TRE DESUETE LOCUZIONI
Ancóra una volta è
stato il caro amico P. G. (i consueti
problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e
cognome) a chiedermi via e-mail di
chiarirgli significato e portata delle
tre desuete espressioni partenopee che
qui di sèguito elenco:
1) NUN SAPE NIENTE ‘E SAN BIASE!
2)CIENTO DUCATE Ô FISCO E NNO ‘NU CALLO Ô SI’ FRANCISCO!
3) APPOZA FRATIÉ PE SAN GIUVANNE!
Chiarisco in primis
che si tratta di tre locuzioni desuete e che mancano tra di loro di un qualsiasi
nesso vuoi logico vuoi linguistico e non
so proprio cosa abbia spinto l’amico ad accostarle nella richiesta fattami. Ma
tant’è; evito di indagare sul perché della richiesta e mi accingo a dar la
spiegazione delle tre desuete espressioni partenopee augurandomi d’essere
esauriente e soddisfare l’amico P.G. ed interessare qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori. Bando alle ciance entriamo in argomento affrontando nell’ordine le tre
locuzioni.
1) NUN SAPE NIENTE ‘E SAN BIASE.
Ad litteram: Non è al corrente di san Biagio. La locuzione
nel suo autentico significato sotteso,
fuor del velame de li versi strani, viene usata con riferimento sarcastico a chi (per essere abitualmente bugiardo/a o non
essere capace di sostenere e
difendere apertamente (assumendosene la responsabilità) le proprie azioni e/o
idee) faccia le viste, anche in presenza
di conclamate prove, di non avere nulla a che spartire con gli
avvenimenti che gli vengano addebitati, rifiutando qualsiasi coinvolgimento e/o
attribuzione, imputazione, accusa, carico o colpa. La locuzione, antichissima,
risale al 1600 circa ed affiorò in origine sulle labbra d’ un delegato di
polizia del centro storico della città. All’indomani d’ un furto sacrilego
perpretato da ignoti nella chiesetta napoletana
di san Biagio Maggiore (cfr. ultra) donde era stata sottratta
l’artistica statua del santo addobbata con i preziosi ex-voto dei
fedeli,quel non meglio identificato
delegato di polizia stava interrogando alcuni pregiudicati e tutti gli interrogati
negavano il loro coinvolgimento con il furto del simulacro. Quando anche uno
dei ladri pregiudicati nella cui abitazione per altro erano stati rinvenuti alcuni degli
ex-voto che ornavano la statua del
santo, negò di aver preso parte alla
sottrazione ed con impudenza asserí addirittura di non conoscere neppure
l’esistenza d’ un san Biagio (santo peraltro notissimo a tutto il popolo
partenopeo cfr. ultra), ripeto: quando anche quel ladro negò,
il delegato rivolgendosi ad un suo collaboratore sbottò nell’espressione
“ E manco chisto sape niente ‘e san Biase!” espressione poi
divenuta popolare nel significato che ò chiarito.
Biagio fu un vescovo e martire che visse in Armenia nel III secolo ed è ritenuto dalla tradizione vescovo della
comunità di Sebaste in Armenia al tempo della "pax" costantiniana, e
lí a Sebaste subí il suo martirio,
avvenuto intorno al 316, è perciò spiegato dagli storici con una persecuzione
locale dovuta ai contrasti tra l'occidentale Costantino e l'orientale Licinio. Nell'VIII
secolo alcune monache armene fuggite in Italia durante la lotta iconoclastica
verso le immagini, portarono le
reliquie del santo a Maratea (Potenza),
di cui il santo è patrono e dove sorse
una basilica sul Monte San Biagio.Il culto di quel martire si estese poi dalla Lucania a tutto
il meridione. Il suo nome è frequente nella toponomastica italiana – a Napoli, in
provincia di Latina, Imperia, Treviso, Agrigento, Frosinone e Chieti - e di
molte nazioni, a conferma della diffusione del culto. Avendo guarito
miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato
come protettore per i mali di quella parte del corpo. A quell'atto risale il
rito della "benedizione della gola", compiuto con due candele
incrociate. La chiesa di San Biagio Maggiore è un piccolo luogo di culto di Napoli e si erge nel cuore del centro antico, all'incrocio tra via San Biagio dei Librai e via San Gregorio Armeno.
