venerdì 12 febbraio 2021

IL VERBO PISCIÀ, I SUOI DERIVATI E LA FRASEOLOGIA

IL VERBO PISCIÀ, I SUOI DERIVATI E LA FRASEOLOGIA

Questa volta prendendo spunto dalla richiesta dell’amico carissimo D.C. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)che nel  riportarmi  il quesito d’ un suo amico,  mi à chiesto di     illustrare, chiarire ed esaminare il  significato l’ uso e l’ origine di un’ antica espressione partenopea (cfr. ultra sub 1); prendendo spunto appunto  da tale  richiesta mi soffermerò a dire del verbo in epigrafe dei suoi derivati e della relativa fraseologia. Cominciamo dunque con il dire che il verbo piscià   vale mingere, orinare

 ed è  derivato dal tardo lat. pitissare→pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);normale nel napoletano risoluzione in sci seguíto da vocale della consonante fricativa dentale sorda o sonora (s) sia scempia che doppia purché  seguíta da vocale; e veniamo súbito alle voci derivate dal verbo per agglutinazione (In linguistica l’agglutinazione è la  riunione in una sola unità grafica e fonetica di due o piú elementi lessicali originariamente distinti, ma che si trovano spesso insieme in un sintagma (per es., disotto←di sotto , disopra←di sopra , perlopiú←per lo piú, eppure←e pure , ecc.). Il processo, che come fatto grafico è frequentissimo in antiche scritture e che spesso rispecchia fedelmente l’effettiva realtà fonetica (come in ammodo, eppure, ovvero, sebbene, macché, pressappoco, ecc.), à molta importanza nell’evoluzione diacronica in quanto può dare luogo alla formazione di nuove parole, soprattutto per la fusione (détta in questi casi anche concrezione) dell’articolo o di una preposizione, come per es. il region. loppio (da l’oppio, un albero), l’avv. ant. incontanente (dal lat. tardo in continenti [tempore]), l’ant. e pop. ninferno (da [i] n inferno).Rammento ad abundantiam che  ad una agglutinazione e falsa deglutinazione dell’articolo si devono le antiche varianti oncenso, onferno per incenso, inferno, sviluppatesi dalle forme lo ’ncenso, lo ’nferno, scritte e pronunciate loncenso→l’oncenso, lonferno→l’onferno)dicevo agglutinazione di una voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià/are) con un avverbio o un sostantivo. Abbiamo dunque

pisciasotto s.vo ed agg.vo m.le e f.le =  letteralmente: chi/ che si minge addosso;  la voce nasce come s.vo e vale in primis bimbo/a, piccolo/a; neonato/a, poppante, lattante; usato come agg.vo m.le e fem.le vale timido/a,debole,  pauroso/a, pavido/a ; schivo/a, chiuso/a,introverso/a insicuro; etimologicamente la voce, come ò già cennato e qui preciso  è formata dall’ agglutinazione  della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià) con  avverbio sotto (dal lat. subtus→suttus→sotto,  deriv. di sub 'sotto'; il collegamento semantico tra i significati del sostantivo e quelli dell’aggettivo si colgono se solo si considera il fatto che chi è piccolo/a; neonato/a, poppante, lattante è di per sé timido/a,debole,  pauroso/a, pavido/a etc e mai potrebbe essere  coraggioso/a, audace, intrepido/a, ardito/a, impavido/a audace, disinvolto/a, sicuro/a, deciso/a;

piscianzogna s.vo ed agg.vo m.le e solo m.le=  letteralmente: chi/che  minge strutto; id est pubere, adolescente; non si tratta di un’iperbolicità divertente o ironica (atteso che non è dato a nessuno poter  mingere sugna...), ma solo di una rappresentazione icastica di una manifestazione dell’età evolutiva: è allorché un ragazzo abbia raggiunto la pubertà e sia diventato adolescente  che può dar luogo, per la prima volta,  all’emissione di seme spermatico, quel seme che per il suo colore biancastro e la sua viscidità viene assomigliato allo strutto; etimologicamente la voce, come ò già cennato e qui preciso  è formata dall’ agglutinazione  della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià) con il s.vo ‘nzogna= sugna, strutto sostantivo sul quale mette conto io mi soffermi alquanto; preciso súbito che la voce napoletana ‘nzogna  che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta [come ò fatto!]  ‘nzogna con un congruo apice () d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.

