È FFERNUTA A
VVRENNA E SCIUSCELLE
Anche questa volta raccolgo un invito del mio caro amico
N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali
di nome e cognome) che mi à sollecitato a parlare dell’espressione in epigrafe còlta
sulle labbra d’un tifoso napoletano
d’antan all’indomani di una sonora sconfitta rimediata dalla squara di calcio
del Napoli nello stadio Meazza di Milano.
L’espressione che ad litteram è :(la faccenda) è terminata a
crusca e carrube è usata come dolente commento di ogni situazione che si
sperò evolvesse positivamente ed invece si risolse nel modo peggiore. Si tratta
di icastica espressione che in origine registrò ciò che accadeva in talune povere rimesse o stalle dove ogni
vetturino da nolo spesso a corto di mezzi,per risparmiare, a fine giornata di lavoro dava in pasto al
suo unico ronzino un sacchetto di economica crusca e qualche carruba in luogo del
costoso e piú salutare fieno di talché il cavallo avrebbe potuto commentare
dolendosene :”(la giornata) è terminata(male!) a crusca e carrube!”
è ffernuta = è terminata voce verbale (3ª pers. sg. pass. prossimo)
dell’infinito ferní= finire,
terminare,evolvere, risolvere etimologicamente dal lat. finire→firnire→ferní con
epentesi espressiva della consonante
liquida vibrante erre.
vrenna s.vo f.le rende
in napoletano quello che in italiano è il termine crusca cioè il residuo
della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; usato
soprattutto come alimento per il bestiame; vrenna
è da un lat. med. brinna, mentre la
voce italiana crusca è dal germanico *kruska. A margine di questa voce
rammento l’espressione carrecà a vvrenna (caricare
con crusca) nel senso di operare alcunché facendo solo le viste di voler essere
minacciosi o pericolosi, ma non essere attrezzati alla bisogna. L’espressione
richiama ciò che accadeva al tempo dei Borbone allorché le
truppe, durante le esercitazioni, erano fornite di armi da fuoco con munizioni
che in luogo del piombo erano appunto caricate con crusca per evitare
accidentali ferimenti o uccisioni fra i soldati.
sciuscelle s.vo f.le pl. di sciuscella = carruba La
voce femminile sciuscella (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò
che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero
sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse
silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per
cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso
per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della
divisa, che richiama appunto quello bruno-nero
della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o
– un tempo - come passatempo dolcissimo
per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze
zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da
usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare
qualsiasi oggetto che sia di poca
consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo,
frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile
da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad
esempio di un mobile che non sia di
stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di
compensato assemblati a caldo con
collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro
oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che
in lingua napoletana vi fu un tempo una
voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese
sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono,
nelle rammentate lingue regionali,
l’italiano brodetto, uova cotte in
fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in epigrafe.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la
voce sciuscella , a ciò che nel suo
conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano
dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla
quale però sceglie pilatescamente di
trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né
– stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente
perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la
voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella
si
possa correttemente pensare ad un
derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli,
cedevoli, lente come brodi, neutro poi
inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che
dalla carruba (sciuscella) si
traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare
a dei brodini.
E cosí penso proprio d’avere contentato l’amico
N.C. ed interessato anche qualcun altro
dei miei ventiquattro lettori e di poter concludere con il consueto
satis est.
R.Bracale
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