La chiesa è contigua a quella di San Gennaro all'Olmo; fu stata fondata nel 1631 dal cardinale Francesco Boncompagni, che volle innalzarla unendo un'antica cappella di San Biagio con la sagrestia di San Gennaro. La strada, che prende nome dalla chiesa, era occupata soprattutto da librai, che si interessarono alla custodia e cura dell'edificio religioso. La chiesa è una rilevante testimonianza storico-monumentale; ciò nonostante, è rimasta chiusa per lungo tempo ed è stata riaperta solo nel 2007, dopo notevoli lavori di restauro, grazie alla Fondazione Giambattista Vico, voluta dal prof. Gerardo Marotta.
La chiesa è dedicata a San Biagio, oggetto di un'accesa devozione popolare che si divulgò soprattutto grazie alle monache armene che, arrivate a Napoli durante la lotta iconoclastica verso le immagini, recarono con sé parte delle reliquie del santo già portate a Maratea.
L'edificio è piuttosto piccolo, ma conserva rilevanti testimonianze artistiche tra le quali un altare in marmo intarsiato, una pala d’ignoto di scuola caravaggesca mentre l'antica statua del santo, una volta ritrovata presso un rigattiere fu trasferita nella vicina chiesa dei Santi Filippo e Giacomo).
Cambiamo argomento:
2)CIENTO DUCATE Ô FISCO E NNO ‘NU CALLO Ô SI’ FRANCISCO!
Ad litteram: Cento ducati al Fisco e neppure un soldo al
signor Francesco (Florio/Frolio)! Id
est: meglio spender anche parecchio in tasse e/o balzelli che pochi soldi di medicamenti; la salute è
il bene piú prezioso! Per traslato l’espressione è usata anche per affermare
che sia preferibile assoggettarsi al pagamento di esose tasse piuttosto che
elargire anche poche sostanze ad un
nemico o un immeritevole. Francesco Florio (il cui cognome nel parlato fu storpiato
in Frolio) fu un noto speziale che nel
1600 nella zona portuale del Mandracchio[ zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache:
darsena)] vendeva i suoi unguenti curativi o intesi tali (rammento
un famoso modo di dire partenopeo che parlando di un inutile unguento lo
appellò come ’agniento p’ ‘a guallera
(inutile pomata per l’ernia,affezione
che non può essere curata con un linimento) o tout-court
come si’-frolio (linimento infruttuoso).
ducato/scudo/piastra
popolarmente piezzo janco/ pezza (=
436,5 lire it.) moneta d’argento massiccio = 100 grani/grana; ogni grana
era corrispondente a 4,365 lire
italiane –
ducatos.vo m.le nome di una moneta aurea veneziana e
poi di altre monete. voce dalla
parola lat. ducatus, incisa sulle monete veneziane del sec. XIII
raffiguranti il doge.
scudo
s.vo m.le moneta d'oro o d'argento diffusa in passato
in parecchi stati italiani, e recante impresso lo stemma del sovrano o dello
stato emittente. voce dal lat. scutum
(scudo)perché lo stemma impresso sulla moneta era a forma di scudo.
piastra s.vo
f.le nome di diverse monete
italiane antiche; oggi, moneta divisionale della Turchia, dell'Egitto, della
Siria e di altri paesi. voce
dal lat. emplastru(m)→(em)plastru(m)→piastra, che è dal gr. émplastron.
