MO
FAJE ‘O STRUNZO DINT’Â SPASELLA!
Facevi il guappo in
mare, adesso fai lo stronzo nel cestino
Detto a mo’ di sfottò per commentare l’ingloriosa fine di un
pesce che braveggiava in mare fino a
quando non è stato pescato e messo sul banco del pescivendolo; per estensione
e/o traslato il proverbio si attaglia figuratamente a tutti coloro che,
profittando di transeunte situazioni favorevoli, braveggiano sui piú deboli fino a quando
(essendo in realtà persone stupide, odiose,
saccenti e supponenti), venute meno quelle tali situazioni favorevoli al loro
braveggiare, non incappino in chi li faccia scendere dal loro piedistallo e/o
cavallo bianco sottomettendoli o
ridimensionandoli. guappo s.vo ed
agg.vo m.1 camorrista,
bravaccio, spaccone 2 (estens.)
persona sfrontata, arrogante | guappo’e cartone, persona che
nasconde dietro l'arroganza e la sfrontatezza una reale debolezza; come agg.vo: sfrontato,
arrogante;
quanto all’etimo è
voce dal latino vappa s.vo f.le che già
nel latino ebbe in primis il significato di vinello inacetito
e poi pertrasl., al m.le)
degenerato,bravaccio, uomo buono a nulla, cattivo soggetto tal quale il nap.
guappo; normale nel napoletano l’alternanza v→g (cfr. volpe/golpa – vunnella/gunnella –
vulio/gulio etc.).
strunzo s.vo ed agg.vo=
stronzo, escremento solido di forma cilindrica
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente
usato al feminile stronza
figuratamente ci si riferisce a donna che non dà nessun affidamento, che si
propone comportandosi in maniera eccessivamente civettuola dispensando a gli sguardi le proprie grazie
con fare, anche solo apparente, quasi
disonesto;
l’etimo della voce napoletana è dritto per dritto dal tedesco
strunz= sterco;
spasella s.f. tipico piccolo e leggero contenitore di
midollo ligneo intrecciato, in forma di vassoio rettangolare a sponde
basse,privo di manici; contenitore in
uso tra i pescivendoli campani per esporvi la merce sistemata ordinatamente ed
agghindata con ciuffi di alghe marine; è un contenitore che per avere
l’intreccio a maglie piuttosto larghe ben si presta a far passare l’acqua usata
per spruzzare il pesce contenuto nella spasella, al fine di mantenerne o
rinverdirne la freschezza.
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta – come ò detto - essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici,à l’etimo nel lat. neutro plur. expa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta – come ò detto - essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici,à l’etimo nel lat. neutro plur. expa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere
11 ÒGNE STRUNZO TÈNE 'O FUMMO SUĴO.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo, emana un lezzo caratteristico. Id est:ogni sciocco s’arroga la facoltà, nel bene o piú spesso nel male di farsi notare; ogni stupido si sente in diritto di esprimere la propria opinione che, inevitabilmente, à la valenza e la consistenza d’una esalazione mefitica.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo, emana un lezzo caratteristico. Id est:ogni sciocco s’arroga la facoltà, nel bene o piú spesso nel male di farsi notare; ogni stupido si sente in diritto di esprimere la propria opinione che, inevitabilmente, à la valenza e la consistenza d’una esalazione mefitica.
fummo s.vo neutro
1.il residuo
gassoso della combustione, che trascina in sospensione particelle solide
(ceneri, fuliggine ecc.) assumendo forma di nuvola bianca o grigiastra: ‘o
fummo ‘e n’incendio, ‘e ‘na cemmenèra, |signale ‘e fummo, (il fumo di un incendio, di una
ciminiera,|segnali di fumo), quelli ottenuti soffocando parzialmente
e a intermittenza un fuoco | fà fummo(far fumo), emanarlo (fig.)essere improduttivi | piglià ‘e
, sapé ‘e fummo (prendere di , sapere di fumo), acquistare,
avere un sapore sgradevole di fumo (détto di cibi cotti) | jí, jirsene
‘nfummo (andare, andarsene in fumo), bruciare completamente;
(fig.) svanire, fallire |mannà
‘nfummo coccosa (mandare in fumo qualcosa), bruciarla completamente;
(fig.) mandare a vuoto, far fallire: mannà
‘nfummo ‘nu pruggetto; mannà ‘nfummo ‘nu patrimmonio(mandare in fumo un piano; mandare in fumo un patrimonio),
dilapidarlo | è cchino ‘e fummo(è pieno di fumo), (fig.)
si dice di persona boriosa e di poco valore | vennere fummo(vendere fumo),
(fig.) raccontare fandonie, vantarsi di un credito che non si à | assaje fummo e poco arrusto(molto fumo e poco arrosto), (fig.)
si dice di persona o cosa che, nonostante l'apparenza, conclude o vale poco | vedé coccosa o quaccuno commeô fummo dinto a
ll’uocchie(vedere qualcosa o qualcuno
come il fumo negli occhi), (fig.) averlo in forte antipatia |
‘o fummo d’ ‘e stelle (fumo interstellare), (astron.)
gas commisto a particelle solide che circola tra una stella e l'altra
2 il fumo del tabacco; anche, l'atto, l'abitudine di fumare tabacco:te dà ‘mpiccio ‘o fummo? (ti dà fastidio il fumo?); tené ‘o vizzio d’ ‘o fummo(avere il vizio del fumo); ‘o fummo fa male â saluta(il fumo fa male alla salute).
