sabato 31 luglio 2021

IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA 2

 IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. 2

Terminata cosí l’elencazione e prima di  analizzare le singole espressioni, mi pare comunque giusto se non necessario  dilungarmi alquanto sul  verbo parere/paré (che etimologicamente deriva dal latino volg. *paríre→parere = apparire,manifestarsi come ) che   è quel verbo intransitivo con ausiliare avere che, come nell’italiano, sta per: 1 avere una certa apparenza; apparire, sembrare (può indicare contrapposizione tra apparenza e realtà): pareva ‘nu santo; me pare ‘na brava perzona; me pare sincero (pareva un santo; mi pare una brava persona; mi pare sincero) | pare ajere (pare ieri), di fatto accaduto molto tempo fa, ma che si ricorda come se fosse recente | pare impossibile, per esprimere disappunto, collera, stupore: me pare ‘mpussibbile ca nun capisce maje chello ca lle dico ( mi pare impossibile che non capisca mai quello che gli si dice) | nun me pare overo! (non mi par vero!), espressione con cui si manifesta contentezza, soddisfazione,gioia;

2 essere di una determinata opinione; credere, pensare: me pare ch’ aggiu capito bbuono…(mi pare di aver capito bene); me pareva ca fosse ll’ora ‘e partí(mi pareva che fosse tempo di partire) | con una determinazione che ne precisa il valore: me pare justo ca tu lle cirche scusa!(mi pare giusto che tu le chieda scusa); me pare fosse ora ca tu ‘a fernisce(mi pare ora che tu la smetta); che te ne pare ‘e chella perzona?, (che ti pare di quella persona?) | me pareva (bbuono)!(mi pareva (bene)!), avevo pensato, visto giusto | te pare?(ti pare?), nun te pare pure a tte?(non  sembra anche a te?), per sollecitare l'assenso di altri, per chiedere l'approvazione: aggio raggione io , nun te pare?(ò ragione io, non ti pare?); si adopera anche per esprimere il proprio dissenso o per schermirsi e come formula di cortesia: «Sî stato tu a ffarlo?» «Ma te pare!»; («Sei stato tu a farlo?» «Ma ti pare!»); «Dongo ‘mpiccio?» «Ma te pare!» («Disturbo?» «Ma ti pare!») | (fam.) volere:fa’ comme te pare! (fai un po' come ti pare!)

3 (ant.) manifestarsi, mostrarsi, comparire:pare ‘na pupata ‘e ficusecche (sembra come una pupattola…) | ancóra usato in talune particolari espressioni esclamative : vo’ paré! (a fforza ‘nu bbuonu guaglione) ( vuol sembrare a ogni costo!,ma non è una brava persona), voler apparire, mettersi in mostra come…;pare a tte! (sembra cosí a te,ma in realtà non è come pensi!)cosí appare al tuo giudizio, ma ti sbagli. pe nun paré(per non apparire), per passare inosservato ||| v. intr. impers. apparire probabile, verosimile; sembrare: pare ca vo’ chiovere (sembra  che voglia piovere); «È arraggiato?» «Pare».

(«È arrabbiato?» «Pare»).

E passiamo all’esame delle singole espressioni:

1 – Paré ‘a cuccuvaja ‘e Puorto

Letteralmente: Sembrare la civetta del Porto; icastica, antica espressione usata a mo’ di dileggio riferita ad una donna molto poco avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e  grassa e che incuta spavento o timore. L’espressione in origine (fine XVI sec.) faceva riferimento alla civetta che accompagnava la statua della dea Minerva (dea della filosofia e della saggezza oltreché protettrice delle acque) una delle statue presenti sul basamento della  Fontana degli Incanti: detta anche d’ ‘a Cuccuvaja in Piazza dell'Olmo, nel Quartiere Porto; la fontana fu détta degli Incanti perché (a voler credere ad una leggenda) una malefica,  potente strega della città, usava frequentemente l'acqua della fontana per i suoi incantesmi; ma piú verosimilmente fu cosí chiamata prendendo a riferimento  gli Incantatori (venditori di merce ai pubblici incanti) che svolgevano il loro lavoro all’aperto nei pressi della fontana che sorgeva nel mezzo della piazza all'ombra di un grande olmo che dava il nome alla piazza.

