PANARO e dintorni
Questa volta è stato il
caro amico A. M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad
indicare solo le iniziali di nome e cognome) a
chiedermi via e-mail di spendere qualche parola per illustrare la voce
napoletana in epigrafe. gLI ò
testualmente risposto:
Ti accontento súbito dicendo che il s.vo m.le panaro
[dal lat. panariu-m] indica 1) in
primis un cesto cioè un capiente recipiente di vimini intrecciato
a fondo alquanto convesso ovale o circolare, con sponde pronunciate, provvisto di manico ad arco usato un tempo per
il trasporto a mano di alcune forme di
pane per le quali non fosse necessario il trasporto a spalla con la piú ampia gerla, in napoletano coffa (s.vo
f.le [dall’arabo quffa «cesta», che è dal gr. κόϕινος= cofano); 2) per
traslato semanticamente riconducibile alla convessità dell’uno e dell’altro il
sedere, il fondoschiena soprattutto se
femminile. 3) riduttivamente il
contenuto cesto di vimini intrecciato,a fonfo piatto, circolare, alta sponda
provvisto di manico ad arco ed annessa corda per issarlo, usato dalle massaie
napoletane per acquistar merci dai rivenditori ambulanti, calandolo da balconi
o finestre.
La voce napoletana
è presente, nelle suddette accezioni, in alcune espressioni che ti riporto:
1.AVIMMO PERDUTO A FFELIPPO E ‘O PANARO
Ad litteram: abbiamo
perduto Filippo e la cesta. Id est: ci abbiamo rimesso tutto: il capitale e gli
interessi.Nel caso di questa locuzione
ancóra in uso, il nome Felippo non è una
corruzione di Filippi (come invece nell’espressione Ce vedimmo a fFelippo!), ma è il nome proprio Filippo rammentato
in una non meglio identificata farsa pulcinellesca di Antonio Petito
nella quale un tal Pancrazio aveva
affidato al suo servo Filippo una cesta di cibarie , perché la portasse a casa,
ma il malfido servo, riuniti altri suoi pari, si diede a gozzovigliare facendo man bassa delle cibarie contenute
nella cesta, e temendo poi le reazioni
del padrone, evitò di tornare a casa
lasciando il povero Pancrazio a dolersi del fatto con la frase in epigrafe.
Nota linguistica
In questa ’espressione
il verbo avimmo perduto regge
due complenti oggetto ( il nome proprio Filippo ed il nome comune panaro), ma
mentre Filippo è introdotto dalla preposizione a, ciò non avviene per il s.vo
panaro che non viene introdotto da ô (crasi
di a +’o(lo/il)), ma viene introdotto dal semplice art. determ. m. ‘o
(lo/il); ciò avviene perché in napoletano la preposizione A è usata talvolta per introdurre, quasi in maniera indiretta,
un complemento oggetto quando però tale complemento sia una persona o essere
animato, mai un oggetto (es.: aggiu visto a pàteto= ò visto tuo padre; aggiu
‘ntiso ô cane ca alluccava = ò sentito il cane che latrava
( dove ô = a + ‘o= a + il/lo); ma aggiu pigliato ‘o bicchiere= ò preso
il bicchiere, aggiu ‘ntisa ‘a campana = ò sentito la campana.) La ragione di
questa particolare A segnacaso del complemento oggetto non è da ricercarsi come sostiene qualcuno nel fatto che venuto
meno il latino con le declinazioni comportanti esatte desinenze distinte per il
nominativo e l’accusativo in un corrotto latino regionale volgare privo di
desinenze distinte si sarebbe ingenerata un’ipotetica confusione in una frase
del tipo: Petrus vidit Paulus non potendosi stabilire se il soggetto di vidit
fosse Petrus o Paulus. Ciò è inesatto in quanto, se è vero che, ad un
dipresso, il latino classico,
almeno fino a quello ciceroniano, mantenne il soggetto anteposto al verbo reggente, per il latino della decadenza volgarizzatosi con
l’entrata in contatto con le parlate locali, proprio per non ingenerare
confusioni, soprattutto nella lingua
parlata si preferí porre il
soggetto sempre prima del verbo
reggente. Reputo dunque molto piú
verosimile l’idea che tale particolare A segnacaso del complemento oggetto sia un residuo plebeo di un latino volgare
parlato, quello che produsse anche lo
spagnolo, il portoghese ed il rumeno, lingue in cui perdura l’uso dell’A come
segnacaso del complemento oggetto.
2. ROMPERE LL'OVA
DINT’Ô PANARO
Ad litteram: rompere le uova nel paniere id est: infastidire qualcuno oltremodo mettendogli
dispettosamente e per mera cattiveria i bastoni tra le ruote fino al punto di
pregiudicargli e far fallire quanto da lui intrapreso, come chi si divertisse,
senza un reale tornaconto o beneficio, ma solo per nuocere l’altra, a frantumare le uova che una contadina avesse
pazientemente raccolte in un cestino.
3. LL'
AMMORE DA LUNTANO È COMME A LL' ACQUA 'INT' Ô PANARO.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
4. ROMPERE ‘O PANARO nella
lucuzione/minaccia: T’AGGI’ ‘A ROMPERE ‘O PANARO
Ad litteram: rompere il sedere nella lucuzione/minaccia: Ti devo rompere il sedere eufemismo
che varrebbe sodomizzare ma che in realtà sostanzia la minaccia di
voler impartire a qualcuno/a una solenne lezione con percosse durissime.
. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento,
soddisfatto l’amico A.M. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro
lettori e piú genericamente chi dovesse
imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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