GUAINELLA, PETRÏATA & dintorni
L’idea della ricerca che svolgo in queste paginette prese le
mosse dalla precisa richiesta fattami
sere or sono dall’amico N.C. (i
consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole
iniziali di nome e cognome), uno dei miei piú assidui ed attenti fruitori delle
cose che scrivo, amico che mi chiese per l’appunto notizie delle voci in
epigrafe e segnatamente della prima che è voce antichissima e del tutto
desueta. Entro súbito in medias res dicendo che il termine
Guainella (s.vo f.le) in origine fu un grido di battaglia ( guainella, guainé,
brié, ahó!) in uso quale voce d’incitamento tra gli scugnizzi impegnati
in pericolosi e spesso cruenti scontri a colpi di pietra; in prosieguo di tempo
il grido, o meglio la sola parola d’avvio: guainella (per metonimia) passò ad indicare la vera e
propria tenzone.Successivamente poi, caduta in disuso, in luogo di guainella si adottò la voce petrïata (sassaiuola). Non di facile soluzione il problema
etimologico di questa voce assente nella magna pars dei lessici
dell’idioma napoletano o dei calepini etimologici del napoletano e
d’altronde quei pochi che la prendono in considerazione ( D’Ambra,
Altamura,Salzano, D’Ascoli, de Falco) o sorvolano sull’etimo o non
ànno identità di vedute, pur convenendo sul fatto che la voce in primis
indicasse un grido di incitamento allo scontro e successivamente la vera e
propria tenzone; D’Ambra, Altamura,Salzano son fra quelli che non azzardano
ipotesi etimologiche D’Ascoli e de Falco
ànno idee diverse: il D’Ascoli, lasciandosi probabilmente fuorviare
dall’idea sposata da due noti lessici etimologici (il D.E.I. di Battisti
ed Alessio ed il D.E.D.D.I. di Cortelazzo/Marcato) fece un erroneo riferimento all’omonimo, omografo guainella (=carruba) del dialetto abruzzese, mentre l’amico de Falco dopo avere
indicato, scartandole però, sia la
strada del francese gain (guadagno) che quelle
di alcune greche gualos (= pietra),guios (azzoppamento)
dal verbo guioo ( storpiare, ledere),
fa un ragionamento semantico singolare che potrebbe indurre in tentazione ma
che poco mi convince per ciò che riguarda la morfologia alla medesima stregua
che penso siano da escludere sia semanticamente che morfologicamente le voci
francesi e/o greche indicate dall’amico de Falco che alla fine premettendo che
la voce guainella vale per metonimia:
tenzone, sfida reputa di poter approdare ad un’idea etimologica che chiami in
causa la voce duello. Questa volta
non mi sento di aderire all’idea dell’amico de Falco per due ordini di motivi:
1) il duello è voce dal lat. duellu(m), forma ant. di bellum
'guerra',ma poi accostata a duo 'due' e quindi interpretata e ripresa
nel lat. mediev. come 'battaglia, scontro di due persone' e la guainella non è
uno scontro a due individui, ma una tenzone fra piú persone sia pure schierate
in due fazioni;
2) m’appare altresí azzardato affermare che in napoletano
sia consueto il metaplasmo della dentale
d nella g occlusiva velare sonora davanti ad
u; talvolta può sí capitare:sedia→seggia,
suddito→suggeco ma non è cosa consueta ed è troppo arrischiato e non
comprovabile ipotizzare che duellu(m) diventi dapprima (in base a quale
criterio?...) vuella e poi guainella.
No caro amico
Renato questa volta non m’avete convinto, come non mi può convincere
l’accostamento della guainella (sassaiuola) napoletana con la
guainella (carruba) presente qui e là come riportato sia nel
D.E.I. ( diminutivo di guaina(lat. vagina) voce del XVIII
sec.; denominazione volgare d’area it.
sett. e centr. della carruba, introdotto, sembra, nella lingua italiana da Antonio
Vallisnieri, medico, scienziato,
naturalista
e biologo
italiano
(Trassilico,
3 maggio
1661 –† Padova, 18 gennaio
1730)) che nel D.E.D.D.I.
sotto la voce vaíne con un supposto
diminutivo *vaginella donde l’umbro cajinelle,
il romanesco guainella, l’abruzzese
vainelle/fainelle/guainelle ed
altre voci che valgon tutte carruba con l’eccezione del romanesco
dove oltre che carruba guainella, vale pure spada, daga (forse per la forma
schiacciata ed appuntita del
baccello della pianta di carrubo. Non ci
siamo proprio! Mi chiedo cosa mai semanticamente abbia a che spartire il frutto
del carrubo con la tenzone a colpi di pietra che i napoletani nomano guainella! Non ci siamo proprio, nessuna
delle idee semantico-etimologiche riferite puó soddifarmi! Ò un’altra opinione
che è la seguente. Occorre rammentare che in origine la lotta, la tenzone, lo
scontro tra due fazioni di scugnizzi, spesso rappresentanti di rioni limitrofi
e rivali, non fu operata con il lancio
di pietre, ma a colpi di elastici e flessibili
bastoni e/o pertiche ricavati dai rami piú alti di piante quali i salici
o piante consimili come il vetrice; orbene tali
bastoni e/o pertiche prendevano il nome di ainella/e (dal greco agnos
letto come hagnos = casto e puro; si
trattava infatti di una pianta il
cui succo
delle foglie si riteneva conferisse castità e purezza. Ipotizzo dunque che in
origine il grido di incitamento allo scontro, lanciato dai capifazione non
fosse
guainella, guainé, brié, ahó! bensí
ainella, ainé, brié, ahó! e valesse: “suvvia, armatevi di bastoni, alle
pertiche!”
