ARZIGOGOLO e dintorni
L’amico
N.C. (i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole
iniziali di nome e cognome) mi chiese di parlare della voce in epigrafe e delle
corrispondenti voci del napoletano. L’accontento qui di sèguito con il dire che
con la voce in epigrafe arzigogolo (
con etimo derivato da girigogolo
allungamento di girigoro secondo un
percorso morfologico comportante la trasposizione di lettere nel primo elemento
e cioè: argi→arzi per giri) la lingua ufficiale nazionale intende volta a volta un discorso o un ragionamento astruso e lambiccato, una
fantasticheria, un cavillo, un
espediente dialettico, una
trovata spesso truffaldina, ma
ingegnosa, un giro di parole ingegnoso e bizzarro, un raggiro
fuorviante, un pretesto etc.
Il napoletano per tali necessità à parecchie voci ed ognuna piú
circostanziata ed esattamente coniata per indicare con maggior precisione ognuna
delle suaccennate occorrenze; tento qui
di sèguito di elencare tali voci
partenopee dandone, ove possibile,
l’etimo ed il preciso campo d’applicazione; cominciamo:
allefrecaglia/arrefrecaglia che nel significato di giro di parole
ingegnoso e bizzarro, sono ambedue
ampliamento di lefrecaglia deverbale
del basso latino *refragare =
cavillare, sminuzzare etc.;
ciaranfa che nel significato di discorso astruso e
lambiccato, noiosamente ripetitivo trova il suo etimo nell’adattamento popolare
della voce ciaraffa che di per sé (con provenienza dall’arabo giarif) indica una moneta sonante, ma di poco valore e semanticamente la cosa
si spiega col fatto che come la moneta ciaraffa
è sonante,sí ma in realtà di poco valore, cosí la ciaranfa quale discorso
astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo, produce solo rumore, ma non
significante e quindi senza valore;
‘mbròglia s.vo
f.le è una fantasticheria intrisa di parole eccedenti, un pretesto lungamente... diluito di
chiacchiere tendenti al raggiro ed è quanto
all’etimo un deverbale di ‘mbruglià= imbrogliare che a sua
volta è dal fr. ant. brouiller
'mescolare, confondere', deriv. di brou
'brodo' e semanticamente si spiega essendo – come ò
detto – la ‘mbroglia null’altro che
una sequela di parole eccedenti, un pretesto di chiacchiere diluite tali quale
un brodo;
peléa/peleja s.vo f.le con due differenti morfologie
leggermente diverse, di cui la seconda ottenuta dalla prima con epentesi
eufonica d’ un suono di transizione (j)
immesso nello iato ea ; il s.vo
in esame vale 1 futile pretesto (per
attaccar briga) e piú generalmente insignificante
spunto , fatuo appiglio,
pretestuoso espediente;2 in senso traslato con riferimento alla
irrisorietà della natura della peléa/peleja vale anche piccolezza, quisquilia, bazzecola, minuzia, bagattella, sciocchezza.
etimologicamente è voce deverbale dello spagnolo pelear = litigare, brigare, bisticciare
etc.