Ciò detto passiamo all’etimologia e  sgombriamo  súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, ( cosí erroneamente scritto e non ‘nzogna) possa  essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo  passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare   un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancòra ricca di grasso.

Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze se si esclude un assogna  che è la 3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. assognare = sognare che [come ognuno vede] nulla può avere a che spartire con il grasso per condimento! Messe perciò  da parte tali fantasiose proposte, penso che  all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza:  inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.

Proseguiamo e prima di illustrare la fraseologia costruita con il verbo pisciare  rammento che esiste un solo s.vo derivato dal verbo in esame che connota non una persona, ma un oggetto; si tratta del s.vo

pisciaturo s. m. impianto dotato di apparecchiature igieniche per orinare, per uso pubblico maschile, orinatoio;voce derivata dal part. pass. di piscià addizionato del suffisso uro/a suffisso deriv. dal fr. -ure, usato  al maschile (uro)per formare sostantivi per oggetti (cfr. pisciaturo,trapenaturo, ballaturo) o  termini tecnici, chimici etc.ed al f.le (ura) per formare sostativi astratti (cfr. friscura,bruttura, pensatura). 

 

E veniamo alla fraseologia costruita con il verbo in epigrafe; comincio

 

1)pisciarse dê rrisa letteralmente mingersi dalle risate cioè orinarsi  addosso per il troppo ridere, id est scompisciarsi, sbellicarsi;

2)si pisce chiaro, ffa’ ‘e ffiche ô miedeco oppure 2 bis) si pisce chiaro  futtatenneoppure fruculeatenne d’ ‘o miedeco = letteralmente nel primo caso  Se mingi chiaro  fa’pure gli scongiuri alla vista d’un medico o scherniscilo (perché non ne avrai bisogno); nel caso sub 2 bis Se mingi chiaro  (addirittura) impípitane  del  medico (perché mai  ne avrai bisogno);

 fa’ ‘e ffiche! =fai le fiche!;fà ‘e ffiche= far le fiche  è un gesto internazionale di scongiuro e/o di scherno,   dileggio che à una tradizione millenaria ed appartiene ad un po’ tutto il mondo;  consiste nell’introdurre il dito pollice della mano destra serrata a pugno,tra l' indice ed il medio e tenerlo ben dritto accompagnando il gesto con l’agitar la mano con un movimento ripetuto dal basso in alto nell’intento di mimare il coito in atto;  rammento in proposito che trattasi di  gesto che  è diffusissimo ed addirittura  nei paesi dell’America meridionale (Brasile in testa) si è soliti produrre delle minuscole statuine apotropaiche in legno di bosso riproducenti il gesto che è stato ovunque abbondantemente studiato  e commentato;qui mi limito a rammentare che un tempo in origine il gesto non ebbe significato di scherno o scaramantico, ma fu un palese invito all’atto sessuale rivolto da un uomo alla sua donna o ad un’occasionale conoscenza;  va da sé che (linguisticamente parlando) ‘e ffiche è il pl. di ‘a fica   che in napoletano è sí il s.vo f.le usato per indicare il frutto del fico, ma è altresí il s.vo f.le volg. che è uno dei numerosi sinonimi(cfr. alibi) sia del napoletano che dell’italiano  dell’insieme degli organi genitali esterni femminili:1 vulva;semanticamente la fica= frutto del fico  frutto rosso e carnoso  è preso a riferimento per indicar la vulva , cosí come l’altrove usato pummarola = pomodoro, non perché la vulva sia edula come il pomodoro o il frutto del fico, ma perché sia la vulva che il pomidoro o il frutto del fico   ànno il loro interno rosso vivo;  | 2 (estens.) donna bella e desiderabile. Etimologicamente è voce dal lat. tardo fīca per fīcus «fico, frutto del fico»; il sign. fig. era già nel gr. σῦκον «fico».

futtatenne  e fruculeatenne

Queste  in esame sono  due  delle piú concise, ma icasticamente significative espressioni  del parlar napoletano, espressioni   che  si sostanziano in due imperativi (2 pers. sg.) addizionati in posizione enclitica da un  ne  che è una particella pronominale o locativa atona corrispondente al ne  dell’italiano; come   pron. m. e f. , sing. e pl.  è forma atona che in genere  si usa in posizione piú spesso  enclitica, ma talora   anche  proclitica (ad es. nun me ne parlà); mentre  è sempre posposta ad altro pron. atono che l'accompagni (come nei casi in epigrafe); esso nelle espressioni in epigrafe  vale di ciò; altrove (cfr. ad es. vattenne= vattene) à altra valenza (locativa), ma   comporta sempre in tutti i casi  il raddoppiamento espressivo della nasale per cui ne→nne.