La fontana disegnata da Giovanni da Nola (Nola 1488 – †Napoli 1560) sorgeva, come ò détto, nel mezzo della Piazza su di una base quadrangolare formata da un monte con 4 grotte, nelle quali vi erano le statue di: Venere, Apollo, Cupido, Minerva; in cima al monte da una tazza rigurgitante acqua si ergeva un aquila con le Armi dell'Imperatore Carlo V e sull'esterno, in un tondo ortogonale alla grotta della Minerva, era scolpita una civetta (in napoletano cuccovaja); come è risaputo la fontana fu costruita nel XVI secolo nella piazza dell’ Olmo al Porto, quando il viceré Pedro Álvarez de Toledo(Salamanca 1484 – †Firenze 22/02/ 1553)  volle realizzare una struttura idrica per l'approvvigionamento degli abitati del luogo. Fu disegnata, ripeto  da Giovanni Merliano scultore noto come  Giovanni da Nola, ma al rifacimento di alcune parti andate distrutte partecipò anche lo scultore Annibale Caccavello(Napoli 1515 – †Napoli 1570)  che scolpí la statua di Venere.

Danneggiata  nei tumulti (luglio 1647) di Masaniello (Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 – †Napoli, 16 luglio 1647), la fontana venne riportata al nuovo splendore con i rifacimenti di alcune parti realizzate da tali non meglio identificati Francesco Castellano ed Antonio Iodice, sotto la supervisione di Francesco Antonio Picchiatti(Napoli1619 – †Napoli 1694); riparata piú volte nel corso del XVIII secolo, nel 1834, l'architetto Pietro Bianchi((Lugano 1787 -† Napoli 1849). ne ricostruí una buona parte;scampata alle demolizioni del Risanamento, venne smontata ed all'inizio del XX secolo ricostruita in  piazza Salvatore Di Giacomo(Napoli 1860 -† ivi 1934)  a Posillipo, ma per i napoletani d’antan rimase e rimane ancóra ‘a funtana d’ ‘a cuccuvaja ‘e Puorto;rammento poi   che sul finire del 1800 ed i principi del 1900  con l’espressione ‘a cuccuvaja ‘e Puorto ,  pur continuando ad usarla quale insolente espressione di irrisione,  non ci si riferiva piú all’antica tozza, brutta  civetta che accompagnava la Minerva, ma ci si riferiva con sarcastica, malevola  impertinenza a Matilde Serao(Patrasso 1856 - †Napoli 1927), la famosissima scrittrice e giornalista napoletana fondatrice a Napoli de Il Giorno con sede in Angiporto della Galleria, giornalista che per il vero era effettivamente  una donna molto poco avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e  grassa, la cui vista incuteva timore se non addirittura sgomento!

cuccuvaja  s.vo f.le = 1.civetta e talora nottola, ed anche 2. donna brutta e sgraziata che incute timore; etimologicamente  voce dal greco kikkabâu.

2 - Paré ‘a funa e ‘a teròcciola

Letteralmente: Sembrare la fune e la carrucola; icastica, antica espressione peraltro desueta preferendole l’uso della successiva (Paré variante  stà cazza e ccucchiara) ambedue usate per indicare due individui (amici,consanguinei etc.) che stiano sempre insieme procedendo  di pari passo

quasi inscindibilmente legati; nell’espressione a margine gli oggetti presi a modello sono una fune ed una carrucola di pozzo, fune e carrucola che solo in unione posson concorrere ad issare il secchio colmo d’acqua; nell’espressione che segue gli oggetti presi a modello sono invece il secchio della calcina e la mestola strumenti usati dal muratore sempre insieme.