nzànzera /nzànzanzera
s.vo f.le dalla doppia morfologia: nella
seconda c’è l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba; sinonimo
del precedente in quanto sciocchezza profferita in modo chiassoso, fandonia
eclatante tendente al raggiro, frottola mistificatrice in uso tra compagni di
baldoria, menzogna,
panzana, balla propalata al fine di far ricadere su altri componenti la mala
brigata le spese per il divertimento da
sostenere o sostenute o le
respensabilità di azioni comuni; etimologicamente è voce costruita nella prima
morfologia ponendo in posizione protetica una n eufonica (che non
derivando dall’aferesi di un in→’n
non necessita di alcun segno diacritico (‘)) al s.vo del basso
lat.zingiber→zanz(ib)er→zanzera→nzanzera (che
diede anche zenzero = radice dall’aroma piccante) semanticamente da accostarsi per il gusto pepato, caustico che connota sia la radice che
figuratamente la sciocchezza profferita in modo chiassoso, la fandonia
eclatante, la frottola mistificatrice mistificatrice; per ciò che riguarda
l’etimo della morfologia di nzànzanzera
ò già détto e qui ribadisco che
l’etimo è il medesimo di nzànzera con l’espressivo
raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba;
pagliettaría s.vo
f.le è
precisamente il cavillo, l’ espediente
dialettico, la trovata quasi sempre
truffaldina, ma ingegnosa, azioni che di
per sé son tutte riconducibili al modo di agire
dei cosiddetti paglietta voce
singolare maschile che indica un avvocatucolo,un leguleio cavilloso, ma inesperto e spesso truffaldino; letteralmente
la voce a margine parrebbe essere un
diminutivo vezzeggiativo di paglia
e come tale femminile, mentre in realtà è – come ò detto- voce singolare maschile (‘o paglietta) nei significati detti
ed è voce che al plurale va scritta correttamente ‘e pagliette, mentre
scritta con la geminazione iniziale: ‘e ppagliette torna ad esser
femminile indicando i tipici cappelli di paglia, solitamente usati dagli
uomini) e va letta con la geminazione iniziale della p; scritta però,
come ò detto, con la iniziale p scempia:
‘e pagliette, la medesima voce plurale di paglietta è maschile e per chiaro traslato o sineddoche indica appunto avvocatucoli,
legulei cavillosi, ma inesperti quegli stessi cioè che ad inizio del 1900
usavano indossare a mo’ di divisa comune una paglietta (cappello di
paglia (donde il nome, partendo da un lat. palea(m)) da uomo, con
cupolino alto, in foggia di tamburo, bordato
di nastro di seta, ampia e piatta tesa
rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti
gli altri uomini che erano soliti indossare, in ispecie nella bella stagione,
pagliette di color chiaro; e con questa spiegazione penso d’aver fatto
giustizia sommaria del parere di qualcuno (ma non ne ricordo il nome…né
meriterebbe d’esser rammentato ) che fantasiosamente fa risalire il termine paglietta inteso, come riportato, quale avvocatucolo,
leguleio cavilloso, ma inesperto e truffaldino all’ampia gorgiera rigida
indossata sulle toghe dagli avvocati d’antan;
ora atteso che la gorgiera fu colletto plissettato ed inamidato indossato da talune categorie di
notabili in epoca cinquecentesca e seicentesca,e poi definitivamente dismesso, mentre il tipo
paglietta inteso avvocatucolo etc. è figura del tardo ‘800 – principî ‘900,
non vedo dove (se non presso un costumista tearale) un avvocatucolo del tardo
‘800 o dei primi del ‘900 avrebbe potuto reperire una gorgiera inamidata e
plissettata da indossare sulla toga...
da
paglietta con aggiunta del suffisso di pertinenza ria si è giunto a pagliettaría voce che per
sua fortuna è rimasta nell’àmbito della parlata napoletana e non è pervenuto in
quello della lingua italiana dove è pur presente la voce paglietta nel significato di
avvocatucolo etc.; ò detto per sua fortuna poi che se la voce pagliettaría
fosse approdata nel dialetto di alighieri dante
sarebbe stata certamente stravolta in pagliettería=
azione o comportamento da paglietta subendo lo stesso trattamento della voce
partenopea fessaría che pervenuta
nell’italiano divenne fessería assumendo una inesatta e
chiusa e non etimologica al posto della esatta aperta a forse nella sciocca convinzione che una vocale
chiusa fosse piú consona di una aperta alla eleganza (?) della lingua
nazionale;in coda e con riferimento al termine paglietta riporto un icastico
antico proverbio che suona: Chi saglie e
scenne ‘e scale d’’e pagliette, o s’arruvina o s’arricetta! (Chi sale e
scende le scale degli avvocatucoli, id est: chi à continue frequentazioni con
legulei cavillosi, ma inesperti e truffaldini è destinato alla rovina ed
addirittura a decedere, per le esosità delle parcelle richieste e per la
lungaggine delle liti giudiziarie.)
