venerdì 14 febbraio 2020

È FFERNUTA A VVRENNA E SCIUSCELLE


 È FFERNUTA A VVRENNA E SCIUSCELLE
Anche questa volta raccolgo un invito del mio caro amico N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che mi à sollecitato a parlare dell’espressione in epigrafe còlta sulle labbra d’un tifoso  napoletano d’antan all’indomani di una sonora sconfitta rimediata dalla squara di calcio del Napoli nello stadio Meazza di Milano.
L’espressione che ad litteram è :(la faccenda) è terminata a crusca e carrube è usata come dolente commento di ogni situazione che si sperò evolvesse positivamente ed invece si risolse nel modo peggiore. Si tratta di icastica espressione che in origine registrò ciò che  accadeva  in talune povere rimesse o stalle dove ogni vetturino da nolo spesso a corto di mezzi,per risparmiare,  a fine giornata di lavoro dava in pasto al suo unico ronzino un sacchetto di economica crusca e qualche carruba in luogo del costoso e piú salutare fieno di talché il cavallo avrebbe potuto commentare dolendosene :”(la giornata) è terminata(male!) a crusca e carrube!”
è ffernuta = è terminata  voce verbale (3ª pers. sg. pass. prossimo) dell’infinito ferní= finire, terminare,evolvere, risolvere  etimologicamente dal lat. finire→firnire→ferní  con epentesi espressiva della consonante liquida vibrante erre.
vrenna s.vo f.le rende in napoletano quello che in italiano è il termine crusca cioè il residuo della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; usato soprattutto come alimento per il bestiame; vrenna è da un lat. med. brinna, mentre la voce italiana  crusca è dal germanico *kruska. A margine di questa voce rammento l’espressione carrecà a vvrenna (caricare con crusca) nel senso di operare alcunché facendo solo le viste di voler essere minacciosi o pericolosi, ma non essere attrezzati alla bisogna. L’espressione richiama  ciò che  accadeva al tempo dei Borbone allorché le truppe, durante le esercitazioni, erano fornite di armi da fuoco con munizioni che in luogo del piombo erano appunto caricate con crusca per evitare accidentali ferimenti o uccisioni fra i soldati.
sciuscelle  s.vo f.le pl. di sciuscella = carruba La voce femminile  sciuscella  (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba  cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati  come passatempo  goloso  per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale  carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto  quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però  non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo   per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella  conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di  poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico  alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio  di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo  con collanti chimici  s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente!  Alla medesima maniera  ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che in lingua napoletana vi fu un tempo  una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu,    il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono,  nelle rammentate lingue regionali,  l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in epigrafe.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscella , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed  accoglie solo sciuscella  in ordine alla quale però  sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello  rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto  Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che  per sciuscella     si possa correttemente pensare ad  un derivato  neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi, neutro   poi inteso femminile.
Semanticamente forse  la faccenda si spiega (a mio avviso)   con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscella) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far  forse  pensare  a dei  brodini.
E  cosí penso proprio d’avere contentato l’amico N.C. ed interessato anche  qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e di poter concludere con il consueto
satis est.
R.Bracale

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