funa  s.vo f.le = fune, insieme di piú fili di canapa, d'acciaio o di altro materiale ritorti e intrecciati fra di loro; corda, cavo,

etimologicamente dal lat.parlato  *funa(m) per il cl. fune(m); teròcciola s.vo f.le = carrucola,macchina per sollevare pesi costituita da una ruota scanalata entro cui scorre una fune, paranco, girella ed altrove  per traslato (semanticamente spiegato con il continuo cigolio della carrucola) anche viva parlantina, chiacchiera spesso fastidiosa; rammento ancora che la voce teròcciola usata al pl. teròcciole indicò un tempo le piccole carrucole metalliche che in tempi remoti regolavano le grosse bretelle di cuoio, che sorreggevano  le braghe. Etimologicamente la voce  a margine è  forsedal lat. volg.torciola diminutivo di torcja variante di torca= collana, ma trovo piú perseguibile l’idea del lat. trochlĕa marcato sul greco trochiléia;

3 - Paré variante  stà cazza e ccucchiara

Letteralmente: sembrare variante Stare   (uniti come) secchio della calcina e cazzuola/mestola; cioè:andar di pari passo, stare sempre insieme.

 Détto  di tutti coloro che  sceltisi un amico o  un compagno non si separano da lui che per brevissimo lasso di tempo, andando sempre  di pari passo, stando  sempre insieme come càpita appunto  per il secchio della calcina e la cazzuola che vengono usate dal muratore di concerto durante il lavoro giornaliero ed anche quando questo sia terminato il muratore, nettati i ferri del mestiere è solito conservarli insieme ponendo la cazzuola nel secchio della calcina per modo che l’indomani possa facilmente ritrovarli ed usarli alla ripresa del lavoro.

 La cazza come ò accennato fu in origine un recipiente per lo piú di ferro, provvisto di manico, nel quale si fondevano i metalli , poi indicò ed ancóra indica  quel  contenitore ,quel  secchio di ferro in cui i muratori usano impastare malta e/o calcina; la voce è dal  lat. tardo cattia(m), da collegarsi al gr. ky/athos 'coppa, tazza'; la voce è usata piú spesso in italiano che in napoletano dove   il suddetto contenitore è chiamato piú acconciamente   cardarella  diminutivo adattato di caldara→cardara= caldaia = in origine  recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa e poi estensivamente ogni capace recipiente metallico atto a contenere materiali caldi o freddi; caldara→cardara è voce  derivata  del latino tardo caldaria(m), deriv. di calidus 'caldo'.

Poiché, come ò detto, la voce cazza è poco nota e usata a Napoli accade che l’espressione in epigrafe venga talvolta impropriamente enunciata come Essere cazzo e cucchiara  con un accostamento erroneo ed inconferente non essendovi certamente  nessun nesso tra il membro maschile  e la cucchiara= cucchiaia, cazzuola  che è appunto la mestola che usano i muratori per prelevar la calcina o malta dalla cazza  distribuendola e pareggiandola su muri e/o mattoni;

cucchiara  è di per sé il femminile di cucchiaro con etimo dal latino cochlearju(m) con normale semplificazione -  di rj→r e chiusura di o in  u in sillaba atona; cucchiaro è stato reso femminile  appunto per indicare, come già dissi altrove, un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo – tina  piú grande etc. con le sole eccezioni di caccavella piú piccola – caccavo  piú grande e di tiana piú piccola – tiano  piú grande );ugualmente è erroneo stravolgere l’espressione in epigrafe in (come pure talvolta m’è occorso d’udire) Essere tazza e cucchiara , atteso che la tazza , per grande che possa essere (fino a diventar una ciotola) potrebbe procedere di conserva con un cucchiaino (tazza da caffè),  al massimo con un cucchiaio (tazza/ciotola  da caffellatte) mai con una cucchiara (cazzuola).

Qualcuno, mi ripeto,  meno esperto della tradizione e/o della parlata napoletane riferisce erroneamente il modo di dire con l’espressione:Pàrono  oppure stanno tazza e cucchiaro:sembrano oppure stanno (come)  tazza e cucchiaio, espressione inesatta come ò spiegato ed invece la locuzione, sulle labbra dei vecchi napoletani, consci di quel che dicono comporta giustamente la presenza della cucchiara arnese tipico dei muratori .

