1. FARSE
CHIOVERE 'NCUOLLO.
Letteralmente: farsi piovere addosso, ossia lasciarsi cogliere impreparato a
qualsivoglia bisogna, non prendere le opportune precauzioni e sopportarne le
amare conseguenze.
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2. FÀ 'O
CALAVRESE. Fare il calabrese, ossia non mantenere la parola data, esser
mendace, spergiuro e mancator di parola tal quale un qualsivoglia calabrese
che di costituzione malfidente,
sospettoso e diffidente usa non tener fede a quanto promesso, giurato o
addirittura pattuito nel timore che il
contraente piú furbo di lui possa nuocergli... e gli abbia fatto stendere un
patto in suo (del calabrese) danno.
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3. FARSE
'A PASSIATA D''O RRAÚ.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza
fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci
diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un
canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che à bisogno di
una lunghissima cottura, tanto che la sua preparazione cominciava il sabato
sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo
necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a
lente e salutari passeggiate, mentre le donne di casa accudivano la salsa in
cottura e preparavano la tavolata domenicale.
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4.Stà sempe
'ntridice/’ntririce.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, al
centro, in vista, mostrarsi
continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra
di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo.
Ora poiché nella smorfia
napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che se ne è ricavato
l’avverbio a margine e viene fuori
l'espressione in esame con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli
impenitenti presenzialisti. etimologicamente‘ntridice/’ntririce = nel
mezzo, al centro, in vista è forgiato da un in→’n illativo + tridice/tririce
= tredici numerale dal lat. tredecim,
comp. di trís 'tre' e decem 'dieci'; nella morfologia tririce da tridice
è riscontrabile la rotacizzazione osco-mediterranea della d→r.
...
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5. Aspettà
cu ll'ove 'mpietto.
Letteralmente: attendere con le uova in petto. Id est: attendere
spasmodicamente, con impazienza, preoccupazione... L'espressione viene usata
quando si voglia sottolineare la spasmodicità dell'attesa di un qualsivoglia
avvenimento. E prende le mosse dall'uso invalso in certe campagne del
napoletano, allorché le contadine, accortesi che la chioccia, per
sopraggiunti problemi fisici, non portava a termine la cova, si sostituivano
ad essa e si ponevano tra le mammelle le uova per completare con il loro
calore l'operazione cominciata dalla chioccia.
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6.'A
sciorta 'e Cazzette:jette a piscià e se ne cadette.
La cattiva fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene.
Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico
personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche
comportano gravissimo nocumento.
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7. Attacca
'o ciuccio addò vò 'o patrone
Letteralmente: Lega l'asino dove vuole il padrone Id est: Rassegnati ad
adattarti alla volontà altrui, specie se è quella del capintesta(e non
curarti delle conseguenze) È una sorta di trasposizione del militaresco: gli
ordini non si discutono...
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8. 'E
maccarune se magnano teniente teniente
I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale
dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a
significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione
degli affari.
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9. Si 'o
dicesse 'a mòra, 'e ffemmene jarriano cu 'o culo 'a fora...
Letteralmente: se lo dettasse la moda, le donne andrebbero col sedere
scoperto. Ma al di là del significato letterale che in tempi recenti à avuto
pratica attuazione, la locuzione viene usata quando si voglia sottolineare lo
scorretto comportamento di taluni, che agiscono non secondo logica o raziocinio,
ma seguendo il vento del momento o la moda imposta dall'alto.
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10. 'Nu
maccarone, vale ciento vermicielle.
Letteralmente:
Un maccherone, vale cento vermicelli. Ma la locuzione non si riferisce alla
pietanza in sè. Il maccherone della locuzione adombra la prestanza fisica ed
economica che la vincono sempre sulle corrispondenti gracilità.
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11. Acrus
est!
Letteralmente: È acre! Cosí esclama un napoletano davanti ad una situazione
ineludibile pur essendo difficile da sopportare. Un vecchio sacrestano, per
far dispetto al suo parroco, aveva messo dell'aceto nell'ampollina del vino.
