venerdì 16 luglio 2021

A LA SANFRASÒN oppure SANFASÒN E DINTORNI

 

A LA SANFRASÒN oppure SANFASÒN E DINTORNI

Ad litteram: alla carlona; détto di tutto ciò che venga fatto alla meno peggio, senza attenzione e misura, in modo sciatto e volutamente disattento, con superficialità e senza criterio.L’espressione è formata con le voci sanfrasòn/zanfrasòn o sanfasòn che sono , pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura) e sono tra le pochissime, se non quasi uniche voci del napoletano che essendo accentate sull’ultima sillaba si possono permettere il lusso di   terminare per consonante in luogo di una  consueta vocale evanescente  paragogica finale (e/a/o) e raddoppiamento espressivo della consonante etimologica: normalmente in napoletano ci si sarebbe atteso sanfrasònne/zanfrasònne o sanfasònne come altrove barre per e da bar  o tramme  per e da tram  etc.

Fare qualcosa alla sanfrasòn/zanfrasòn o sanfasòn  vale dunque come ò accennato – operare  in maniera colpevolmente distratta, sconsiderata, trascurata, negligente, superficiale, svogliata, approssimativa; dal che si evince che  l’espressione à un  valore, un’accezione,un senso, un significato,una nuance, una sfumatura, un tono, un carattere marcatamente negativi per cui l’espressione non può esser confusa o usata al posto di quell’altra che recita FÀ ‘NA COSA SCIUÉ SCIUÉ  id est: fare una cosa in maniera semplice, spoglia, disadorna, sobria, essenziale ma non raffazzonata come càpita quando una cosa sia fatta   alla sanfrasòn/zanfrasòn o sanfasòn; l’espressione  sciué sciué  è usata   quasi come aggettivazione per indicare  qualsiasi cosa venga fatta  con superficialità, alla buona, senza eccessivo impegno, insomma in maniera fluente, scorrevole, con semplicità.

Per ciò che attiene all’etimologia, una scuola di pensiero reputa che l’espressione  provenga dal francese e precisamente dalla voce: échoué participio passato dal verbo  échouer che significa: non riuscire,andare a vuoto. Orbene, è vero che la voce échoué suona, nella lettura  esciué, in maniera molto simile allo sciué napoletano, ma la locuzione  partenopea non indica mai  qualcosa di non riuscito o  di andato a vuoto, mancato, ma sempre qualcosa di condotto a termine sia pure in maniera semplice, scorrevolmente, senza porsi problemi.

Penso perciò che questa ipotesi non sia percorribile.

Altra ipotesi proposta è quella che collega la locuzione napoletana in epigrafe all’ arabo shoué shoué.; ipotesi affascinante alla luce delle numerose invasioni arabe che dal 1000 in poi tormentarono Napoli ed il suo reame, e le numerose parole che il napoletano à mutuato dall’arabo,  ma l’ipotesi penso sia da scartare in quanto l’espressione araba non significa: velocemente, alla buona, ma – al contrario - piano piano. Reputo – a questo punto - molto piú vicina al vero l’ipotesi che fa derivare  dall’immarcescibile latino  la locuzione  napoletana sciué sciué.

Infatti morfologicamente e semanticamente  si può pervenire a sciué sciué, partendo da  un reiterato fluens part. presente di fluere=scorrere, insomma fluens fluens che tradotto suona fluente, scorrevole   con il medesimo significato di sciué sciué.

A favore di questa ipotesi oltre il medesimo significato, gioca il fatto che il gruppo FL latino  trasmigrato nel napoletano diviene sempre SCI, come nel caso di flos (fiore) divenuto: sciore o flumen(fiume) diventato sciummo. Torno all’espressione donde ci siamo mossi e cioé alla sanfrasòn/zanfrasòn = alla carlona, e vi torno per rammentare che esiste nell’usato popolare una simpaticissima locuzione, non volgare ma – nella sua icasticità – un tantino greve, locuzione che riferendosi ad un soggetto che agisca con colpevole approssimazione, senza attenzione e/o precisione, in maniera mprecisa, sciatta, incoerente e spesso  illogica, lo definisce argutamente masto a uocchio, masto ‘e capocchia! che ad litteram è : maestro (che agisce) ad occhio (è) un maestro  del glande! In effetti chi agisce ad occhio cioè  senza la dovuta precisione quasi certamente non può raggiungere l’esatto fine dell’attività intrapresa per cui non merita d’esser definito vero maestro, ma solo un maestro della  parte terminale del pene e per ovvia sineddoche dell’intero membro.

masto s.vo m.le = mastro, maestro, artigiano specializzato o di grande esperienza che spesso à alle dipendenze degli apprendisti. voce dall’acc.vo lat. magistre(m) con sincope della sillaba gi  e semplificazione di stre→ste→sto  donde magistre(m)→ma(gi)st(r)e(m)→maste→masto;

capocchia s.vo f.le = 1 in primis e come nel caso che ci occupaglande, parte terminale del pene, di forma conoide, costituita da un rigonfiamento del corpo cavernoso dell'uretra 2 per ampiamento semantico parte terminale di qualunque oggetto oblungo; voce dal lat.volg. *capa  per il class. caput  addizionato del suff. occhia f.le di occhio  suffisso diminutivo di sostantivi che continua il lat. uculum→uclum→ uclu(m)→occhio;per cl→chi  cfr. clausum→chiuso, ecclesia→chiesa, clavum→chiuovo etc.

In coda di tutto quanto détto rammento un’espressione analogarelativa ad azione  sconsiderata, trascurata, negligente, superficiale, svogliata, approssimativa,di carattere marcatamente negativo. Dico cioè di quella locuzione che suona  FÀ ‘NA COSA A SCAMPULE ‘E MELE COTTE che ad litteram è: fare una cosa a mo’ di  rimanenza di mele cotte (invendute), id est operare negligentemente , superficialmente, svogliatamente, con la medesima approssimazione posta nel vendere un residuo,una  rimanenza di  merce scadente , venduta sottocosto tal quale delle residuali mele cotte che, scartate dai primi acquirenti perché ritenute dozzinali, mediocri, modeste al confronto con altre, sul finire del mercato vengono cedute ad un prezzo modestissimo pur di disfarsene.  Rammento infine la locuzione icasticamente becera che suona

  FÀ ‘NA COSA A CCAZZE 'E CANE SPIERTO che è: fare una cosa a membro di cane randagio cioè alla men peggio contendasi di ciò che capita e di ciò che si ottiene, a guisa di un cane randagio che non è monogamo, ma copula con chi càpita, dove càpiti senza alcuna remora, né si perita dei risultati. Raffaele Bracale

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