3 (estens.) vapore, esalazione, polvere di aspetto simile a quello del fumo: ‘o fummo d’ ‘o sgarrupamiento, d’ ‘e ppignate(il fumo delle macerie, delle pentole) | fiato che si condensa a contatto con aria circostante molto più fredda: ògne cavallo.../abboffa ‘e naserchie e ccaccia fuoco e ffummo(ogni cavallo... / gonfia le nari e fumo e foco spira).
4 spec. pl. (fig.) annebbiamento dell'intelletto; ebbrezza prodotta dal vino: staje pigliato dê fumme d’ ‘o vino(sei in preda ai fumi del vino) | 5 (chim. fis.) sospensione di minuscole particelle solide in un gas
6 (non com.) fumacchio, fumaiolo
7 (ant.come nel caso che ci occupa) accenno, indizio || Usato come agg. invar. di colore scuro, che ricorda quello del fumo: griggio, niro fummo(grigio, nero fumo) | fummo ‘e Londra (fumo di Londra), colore grigio scurissimo.
2 il fumo del tabacco; anche, l'atto, l'abitudine di fumare tabacco:te dà ‘mpiccio ‘o fummo? (ti dà fastidio il fumo?); tené ‘o vizzio d’ ‘o fummo(avere il vizio del fumo); ‘o fummo fa male â saluta(il fumo fa male alla salute).
3 (estens.) vapore, esalazione, polvere di aspetto simile a quello del fumo: ‘o fummo d’ ‘o sgarrupamiento, d’ ‘e ppignate(il fumo delle macerie, delle pentole) | fiato che si condensa a contatto con aria circostante molto più fredda: ògne cavallo.../abboffa ‘e naserchie e ccaccia fuoco e ffummo(ogni cavallo... / gonfia le nari e fumo e foco spira).
4 spec. pl. (fig.) annebbiamento dell'intelletto; ebbrezza prodotta dal vino: staje pigliato dê fumme d’ ‘o vino(sei in preda ai fumi del vino) | 5 (chim. fis.) sospensione di minuscole particelle solide in un gas
6 (non com.) fumacchio, fumaiolo
7 (ant.come nel caso che ci occupa) accenno, indizio || Usato come agg. invar. di colore scuro, che ricorda quello del fumo: griggio, niro fummo(grigio, nero fumo) | fummo ‘e Londra (fumo di Londra), colore grigio scurissimo.
voce dal lat. fumu(m) con
raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m).
12 AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA
MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
13 SCERUPPÀ ‘NU STRUNZO
Premetto che nella
parlata napoletana la voce sceruppo
(con derivazione dal latino
medievale sirupu(m), se non dall’arabo sharûb= bevanda dolce) normalmente indica le voci italiane sciroppo, sciloppo o siroppo
per significare una soluzione molto concentrata di zucchero in acqua o in
succhi di frutta che viene impiegata nella fabbricazione di bibite o in
farmaceutica, per preparazioni
medicinali, allo scopo di rendere piú gradevole il sapore del principio
attivo:es.: sciroppo per la tosse
etc.
Donde si evince che la voce sceruppo di suo indica una cosa gradevole al palato, un giulebbe:
qualcosa di molto zuccheroso ed
aromatico, insaporito con succo di frutta o infuso di fiori, ed estensivamente
un cibo o piú spesso una bevanda molto dolce; allo stesso modo il verbo
denominale sceruppà come significato
primario indica l’azione di conservare frutta ed altro in uno liquido molto zuccheroso ed aromatico, variamente
profumato ed insaporito.
Le cose cambiano, e di molto, quando dal significato
primario si passa a quello ironico se non addirittura antifrastico, allorché
cioè la voce sceruppo lungi dal
significare bevanda zuccherosa ed
aromatica vale: cosa o persona
fastidiosa, nociva o anche situazione dannosa o pericolosa soprattutto nelle espressioni esclamative del
tipo vi’ che sceruppo! oppure siente,
sie’ che sceruppo! o anche siente,
sie’ che sceruppo ‘e ceveze! che
letteralmente valgono guarda che
sciroppo! oppure senti che sciroppo! o
anche senti che sciroppo di gelse!
È ovvio che i verbi guardare
e sentire non vanno intesi nel
loro senso reale, ma in quelli estensivi di porre
attenzione, considerare etc. volendo
dire di una persona o situazione fastidiosa quando non nociva o dannosa: “Osserva,considera quanto ciò o costui/costei è fastidioso/a, nocivo/a,
dannoso/a”; e per significare tutto ciò, in napoletano basta usare l’esclamazione: “Siente che sceruppo!” esclamazione che
poi si colora di maggior grevezza e/o fastidio se si aggiunge uno
specificativo: siente che sceruppo ‘e
ceveze!, atteso che lo sciroppo di gelse, benché odorosissimo è grandemente
appiccicoso, risultando molestamente importuno, di cui sarebbe difficile liberarsi e/o nettarsi se
qualcuno se ne imbrattasse mani o
abiti…; si usa però l’esclamazione siente che sceruppo! nel senso ironico
suddetto non necessariamente in presenza di grave danno o pericolo, ma anche
soltanto per bollare il fastidioso
comportamento di talune persone,uomini o donne, ma piú spesso donne che usano berciare, blaterare, litigare alzando i toni etc.
Ciò premesso rammenterò, come ò già accennato, che il verbo
denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo
significato quello di conservare frutta o
altro nello sciroppo o pure indulcare
o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel
significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la
presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che
tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano
sceruppà è usato anche figuratamente
nel medesimo senso di sopportare,
sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.
