‘MMESCAFRANCÉSCA & ALTRO.
Un mio caro amico del quale per i consueti problemi di
riservatezza indicherò le sole iniziali delle generalità: P.Y. mi chiede
notizia dell’ icastica voce napoletana
in epigrafe e di eventuali sinonimi. L’accontento subito.
‘mmescafrancésca s.vo f.le che in primis e piú esattamente vale 1zuppa
di vari tipi di ortaggi;
- per traslato generico e spesso dispregiativo vale 2 miscuglio, mistura, misto, miscela, mescola;
etimologicamente la voce risulta l’agglutinazione del
sostantivo ammesca→’mmesca = mescolanza
(deverbale di un lat.volg.*in+miscicare→inmisc(ic)are→*’mmiscare→*’mmiscà→’mmesca) con l’aggettivo francesca
per francese: infatti il francesca che unito al s.vo ’mmesca forma la voce in esame non è il nome proprio
femminile, ma solo la corruzione dell’aggettivo francese e la cosa è facilmente comprensibile se si tiene presente
che con la voce ‘mmescafrancésca i
napoletani a far tempo dal 1769
indicarono la zuppa di vari tipi di
ortaggi condita con salsa béchamel approntata in origine dai
cuochi francesi chiamati nel
Reame, in occasione delle proprie nozze(1768)
dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, sorella di
Maria Antonietta regina di Francia, quella che il giorno prima che fosse
ghigliottinata, per lo spavento incanutí d’un colpo. Fu normale per quei napoletani d’antan e per
i loro eredi corrompere in francesca
l’originaria francese di talché la ‘mmesca francese finí per
diventare sulla bocca di tutti ‘mmescafrancesca
ed indicò sia la zuppa, sia in senso
dispregiativo qualsiasi miscuglio, mistura,
misto, miscela, mescola poco gradito. A margine e completamento rammento che
nello stesso periodo di tempo i napoletani idearono il sostantivo zòza E
chiarisco dicendo che
con il sostantivo f.le zòza in napoletano si indicano varie cose: il sudiciume in genere,un brodo sciapito o
preparato senza il rituale mazzetto di
erbe aromatiche, ma pure il fango o la fanghiglia, i rimasugli o pure gli
intrugli edibili che, pur presentati come autentiche leccornie,non incontrando
il favore del gusto delle persone cui siano ammanniti, vengon da costoro rifiutati e definiti tout court zòza ed infine
qualsiasi roba che sia ributtante, nauseante, una generica robaccia, una
porcheria od anche una minestra eccessivamente brodosa e cattiva, una brodaglia
insomma o ancora una pozione medicamentosa,dal disgustoso sapore tale che
proprio non la si riesca a deglutire(e mi tornano in mente i maleolenti olio di
ricino e olio di fegato di merluzzo della
fanciullezza o talune preparazioni galeniche, dal nausebondo sapore,
approntate - contro tossi e febbri - da volenterosi semplicisti : farmacisti/
erboristi cosí chiamati in quanto venditori di preparati per i quali venivano
usate erbe medicinali dette appunto simplex)
ed infine estensivamente ogni cosa che sia stata fatta male, in maniera
raffazzonata di talché il risultato
risulti essere scadente, riprovevole e
non confacente; fino a giungere all’offensivo: sî ‘na zòza totalizzante
offesa rivolta all’indirizzo di chi si voglia concisamente , ma duramente
indicare come persona fisicamente sporca, laida, ma soprattutto moralmente
disgustosa e ributtante.
Tutte le medesime cose,con l’eccezione della totalizzante
offesa, in toscano sono indicate con il termine zózza che nel suo
significato primo stette ad indicare una
miscela di liquori scadenti e
successivamente tutto il surriportato e che
etimologicamente risulta essere un’alterazione popolare della parola suzzacchera
(forgiata sul greco:oxy-sakcharòn=zucchero acido) con eliminazione della
parte finale: cchera ritenuta, ma erroneamente, terminazione diminutiva.