Ma torniamo alle due espressioni in esame e dandone  il significato che ovviamente necessiterà d’un giro di parole;  il napoletano infatti spessissimo è piú stringato ed gli occorrono meno parole dell’italiano per esprimere incisivamente  un concetto. Nella fattispecie sia con l’espressione fruculeatenne (che letteralmente è: stropicciatene!)  sia con l’espressione futtatenne (letteralmente impípatene!) si intende quasi imporre oppure pressantemente  consigliare (ed ecco perché è usato

 l’ imperativo piuttosto che un piú morbido congiuntivo ottativo...) si intende consigliare, dicevo, colui cui venga rivolta una o ambedue le espressioni  di impiparsi di un  qualcosa, di  tenere in non cale un’accadimento, una faccenda, di non curarsi, di  infischiarsi di qualcuno o piú spesso  di qualcosa.

Piú esattamente l’espressione fruculeatenne(che, mi ripeto letteralmente è: stropicciatene!)  è potremmo dire un modo piú dolce e meno duro, quando non addirittura piú frivolo, per significare il medesimo concetto  dell’espressione futtatenne che risulta essere piú dura, salutarmente sanguigna   pur se  addirittura becera; ambedue gli imperativi in epigrafe risultano, comunque  incisivamente piú significativi del corrispondente algido impípatene della lingua italiana!

Ora consideriamo piú da presso le due espressioni e cominciamo con

-       fruculeatenne  come ò già detto si tratta di un imperativo (2ª pers. sg.) del verbo riflessivo fruculearse-ne/fruculiarse-ne= impiparse-ne; e vale morfologicamente esattamentestropícciati di ciò,   impípa-tene;  l’etimo del verbo fruculeà/fruculià  affonda nel lat. fricare= strofinare, stropicciare ed estensivamente frantumare in piccoli pezzi  ed è  a questa estensione che occorre pensare per percorrere la via semantica seguíta per comprendere il passaggio tra il verbo latino inteso come frantumare in piccoli pezzi  ed il napoletano fruculearse-ne/fruculiarse-ne= impiparse-ne; in effetti di qualcosa  che venga frantumato in minutissimi pezzi, non vale mettere conto, interessarsene per modo che se ne  può  impipare tranquillamente, cioè quasi fumarsi nella pipa quei minutissimi pezzi.

E passiamo a

-       Futtatenne! Anche per la voce a margine, come ò già détto, ci troviamo a che fare  con una voce verbale e cioè con  l’imperativo (2ª pers. sg.) del verbo riflessivo fotterse-ne= impiparse-ne, infischiarse- ne nella medesima valenza del pregresso fruculeatenne  quantunque  la voce a margine abbia rispetto alla prima voce in esame  un’espressività piú dura, sanguigna, impetuosa,  anzi addirittura becera atteso che col verbo di cui è imperativo non  richiama la frantumazione di qualcosa   in piccoli pezzi di cui disinteressarsi, ma molto piú sanguignamente – direi – chiama in causa una... pratica sessuale (il coito) quasi che la faccenda di cui disinteressarsi sia di nessun conto o non abbia nerbo per cui se ne possa con ogni tranquillità abusare quasi congiungendovisi in un ... rapporto sessuale. In effetti    l’etimo del verbo fottere donde il riflessivo fotterse-ne e l’imperativo a margine    affonda nel lat. futúere→fúttere (con tipico raddoppiamento della  consonante antecedente la ú seguíta da vocale e ritrazione dell’accento) verbo che sta per coire, avere rapporti sessuali  oltre che raggirare, imbrogliare. Semanticamente anche in questo caso, come per la precedente voce fruculeatenne occorre pensare che di qualcosa  che venga impunemente posseduto carnalmente ad libitum, non vale mettere conto, interessarsene per modo che uno  se ne  può  impipare tranquillamente come si terrebbe in nessun cale un fortuito  rencontre con un’occasionale donna.
Preciso ancóra, ad abundantiam,  che letteralmente la voce a margine vale Infischiatene, Non dar peso, Lascia correre, Non porvi attenzione. È il pressante invito a tenere i comportamenti indicati rivolto a chi si stia adontando o si stia preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Rammento che  tale icastico, sanguigno  invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un offensivo  declassamento del loro santo e allora scrissero a caratteri cubitali  sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano consigliare al loro santo patrono di non  adontarsi per l’offesa ricevuta e rassicuralo, al contempo,   che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma e Gli avrebbero in ogni caso tributato tutta la dulía che sin  dal  305 anno del martirio del santo vescovo, gli era stata devotamente riconosciuta.