Torniamo all’espressione
sceruppà ‘nu strunzo che vale ad
litteram: sciroppare uno stronzo, ma
va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto
sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a
vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e
la cosa vale soprattutto nei confronti
di chi supponente e saccente, ciuccio e
presuntuoso, pretende arrogantemente
di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di
scienza e conoscenza conclamate ed
invece in realtà è persona che poggia
sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti
onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con
iattanza, boria e presunzione, guardando
l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività,
coniugando al part. passato l’infinito sceruppà,
è detto strunzo sceruppato= stronzo
sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e
non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa
zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.
Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in
tal caso, come per il precedente stronzo
sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale
si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa
e quand’anche si riuscisse a coprirlo di
glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia
impossibile da farsi) mostrerebbe
sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma
rumoroso gas intestinale!
14 N' AGGIO
SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei un cosí grosso stronzo )che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti di una ipotetica pentola destinata all’uso. Locuzione analoga a quella in epigrafe è quella che recita: 14bis N' AGGIO APPISE STRUNZE, MA TU M’ HÊ RUTTO ‘O CHIUOVO... Id est: Ne ò appesi stronzi, ma tu mi ài spezzato il chiodo (che ti sosteneva);in questa locuzione il soggetto che si dimostri per pensiero e/o azione, cosí esageratamente pezzo di merda à messo a dura prova la consistenza dell’ipotetico chiodo al quale è appeso sino a spezzarlo. aggio scaurato= ò bollito, ò lessato voce verbale (1ª pers. sg. pass. pross.) dell’infinito scaurare/scaurà = scaldare, render caldo, cuocere, lessare,bollire derivato dal latino volgare ex (intensivo) + caldàre←calidare con tipica alternanza osco-mediterranea d/r e consueto passaggio di al→au come altrove da altus→àuto→àveto= alto o da alter→àuto→ato= altro.
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei un cosí grosso stronzo )che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti di una ipotetica pentola destinata all’uso. Locuzione analoga a quella in epigrafe è quella che recita: 14bis N' AGGIO APPISE STRUNZE, MA TU M’ HÊ RUTTO ‘O CHIUOVO... Id est: Ne ò appesi stronzi, ma tu mi ài spezzato il chiodo (che ti sosteneva);in questa locuzione il soggetto che si dimostri per pensiero e/o azione, cosí esageratamente pezzo di merda à messo a dura prova la consistenza dell’ipotetico chiodo al quale è appeso sino a spezzarlo. aggio scaurato= ò bollito, ò lessato voce verbale (1ª pers. sg. pass. pross.) dell’infinito scaurare/scaurà = scaldare, render caldo, cuocere, lessare,bollire derivato dal latino volgare ex (intensivo) + caldàre←calidare con tipica alternanza osco-mediterranea d/r e consueto passaggio di al→au come altrove da altus→àuto→àveto= alto o da alter→àuto→ato= altro.
strunze = stronzi plurale metafonetico di stronzo= stronzo
s. m.
(volg.) escremento solido di forma cilindrica
(fig.) persona stupida, odiosa, cattiva, maligna (e son queste le accezioni considerate per la voce in epigrafe) dim. stronzetto, stronzino. con etimo dal long. strunz = sterco;
(fig.) persona stupida, odiosa, cattiva, maligna (e son queste le accezioni considerate per la voce in epigrafe) dim. stronzetto, stronzino. con etimo dal long. strunz = sterco;
jesce= esci voce verbale (2° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito
ascire/ascí = uscire ma qui debordare,
tracimare con etimo dal tardo lat. ab-exire→*a-(e)xire→assire→ascire;
piere/i= piedi, estremità
plur. metafonetico di pere= piede con etimo dal lat. pede(m) con tipica alternanza osco-mediterranea d/r.
‘a fora = da/di fuori loc. avv. di moto da luogo;
‘a (da non confondere con ‘a=
la art. determ. femm.) è la prep. semplice da che deriva dal lat. de ab nei valori di
moto da luogo, origine, agente ecc.; o dal
lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo,
destinazione, modo, fine ecc;
fora = fuori avv. di luogo; la voce partenopea deriva dal lat. fora-s e non da fori-s (da cui invece l’italiano fuori) come si evince – nel napoletano – dalla
mancanza di dittongazione e/o metafonia.
15 DOPP’ Â STRAZZIONE OGNI STRUNZO È PRUFESSORE
Riportatata anche, per motivi eufemistici, come Dopp’
â strazzione ogni ffesso è prufessore
Ogni sciocco fa il professore solo quando sia già avvenuta l’estrazione dei
numeri del lotto Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni
sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo
stupido comportamento di coloro che ,incapaci di fare qualsiasi previsione o di
dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando,
verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo
lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe
conseguenze...di un comportamento.
E consideriamo ora
altri etimi di voci non considerate precedentemente:
strazzione s.vo f.le =
estrazione (dal lat. mediev. extractione(m), deriv. di extractus,
part. pass. di extrahere 'estrarre': (e)xtractione(m)→strazione→strazzione
con nel napoletano normale raddoppiamento espressivo della
affricata alveolare sorda z come altrove raddoppiamento espressivo della l'occlusiva
velare sonora g delle voci che
normalmente terminano in gione (cfr.
ragione→raggione, regione→riggione etc.)
sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce;
sceruppà = sciroppare denominale
del precedente;
ceveze =plurale di ceveza/ceuza
= gelsa, esattamente ed in primis il
frutto del gelso: albero con piccoli frutti commestibili, dolci, di colore nero
o bianco (more) e foglie cuoriformi, di cui si nutrono i bachi da seta (fam.