agniento s.vo
neutro = pomata, linimento, preparato farmaceutico per uso esterno,
costituito da un miscuglio untuoso, a base di grassi, in cui è incorporata la
sostanza medicinale. Voce etimologicamente lettura metatetica del
lat. unguentum→ugnuentu(m)→agniento,
deriv. di ungere 'ungere'
si’-frolio o anche sifrolio s.vo neutro con il medesimo significato
della voce precedente, ma con intento marcatamente peggiorativo atteso che non
sortivano alcun effetto i linimenti, i
preparati farmaceutici approntati dal summenzionato si’ Frolio da cui con
agglutinazione del nome comune si’ (signore) e del nome proprio Florio si ricavò per
metinomia il sostantivo in esame si’-frolio o anche sifrolio.
guallera/guallara s.vo f.le segnatamente
ernia scrotale con etimo dall’arabo wadara di identico significato; numerosi i suoi sinonimi, per i
quali rimando alibi.
si’ è l’apocope di si(gnore) e pertanto esige il segno diacritico dell’apostrofo.
Viene usato per solito davanti ad un sostantivo comune o davanti a nome proprio
di persona (ad es.: ‘o si’ prevete= il
signor prete, ‘o si’ Giuanne = il signor Giovanni.) L’etimo del lemma signore da cui l’apocope a margine si’
è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo
di senex=vecchio,anziano.
Ricordo che
càpita spesso che sulla bocca
del popolino, meno conscio o
attento della/alla propria lingua, (la
qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla
punta della penna di taluni pur grandi e grandissimi autori partenopei
accreditati d’essere esperti e/o studiosi della parlata napoletana la voce a margine è resa con la trasformazione del corretto si’
(che è di per sé – come ò sottolineato - è l’apocope di si(gnore)
) con uno scorretto
ZI’
(che è
l’apocope di uno zio/a etimologicamente derivante da un tardo
latino thiu(m) e thia(m) da un greco tehîos ) ed è usato quasi esclusivamente nei vocativi (o’ zi’!) per cui si ottenengono ad es.
gli scorretti zi’prevete o zi’ Giuanne.in luogo dei corretti si’prevete o si’ Giuanne.
Per restare nel tema suggerito dal si’= signore parlo di un altro monosillabo: SIÉ che è usato per indicare la
voce signora; per il vero non si tratta dell’apocope di si(gnora) che se cosí fósse non sarebbe sié ma
ancora si’ ed esigerebbe il segno diacritico dell’apostrofo, ma
derivando – come qui di sèguito vediamo -
da altro gli si preferisce
l’accento per evitare che si possa leggere síe piuttosto che correttamente sié. La
voce apocopata a margine etimologicamente deriva da una voce francese
femminilizzata e metatetica di seigneur→seigneuse→ sie-(gneuse).
Purtroppo anche per il caso di questo sié càpita spesso che sulla bocca
del popolino, meno conscio o
attento della/alla propria lingua, (la
qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla
punta della penna di taluni pur grandi e grandissimi autori partenopei
accreditati d’essere esperti e/o studiosi della parlata napoletana la voce a margine è resa con la trasformazione del corretto sié= signora con uno scorretto
zi’= zia; mi è infatto occorso di lèggere recentemente in una pubblicazione sui proverbi
napoletani (di cui per carità di patria
taccio il nome del compilatore) un notissimo proverbio riportato come e pertanto esigerebbe il segno
diacritico dell’apostrofo, ma gli si preferisce l’accento per evitare che si
possa leggere síe piuttosto che correttamente sié. La voce apocopata a
margine etimologicamente deriva da una voce francese femminilizzata e
metatetica di seigneur→seigneuse→ sie-(gneuse). Purtroppo anche per il
caso di questo sié càpita spesso che sulla bocca
del popolino, meno conscio o
attento della/alla propria lingua, (la
qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla
punta della penna di taluni pur grandi e grandissimi autori partenopei
accreditati d’essere esperti e/o studiosi della parlata napoletana la voce a margine è resa con la trasformazione del corretto sié= signora con uno scorretto
zi’= zia; mi è infatto occorso di lèggere recentemente in
una pubblicazione sui proverbi napoletani
(di cui per carità di patria taccio il nome del compilatore) un
notissimo proverbio riportato come Dicette
'o zi' moneco,a’ zi’ Badessa:
"Senza denare, nun se cantano messe..." infece
che correttamemente Dicette 'o si'
moneco,â sié Badessa: "Senza
denare, nun se cantano messe..." ed ovviamente il fatto scorretto non
consiste soltanto nell’avere usato a’ al posto di â per dire alla, quanto per avere usato
impropriamente zi' moneco, e zi’ Badessa al posto di si' moneco, e sié Badessa.
