martedì 18 febbraio 2020

DUE ANTICHE LOCUZIONI



DUE ANTICHE LOCUZIONI:
1)‘A TRUBBEJA D’’E CCERASE -  2)CU MME NUN CE FAJE MECCIA 

1)‘A TRUBBEJA D’’E CCERASE
Con il termine trupéa o  trubbéa, oppure trubbéja si intende  un improvviso ed inatteso, ventoso acquazzone,che  scuote e scompiglia violentemente le chiome degli alberi, facendo sbatacchiare i vetri di finestre e balconi; la voce originaria fu  trupéa giacché, come si può facilmente intendere, la voce successiva trubbéa non è che un adattamento quasi gergale della prima voce  mentre trubbeja non è che una diversa forma della medesima trubbéa, forma diversa di probabile origine popolare con epentesi di un suono di transizione (j) per evitare lo iato dell’incontro di vocali (èa) incontro inteso cacofonico; il cammino morfologico fu il seguente:  l’originaria trupéa si adattò in  trubbéa  che a sua volta si trasformò in trubbéja  mantenendo tuttavia  inalterato significato e campo di apllicazione.
Come ò anticipato  con le tre voci summenzionate  si indica un improvviso,inatteso, ventoso e violento acquazzone, oppure una gran pioggia inaspettata accompagnata da vorticosi venti tali da determinare in città lo sbatacchiamento dei vetri  di finestre e/o balconi ed in aperta campagna lo scompigliamento delle chiome degli alberi che, se da frutti,  li vedono cascare in terra  anche quando non siano perfettamente maturi;proprio tenendo presente questa evenienza a Napoli e nel napoletano è in uso il dire
-     ‘a trupéa o anche ovviamente ‘a trubbéa o ‘a trubbéja  d’’e cerase  con riferimento a gli improvvisi, inattesi violenti acquazzoni che si manifestano intorno alla metà del mese di maggio e che determinano una raccolta precoce delle ciliegie che vengono messe in commercio al minuto al grido: So’ cchelle d’’a trubbeja per indicare che si tratta di autentiche primizie la cui raccolta si è avuta a sèguito  d’improvviso,inatteso, ventoso e violento acquazzone,o di una gran pioggia inaspettata.
L’etimologia di trupéa è tranquillamente greca dal sost. tropaía=tempesta; la voce a margine trupéa à conservato del greco la sorda p mentre nelle forme popolari (se non addirittura gergali con riferimento all’ampliamento semantico di cui antea) trubbéa e trubbéja   si è avuto il passaggio della sorda p alla sonora b esplosiva labiale rafforzata con la  geminazione; del suono transitorio j  di  trubbéja ò già detto precedentemente;
- cerase sost. femm.plur. al sing. cerasa = ciliegia, il gustoso, appetibile   frutto del ciliegio, costituito da una piccola drupa polposa e dolce, di forma sferica e di colore rosso
Quanto all’etimologia mentre la voce italiana ciliegia (che anticamente fu ciriegia (e pare che i toscani operassero poi  – per una questione di eufonia (?) -  la mutazione della r in l) è dal lat. volg. *ceresea(m), deriv. di cerasus 'ciliegio', la voce napoletana cerasa  risulta invece  essere un neutro plurale del lat. *cerasju(m) derivato dal greco keràsion neutro plurale poi inteso femminile come altrove cfr. cenisa= cenere dall’agg.vo neutro plurale.
A margine della voce dell’italiano ciliegia, mi corre l’obbligo di rammentare che  in un  corretto italiano il plurale di ciliegia  deve essere  ciliegie e non ciliege cosí come improvvidamente riportato da talune moderni lessici e/o grammatiche post-sessantottini, curati da imberbi iconoclasti sedicenti studiosi che ànno fatto piazza pulita d’ogni regola d’antan  per abbracciare la pilatesca  corrente di pensiero basata sul : Fate come vi pare; è permesso tutto!Non si sbaglia mai! In base a tale assurdo pensiero onnipermissivo il plurale di ciliegia  è ciliegie o  ciliege ad libitum,  come meglio aggrada!... Una volta non fu cosí! Quando esistevano le regole e chi le faceva rispettare (parlo degli anni tra il 1950 ed il 1960 e la scuola fu degna di questo nome) il plurale di ciliegia fu incontrovertibilmente ciliegie secondo quanto riportato sui dizionari compilati da saggi  esperti e/o professori della lingua italiana e tra di essi il compianto Fernando Palazzi che nella sua insuperata grammatica  IL GOVERNO DELLE PAROLE   rammentava che le parole che al singolare terminano in cia e gia atone fanno al plurale in cie e gie quando le desinenze atone cia e gia son precedute da una vocale (ed è il caso di ciliegia) mentre fanno al plurale in ce e ge quando le desinenze atone cia e gia son precedute da una consonante (come nel caso di provincia che fa province, né v’à ragione che faccia provincie come invece talvolta maldestramente si trova nell’uso di incolti commentatori dei media televisivi o di  alcuni pennaruli della carta stampata.
 2)CU MME NUN CE FAJE MECCIA  Antica locuzione d’àmbito provinciale da rendersi letteralmente: Con me tu non fai legame; id est: tra di noi non c’è possibilità di commettitura,connessione, incastro, unione, non ci intendiamo, non abbiamo punti di contatto e  non possiamo perciò collimare negli intenti o nei pensieri. E tanto perché il sostantivo meccia [dal fr. mèche] indica in primis un piolino, una calettatura lignea di connessione tra due tavole e solo per traslato la punta perforante che si applica al mandrino d’un trapano; l’espressione prende in considerazione il significato originario del termine meccia (piolo di connessione/calettatura) e la riferisce figuratamente ai rapporti interpersonali di due individui cosí diversi tra di loro da non avere punti di contatto per poter collimare negli intenti o nei pensieri.
Brak

Nessun commento:

Posta un commento