domenica 29 settembre 2013
RAVIOLONI DI CAVOLFIORE
RAVIOLONI DI CAVOLFIORE
ingredienti e dosi per 6 persone
PER LA PASTA.
5OO grammi di semola o farina di grano duro,
250 ml d'acqua
5 cucchiai d'olio d'oliva extravergine p.s. a f.
PER IL RIPIENO.
7 etti di cavolfiore napoletano al netto degli scarti.
1 bicchiere d'olio d'oliva e.v. p. s. a f.,
2 spicchi d'aglio mondati e schiacciati,
1 pizzico di peperoncino rosso macinato (non polvere),
Pecorino romano grattugiato grossolanamente 1 etto
Panna da cucina ½ bicchiere,
5 o 6 filetti d'acciuga (sotto sale o sott'olio o, in mancanza d'altro, pasta d'acciughe in eguale peso),
1 bicchiere d'olio d'oliva e.v. p. s. a f.,
2 spicchi d'aglio mondati e schiacciati,
1 pizzico di peperoncino rosso macinato (non polvere),
Sale grosso un pugno
sale fino q.s.
Pepe decorticato macinato a fresco q.s.
Noce moscata q.s.
PER LA SALSA DI NOCI
per sei persone
60 gr di strutto,
50 gr di pecorino macinato finemente,
200 gr di gherigli di noce,
2 cucchiai di pinoli,
2 spicchi d’ aglio mondati e tritati finemente
6 cucchiai di olio e.v. p.s. a f.
6 cucchiai di acqua
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
Procedimento
Disporre la semola/farina a fontana. Al centro aggiungere l'olio, amalgamarlo e mantenendo sempre la disposizione a fontana, aggiungere a poco a poco l'acqua ed impastare, fino ad ottenere un impasto liscio, morbido ed elastico.
Lasciare riposare l'impasto per 15-2O minuti, coperto con un canevaccio.
Nel frattempo, preparare il ripieno. Liberare il cavolo dalle foglie, tagliarlo seguendo la struttura delle infiorescenze e metterlo a lavare in acqua e bicarbonato per non piú di 15 minuti, sciacquare e sgocciolare in uno scolapasta, e lessarlo per non piú di 15 minuti in acqua bollente salata; sgrondare con una schiumarola il cavolfiore e tenerlo in caldo,conservando l’acqua in cui lo si è lessato. In una padella larga e bassa versare l'olio, aggiungere gli spicchi d’aglio mondato e schiacciato , il peperoncino, le acciughe o la pasta d'acciughe.
Unire il pecorino grattugiato grossolanamente, la panna da cucina (che serve per addensare gli ingredienti) il sale, il pepe e la noce moscata e mescolare per bene indi trasferire il tutto in un mixer con lame da umido e frullare sino ad ottenere una spumosa crema da tenere in caldo.
Riprendere la pasta e stenderla allo spessore di 0,3 cm. .
Da ogni foglio, ricavare con l’ausilio di un coppapasta circolare di 6 cm. di diametro dei dischetti . Al centro della metà dei dischetti mettere una piccola quantità (un cucchiaino da caffè) di ripieno e chiudere con gli altri dischetti, facendo molta pressione ai lati altrimenti rischiano di aprirsi in cottura.
Lessarli nell'acqua di cottura del cavolfiore, scolarli e condirli con la salsa alle noci che nel frattempo verrà preparata nel modo che segue. Sbollentare i gherigli di noce in acqua bollente per qualche minuto e metterli da parte insieme ai pinoli.
In un’ampia padella fare soffriggere gli spicchi d’aglio nello strutto ed aggiungere le noci ed i pinoli tritati.