mandracchio
non è il nome di una tenuta; è il nome con il quale si indica una zona a ridosso del porto(dallo
spagnolo mandrache: darsena)frequentata da marinai, facchini e scaricatori. Tale
nome è ricordato nell’espressione
Paré 'o marchese d''o mandracchio.
Letteralmente: sembrare il marchese del Mandracchio. Id est: Tentare di darsi le arie di persona dabbene ed essere in realtà di tutt'altra pasta. La locuzione icasticamente viene usata per bollare un personaggio volgare ed ignorante(tal quale quei marinai, facchini e scaricatori, frequentatori della darsena che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto) che invece si dia delle arie, millantando un migliore ascendente sociale di nascita.
Letteralmente: sembrare il marchese del Mandracchio. Id est: Tentare di darsi le arie di persona dabbene ed essere in realtà di tutt'altra pasta. La locuzione icasticamente viene usata per bollare un personaggio volgare ed ignorante(tal quale quei marinai, facchini e scaricatori, frequentatori della darsena che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto) che invece si dia delle arie, millantando un migliore ascendente sociale di nascita.
E terminiamo con
3) APPOZA FRATIÉ PE SAN GIUVANNE!
Ad litteram: Inchínati e sporgi il sedere, fratello per san
Giovanni! Id est: Rasségnati, subisci e
sopporta fratello! Ma cosa c’entra san Giovanni? Nulla se non per rammentare
che l’espressione in origine e nel suo significato primo di “Inchínati e sporgi
il sedere” la si colse sulle labbra degli infermieri dell’Ospedale della Pace eretto nel 1587, in
Napoli quale parte di un complesso
sorto intorno ad un antico palazzo nobiliare costruito da Giovanni Caracciolo agli inizi del XV secolo.
L’ospedale era gestito dai frati
Ospedalieri di San Giovanni di Dio donde
gli addetti: medici ed infermieri dell’ospedale furon détti chille ‘e san Giuanne.
Orbene
in tale ospedale era invalso un uso davvero singolare quello cioè che tutti i
ricoverati, quale che fosse la loro affezione dovevano sottostare
quotidianamente alla somministrazione di un clistere ed a tal fine i poveri
ricoverati erano inseguiti cotidie da un nutrito drappello di infermieri che
armati di cannula ed ampolla colma d’acqua medicamentosa ingiungevano loro e li
sollecitavano ad assumere la posizione
piú
adatta alla bisogna spronandoli con le parole in esame.