Moracee); per traslato furbesco e giocoso con la voce a margine a Napoli
anticamente ma ancóra oggi nella città bassa, tra i napoletani d’antan, si intendono anche le emorroidi
irritate, gonfie e che diano prurito;
l’etimo delle napoletane cèveza/cèuza è
dall’ acc.vo latino (arborem)
celsa(m)=albero alto; da cèlsa→*celza
con successivo passaggio di lz ad uz per cui si ottenne cèuza e successiva epentesi eufonica del
suono v tra la è tonica e
la u evanescente fino ad ottenere cèvuza o cèveza. Ricorderò che ad oggi a Napoli città la voce usata da
tutti (borghesi e/o popolani) è cèveza, mentre nel contado
provinciale è piú facile trovare ancòra l’antica voce cèuza ;
vi’ = vedi; forma apocopata di vide voce verbale che
indica o la 2ª pers. sing. dell’indic. pres. dall’infinito vedé=vedere o può indicare, come nel
caso che ci occupa, la 2ª pers. sing. dell’imperativo dall’infinito vedé=vedere con etimo dal basso lat. *videre per il classico vidíre;
siente /sie’=senti;sie’ non è che la forma apocopata
di siente=senti
voce verbale che indica o la 2ª
pers. sg. dell’indic. pres. dall’infinito sentí=sentire,
udire o può indicare, come nel caso che ci occupa, la 2ª
pers. sg. dell’imperativo dall’infinito sentí=sentire, udire e qui porre
attenzione con etimo dal basso latino sentire;
ciuccio = asino, ciuco
soprattutto nel significato di ignorante;
non di facile lettura l’etimologia di ciuccio; c’è chi opta per il lat. cicur= mansuefatto domestico, chi per
il lat. cillus da collegare al greco
kíllos asino chi per lo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo
del cavallo; son però tutte ipotesi e segnatamente quella che si richiama
all’iberico chico= piccolo, ipotesi
che per l’asperità del cammino morfologico, se non semantico non mi convincono
molto;non mi convince altresí, in quanto m’appare forzata, l’idea che il napoletano ciuccio sia da collegare all’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e
figuratamente uomo stupido, insensibile ed
estensivamente ignorante ed in
conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice dell’arabo sciach-arà= ragliare che è il verso
proprio dell’asino;rammenterò che dalla medesima radice nasce sceccu che è il nome in siciliano
dell’asino.
strunzo = stronzo,
escremento solido di forma cilindrica
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente
l’etimo della voce napoletana è dritto per dritto dal
tedesco strunz= sterco;
píreto =peto, emissione
rumorosa di gas intestinale con etimo dal lat. peditu(m), deriv. di pedere
'fare peti'; da notare nella voce napoletana la consueta chiusura per
metafonesi della sillaba tonica d’avvio
nel s.vo m.le donde pe passa a pi
oltre la tipica alternanza osco mediterranea di d/r mentre la vocale
postonica i s’apre diventando e ma di timbro evanescente; nel corrispondente
s.vo f.le péreta non v’à motivo
metafonetico (attesa la presenza della vocale aperta finale [A]) e la
sillaba pe non diventa pi.
annasprato=coperto di
naspro voce verbale part. pass. masch. sg. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire
di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare)
sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi
trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è
difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può
tentare di tradurre naspro con il
termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri
meridionali la voce naspro indicò ed
ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora
colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza
semplice o povero; in sèguito si usò il naspro
colorato per ricoprire delle torte
dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro
rigorosamente bianco; a Napoli non vi
fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa
zuccherina bianca: la voce gattò
mariaggio nel significato di torta
del matrimonio fu dritto per dritto dal francese gâteau (de) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi
di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta
sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire
l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi
convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio
che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a proporre una mia
ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è
che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare
ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro,
piuttosto che ad un greco (n?)àspros.
Spero di non essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non
convincimento, sono in ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non
si disse soddisfatto dell'ipotesi
Cortelazzo/Marcato e trovò (ma spero non lo abbia fatto per mera amicizia...) piú perseguibile la mia
idea.
‘mmiezo = in mezzo (da
in + medium)
guappo s.m. voce viva
e vegeta con molti derivati nei linguaggi partenopeo e/o meridionali, voce nata
al sud ed ivi testimoniata fin dalla fine del XVII sec., ma trasmigrata
dapprima in area lombarda e poi accolta nel lessico nazionale nei significati
di prepotente, sopraffattore, prevaricatore, tirannico, aggressivo,
arrogante, bullo, sfaccendato, audace,
e poi anche ostentato nel vestire e nell’incedere e da ultimo (XX sec.)
teppista, bravaccio,
camorrista, persona sfrontata e tracotante, spavaldo.
Quanto
all’etimo la maggioranza degli addetti ai lavori, a cominciare dal D.E.I.,
propendono per una culla iberica (guapo=
bello, vistoso) la cosa però non mi
convince molto attesa anche
l’esistenza della voce francese guape = teppista che, a quel che pare, fu recepita nello
spagnolo che ne trasse il suo guapo
dal quale poi il napoletano avrebbe mutuato il suo guappo; solo un’attenta
ricerca storico-linguistica ci potrebbe dire perché mai il napoletano avrebbe
dovuto attingere nello spagnolo e non direttamente dal francese gergale antico;
confesso di non essere attrezzato per una tale attenta ricerca
storico-linguistica; mi limiterò perciò ad evitare sia la via iberica che
quella francese, per tornare a percorre, in ottima compagnia: Cortelazzo-
Zolli, come già feci alibi, la strada di
un lat.classico vappa=, vinello
inacetito e come tale aspro, semanticamente accostabile al
carattere/comportamento del guappo;normale poi nel napoletano l’alternanza v→g
(cfr. vunnella/gunnella, vallo/gallo, vallina/gallina etc.).