Successivamente l’originaria (‘a) ainella fu letta (‘a)
uainella ed ancór piú sempre per motivi eufonici (‘a) guainella che fu dapprima un grido
d’incitamento e poi identificò lo scontro una volta a colpi di bastoni e poi,
dismessi quelli per mancanza di alberi da cui procurarseli, a colpi di sassi e
pietre abbondanti in taluni luoghi della città bassa dove avvenivano gli
scontri.
Tutto ciò senza dimenticare poi che nel parlato popolare il
frutto del carrubo non fu mai (se non in qualche opera letteraria, mai nel
parlato comune) guainella ma sempre sciuscella.Questa
voce femminile (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò
che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero
sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse
silique bruno-nere, appuntite ricche di sostanze zuccherine, si usano come
foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero
usati come passatempo goloso
per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della
divisa, che richiama appunto quello bruno-nero
della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o
– un tempo - come passatempo dolcissimo
per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze
zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da
usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare
qualsiasi oggetto che sia di poca
consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo,
frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile
da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno
pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato
assemblati a caldo con collanti
chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È
inconsistente! Alla medesima
maniera ci si esprime nei riguardi di
ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che
in lingua napoletana vi fu un tempo una
voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese
sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono,
nelle rammentate lingue regionali,
l’italiano brodetto, uova cotte in
fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce a margine.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la
voce sciuscella , a ciò che nel suo
conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano
dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla
quale però sceglie pilatescamente di
trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né
– stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente
perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la
voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella
si
possa correttemente pensare ad un
derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli,
cedevoli, lente come brodi, neutro poi
inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che
dalla carruba (sciuscella) si
traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare
a dei brodini.
Facciamo ora un passo
indietro e torniamo alla seconda
delle voci in epigrafe riportando un’
icastica maledizione che suona: -
Puozz'avé mez'ora 'e petrïata dinto a 'nu viculo astritto e ca nun sponta,
farmacíe nchiuse e mierece guallaruse!
Imprecazione divertente, ma malevola, se non cattiva, rivolta contro un inveterato nemico cui, con
spirito esacerbato, si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione
subìta in un vicolo stretto e cieco, (che non offra cioè possibilità di fuga) e
a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte e di
imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti a prestar soccorso.
puozz’ avé = possa avere id est: possa subire; puozze= possa voce
verbale (2° pers. sing. cong. pres.) dell’infinito puté =potere, avere la forza, la facoltà, la capacità, la
possibilità, la libertà di fare qualcosa, mancando ostacoli di ordine materiale
o non materiale che lo impediscano; nell’espressione a margine puozze
vale ti auguro; l’etimo di puté/potere è dal lat. volg. *potìre (accanto al
lat. class. posse), formato su potens -entis; avé=
avere e molti altri significati
positivi come: conseguire, ottenere;
ricevere; entrare in possesso o negativi come: subire; per
l’etimo vedi sopra;
petrïata/petrata sost.vi femm diversi l’uno
dall’altro: letteralmente la voce petrata è la sassata,il
tiro e il colpo di una singola pietra, mentre
con la voce petrïata
si intende una prolungata gragnuola
di colpi di pietra, quasi una lapidazione; anticamente a far tempo dalla fine
del ‘500, a Napoli soprattutto in talune zone della città quali Arenaccia,
Arena alla Sanità, San Carlo Arena,san Giovanni a Carbonara ricche di
detriti sassosi, residuali di piogge che trasportavano a valle terriccio e
sassi provenienti dalle alture di Capodimonte,
Fontanelle etc. o, nelle stagioni secche, residui di fiumiciattoli (es.
Sebéto) in secca si
svolgevano, tra opposte bande di scugnizzi e/o bassa plebaglia, delle
autentiche battaglie(petrïate o guainelle) un tempo a colpi di bastoni, poi a colpi di pietre e sassi con feriti spesso gravi; ai
primi del ‘600 tali battaglie divennero cosí cruente che i viceré dell’epoca
furono costretti ad emanar prammatiche, nel (peraltro) vano tentativo di
limitare il fenomeno… Si ricorda una divertente espressione in uso tra i
contendenti di tali petrïate: Menàte ‘e grosse, pecché ‘e piccerelle vanno
dint’ a ll’uocchie! (Tirate le (pietre) grandi, giacché quelle piccole
vanno negli occhi!).