 

 

3)SUNNARSE E PISCIÀ DINT’Ô LIETTO = Letteralmente; sognare e mingere nel letto; id est: dar credito ai sogni, spaventarsene al segno di mingere tra le coltri,  reputar vere le ombre, prender per sostanza le apparenze, scambiar sogni e realtà.

sunnarse = sognarsi  trattasi del verbo sunnà =sognare addizionato come frequentente accade    della particella pronominale se = si in funzione riflessiva,  intensiva e/o espressiva]
1 vedere, immaginare in sogno: sunnà(sognare),sunnarse ‘nu cane a ddoje cape( sognarsi un cane a due teste); sognare, sunnarse ‘e vulà(sognarsi di volare); me songo sunnato ca ire partuto(ò sognato che eri partito);
2 raffigurare nella fantasia come reale; desiderare con viva immaginazione; vagheggiare: sunnarse ‘na bbella casa(sognarsi una bella casa);sunnarse ‘e addivintà ricco (sognarsi di diventare ricco) | con riferimento al carattere irreale dei sogni: nun m’ ‘’o ssonno nemmeno!( non me lo sogno neanche!), non ci penso neanche, non lo farei mai, oppure non posso nemmeno sperarlo; nun mme ll’aggiu sunnato!(non me lo sono mica sognato), è vero, è accaduto realmente; ‘a villa ô mare s’ ‘a sonna, s’ ‘a po’ sunnà!(la villa al mare se la sogna, se la può sognare!), non l'avrà mai; nun sunnarte d’ ‘o ffà(non sognarti di farlo), non farlo assolutamente, non pensarci neanche | con riferimento al carattere divinatorio attribuito ai sogni: nun putevo sunnarmelo(non potevo sognarmelo), non potevo saperlo; chi s’ ‘o ffósse sunnato?(chi se lo sarebbe sognato?) chi poteva prevederlo? ||| v. intr. [ pure in napoletano come accade per  l’italiano il sognare(quale  intr.)  vuole l’aus. avere, mentre se costruito con la particella pron.,vuole l’aus. essere,  ] fare sogni: sonna tutte  ‘e nnotte(sogna tutte le notti);aggiu sunnato ‘e mamma mia (ò sognato di mia madre); me so’ sunnato d’ ‘e tiempe passate(mi sono sognato dei tempi passati) | me pare ‘e sunna(mi sembra di sognare), si dice di fronte a cosa straordinaria, imprevista o meravigliosa 'sunnà a uocchie apierte ( sognare a occhi aperti), fantasticare. Voce dal lat.  somniare→sonniare→sunnà, deriv. di somnium 'sogno'.

dint’ô  corrisponde all’italiano nel/nello. Al proposito rammento che con la preposizione in  in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare  analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano  tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente  aggiungere alla  preposizione impropria non  il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza  e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in  napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate  formate da dinto a   e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê  che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle; dinto  è dal lat.  dí intro→d(í)int(r)o→dinto 'da dentro'.

 

4)PISCIÀ ‘NCOPP’Â SCOPA

Prima di illustrare, chiarire ed esaminare il  significato, l’ uso e l’ origine dell’espressione in esame mi corre l’obbligo d’una precisazione:  l’espressione in esame è molto datata, ma stranamente, di essa non si occupa compiutamente  nessuno (con una sola eccezione, di cui dirò…), non si occupa nessuno dei numerosi addetti ai lavori o degli appassionati cultori della napoletanità e suoi usi, costumi ed espressioni linguistiche; nessuno: né il D’Ascoli, né Iandolo, né Zazzera, né altri;quest’ultimo (Zazzera) – per la verità – né dà una timida, e peraltro, erronea interpretazione (pur senza chiarire o argomentare) parlando di un generico rimedio da usarsi quale  antidoto del nervosismo;  l’unico che ne fa menzione nel suo IL NAPOLETANARIO è l’amico avv.to Renato de Falco, ma anche lui  ne dà (e ne dirò in sèguito) una spiegazione erronea o quanto meno riduttiva.