Giunto al momento di comunicarsi il prete si adontò dicendo, appunto, acrus
est - è acre - ed il sacrista replicò: te ll'he 'a vevere (lo devi bere)
controreplica del prete: Dopp''a messa t'aspetto dinto a 'a sacrestia - dopo
la messa ti attendo in sacrestia... - il sacrista: He 'a vedé si me truove...
- È probabile che non mi troverai... -
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12.
Alesio, Alè, 'stu lucigno quanno se stuta?
Letteralmente: Alessio, Alessio, questo lucignolo quando si spenge? La
locuzione viene usata nei confronti di chi fa discorsi lunghi, noiosi, oziosi
e ripetitivi nella speranza, il piú delle volte vana, che costui punto dal
richiamo, zittisca e la pianti. È da rammentare che in napoletano la parola
cantilena si traduce, appunto, cantalesia (dal verbo cantare + il nome
proprio).
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13. Agge
pacienza e fatte jí 'nculo so' 'a stessa cosa...
Porta pazienza e fregati son la medesima cosa!L'invito proposto dalla prima
parte della locuzione a sopportare, ad aver pazienza, viene dalla saggezza
popolare equiparato a quello ben piú doloroso di lasciarsi sodomizzare!
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14. Nun
sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna...
Letteralmente: Non sputare verso il cielo, perché ti ritorna in viso. Id est:
chi si pone contro la divinità, ne subisce le pronte conseguenze.
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15. 'E
fodere cumbattono e 'e sciabbole stanno appese.
Letteralmente: I foderi combattono e le sciabole stanno appese. La locuzione
viene usata per commentare l'inettitudine di taluni che demandano, per
indolenza o incapacità, il loro compito ad altri, cercando di esimersi dal
lavoro.
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16. Stà
'ncappella.
Letteralmente: stare in cappella Id est: essere male in arnese, stare mal
combinati, anzi stare alla fine della vita , al punto di aver necessità degli
ultimi sacramenti. La locuzione fa riferimento ai condannati al patibolo
della fine del 1600, che, a Napoli, prima dell'esecuzione venivano condotti
in una cappella della Chiesa del Carmine Maggiore, adiacente la piazza
Mercato, dove era innalzato il patibolo e nella cappella ricevevano l'estremo
conforto religioso.
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17. Ll'
avimmo fatto 'e stramacchio.
Letteralmente: l'abbiamo compiuto alla chetichella,- o anche di straforo, di
soppiatto, quasi "alla macchia", ai margini della legalità.
L'espressione di stramacchio deriva pari pari dal latino extra mathesis, id
est: al di fuori dei retti insegnamenti, dalle buone regole di condotta e
perciò clandestinamente.
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18. Chisto
è chillo ca tagliaie 'a recchia a Marco.
Letteralmente: Questo è quello che recise l'orecchio a Marco. La locuzione è
usata per indicare un attrezzo che abbia perduto le proprie precipue capacità
di destinazione; segnatamente p. es. un coltello che abbia perduto il filo e
non sia piú adatto a tagliare, come la tradizione vuole sia accaduto con il
coltello con il quale Simon Pietro, nell'orto degli ulivi recise l'orecchio a
Malco (corrotto in napoletano in Marco), servo del sommo sacerdote.
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19. 'O
CUMMANNÀ È MMEGLIO D''O FFOTTERE.
Letteralmente: Il comando è migliore del coito. Id est: c'è piú soddisfazione
nel comandare che nel coitare. La locuzione viene usata per sottolineare lo
scorretto comportamento di chi - pur non avendone i canonici poteri - si
limita ad impartire ordini e non partecipa alla loro esecuzione.
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20. Mentre
'o miedeco sturéa, 'o malato se ne more.
