12 ICASTICHE LOCUZIONI.
1 -AMMORE, TOSSE E RROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le
manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può
nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia
saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a
situazioni non celabili.
2- 'MPÀRATE A PARLÀ, NO A FFATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaroed
ironico, ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere la
disistima tenuta dai napoletani per tutti coloro che non si guadagnano da
vivere con un serio e duro lavoro, ma fondono la propria esistenza sul fumo
dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di
sussistenza, molto piú dell'onesto e
duro lavoro (FATICA)in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti
la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente
benissimo.
3- CHI TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SE LU MAGNA.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo
mangia. Il proverbio- che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un
anacoluto sta a significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché
spesso ciò che è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore
che disperde o consuma tutto il messo da parte.
4 -'A SOTTO P''E CHIANCARELLE.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a
sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa
esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un
fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di
panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi
che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e
alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto
relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi
erigere un palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe
dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice
edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il
crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi
di sotto! ).
5 -'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCAREPECCHÉ, TUTTA 'A
JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di
bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura
delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti
caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e
danaro.
6 -'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA
GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare
tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò
pericolosissimi.
7 -'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato,
lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre
presenti là dove occorre.
8 -'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVIVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un
essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà
dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché
si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente
status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono
permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
9 -SPARTERSE 'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli
si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti
di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul
Golgota , divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il
Signore.
10 -ESSERE AURIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in
casa. Cosí a Napoli si suole dire di coloro
- specialmente uomini - che in
piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre
in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche
immotivato.
11 -AVENNO, PUTENNO, PAVANNO.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando. Strana locuzione napoletana che si compendia
in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo
reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente
verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni
ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú
correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di
verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi
occorrenti e quando (e se) potrò.
12 – SI NUNN’È CU ‘O PIZZO, NUN RUCIULEJA.
Ad litteram: se non è con la punta, non ruzzola. Id est: se non è
provvisto di ogni prevista qualità, non è confacente, cioè non soddisfa le
esigenze. Espressione di origine contadina/campagnola nata in riferimento al frutto detto percoca[dal lat. precox=
frutto precoce] che, se è originale, deve essere puntuto; in caso contrario è
una volgare imitazione che non è confacente e non soddisfa il palato.
Raffaele Bracale
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