Mi corre perciò l’obbligo di fare da solo, senza il supporto d’altre penne e/o idee. Pazienza, poco male! Non mi spaventerò per questo. Cominciamo con il dire che tradotta ad litteram l’espressione è: Mingere sulla scopa. e piú spesso è usata nella forma imperativa piscia ‘ncopp’â scopa! ossia mingi sulla scopa!

 Orbene, lètta cosí semplicemente nella morfologia con l’infinito, l’espressione parrebbe quasi sostanziare, come ipotizza l’amico Renato,  un innocuo dispettuccio meschino ed insulso fatto ad altri, come ad esempio, aggiungo io, quello fatto da un ragazzino, un monello che redarguito, sgridato  e rimbrottato si vendichi mingendo sulla scopa che forse è stata usata per accompagnare i rimbrotti con qualche sana percossa…

Ma le cose non stanno cosí perché l’espressione non è usata quale fatto di cronaca, ossia non è usata per riportare e riferire  il comportamento inurbano, dispettoso e di risentimento  di un bambino; tutt’altro! L’espressione è usata (nella morfologia imperativa) a sapido provocatorio commento all’atteggiamento d’ un adulto che si dispiaccia, si adonti di/per qualcosa che gli accada e che non sia di suo gradimento; chiarisco con un esempio. Poniamo che un individuo (maschio o femmina, ma  piú spesso càpita con  una femmina, adusa piú del maschio a risentirsi, mettere il broncio etc.) abbia ricevuto, da persona a cui non ci  si possa opporre o con cui non si possa competere reagendo, abbia ricevuto, dicevo,  un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto un danno ed ovviamente se ne dispiaccia, quando non se ne dolga o lamenti adontandosi e piccandosi, a costui/costei provocatoriamente gli/le si può opporre l’espressione dispettosa dell’epigrafe: E piscia ‘ncopp’â scopa! (Mingi sulla scopa!) che però non è lo stupido consiglio di reagire al rimbrotto, all’offesa, al danno  con un dispettuccio infantile, quanto la piú seria esortazione a fare buon viso a cattivo giuoco, a sopportare, ad arrangiarsi, a tollerare adattandosi a ciò che avviene.

L’espressione di  origine rurale, nasce prendendo spunto da un’antica pratica dei  contadini  che allorché dovevavo pulire l’aia provvedevano a bagnarla abbondantemente per evitare di sollevare polvere e quando non avevano sufficiente acqua per inumidire l’aia, si limitavano a bagnare la ramazza, ottenendo un risultato pressoché simile.

Nella fattispecie dell’esempio in esame l’uomo o piú spesso la donna   che abbia ricevuto, da persona a cui non ci si possa opporre o con cui non si  possa competere reagendo, un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto addirittura  un danno,l’indivuduo che cioè non possa bagnare la sua metaforica aia, deve adattarsi a ciò che avviene tollerando, facendo buon viso a cattivo giuoco magari  arrangiandosi ad inumidire con il proprio metaforico piscio una metaforica scopa. Posta cosí la faccenda l’espressione assume un significato ben piú pregnante del semplice dispettuccio infantile ipotizzato dall’amico Renato, dispettuccio che mal s’attaglia al comportamento di un adulto. 

piscia = mingi

voce verbale ( qui 2ª p. sg.imperativo, altrove anche  3 ª  p. sg. ind. pres. dell’infinito piscià = orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);

 ‘ncopp’â  = sopra alla; è il modo napoletano di rendere la preposizione articolata  sulla; rammento che con la preposizione su  in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare  analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto alibi  e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla  preposizione impropria non  il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola  o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola  e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in  napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate  formate da ‘ncoppa  a   e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê  che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o  ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o  tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e.