prufessore s.vo m.le =professore 1
normalmente chi insegna in una scuola di grado superiore, ma a Napoli anchi chi
insegni alle scuole elementari: professore di scuola media, di liceo,
di università; professore di scienze, d'italiano, di
filosofia; professore ordinario, straordinario, incaricato
| saperne quanto un professore, essere molto dotto o versato in un
particolare campo; fare il professore, darsi arie di professore, parlare
come un professore, si dice per indicare una persona che ama ostentare
dottrina, che è saccente, pedante. 2 (estens.) insegnante in
genere: professore di musica, di danza
3 titolo di chi suona in un'orchestra, spec. Sinfonica
3 titolo di chi suona in un'orchestra, spec. Sinfonica
(dal lat. prōfessore(m), deriv. di profitíri,
nel sign. di 'insegnare pubblicamente'; normale in napoletano della chiusura in
u della
ō
o intesa tale);
fijura s.vo f.le =
figura, aspetto esteriore di una
cosa; sagoma, forma (dal lat. figura(m), da fingere
'plasmare, foggiare');
spasella s.vo f.letipico
piccolo e leggero contenitore di midollo ligneo intrecciato, in forma di
vassoio rettangolare a sponde basse,privo di manici contenitore in uso tra i
pescivendoli campani per esporvi la merce sistemata ordinatamente ed agghindata
con ciuffi di alghe marine; è un
contenitore che per avere l’intreccio a maglie piuttosto larghe ben si presta a
far passare l’acqua usata per spruzzare il pesce contenuto nella spasella, al
fine di mantenerne o rinverdirne la freschezza.
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici, voce che à l’etimo nel lat. neutro plur. (e)xpa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere;
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici, voce che à l’etimo nel lat. neutro plur. (e)xpa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere;
rumma s.vo f.le =
rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da
zucchero fermentata.la voce inglese rum è
derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al
comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana
rumma è coniata su quella inglese con una tipica
paragoge, ma qui di una piena a finale
(invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento
espressivo della m etimologica fino
a formare la seconda sillaba ma della voce rumma,
come altrove tramme←tram,barre←bar
etc.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa
etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
addiventa =diventa voce verbale (3ª pers. sing. ind. pres.) dell’infinito addiventà = divenire, venire a essere,
trasformarsi in derivato dal lat. volg. ad+ *deventare, forma rafforzata (vedi prep. ad) di quella
intensiva deventare del lat. devenire
= divenire; da notare la
particolarità che la voce verbale a
margine (indicativo presente) è resa in italiano con il futuro, tempo che –
quantunque esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani – è pochissimo
usato, preferendogli un presente in funzione futura o altrove costruzioni del
tipo aggi’ ‘a = devo da;
maje =
mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato
dal latino mag(is)= piú con
caduta della sibilante finale e della g intervocalica
sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale ;
babbà = babà
tipico dolce partenopeo ( tuttavia
non originario in quanto pare importato a Napoli, sotto il regno di Ferdinando
I di Borbone, da pasticcieri francesi (chiamati a Napoli da Maria Carolina e
richiesti a sua sorella Maria Antonietta)che l’avevano mutuato da dolcieri
polacchi che s’ era portato dietro nel suo esilio parigino il re Stanislao Leszczinski, re di Polonia dal 1704 al 1735.e che una leggenda,
priva di supporti storici, vuole
inventore - per puro caso - del dolce ) di pasta soffice e lievitata,
intrisa di uno sciroppo al rum. La voce napoletana, con tipico raddoppiamento
espressivo della seconda labiale esplosiva, è dal fr. baba→babbà, che è dal
polacco baba '(donna vecchia').
tremmà/tremmare = tremare, vacillare, traballare, sussultare,
vibrare, tremolare;( dal lat. tremere, con mutamento di coniugazione e
raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m).
chiuovo s.vo m.le
(in primis)1 barretta metallica di varie forme e dimensioni, generalmente appuntita a un'estremità e con una testa piú o meno larga all'altra, che serve a unire fra loro parti di metallo, legno o altro materiale, o per appendere oggetti alle pareti: conficcare, piantare un chiodo con il martello; chiodi da tappezziere, da calzolaio, da carpentiere | elemento metallico da applicare a suole di scarpe, pneumatici ecc. per rinforzarli e migliorarne l'aderenza al suolo | in alpinismo, attrezzo che si conficca in parete per sostenere una corda: chiodo da roccia, da ghiaccio | essere sicco comme a ‘nu chiuovo -esseremagro come un chiodo, magrissimo | rrobba ‘a chiuove - roba da chiodi, (fam.) cosa incredibile o gravemente riprovevole, meritevole d’essere inchiodata al muro a mo’ di ricordo o ammonimento | chiuovo leva chiuovo - chiodo scaccia chiodo, (fig.) una preoccupazione ne fa dimenticare un'altra | attaccà quaccosa ô chiuovo - attaccare qualcosa al chiodo, (fig.) cessare di usarla: attaccà ‘e guantune, ‘a bicicletta ô chiuovo- attaccare i guantoni, la bicicletta al chiodo, ritirarsi dal pugilato, dal ciclismo | tené ‘nu chiuovo ‘nfronte, dint’ô scianco avere un chiodo in fronte, al fianco, (fig.) avere mal di testa, provare una fitta al fianco | tené ‘nu chiuovo ‘ncapa-avere un chiodo in testa, (fig.) un'idea fissa, una preoccupazione assillante;
2 (fig. fam.) debito: piantà e levà chiuove-piantare e levar chiodi, fare, pagare debiti
3 (figuratamente e semanticamente collegato al sentimento d’amore, perché – come questo – punge e perfora (l’animo))i figli, la prole definiti chiuove ‘e dDio.)