4 - Paré ‘a gatta d’ ‘a sié Marí: ‘nu poco chiagne e ‘nu poco rire: quanno sta moscia, rire e quann’è cuntenta, chiagne! Letteralmente: sembrare la gatta della signora Maria, un po’ piange ed un po’ ride:quando è triste, ride, quando è contenta piange! Caustica espressione che prende a modello la gatta  d’una non meglio identificata signora Maria (nell’espressione, come si vede, in luogo di sié Maria di quest’ultimo nome è usato una forma apocopata Marí che torna comoda per rimare (sia pure solo fonicamente nel parlato) con il primo successivo rire (ride) (pronunciato come rí tenendo cioè ben    evanescente l’ intera sillaba re  ed escludendo addirittura  a livello vocale la pronuncia della liquida r)) rammento che il gatto/la gatta è un animale domestico molto comune nelle case napoletane,quasi come componente di famiglia; presente anche in tantissime icastiche espressioni partenope non poteva mancare nel libro dei sogni;  

; la gatta,  animale protagonista(vedi ultra) come ò détto  anche  d’altre espressioni  è accreditata nella fattispecie, quasi fosse un essere umano, di immotivatamente un po’ ridere ed un po’ piangere indecisa sempre su quale comportamento tenére;anzi  è addirittura accreditata di tènere un comportamento sciocco, illogico e non spiegabile ridendo in tempo di mestizia e piangendo in quello della gioia. Della medesima strambe,  sconcertanti, ma volute indecisione ed incongruenza  sono accusate soprattutto le giovani donne  lunatiche e capricciose incapaci di tenére un comportamento stabile, donne che infatti si abbandonano ad un costante altalenare spesso immotivato e/o incomprensibile, tra uggiose scontentezze ed inopinate gaiezze et versa vice!

gatta/’atta/jatta  s.vo f.le ma usato senza differenza per indicare sia la bestia maschio che quella femmina; gatto, mammifero carnivoro domestico, con corpo agilissimo e flessuoso, capo rotondo, occhi fosforescenti, baffi (vibrisse) sul labbro superiore, zampe con artigli retrattili; la voce etimologicamente è dal lat. parl. *catta(m) per il class. cattu(m);

sié s.vo f.le = signora

 quanto all’etimo è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur cioè da  seigneuse→sie-(gneuse).

poco/u agg. indef.  = poco, che è in piccola quantità o misura, in piccolo numero: pocu vvino; pocu ddenaro; poca pacienza; nce steva  poca ggente; pe poche minute; ‘nfra pochi mise; essere ‘e pochi pparole, essere una persona riservata; pochi cchiacchiere, e sim., espressioni usate per tagliar corto | scarso, debole, insufficiente (con riferimento all'intensità): nce steva  poco viento; ‘o ffa cu pocu ggenio con poco entusiasmo; tengo poca memmoria; tène pocu ggenio ‘e sturià | breve, corto: me ce vularrà poco tiempo; nc'è poca strata ‘a fà; cca ce sta pocu spazzio(c'è poco spazio qui) | piccolo, esiguo: cu poca spesa; è ppoca cosa, essere scarso di quantità, qualità, valore, importanza e sim. || nella loc. avv.’nu poco à valore attenuativo: è ‘nu poco cchiú ccurto; sta ‘nu poco  meglio d’ ajere ; stongo ‘nu poco stanca; m’ à fatto arraggià ‘nu poco(mi à fatto inquietare un poco) | con valore enfatico: tiene mente ‘nu poco che mm’hê cumbinato!(guarda un po' che cosa mi ài  combinato!); dimme ‘nu poco che ‘ntenzione tiene!(dimmi un po', che intenzioni ài!); rifliette ‘nu poco si te cummiene!(considera un po' tu se ti conviene!) | ‘nu bbellu ppoco , parecchio, molto: è cresciuto‘nu bbellu ppoco | ‘nu poco... ‘nu poco... , in parte... in parte...: ‘nu poco p’ ‘o ccavero, ‘nu poco p’ ‘o remmore se senteva stupetiato(un po' per il caldo, un po' per il rumore, si sentiva frastornato)

come pron. indef. [f. -a]