Una volta tostati, spegnere e aggiungere il pecorino, sale e pepe. Unire ora i 6 cucchiai d’acqua ed i 6 cucchiai d’olio extravergine d’oliva. Mescolare la salsa di noci, e passarla al mixer perché sia più cremosa, quindi utilizzarla per condire i ravioloni.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
PERCIATELLI CON I CARCIOFI
PERCIATELLI CON I CARCIOFI
ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di perciatelli spezzettati in pezzi di ca 4 cm.,
12 carciofi giovani e teneri,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato,
1 bicchiere di vino bianco secco,
sale grosso alle erbette un pugno,
sale fino alle erbette q.s.,
1,5 etto di pecorino (possibilmente laticauda) grattugiato,
1 ciuffo abbondante di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
3 uova,
pepe nero macinato a fresco q.s.,
250 gr di ricotta di pecora stemperata con un mestolino di acqua di cottura della pasta, o in alternativa 1 confezione di panna vegetale da cucina da 200gr.
il succo d’un limone per acidulare l’acqua in cui lavare i carciofi.
procedimento:
Mondate i carciofi delle brattee esterne piú dure, spuntateli ed apriteli longitudinalmente in due parti eliminando il fieno centrale, indi sempre longitudinalmente affettateli nello spessore di ½ cm.; lavateli velocemente in acqua acidulata con il succo d’un limone, sgrondateli e poneteli in un ampio tegame provvisto di coperchio, nel quale a fuoco vivace avrete fatto imbiondire nell’olio lo spicchio d’aglio schiacciato; bagnate con il bicchiere di vino bianco secco, fatelo evaporare ed aggiungete una mezza ramaiolata d’acqua calda, incoperchiate, abbassate i fuochi e fate cuocere per circa 30’ fino a che i carciofi diventino quasi una purea; solo a fine cottura salate ad libitum con il sale fino alle erbette; se la purea di carciofi non fosse abbastanza morbida e sottile, potete pure passarla ad un passaverdure a buchi stretti, rimettendola in caldo nel tegame di cottura; nel frattempo lessate in abbondante (8 litri) acqua salata (sale grosso alle erbette) i perciatelli spezzettati, scolateli accuratamente rimettendoli nella pentola calda privata dell’acqua di cottura; versate sui perciatelli la confezione di panna o la ricotta stemperata ed il pecorino grattugiato; rimestate accuratamente e trasferiteli nel tegame con la purea calda di carciofi; amalgamate; sbattete a spuma le uova con un pizzico di sale fino e due di pepe e versatele nella padella, alzate i fuochi e fate rapprendere le uova, date un’ ultima rimestata ed impiattate spruzzando su ogni porzione il trito di prezzemolo e generoso pepe nero macinato a fresco.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
NOTA
sale fino o doppio alle erbe
sale fino o doppio alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla, erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità.
Il medesimo sale alle erbe può esser preparato (e per talune ricette di verdura o pesce è preferibile) con il sale grosso che si fa preferire al sale fino giacché, con la sua croccantezza esalta e fa perdurare la sapidità dell'alimento su cui viene sparso.
Gustosissimo primo piatto ricco di sapori e profumi.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
PENNETTE IN BIANCO CON SALSICCIA
PENNETTE IN BIANCO CON SALSICCIA
Ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di pennette,
6 rocchi di salsiccia (possibilmente con il finocchietto),
300 g. di ricotta di pecora,
½ bicchiere di latte intero caldo,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f. ,
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 cucchiaio di semi di finocchio,
1 etto di pecorino grattugiato,
sale doppio un pugno,
sale fino un pizzico,
un gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
abbondantissimo pepe nero macinato a fresco.
Nota linguistica
Il rocchio (con etimo dal lat. rotulu(m)) è in generale un pezzo cilindrico di qualcosa; nella fattispecie un rocchio di salsiccia,è ogni porzione compresa fra due nodi; un rocchio di carne, un pezzo di carne magra, senza osso.
Il rocchio in napoletano è detto capo/a (‘nu capo/’na capa ‘e saciccia) e ciò perché la salsiccia è un insaccato di carne di suino in un budello lungo tra i 40 ed i 50 cm.; tale lunga salsiccia viene poi divisa in porzioni mediante successive legature; poiché quando dalla salsiccia cosí suddivisa ne viene staccato un pezzo (rocchio) il successivo si troverà comunque sempre in testa, in capo alla salsiccia residua, ecco che in napoletano il rocchio italiano si dice capo o capa.
Procedimento
In un’ ampia padella, a fuoco vivace, versare il bicchiere d’olio ed aggiungere la cipolla tritata e farla rosolare per cinque minuti; aggiungere le salsicce precedentemente lavate, private della pelle e sbriciolate, bagnarle con il vino, alzare il fuoco e fare evaporare tutto il vino, indi aggiungere mezza ramaiolata d’acqua bollente e portare a cottura in circa 30’.