Etimologicamente sia petrata che petrïata sono un derivato metatetico di preta metatesi del lat. . petra(m), che è dal
gr. pétra; nella voce petrïata generata dopo petrata si è avuta l’anaptissi (inserzione di una
vocale in un gruppo consonantico o tra una consonante ed una vocale; epentesi
vocalica) di una i durativa allo scopo di espander nel tempo il senso
della parola d’origine;l’anaptissi di questa i atona non à influito sull’accento tonico della parola e si è avuto petrïata→petriàta in
luogo di petríata;
dinto
(a)
= dentro
(ad) avverbio e prep. impropria dal basso
lat. de intus; da notare che in napoletano, come prep.
impropria, dinto debba
sempre essere accompagnata dalla prep. semplice
a o dalle sue articolate â
= a + ‘a (alla ) ô= a + lo ( al/allo)
ê= a + i/a + le (ai/alle) per modo che si abbia ad es. dint’ ô treno
(dentro al treno ) di contro il corrispondente italiano dentro il
treno. La medesima cosa càpita come alibi dissi per ‘ncoppa (sopra)
,sotto (sotto), ‘mmiezo (in mezzo) fora (fuori) ed ogni altro avverbio e/o preposizione impropria;
viculo
=
vicolo, vico via molto stretta e di secondaria importanza, in un centro
urbano ; l’etimo è dal lat. viculu(m), dim. di vicus;
astritto o astrinto agg. qual.
masch. stretto, poco
sviluppato nel senso della larghezza; non largo, non ampio; angusto; l’etimo
è dal lat. *a(d)strictus part.
pass. di un *a(d)stringere, rafforzativo di stringere;
ca nun sponta letteralmente: che non sfocia
in altra strada cioè: vicolo (stretto e) cieco; sponta =sfocia
voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito spuntà= sbottonare,
spuntare,
comparire all’improvviso,sfociare; in primis spuntare con etimo dal latino *ex-punctare vale
toglier la punta, metter fuori la punta ed il senso di spuntare,
comparire all’improvviso,sfociare deriva dal fatto che chi spunta (appare),
compare all’improvviso o sfocia in qualche luogo proveniente da un altro, non lo fa di colpo, ma paulatim et gradatim
quasi mettendo fuori innanzi tutto la propria punta e poi il resto del corpo;
ugualmente il senso di sbottonare è dato dal fatto che il bottone vien
fuori dall’asola prima per la parte limitrofa(punta.) poi tutt’intero;
farmacíe sost. femm. plurale di farmacía che in napoletano, piú restrettivamente del corrispondente
italiano,( dove con derivazione dal greco pharmakéia 'medicina, rimedio', da phármakon 'farmaco'si intende
l'insieme degli studi e delle pratiche che ànno per oggetto le proprietà, l'uso
terapeutico e la preparazione dei medicinali) si intende, derivato dal francese
pharmacie esclusivamente il locale
destinato alla vendita e, soprattutto nel passato, anche alla preparazione dei
medicinali;
nchiuse agg. plur. femm. = chiuse, serrate,
strette etimologicamente trattasi del
part. pass. aggettivato femm. del verbo nchiurere= chiudere, ostruire, sbarrare, impedire un accesso;
bloccare un passaggio con etimo
dal basso latino cludere, per il class. claudere; faccio notare come nel
verbo napoletano nchiurere si è avuta la
consueta trasformazione di cl→chi come
altrove ad es.: chiesia←(ec)clesia, chiuovo←clavus etc, la tipica
rotacizzazione mediterranea d→r e la protesi di una n eufonica che non va marcata con
alcun segno diacritico (‘n) in quanto essa n non è
l’aferesi di in, ma solo una consonante eufonica come nel caso di nc’è=
c’è, ragion per cui erra chi dovesse scrivere la voce a margine
‘nchiuse da un inesatto ‘nchiurere
atteso che , come ò detto,
nchiurere deriva da n(eufonica)+ cludere non da in(illativo)→’n+cludere;
mierece sost. masch. plurale di miedeco/miereco=
medico, chi professa la medicina avendo conseguito il titolo accademico e
l'abilitazione all'esercizio della professione; l’etimo è dal lat.medicu(m),
deriv. di medìri 'curare, soccorrere'con dittongazione nella sillaba d’avvio intesa breve ie←e, e
rotacizzazione mediterranea d/r;
guallaruse agg. masch. plur. di guallaruso=
affetto da ernia probabilmente inguinale tale da limitare il movimento
deambulatorio; la voce a margine (che è maschile, come dal suff. use plurale di uso,
il femminile avrebbe avuto il metafonetico suff. ose pl. di osa)
è un derivato del sostantivo guallera(=
ernia) che è dall’arabo wadara.
E cosí penso d’avere accontentato l’amico N.C. e qualche altro dei miei 24 lettori e penso
di poter porre un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale
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