Letteralmente: Mentre il medico studia, il malato se ne muore. La locuzione è
usata per sottolineare e redarguire il lento improduttivo agire di chi
predilige il vacuo pensiero alla piú proficua, se rapida, opera.
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21. M' hê
dato 'o llardo 'int' â fijura
Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei
confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e
prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli
che gestivano in piazza Carlo III un ospedale per cure dermatologiche ed
usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi.
Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per
il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto,
avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la
quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole
alla bisogna.
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22. Fà
cuofeno saglie e cuofeno scenne.
Letteralmente: far cesto sale e cesto scende - Il Cuofeno (dal latino
cophinus) è un particolare cesto di vimini piú stretto alla base e provvisto
di manici, per il trasporto delle merci piú varie. La locuzione significa:
lasciare che le cose vadano secondo la loro naturale inclinazione, evitare di
interessarsi di qualche cosa, non curarsi di nulla.
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23. Se
pava niente? E sedúgneme da capa ô pede!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di
chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed
eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che
l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in
epigrafe chiedendo di essere unto completamente.
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24. 'A ch'
è mmuorto 'o cumpariello, nun simmo cchiú cumpare.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id
est: da quando non c'è piú chi ci aveva uniti, è finito anche il legame. La
locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e
repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di
rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che la scomparsa del figlioccio
potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra
il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
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25. Ll'
ammore da luntano è comme a ll' acqua 'int' ô panaro.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio
inutile che si tramuta in tormento.
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26. Santa
Chiara: dopp'arrubbato, 'e pporte 'e fierro!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo subíto il furto, apposero le porte di
ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o
aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato
opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare.
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27
'Mmarcarse senza viscuotte.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti,
accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta,
senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori
che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si
cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti
al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili
ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
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28.
Quann'è pe vizzio, nun è peccato!
Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista
parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che
considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente
che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della
locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto, si comprenderà la
reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per
dolo, ma per mero difetto o errore.
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29.
Passasse ll'ngelo e dicesse: Ammenne!
Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La
locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera
per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con
l'indicativo à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto
serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo
è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed à con il suo
assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di
lui nemico.
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30. Va
truvanno: 'mbruoglio, aiutame.
Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a
Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di
scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate
rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi
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31. Paré
Pascale passaguaje.
Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene
appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli
occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente
- si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi,
compiangendosi, con tutti.
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32. Paré
'o pastore d''a meraviglia.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria
imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori
del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed
incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in
terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a
meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse:
pastores mirati sunt.
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33. Fà 'o farenella.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da
manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece
erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi
detto Farinelli, ma prende le mosse dall'ambito teatrale dove le parti delle
commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano
riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre
anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú
tanto giovane e allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre
piú che alla costosa cipria, alla piú economica
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34. À
fatto 'o pireto 'o cardillo.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato
che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile
performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate
capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o
memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare
un piccolo cardellino.
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35.
Pigliarse 'o Ppusilleco.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo,
accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera
gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina
partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno,
luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso
antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
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36. Nun
lassà 'a via vecchia p''a via nova, ca saje chello ca lasse e nun saje chello
ca truove!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò
che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare
strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse si andrebbe incontro
all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
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37. Petrusino, ogne menesta.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito
presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di
intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che
si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse parttenopee.
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38. Acqua
ca nun cammina, fa pantano e fète.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste
di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che
all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
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39. 'Nfila
'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una
perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a
farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da
doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello
in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa
rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci,
l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo
politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et
similia.
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40.
Astipate 'o milo pe quanno te vène sete.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna
essere impazienti; non si deve reagire subito sia pure a cattive azioni
ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne
avvertirà maggiormente la necessità.
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41.
Puozz'avé mez'ora 'e petriata dinto a 'nu vicolo astritto e ca
nun sponta, farmacie 'nchiuse e miedece guallaruse!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di
sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e
cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si
augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e
pertanto lenti al soccorso.
Brak
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