Per tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti  articoli  con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano  sono rese rispettivamente con sotto, ‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente altresí  che occorre sempre rammentare che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero; ora  sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è  la scrittura contratta o crasi della preposizione articolataa+’a= alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a +’a/’o/’e→’ncopp’â/ô/ê...) o sotto (sott’a. +’a/’o/’e→sott’â/ô/ê...)...) in mezzo (‘mmiez’ a. +’a/’o/’e→’mmiez’â/ô/ê...)..) vicino al/allo (vicino a ‘o/’a/’e→ vicinoâ/ô/ê ) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc.  e non sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati calepini (TRECCANI) almeno per dentro  non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla  accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.

scopa s. f. arnese di forma varia per spazzare il pavimento, in genere consistente in una sorta di grossa spazzola fatta di rami di erica o saggina, oppure di setole o di filamenti di materia plastica, su cui si innesta un lungo manico 'avé magnato ‘o maneco d’ ‘a scopa (aver mangiato il manico della scopa), (fig.) si dice di persona che cammina rigida e impettita |sicco comme a ‘na scopa (magro come una scopa), (fig.) molto magro; voce dal lat. scopa(s) di scopae -arum pl., perché fatta con i rami della pianta omonima.

 

5)PISCIÀ ACQUA SANTA P’ ‘O VELLICULO = espressione ironica se non sarcastica che letteralmente è: mingere acqua santa attraverso l’ombellico; id est: accreditare (per il gusto però di burlarsene, non di lodarlo)  qualcuno di esser migliore di quanto sia in realtà ritenendolo addirittura capace di poter mingere in luogo dell’orina, dell’acqua lustrale attraverso un orifizio peraltro inesistente! La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di bontà se non  di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che buoni,  santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa.

velliculo = ombelico; l’etimo di velliculo è il medesimo di ombelico  e cioè il lat.  umbilicu(m), affine al gr. omphalós 'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi della prima sillaba um, il passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.),  il raddoppiamento espressivo della liquida nella sillaba  li→lli e l’aggiunta di un suffisso diminutivo ulo/olo← olus.

 

 

6)VULÉ PISCIÀ E GGHÍ ‘NCARROZZA

Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.

per il verbo gghí = andare cfr. ultra sub 8).

7)vulé piscià tutte dint'ô rinale oppure vulé piscià tutto dint'ô rinale

Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti  non a tutti è concesso di fare  tutte le  medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il muro. Nella variante si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può depositare tutto l’orina  nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!

rinale  s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale.  

 

8) ‘A SCIORTA 'E CAZZETTA:JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.
La (cattiva) fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.

jette = andò voce verbale (3ª p.sg. pass. remoto dell’infinito jí= andare); il verbo  merita una particolare attenzione: Il verbo italiano  andare ( che etimologicamente qualcuno pensa derivi  dal lat. ambulare o da un lat. volg. *ambitare, ma che molto piú esattamente sembra derivi da *aditare frequentativo di adire  è verbo che à  alcune forme che ànno per tema vad- derivando dal lat. vadere/vadicare 'andare') è reso,in napoletano,  con derivazione dal lat. ire, con l’infinito /ghí  e son numerose le locuzioni formate con détto infinito. Premesso  che alibi ò esaminato  qualcuna di tali locuzioni, preciso qui che in napoletano la grafia corretta dell’infinito   è – come ò scritto – oppure in talune espressioni ghí/gghí  (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti  scrittori napoletani noti o meno noti!) rendere in napoletano l’infinito di andare  con la sola vocale i  talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!,  seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’);  la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è   oppure in talune esopressioni ghí/gghí  cosí come espressamente  sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954)  che era solito  far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di oppure, ove del caso ghí,  li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí  nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª  pers. pl.usa il tema di ji –re  ed à nuje jammo, vuje jate  per tornare a *va(di)c-are per la 3ª ps. pl che è  lloro vanno.

9) PARLA SULO QUANNO PISCIA 'A GALLINA! Ad litteram: Parla solo quando orina la gallina! Perentorio icastico monito rivolto a chi (e segnatamente arroganti,  saccenti o supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle faccende altrui; monito che è  rivolto, prendendo (però erroneamente)   a modello la gallina che pur non possedendo uno specifico organo deputato all’uopo,  non è vero che non orini mai, ma compie le sue funzioni fisiologiche in un'unica soluzione attraverso un organo onnicomprensivo détto cloaca.