In
sèguito uscita dalle corsie
dell’ospedale la locuzione venne usata estendendone il significato in tutte
quelle occasione fósse
necessario convincer qualcuno a tenere
un atteggiamento remissivo e rassegnato davanti ad evenienze ineludibili e la
si usò spesso in luogo di quella che
parla di chiejarsela a llibbretta
nell’imperativo: chiejatélla a llibbretta: Ad litteram: piegatela
a mo’ di libriccino id est:accetta, sia pure obtorto collo, che le cose
vadano in un certo modo ed uniformarvisi
atteso che non ci sia altro da fare per migliorare la situazione ed anzi quell’accettare
la situazione ed uniformarsi a che le cose vadano in quel modo rappresenta il
miglior partito da prendere evitando di
contrastarsi per non soccombere o peggiorare la situazione. Come si capisce, intesa nel senso di accettare etc. la
locuzione à un suo senso riduttivo e quasi negativo, che non ebbe in origine, allorché, fu usata come consiglio positivo e d’opportunità, e
la si riferí al modo piú acconcio di consumare una pizza
allorché non ci si potesse accomodare
ad un tavolo e servirsi di adeguate stoviglie (piatto, bicchiere) e posate
(forchetta e coltello): in tal caso la pizza veniva e viene consumata addentandola stando all’impiedi o
addirittura passeggiando e la maniera
piú acconcia di tenere fra le mani la pietanza fu ed ancóra è quella di piegare la pizza in quattro parti
fino a farle assumere quasi la foggia di un piccolo libro di quattro fogli,
affinché, così piegata trattenga e non
lasci cadere i condimenti di cui è coperta , che se cadessero imbratterebbero
gli abiti di colui che mangia la
suddetta pizza da asporto. Successivamente l’espressione in epigrafe che
indicava il miglior modo di consumare una pizza d’asporto, estese per traslato
il suo significato a quello di indicare il miglior atteggiamento
comportamentale da tenere in malagurate evenienze quotidiane quando bisognasse
far buon viso a cattivo gioco…e semanticamente questo secondo significato si
spiega con il fatto che come il piegare la pizza a mo’ di libriccino è il modo
piú vantaggioso per evitare di imbrattarsi, cosí l’accortezza di avere un
atteggiamento di sopportazione innanzi ad eventi negativi o fastidiosamente
vessatorî, è il modo migliore per eludere contrasti e lotte che normalmente non fanno che peggiorare la situazione.
pizza= pizza, focaccia rustica variamente condita di antichissime
origini latine, divenuta emblema della città partenopea e di qui esportata
ovunque; l’etimo è per qualcuno da un
lat. *(a)picia quale vivanda inventata dal cuoco romano Apicio, ma molto
piú verosimilmente ritengo percorribile l’ipotesi che pizza stia per pinsa part. pass. femm. del verbo pinsere=comprimere, schiacciare (infatti la pasta di cui è fatta la
pizza dev’essere compressa, schiacciata e poi condita); normale nel napoletano il passaggio di ns
ad
nz e la successiva assimilazione
regressiva nz→zz;
chiejatélla= piégatela voce
verbale (2° pers. sing. dell’imperativo, di tipo esortativo addizionato in
posizione enclitica dei pronomi te(per te) e la ( da (il)la(m)) dell’infinito
chijare/à- chiejare/à= piegare, curvare, flettere ed estensivamente sottomettere
con etimo dal tardo latino plicare
denom. di plica(piega)normale il passaggio di pl→chi;
nella forma chiejare/à si è
determinata una necessaria dittongazione in sillaba d’avvio
con ii diventati ie;
a llibbretta = a mo’ di libriccino; libbretta s. forma
femm. del normale masch. libbretto dim.(vedi suff. etto/a) di libbro
con etimo dal lat. libru(m),
originariamente 'sottile membrana fra la
corteccia e il legno dell'albero', che prima dell'introduzione del papiro si
usava come materiale per scrivere; la voce latina in napoletano comportò il
raddoppiamento espressivo della labiale esplosiva b ed in luogo
di libro (come in italiano) si ebbe libbro;
la voce libbretta è usata spesso nel linguaggio popolare per
indicare un attestato di credito o bancario o postale.Da notare che la voce libbretta
se preceduta dall’articolo ‘a si rende con ‘a libbretta con la elle scempia; se invece è preceduta dalla
preposizione a si rende con a llibbretta con la elle geminata!
appoza/appuza voce
verbale 2ª p. sg. imperativo dell’infinito appuzà=
chinarsi, inchinarsi tirando su e sporgendo il deretano. Voce derivata dal lat.
appulsare frequentativo di appellere=
approdare accostando la poppa alla banchina; va da sé che semanticamente la
poppa parte posteriore del naviglio si collega con il deretano parte posteriore del corpo umano.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito
l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori e piú genericamente
chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
R. Bracale Brak
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