1 à gli stessi sign. dell'agg. e sottintende un sostantivo precedentemente espresso: «Tiene pane?» «Sí, ma ne tengo  poco»; «Ce sta  ancòra spazzio dint’ô baúglio? » «Poco» «Ài del pane?» «Sí, ma ne ò poco»; «C'è ancora spazio nel baule?» «Poco»

2 pl. non molte persone: èramo poche(eravamo in pochi); pochi / poche ‘e nuje; (pochi, poche di noi); tu, io e poch’ ate(tu, io e pochi altri)

3 con valore neutro, in espressioni ellittiche: è ppoco ca à scritto(è poco che à scritto), è poco tempo; starrà cca ‘nfra poco(sarà qui fra poco), fra poco tempo; da cca â stazzionance passa poco(da qui alla stazione c'è poco), poca distanza; oje aggiu spiso poco(oggi ò speso poco), poco denaro; ce corre poco (ci passa poco), c'è poca distanza o poca differenza; ogni poco, | con lo stesso uso della loc. ‘nu poco ,  un poco/un po’: aspettava ‘a ‘nu bbellu ppoco(aspettava da un bel po');avesse ‘a necessità ‘e guadagnà ‘nu poco ‘e cchiú( avrebbe bisogno di guadagnare un poco di piú).

4 con valore neutro, nel sign. di poca cosa, poche cose: oje ce sta poco ‘a fà; pe stasera me rummane poco ‘a sturià (oggi c'è poco da fare; per stasera mi rimane poco da studiare); se l'è ppigliata p’accussí ppoco?!; e chesto te pare poco? (se l'è presa per cosí poco?!; e questo ti sembra poco?) |  | vulerce poco a…(volerci poco a…), per esprimere la facilità con cui può accadere o si può fare qualcosa: ce vo’ poco a ffà succedere ‘nu guajo(ci vuol poco a far succedere un guaio); ce vuleva poco a ‘ntennerlo!(ci voleva poco a capirlo!) | ce manca poco ca…(mancarci poco che), per indicare che un fatto sta per accadere (sempre seguito da frase negativa):ce mancaje poco ca nun cadesse (mancò poco che non cadesse) | pe poco nun, quasi: pe poco nun cadeva |

5 con valore neutro, nel sign. di piccole quantità:’nu poco ‘e pane, ‘nu poco ‘e vino; «Vuó ancòra zuccaro?» «Sí,’nu poco»; «Vuoi ancora zucchero?» «Sí, un poco»; pigliane ‘nu poco pe vvota(prendine un po' per volta); facimmo ‘nu poco peduno(facciamo un po' per ciascuno)

come s. m. ciò che è poco; in partic., pochi beni, poche sostanze: m’ accuntento ‘e poco; vive cu chellu ppoco ca ll’ à lassato ‘o marito;

la voce è dal lat. paucu(m).

quanno = quando, allorché  ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo) giacché, dal momento che (con valore causale)::  avv. di tempo  derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;

 

sta voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito stare = stare, fermarsi, restare ma anche come in questo caso essere  voce dal lat. stare

chiagne voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito chiagnere= piangere  dal lat.  plangere in origine 'battere, battersi il petto' con il tipico passaggio del gruppo pl + vocale al napoletano chi (cfr.plus→cchiú – plumbeu(m)→chiummo – plaga→chiaja etc.);

ride/rire voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito ridere/rirere dal lat.  tardo ridere, con mutamento di coniug. rispetto al class. ridíre e con rotacizzazione osco-mediterranea della dentale,  che da ridere dà rirere;

moscia agg.vo f.le  = mogia, depressa, abbattuta, avvilita, abbacchiata, mesta triste; etimologicamente è la femminilizzazione metafonetica del masch. muscio  che è dal lat. musteu(m), deriv. di mustum 'mosto'; propr. 'simile a mosto

cuntenta agg.vo f.le  soddisfatta, appagata, lieta, allegra etimologicamente è la femminilizzazione di cuntento  che è dal lat. contentu(m), part. pass. di continíre 'contenere', propr. 'contenuto, appagato'.

(SEGUE)

 

 

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