Nel frattempo lessare al dente le pennette in circa 8 litri d’acqua salata (sale grosso); scolarle e metterle nella padella con il sugo di salsiccia, rimestando con cura affinché si insaporiscano bene; approntare una zuppiera calda dove, pepandola generosamente, stemperare la ricotta con il mezzo bicchiere di latte intero caldo; aggiungere il cucchiaio di semi di finocchio, un pizzico di sale rimestare ed unire le pennette con il sugo e la salsiccia, rimestare ancóra con cura, impiattare cospargendo le porzioni con il pecorino grattugiato, il prezzemolo tritato ed altro pepe nero macinato a fresco. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! e dicíteme: Grazie!
raffaele bracale
GENOA – NAPOLI (28/9/13) 0 A 2!!! ‘A VEDETTE ACCUSSÍ
GENOA – NAPOLI (28/9/13) 0 A 2!!!
‘A VEDETTE ACCUSSÍ
E ppure chesta è ffatta, pure chesta è gghiuta ‘mpuorto, guagliú E cu ssuddisfazzione! Pecché, doppo d’’o scunzulato pareggio casalinco cu ‘o Sassuolo, tutte stévemo aspettanno quala reazziona êsseno avuto ‘e guagliune ‘e don Rafele. E fove bbona e ce lassaje ‘a vocca bbona a nnuje e ppure ê crifune visto ca ‘a premiata pasticciaria Benitèzzo, pe mmano d’’o dulciere Pandemonio Pandèvvo lle ‘ncartaje ddoje sfugliatelle [una riccia e n’ata frolla...]pe farle fà ‘na bbona dummeneca. Ll’unico ca forze avesse preferito dduje cannuole o duje bbabbà fove Preziosi ca nun se divertette rummanenno a gguardà cu ‘na faccia ‘e cestunia ca s’aveva agliuttuta ‘na lacerta viva e ‘a senteva fucechià dint’ô stommaco.Nuje ‘mmece ce divertettemo e ancòra ce âmm’’a divertí spicialmente si ogge ‘a Roma nun vatte ‘o bBologna e si ‘a juventússa nun riesce a vencere cu ‘o Torino (sempe ca Mazzoleni nun le dà ‘na mana a ffarlo!...,ma ce spero poco). Passammo ê ppaggelle.
REINA 6,5 Nun êtt’’a fà cape d’angelo, ma chello ca facette ‘o ffacette a mmestiere, senza sbaglià niente e subbastanno (rilanciando) cu pricisione ‘e piede e de mano direttamente dint’â trecquarta avverzaria. A ll’arranqua (Nella ripresa) salvaje ‘o risultato cu ‘nu bbellu ‘ntervento.
MESTO 6 Meglio ajere ca cu ‘o Sassuolo,s’abbuscaje doppo quatto minute n’esaggerato cartellino jalizzo ca ‘o frenaje pe ttutt’ ‘o riesto d’’o fullé. Ma ‘ngenerale facette n’atalossa suddisfacente pure si sbagliaje quacche bbassurero (suggerimento).
BRITOS 6,5 ‘Nu peccato veniale ‘nfase ‘e bbassurero (suggerimento) ô pprincipio ‘e fullé e n’ato a ll’arranqua..., ma ‘nfase ‘e trancara(marcatura) e ‘ncopp’ê ppalle aute nun ne sbagliaje una pure si quase ô pprincipio s’abbuscaje ‘na capata ca ‘o scummaje ‘e sanco e ‘o custringnette a gghiucà tutt’ ‘o fullé cu dduje tampune dint’ô naso...
ALBIOL 6,5 Ô ssolito dètte granna sicurezza a ttutto ‘o reparto difenzivo e cquanno se trattaje ‘e subbastà (rilanciare) e nsi’ a cche rummanette ‘ncampo stèttemo dint’ê tranquille. Ma resistette sulo p’’o primmo ajone, po êtt’ ‘a ascí pe n’affaticamento musculare.(dô 48° CANNAVARO 4 Nun è arta soja e ccomme ‘o vedette ‘e trasí i’ accumminciaje a preoccuparme. Cumminfatte fove sulamente pe ‘na signalazziona d’ urzo ‘e cóse (fuorigioco) ca forze nun ce steva, ca ‘o salvaje da ‘na falta (fallo) prubbabilmente ‘e ricore ‘ncuollo a Gilardino)! Mo sperammo ca pe marterí Albiòllo se repiglia pecché cu cchisto nun è pproprio cosa!