Detto ciò, seguitiamo col dire, quanto all’etimologia della
parola zòza in esame, che bisogna
lasciar perdere innanzitutto la tentazione
che zòza sia semplicemente un adeguamento dialettale (mediante
l’eliminazione di una Z e
cambio di accento della o tonica,
chiusa nel toscano e aperta in napoletano) della zózza toscana; alla
medesima stregua, a mio avviso non bisogna lasciarsi suggestionare dalla base
latina suc da cui sucus= succo, unto - sucidus donde per metatesi sudicius per il tramite di
una forma sostantivata neutra, poi sentita femminile sucia =cose sporche, sudice.
In realtà la parola napoletana è molto piú recente rispetto
al basso latino sucia o alla voce
toscana zózza, e risale alla seconda metà del ‘700, quando come ò accennato
vi fu a Napoli una sorta d’invasione dei
cuochi francesi – che súbito, i napoletani, corrompendo il termine monsieur dissero munzú - chiamati nel Reame, in occasione delle
proprie nozze(1768) dalla regina
Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, sorella di
Maria Antonietta regina di Francia. L’intento di Maria Carolina sarebbe stato quello di voler elevare, mediante il supporto
dei raffinati cuochi francesi, la troppo semplice cucina partenopea; il
risultato però non fu quello sperato: i munzú d’oltralpe
e le loro raffinate preparazioni culinarie mal si sposarono (con la sola
eccezione del sartú (dal francese surtout ) tronfio e saporito timballo di
riso, che entrò a vele spiegate nella cucina napoletana dapprima di corte e
della nobiltà, poi della borghesia ed infine del popolo minuto) mal si
sposarono, dicevo con i gusti dei partenopei;
essi – è noto – amano ed amavano preparazioni semplici e veloci ed i sughi a
base di pomodoro, per cui non compresero, né apprezzarono le sauces
francesi a base di burro, latte, farina e talvolta uova e rifiutarono
le salse galliche storpiandone il nome che da sauce (lèggi: sós(e))
divenne zòza con tutte le estensioni summenzionate, e trattandosi di un
sostantivo fu e viene usato nel napoletano quale apposizione di molti altri
sostantivi.
Ciò non pertanto il titolo di monzú [voce corruttiva del fr. monsieur] attecchí fino a diventare la
denominazione che spettava in genere
solo ai grandi cuochi, quantunque il popolino lo attribuisse anche ai
tavernieri della città bassa (cfr. ad es.
alibi monzú Arena).
Divenne
quasi come un titolo onorifico, tanto ambíto
che - cosí come riportato da Salvatore
di Giacomo - un celebre cuoco lo preferí ad una lauta ricompensa che Ferdinando
II di Borbone pure gli aveva offerto, per i servigi resi nelle cucine di
palazzo.
Giunto
a questo punto rammento i sinonimi nel senso
esteso della voce ‘mmescafrancésca;e sono
‘mmescammesca
s.vo
f.le
in primis 1amalgama, impasto, pot-pourri, melange (spec. di
colori);
(in senso spreg.)2 accozzaglia, guazzabuglio, intruglio
(di cibi o bevande).
Come è facilmente intuibile e verificabile la voce
etimologicamente è formata agglutinando la reiterazione del s.vo ‘mmesca sino a formare il s.vo ‘mmescammesca usato il piú delle volte nel senso
spregiativo sub 2.