(in primis)1 barretta metallica di varie forme e dimensioni, generalmente appuntita a un'estremità e con una testa piú o meno larga all'altra, che serve a unire fra loro parti di metallo, legno o altro materiale, o per appendere oggetti alle pareti: conficcare, piantare un chiodo con il martello; chiodi da tappezziere, da calzolaio, da carpentiere | elemento metallico da applicare a suole di scarpe, pneumatici ecc. per rinforzarli e migliorarne l'aderenza al suolo | in alpinismo, attrezzo che si conficca in parete per sostenere una corda: chiodo da roccia, da ghiaccio | essere sicco comme a ‘nu chiuovo -esseremagro come un chiodo, magrissimo | rrobba ‘a chiuove - roba da chiodi, (fam.) cosa incredibile o gravemente riprovevole, meritevole d’essere inchiodata al muro a mo’ di ricordo o ammonimento | chiuovo leva chiuovo - chiodo scaccia chiodo, (fig.) una preoccupazione ne fa dimenticare un'altra | attaccà quaccosa ô chiuovo - attaccare qualcosa al chiodo, (fig.) cessare di usarla: attaccà ‘e guantune, ‘a bicicletta ô chiuovo- attaccare i guantoni, la bicicletta al chiodo, ritirarsi dal pugilato, dal ciclismo | tené ‘nu chiuovo ‘nfronte, dint’ô scianco avere un chiodo in fronte, al fianco, (fig.) avere mal di testa, provare una fitta al fianco | tené ‘nu chiuovo ‘ncapa-avere un chiodo in testa, (fig.) un'idea fissa, una preoccupazione assillante;
2 (fig. fam.) debito: piantà e levà chiuove-piantare e levar chiodi, fare, pagare debiti
3 (figuratamente e semanticamente collegato al sentimento d’amore, perché – come questo – punge e perfora (l’animo))i figli, la prole definiti chiuove ‘e dDio.)
4 chiuovo ‘e
carofano = chiodo di garofano, (bot.) gemma florale di un
albero esotico delle mirtacee che, essiccata, si usa come spezie
voce derivazione del
lat. clavu(m);normale nel napoletano
la risoluzione in chi del digramma cl
(cfr. clausum→chiuso, ecclesia→chiesa, clave-m→chiave etc.)
5(per traslato furbesco e salace,
) la voce nel parlato della città bassa
vale pene, membro maschile con riferimento semantico alla tipica forma di una grossa barretta metallica appuntita ed alla sua attitudine a penetrare qualcosa.
Voce dal lat. volg. claudu-m→clauvu-m→chiuovo
con caduta della –d- intervocalica
sostituita dal suono di transizione –v-.
In coda ed a chiusura di tutto quanto fin qui scritto
riporto l’indicazione di due dei numeri della smorfia napoletana d’argomento
scatologico:
43,
‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE = letteralmente donna Pereta fuori (affacciata) al
balcone; citroviamo dinnanzi ad una locuzione usata con divertente immagine
per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata,
volgare, sfrontata ed, a maggior
ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che
volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia
di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al
balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue
pessime qualità la donna le inalberi e
le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente
intuibili laddove si ponga mente che il
termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di
persona) è il femminile ricostruito
di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto,
scorreggia che sono manifestazioni
viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente
dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione
viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella donna becera,
sguaiata, volgare e sfrontata è detta,
volta volta:locena che nel
suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed il successivo locio (dove è evidente
l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante
una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da
locio a locia e successiva locina con
consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la
lettura, si è pervenuto a locena; lumera =
esattamente lume a gas e lume a ggiorno =lume a
petrolio atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo
quotidiano costume l’accendersi
iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello
simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno)
ambedue altresí maleolenti tali quale una
pereta.;
16 71,LL’OMMO
‘E MMERDA letteralmente
l’uomo di merda ossia l’uomo dappoco, la persona infida, riprovevole,disonesta,
o solo d’animo ignobile, cosí definito in quanto si appaleserebbe tal quale
fosse, per iperbole, formato di
escrementi; l’espressione a margine sostanzia una corposa offesa rivolta appunto nei confronti di chi venga considerato mancante di ogni decoro e/o dignità ed al
contrario mostri cattiveria e protervia d’animo; costui a volte viene
apostrofato con la voce mmerdajuolo, usata come sinonimo di
quella a margine, quantunque di per sé ( con derivazione dal latino merda(m)
con i suff. arius ed olo) indicherebbe, come ò già détto
colui che – per lavoro – raccattava gli
escrementi animali per igiene pubblica e li rivendeva per
concimare i campi; Giunti a questo punto avremmo esaurito l’argomento,
ma mi piace aggiungere un simpatico icastico proverbio che sebbene non tratti
esattamente di escrementi tocca l’organo/mezzo deputato alla deiezione. Eccolo
17 CULO CA NUN CUNOSCE CAMMISA, QUANNO ‘A VEDE LLE
SCAPPA A RRISA.
Letteralmente: Culo che non à conosciuto (mai) una camicia,quando la
vede (per la prima volta) ne ride. Id est: chi non à dimestichezza con il buono
e/o l’utile non è capace di apprezzarlo o
prenderlo sul serio; con altra valenza piú circoscritta: il povero che
non è aduso all’agiatezza non gode
neppure nei rari momenti di abbondanza.