raciàmmulo s.vo m.le voce singolare maschile usata per indicare un giro di parole
ingegnoso e bizzarro e fuorviante che miri a nascondere verità altrimenti
palesi; etimologicamente è un derivato del tardo latino *racimulus, diminutivo per il class. racímus; =gracimolo,ciascun
rametto di un grappolo d'uva; piccolo grappolo d'uva; semanticamente si spiega
col fatto che come il gracimolo si nasconde tra i pampini e copre a sua volta
gli acini del grappolo, cosí il raciàmmulo
tenta di non far apparire, nascondendole con giri di parole, talune verità
altrimenti palesi;
scazzella s.vo m.le voce singolare maschile (a malgrado della desinenza in a)
usata esattamente per indicare non l’azione cavillosa,
pretestuosa, capziosa quando non litigiosa,
ma per indicare colui che agisca e si esprima cavillosamente, pretestuosamente,
capziosamente; in effetti la parola a margine (‘o scazzella) risulta essere etimologicamente una contrazione per
sincope del termine scazzazella→scaz(za)zella→scazzella
a sua volta formato dal verbo scazzà/scazzecà=
schiacciare, scacciare, sommuovere (da
una base di lat. reg. s(intensivo) + capticare frequentativo di captiare= cacciare) + il sost. zella =tigna, debito, magagna, imbroglio
(da un lat. reg. psilla(m)); va da sé
che chi schiaccia, smuove i residui della tigna lo fa in maniera attenta,
cavillosa, pretestuosa alla medesima maniera di chi tenti di schiacciare,
scacciare, sommuovere un debito o
magagna;
tràstula s.vo f.le sostantivo femm. sing. usato per indicare un generico
trucco e/o inganno; in realtà come
deverbale di trastulià (che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o
inganni da saltimbanchi) la voce a margine solo estensivamente indica ogni altro inganno teso ad imbrogliare,
raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo
napoletano trastulià donde la
derivata tràstula sia un adattamento del toscano trastullare; non è cosí però; è vero che
ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle
galee romane, per poi divenire i
banchi su cui si esibivano i
saltimbanchi con i loro trucchi ed
inganni detti in napoletano trastule
e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir
semplicemente l’imbroglione , ma mentre
l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare
con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato
di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto
per ledere gli adulti;
Giunti a questo punto rammenterò che tutte le
voci che ò elencate furono usate negli scrittori partenopei (poeti,
drammaturghi etc.) a far tempo dal 1400 con eccezione di quelle nate (ad. es. pagliettaría) in epoche successive. C’è
una sola voce che non à trovato posto nei reperti letterarii, ma è rimasta a
far tempo dal 1940 circa, nel parlato popolare ed ancora vi permane ben salda
avendo soppiantato quasi tutte le voci elencate fin qui con le sole eccezioni
di ‘mbroglia e tràstula; la voce è
paraustiello s.vo m.le voce singolare maschile nata in
origine in senso positivo per significare
esempio, spiegazione ma che à finito per prendere il senso negativo di
ragionamento caustico, capzioso,
pretestuoso cavillo, metafora maliziosa e furbesca, appiglio
gratuito,
arbitrario,
infondato, fittizio, esempio, ma
ad usum delphini, argomentazione tortuosa etc. Quanto all’etimologia
ancòra c’è qualcuno che sulla scorta del primo significato di esempio, spiegazione propende per
l’iberico para usted (per voi) quasi che con la parola paraustiello si volesse avvertire: tutto ciò che abbiamo detto è
stato un esempio portato per voi. La
cosa non convince soprattutto perché il
paraustiello fin quasi dal suo apparire
non fu usato solo nel senso positivo di esempio, spiegazione ma prese quasi
súbito nell’uso del discorrere popolare (come ò detto) il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, metafora
maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario,
infondato, fittizio,argomentazione tortuosa e dunque mi pare
corretto pensare per l’etimo di paraustiello
ad un adattamento del greco paràstasis che vale giustappunto ragionamento, metafora, argomentazione.
zellemmo
s.vo m.le ma usato nella quasi
totalità dei casi solo al pl. zellemme nel significato di pretesti, cavilli, scuse,
sofisticherie quasi innominabili e da celare; etimologicamente la voce è un
derivato di zella (da un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo,
calvo; il raddoppiamento della liquida nel latino regionale è d’origine popolare) cui è stato aggiunto il
suffisso emmo←immo suffisso in genere
di chiaro sapore dispregiativo o riduttivo ma talora anche, come in questo
caso, intensivo , suffisso probabilmente coniato su
di un latino: ime(n) con successivo raddopiamento rafforzativo della emme
fino a giungere ad immo o imma.
Ed
a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei
ventiquattro lettori e poter ben dire Satis
est.
Raffaele
Bracale
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