Analizziamo le singole parole, cominciando da

quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento; dal latino quando con tipica assimilazione progressiva nd→nn;

 

gallina:tipico animale da cortile,  femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';

10) JÍ ASCIANNO CHELLO CA PISCIA ‘A QUAGLIA

Ad litteram: Andare in cerca, desiderare, agognare (solo) ciò che minga la quaglia. Ma va da sé che la ricerca o  il bisogno, il desiderio, la brama, la cupidigia, la smania, lo struggimento, la  bramosia  di cui sia accreditato il protagonista  dell’espressione non siano quelli che mirano al conseguimento degli escrementi liquidi di una quaglia. L’espressione, nel suo sotteso autentico significato traslato vale infatti:  Andare in cerca, desiderare, agognare (solo) quanto di meglio o di piú ricercato e/o raro ci sia e ciò in riferimento al fatto che il il protagonista  dell’espressione, quello cioè che va in cerca, desidera, agogna ciò che minge la quaglia è inteso incontentabile, pretenzioso, inappagabile. La faccenda semanticamente si spiega tenendo presente che la quaglia   è un uccello migratore diffuso nelle regioni temperate, cacciato e/o allevato per le sue carni prelibate, ma di dimensioni veramente piccole di talché anche le sue deiezioni solide o liquide sono veramente parva res tanto da poterle ritenere scarse, sporadiche quasi  rare accostabili per ciò ai desideri dell’ incontentabile  che va alla ricerca di beni di consumo o in generale di prodotti pregiatissimi, ricercati,straordinari, rari in quanto esigui e perciò di prezzo anche esorbitante e talora addirittura ingiustificato stante il rapporto prezzo qualità, insomma proprio chello ca piscia ‘a quaglia!

voce verbale inf.  = andare;  questo infinito del napoletano  è una  derivazione del lat. ire;  con tale  infinito /ghí   nel napoletano esistono  numerose locuzioni e per esse rimando alibi. Qui preciso solo  che in napoletano la grafia corretta dell’infinito   è – come ò scritto – oppure in talune espressioni ghí/gghí  (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti  scrittori napoletani noti o meno noti!) rendere in napoletano l’infinito di andare  con la sola vocale i  talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!,  seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’);  la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è   oppure in talune esopressioni ghí/gghí  cosí come espressamente  sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954)  che era solito  far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di oppure, ove del caso,  ghí  li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí  nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª  pers. pl.usa il tema di ji –re  ed à nuje jammo, vuje jate  per tornare a *va(di)c-are per la 3ª pers. pl che è  lloro vanno.

ascianno voce verbale  gerundio dell’infinito asciare = andare alla ricerca (di qualcosa), ma farlo  con intensa applicazione comportandosi quasi come un cane che annusi per trovare la traccia  cercata; il verbo  asciare  donde il gerundio ascianno della locuzione deriva infatti dal latino adflare (annusare) con il tipico mutamento partenopeo  FL in SCI  come per il latino  flos diventato sciore in napoletano o come flumen→sciummo oppure flacces→scioccele.

 

quaglia letteralmente quaglia  voce usata per indicare il volatile di cui ò détto, ma anche,  alibi,  per indicare icasticamente  un’ernia addominale, inguinale, o ombelicale, che abbia la tipica forma ad uovo dell’uccello còlto nella posizione di riposo con le alucce chiuse e raccolte su se stesso; la voce nap.  quaglia è dall'ant. fr. quaille, che è forse dal lat. volg. *coàcula(m),   di probabile orig. onomat. se non, piú acconciamente,   da un   latino parlato *quà(r)uala→quàglia  che richiamava il verso dell’uccello;

11) E GGIÀ, MO MORE CHILLO D’ ‘E PPISCIATORE... NUN PISCIAMMO CCHIÚ!

Ad litteram: E già, ora muore colui (che fabbrica)gli orinatoi... non mingiamo piú!