Culo s.vo m.le il culo, sedere, deretano che etimologicamente è voce derivata dal greco koilos
attraverso il basso latino culu(m);
cammisa s.vo f.le camicia,
indumento di tessuto generalmente leggero, abbottonato sul davanti, con colletto e maniche lunghe o corte, che ricopre la parte superiore del corpo; voce dal lat. camisia(m) e tipico raddoppiamento espressivo della labionasale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m) etc.
indumento di tessuto generalmente leggero, abbottonato sul davanti, con colletto e maniche lunghe o corte, che ricopre la parte superiore del corpo; voce dal lat. camisia(m) e tipico raddoppiamento espressivo della labionasale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m) etc.
nun/’un/nu’/nunn avv.di negazione = non
1 serve a negare il concetto espresso dal verbo a cui si riferisce o a rafforzare una frase che contiene già un pron. negativo: nun venette; nun parlaje pe tutt’ ‘o juorno(non venne; non parlò per tutto il giorno); nun ce sta nisciuno dubbio(non c'è alcun dubbio);nun c’è probblema (non c'è problema);nun ce sta nisciuno(non c'è nessuno), | ch’è che nunn è(che è, che non è), (fam.) tutto a un tratto, senza una ragione evidente:ch’è, che nunn è, fernette ‘e parlà e se ne jette (cosa è, cosa non è, smise di parlare e se ne andò) | in espressioni ellittiche: no ca nun ce crero, ma(non che io non ci creda, ma...), non intendo dire di non crederci, ma...;
1 serve a negare il concetto espresso dal verbo a cui si riferisce o a rafforzare una frase che contiene già un pron. negativo: nun venette; nun parlaje pe tutt’ ‘o juorno(non venne; non parlò per tutto il giorno); nun ce sta nisciuno dubbio(non c'è alcun dubbio);nun c’è probblema (non c'è problema);nun ce sta nisciuno(non c'è nessuno), | ch’è che nunn è(che è, che non è), (fam.) tutto a un tratto, senza una ragione evidente:ch’è, che nunn è, fernette ‘e parlà e se ne jette (cosa è, cosa non è, smise di parlare e se ne andò) | in espressioni ellittiche: no ca nun ce crero, ma(non che io non ci creda, ma...), non intendo dire di non crederci, ma...;
2 (ant.) col valore di no: nun servarrà po dicere’e no, si avarraje ditto ‘e sí ‘na vota(non varrà poi dire / di non, s'avrai di sì detto una volta)
3 nelle contrapposizioni, anche col verbo sottinteso: nunn è bbello, ma ‘ntelliggente(non è bello, ma intelligente); isso fuje pe mme nun sulo ‘nu pate, ma pure n’amico(egli fu per me non solo un padre, ma un amico) | in espressioni ellittiche: vène o nun vène;prufessore o nun prufessore(venga o non venga; professore o non professore) (ma non quando non è ripetuto il primo elemento:vène o no, prufessore o no( venga o no, professore o no))
4 nelle interrogative dirette e indirette che attendono una risposta affermativa e nelle interrogative retoriche: nun avive ‘a partí stasera?(non avresti dovuto partire stasera?); nunn’ è overo?( non è vero?); m’addimanno si nun fosse stato meglio a lassà perdere; comme facevo a nun crerelo?(mi chiedo se non sarebbe stato meglio rinunciare; come potevo non credergli?)
5 si usa pleonasticamente in alcune locuzioni: è cchiú facile ‘e chello ca tu nun cride(è più facile di quel che tu non creda);nunn’ appena( non appena), appena che; | in talune frasi esclamative ed in senso antifrastico: ‘e buscie ca nun m’à ditto!(le bugie che non mi à detto!); ‘e fessarie ca nun hê fatto(le sciocchezze che non ài fatto!) | quando il verbo a cui si riferisce è retto da congiunzioni o locuzioni come fino a cche, pe ppoco, a meno che, salvo che, ‘a fora ‘e che e sim.: t’aspettofino a cche nunn’arrive( ti attenderò finché non arriverai); pe ppoco nunn’ è caduto(per poco non è caduto). E qui ricordo che nunn dal lat. nonne→nunne→ nunn usato davanti a vocale va apostrofato.
6 in litote, preposto a un aggettivo, un sostantivo
o un avverbio: è stata ‘na facenna nun
facile (è stata un'impresa non facile),
difficile; nun poche ‘a penzano comme a
nnuje(non pochi la pensano come noi),
parecchi; aggiu faticato nun poco…(ò lavorato non poco), molto; nun sempe(non sempre), raramente; nun
senza fatica(non senza fatica),
con notevole fatica;
rammento che il
medesimo, originario avv. di negazione nun
può esser reso secondo le occorrenze con altre morfologie:aferizzato,
di solito in principio di frase, ‘un: ‘un me faccio capace(non me ne convinco) ‘un
‘o ssaccio!(non lo so),apocopato nu’
che (secondo il principio che la caduta finale di una o piú consonanti non
necessita di una indicazione diacritica) si potrebbe anche rendere
semplicemente nu Tuttavia è preferibile adottare la
morfologia nu’ poi che nel
napoletano scritto si potrebbe ingenerare confusione tra l’art. indeterminativo
‘nu/’no
e la negazione nun= non che
talvolta viene apocopata in nu da rendersi perciò nu’
(facendo un’eccezione rispetto alla regoletta per la quale i termini apocopati
di cononante/i e non di sillaba vocalica,
non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu da cum – pe da per – mo da mox – po da post )
dicevo da rendersi però nu’ per evitarne la confusione con
l’omofono articolo ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘)
d’aferesi e ciò in barba a troppi
moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente
invalso il malvezzo di rendere
l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla
medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na
senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un
piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la
pagina scritta, laddove invece,il non
segnarlo, a mio avviso, è segno di
sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo,F.