‘mmescapésca s.vo f.le
in primis 1 mescolanza, miscela,
(in senso spreg.)2 miscuglio, misto, guazzabuglio di oggetti o abiti (biancheria intima
assortita e spaiata), intruglio ( soprattutto di cibi brodosi).3 ma è anche il modo napoletano di rendere la voce cocktail;
etimologicamente la voce è
formata dall’unione di ‘mmesca (cosí come già illustrato) con il s.vo pesca (deverbale del lat. piscari,
deriv. di piscis 'pesce') con riferimento semantico al fatto che per
dipanarsi nel guazzabuglio di oggetti o abiti, spesso bisogna quasi fare una
sorta di pesca miracolosa; il riferimento semantico alla voce cocktail
è da cercarsi nel fatto che spesso al miscuglio di liquori che sostanzia
il cocktail sono addizionati fettine di
frutta fresca o olive di cui bisogna andare alla pesca!
capriata/crapïata s.vo f.le
intruglio di liquidi diversi, inconferente ed inutilizzabile, mescolanza di
vino rosso e bianco imbevibile. unica
voce dalla doppia morfologia(di cui la seconda è una lettura metatetica della
prima) che etimologicamente è dallo
spagnolo calabriata→ca(la)briata→capriata/crapïata
di identico significato.
‘mmeschiglia s.vo f.le
1mescolanza, confusione di oggetti minuti;
2 per adattamento
semantico mescolanza di liquidi
diversi,
(sinonimo della voce precedente) voce ricavata quale deverbale da un lat.volg.*in+miscicare→inmisc(ic)are→*’mmiscare→*’mmiscà→’mmesca addizionato del suffisso iglia affine ad aglia che
continua il suffisso collettivo latino alia
cui è legato il concetto del brutto e del
disordinato.
‘gnotula/nchiotula/’gnotularía s.vo f.le
1 in primis nonnulla, sciocchezza,
bagattella voce dalla doppia morfologia, ma dall’identico significato;tuttavia ‘gnotula
corrotto ed adattato in nchiotula
vale anche
2 mescolanza di liquidi diversi, priva di amalgama, bevenda
d’incerto sapore; nella morfologia ‘gnotularía vale anche
3 nonnulla, quisquilia. cosa di poco conto ed ancóra
estensivamente sciocchezza, stupidaggine,
azione non chiara ed inutile etc.
voce dalla varia
morfologia; etimologicamente nella prima forma ‘gnòtula è dal lat. ignotus→(i)gnot(us)→’gnotula con
influenza del lat. inutilis addizionato del suffisso diminutivo neutro
plurale, poi inteso femminile ula;
nella seconda forma’gnotularía all’iniziale
‘gnòtula è stato aggiunto il
suffisso tonico aría suffisso
tonico corrispondente al lat. –aríus/aría,
che forma aggettivi e sostantivi, derivati dal latino o formati direttamente in
italiano e/o napoletano , che stabiliscono una relazione;mentre nchiotula,
come ò accennato è un derivato per corruzione ed adattamento metatetico di ‘gnotula.
In coda ed a completamento di tutto quanto fin qui détto
rammento infine che nel napoletano antico vi fu un ultimo sinonimo, ora
purtroppo quasi del tutto desueto, e cioè il termine
bazzoffia s.vo f.le che in
primis e piú esattamente indicò 1 zuppa mal fatta di vari tipi di ortaggi;
2 mescolanza di
vivande cucinate male in modo grossolano;
Come
si evince si trattò d’una voce (etimologicamente derivata dallo spagnolo bazofia di pari significato)usata quale
sinonimo di ‘mmescafrancésca ma in senso del tutto, affatto dispregiativo. La
voce napoletana a margine pervenne anche nell’italiano (attestata sia
pari pari come bazzoffia che
addolcita come basoffia con sostituzione dell’affricata
alveolare sorda (z) con la fricativa dentale sonora(s) addirittura resa scempia)nel significato di 1 vivanda o minestrone abbondante e grossolano;
2. fig. a. Quantità di roba in
disordine. b.
Componimento lungo e confuso: invece
di fare una dissertazione ò fabbricato questa b. (Giusti).
E cosí penso proprio
d’avere contentato l’amico P.Y. ed interessato anche qualcun altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale
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