FÀ QUATTO CIAPPETTE.
Letteralmente: fare quattro ciappette. Id est: compiere un lavoro in maniera rabberciata e disimpegnata ; detto soprattutto con
fiferimento ai lavori che impegnano poco le braccia e molto la
mente, lavori che però siano fatti con poca attenzione e
dedizione e se ad es. si tratta di vergare uno scritto, lo si fa servendosi
di concetti triti, ripetitivi e striminziti, espressi alla meno peggio, , messi in fila in maniera abborracciata, quasi automaticamente conseguenziali, non
supportati da idee nuove, ma farciti di ovvietà noiose e monotone. Con altra
valenza leggermente differente, ma corposamente sarcastica il concetto in epigrafe viene riferito, (con una tipica
espressione che è: Sape fa sí e nno quatte ciappette!,) a chi saccente e
supponente, faccia le viste, al contrario,
di essere molto colto, di
conoscere tutte le evenienze del vivere vantandosi di possedere conoscenze in
vasti campi dello scibile umano, laddove in realtà tutta la sua cultura e tutte le sue conoscenze si riducono a
pochissime nozioni trite e ritrite, ovvie, non originali, noiose e monotone spesso non accompagnate da
autentica e conclamata scienza e/o esperienza, ma fondate esclusivamente sul sentito dire. o sui manualetti di
pronto impiego di talune professioni e non le specifico per non incorrere nelle
ire di amici e/o parenti...
La parola
ciappetta di per sé non
è che il diminutivo di ciappa s f fibbia, fermaglio, borchia voce pervenuta nel napoletano attraverso lo
spagnolo chapa derivato del lat. capulum attraverso un plurale metatetico, inteso poi
femminile, regionale *clapa→chiapa→chapa.
Va da sé che semanticamente è quasi impossibile
collegare il concetto di un piccolo fermaglio, una piccola fibbia o una borchietta con l’idea di nozioni trite e
ritrite, ovvie noiose e monotone. Ma la cosa si può risolvere seguendo quella
che fu l’originaria formulazione dell’espressione
in epigrafe, espressione che purtroppo, nessuno mai degli addetti ai lavori si è
peritato di prendere in considerazione od esame. Lo faccio qui di sèguito,pur
non essendo un paludato o patentato addetto, augurandomi di fare cosa gradita a
chi mi leggerà.
In origine infatti nelle isole al largo di
Napoli (dove l’espressione nacque) non
si usò l’espressione Sapé fà quatte
ciappette ma s’usò dire Sapé fà quatte scippe sciappe con riferimento a chi avesse imparato a fare
appena pochi tratti di penna (scippi) e si vantasse, chiaramente a torto, di essere molto istruito; quando poi
l’espressione Sapé fà quatte scippe sciappe approdò a Napoli fu trasformata in Sapé fà quatte cippe ciappe e ciò perché probabilmente le voci scippe
sciappe (di cui la seconda non corrispondeva né ad un oggetto, né ad una
idea, ma era stata ricavata, per
bisticcio ed allitterazione espressivi, da scippe
(plurale di scippo (deverbale del
lat. ex-cippare) nel senso però di tratto di penna e non di graffio)) furono intese come originarie cippe
e ciappe addizionate della solita
esse protetica intensiva napoletana,
ma poiché i concetti che gli originarii scippe
sciappe dovevano rappresentare erano concetti riduttivi e negativi, si
pensò – a ragione forse – che non avevano senso le esse intensive e scippe
sciappe divennero cippe ciappe;
allorché poi ci si rese conto che al derivato cippe non si poteva collegare alcun oggetto reale o concetto
comprensibile si preferí eleminar tout court quel cippe e mantenere solo quelle residuali ciappe (in origine sciappe)
divenute quasi per magia corrispondenti ad un oggetto reale (fibbie, fermagli,
borchie) e dovendo esse ciappe esprimere
concetti negativi e riduttivi, se ne fece il diminutivo ciappette e l’espressione
diventò Sape fa sí e nno quatte ciappette che vale saper fare appena appena quattro
insignificanti cosucce e menarne
vanto quasi si trattasse di cose pregnanti e/o importanti, che è poi l’atteggiamento tipico d’ogni saccente e
supponente.
raffaele bracale 06/10/08
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