Russo, E.De Filippo, EduardoNicolardi
etc.). Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori napoletani, anche famosi e/o famosissimi non
potettero avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del napoletano, supporti che furono inesistenti
del tutto, mentre i pochissimi esistenti
(Galiani, Oliva, Serio) furono malamente diffusi, né potettero far testo, vergati com’erano
stati da addetti ai lavori non autenticamente napoletani
e pertanto, spesso, imprecisi
e/o impreparati. Ancóra ricordo che moltissimi autori furono istintivi e
spesso mancavano del tutto di adeguata
preparazione scolastica (cfr. V.Russo, R.Viviani etc.), altri avevano studiato
poco e male e quelli che invece avevano adeguata
preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, E. Nicolardi etc. spessissimo la usarono maldestramente adattando
le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che
invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale
e diretto discendente del latino parlato.
Per concludere,e valga una volta per sempre, a mio avviso
nel napoletano scritto gli articoli indeterminativi vanno sempre corredati del
segno d’aferesi (etimologicamente esatti!)ed il non farlo è segno di
sciatteria, pressappochismo e forse sicumera! Esempio di questo nun→nu’usato
per solito davanti a consonante e/o in frasi esclamative: e nu’ sta bene!(non sta fatto bene!), statte zitto, nu’ pparlà sempe
tu!(taci, non parlar sempre tu!); si à infine la forma nunn usata davanti a
parole comincianti per o,e, hê: nunn’ ‘o ddicere! (non dirlo!)nunn’ ‘e ssiente? (non le senti?) nunn’
hê capito niente! (non ài compreso nulla!).
cunosce = conosce,sa, prova etc. (voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’infinito cunoscere
dal lat. volg. *cōnoscere, per il class. cognoscere, comp.
di cum 'con' e (g)noscere 'conoscere' con tipica chiusura della ō→u).
quanno avv. di tempo = quando, allorché
nel momento che ogni volta che, tutte le volte che (con valore
iterativo) giacché, dal momento che (con valore causale):: avv.
derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;
‘a = la pron. pers. f.le di terza pers. sing. [forma complementare
atona di , essa] omofona ed omografa di ‘a art. determ. f.le sg. la
nonché di ‘a forma aferizzata di da
1 si usa come compl. ogg. riferito a persona o cosa, sia in posizione enclitica sia proclitica; in posizione proclitica si può elidere davanti a vocale purché non generi ambiguità: ‘a vedette ajere(la vidi ieri); ‘aggiu ‘ncuntrata poco fa, aspettammola(l'ò incontrata poco fa, aspettiamola); damme ‘a lettera, ‘a voglio leggerla(dammi la lettera, voglio leggerla) voce dal lat. (ill)a(m), f.le di ille 'quello'
1 si usa come compl. ogg. riferito a persona o cosa, sia in posizione enclitica sia proclitica; in posizione proclitica si può elidere davanti a vocale purché non generi ambiguità: ‘a vedette ajere(la vidi ieri); ‘aggiu ‘ncuntrata poco fa, aspettammola(l'ò incontrata poco fa, aspettiamola); damme ‘a lettera, ‘a voglio leggerla(dammi la lettera, voglio leggerla) voce dal lat. (ill)a(m), f.le di ille 'quello'
vede = vede (voce verbale 3ª p. sg. ind. pres. dell’infinito vedere/vedé dal lat. vidíre con la particolarità
che la 1ª p. sg. dell’ind. pres. veco
trae da un *vedico→ve(d)ico→veico→veco analogo al *vadico→va(d)ico→vaico→vaco
1ª p. sg. dell’ind. pres.
dell’infinito jí (andare).
lle = le/gli pron.
pers. f.le e m.le di terza pers. sing. forma complementare atona di essa
, essa/esso; si usa come compl. di termine riferito a persona o a cosa,
sia in posizione enclitica sia proclitica: lle
screvette io ‘e vení(le/gli scrissi io
di venire); dicennole chesto se ne jette (ciò dicendole/gli se ne
andò); ‘a lettera sta ‘ncopp’â
tavula, si vuó lle puó ddà ‘nu sguardo(la
lettera è sul tavolo, se vuoi puoi darle un'occhiata)
scappa a rrisa =(gli)
viene da ridere; locuzione verbale del
presente indicativo formata da
scappa a = inizia a, principia a (voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’infinito scappà che di per sé in primis vale 1 allontanarsi in fretta, fuggire;
2 correre via, andare in fretta; 3 uscire, sbucar fuori, con
riferimento a cosa che non sta al suo posto; ma si dice pure (ed è il ns. caso)
4 di stimolo fisico che si faccia sentire in modo
incontenibile, irresistibile: scappà a ridere, scappà a chiagnere (scappare a
ridere, scappare a piangere).
rrisa s.vo f.le pl. (il sg. non è usato) = risate, il ridere, il modo di
ridere; voce dal lat. neutro pl. risa di
risu(m) deverbale di ridíre.
18. FÀ ‘NU PIRETO
VIULETTO
Icastica, ironica ancorché becera locuzione che tradotta ad litteram suona: “fare un peto
violetto”, ma che – come chiarisco – deve rendersi piú acconciamente con “fare un peto violento” atteso che il violetto dell’epigrafe è una patente
corruzione nel parlato popolare di un originario viulento; tale locuzione ironicamente è riferita a chi
sorprendentemente faccia qualcosa di
tanto positivo ben lontano dal suo
consueto operare negativo di talché si è portati a poter paragonare l’avvenimento ad un’emissione di
un peto tanto violento da stupire gli astanti.
E cosí penso
d’aver convenientemente e ad abundantiam risposto alla sfida dell’amico R.M. e d’aver contentato anche qualche altro dei miei ventiquattro lettori,
per cui reputo di poter mettere il punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale Brak
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