Sarcastica espressione esclamatoria usata irridentemente in riferimento si ritenga o sia ritenuto tanto essenziale ed importante da far pensare che se venisse meno la sua operatività si produrrebbero nei terzi molto danno quasi che con il rifiuto da parte del soggetto messo alla berlina, di volere adempiere al proprio ufficio ai terzi  fósse precluso di portare a compimento addirittura delle funzioni fisiologiche imprescindibili. Nella fattispecie dell’espressione si ipotizza sarcasticamente che  con il decesso del fabbricante degli orinatoi, addirittura  non sia dia piú corso alla minzione! Cosa ovviamente assurda ed impensabile donde l’accezione ironica, il senso caustico dell’espressione.

pisciatóre  pl. f.le del s.vo m.le sg. pisciaturo

1 in primis e come nel caso che ci occupa

orinatoio pubblico,

2 per traslato caustico e furbesco uomo dappoco, cattivo soggetto,vile, inetto, incapace, incompetente, inesperto, buono a nulla. Voce dal lat. pisciatoriu(m); faccio notare che si è  usato un plurale femminile di un s.vo maschile per indicare che ci si intende riferire non ai vasi da notte,a gli orinali domestici(che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. m.le pisciaturi), ma ci si intende riferire a gli orinatoi pubblici (che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. f.le metafonetico  pisciatore e ciò in ottemperanza del fatto che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie è ovvio che gli orinatoi pubblici siano piú grandi dei contenuti vasi da notte, degli orinali domestici; per cui per indicare al plurale gli orinatoi pubblici si fa ricorso al pl. f.le metafonetico  pisciatóre, mantenento per i   contenuti vasi da notte, e gli orinali domestici il pl. m.le pisciaturi).

In coda a tutte le esapressioni trattate ne aggiungo una dodicesima che ancorché non marcata sul verbo in epigrafe, alla minzionr fa riferimento:

12.JÍ A MMITTO. Ad litteram: andare a minzione  Id est: rovinare qualcosa o l’intrapreso per precipitazione,per disattenzione o  per eccessiva foga. Espressione d’antan e desueta che corrisponde all’incirca al moderno andare in tilt cioè andare in confusione con indesiderati  risultati dannosi, nocivi, rovinosi.L’espressine della lingua nazionale è mutuata dall’espressione inglese tilt = inclinare con riferimento al gioco del flipper che come è noto è  un gioco di abilità a moneta di origini statunitensi, molto diffuso a partire dagli anni cinquanta, soprattutto in bar, sale da giuoco ed altri locali pubblici, détto anche biliardino elettrico o elettroautomatico.

Il nome originale inglese della macchina è pinball; il termine flipper, usato in Italia, Francia ed altri paesi europei, deriva dalle piccole pinne (flippers), oggi più comunemente note come alette, che corredano il piano di gioco e che sono azionate e  comandate da pulsanti esterni e con le quali il giocatore può colpire una biglia d'acciaio[che rotola abbastanza velocemente su di un piano inclinato e che – se non sospinta dalle piccole pinne – può finire in buca, mettendo fine al gioco ed al divertimento]   mirando a bersagli posti su un piano inclinato coperto da un vetro trasparente. Ogni singolo bersaglio o combinazione di bersagli colpiti apporta un punteggio o agevolazioni (bonus) al gioco, che addizionati da un numeratore concorrono a stabilire una sorta di classifica fra piú giocatori che si succedessero al bigliardino. Allorché il giocatore, nell’intento di indirizzare ai bersagli voluti la biglia d’acciaio scuote o inclina  oltre il consentito il biliardino elettrico la macchina si blocca, impedendo al giocatore di continuare a governar la pallina e sullo scherma appare appunto la scritta TILT per avvisare il giocatore che non può proseguire il gioco avendo inclinato oltre il lecito il flipper. Dal gioco il termine  Tilt è passata a connotare con l’espressione   andare in tilt” tutte quelle situazioni della vita reale  allorché si rovini qualcosa o l’intrapreso per  colpevole confusione,precipitazione,per disattenzione o  per eccessiva foga.

Quanto piú icastica l’espressione napoletana che pone in rapporto il fallimento dell’azione intrapresa o la rovina di un non meglio idetificato quid, non con una generica confusione, ma con la volontaria precipitazione di chi avverta l’impellente necessità di mingere e  si precipiti    a farlo incurante di quanto aveva in corso d’opera; il napoletano mitto altro non è infatti  che un participio passato sostantivato  marcato sul latino minctu-m→mi(n)ttu-m→mitto participio perfetto passivo maschile dell’infinito mingere= orinare.

 

 

Qui giunto penso proprio d’aver soddisfatto l’amico D.C. ed interessato qualche altro dei miei ventiquattro lettori e metto un punto fermo. Satis est.

Raffaele Bracale

 

 

 

 

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