ZUNIGA 6 Capitàno pe ‘na jurnata, se dimustraje attiento ‘nfase difenziva e cquanno accumpagnaje ll'aziona ‘o ffacette cu cqualità. A ll’arranqua (Nella ripresa), quanno ‘o gGenoa se mettette cu cquatto attaccante, rummanette cchiú vascio pe cuntènere ‘e crifune.
INLER 7 Nun sbagliaje praticamente niente. Tuccaje ‘na cifra ‘e pallune e, cu ccarma,dicisione e ppricisione ‘e smistaje ‘ncopp’a ll’esterne appiccianno ‘a miccia d’’e repartite (ripartenze).
BEHRAMI 7 Granne cuntribbuto ‘nfase ‘e trancatura (interdizione), chello ca nc’ era mancato cu ‘o Sassuolo. Durante ô primmo ajone ‘o Napule cuntrullaje ‘a situazziona e isso dètte ‘na mana, ma addó se vedette ‘e cchiú fove a ll’arranqua quanno ‘o gGenoa ‘mpurraje (spinse) a ccapa sotta e isso se piazzaje a ddà prutezziona â difesa.
Insigne 7 Bella atalossa (prestazione) d’’o guaglione frattese ca pruvaje sistematicamente a urtizzà (verticalizzare) pure si nun sempe(po’ succerere!) fove priciso. ‘Ncumpenso ‘ncopp’ a ttutte ‘e ddoje rredde ‘e Pandèv(vo) nce mettette ‘a trucchía soja ( il suo zampino) e ll’âmm’’a ringrazzià!
PANDEV 8 Miso addó lle piace ‘e stà: a ccentro e nno laterale, siconna ponta ê spalle ‘e zZapata, se capette súbbeto dô pprincipio ca ‘o macetone ce steva, ‘o tteneva e ‘o vvuleva fà e cumminfatte facette lustrarce ll’uocchie ‘ncopp’ a ògne palla ca tuccaje; p’’a verità sprecaje ‘na commeta palla, ma po ssúbbeto se riscattaje sbluccanno ‘o risultato e addirittura firmanno ‘o dubblato (il raddoppio) e ttutte ‘e ddoje vote piazzaje dduje granne pallune angulate. (da ll’ 81° DZEMAILI sv)
CALLEJON 7 Che bbellu jucatore ch’è cchisto! Lle mancaje sulo ‘a rredda pe mettere ‘a cerasella ‘ncopp’ô gattò mariaggio ‘e ‘nu granne fullé! Funnamentale pe ttutte ‘e ffase d’’o juoco, currette comme a ‘nu pazzo ggià dô primmo munuto e nun se fermaje maje mustrannose luzente (lucido) ‘ncopp’a ògne bbassurero (suggerimento) e ssi a ll’arranqua, quanno se prupunette ‘ncontropide, ll’êsseno servuto, se fósse levato pure ‘o sfizzio ‘e signà!
ZAPATA 6,5 ‘E ncuraggiamento e pe cchillu muvimento ‘ntelliggente ca facette ô mumento d’’a siconna rredda quanno se purtaje appriesso ‘o difenzore libberanno spazzio a pPandemonio! Debbuttaje cu ‘a maglia luvarda (azzurra) e ppure si quacche vvota nun se facette vedé dint’ô juoco, cunzideranno quant’è gruosso e turzuto, dimustraje ‘e saperce fà cu ‘a palla e de puté cupulià (duettare) cu pPandev, pe nun ddicere d’’a putenza dimustrata dint’ô juoco auto.
(dô 60° HIGUAIN 6 Nun avette ‘mpurtanti pallune ‘a jucà, ma cu ttutto chesto pe ddoje vote jette vicino a ssignà ‘a terza rredda cuana, ma nun fove furtunato! Vulenno signà, se ‘mmentaje spisso quacche bbuonu muvimento, ma ‘e cumpagne nun ‘o servetteno e isso se ‘ncazzaje.)
Benitez 7,5 ‘Sta vota ‘ncarraje tutto ‘o rutizzio (turnover) riprupunenno ‘ndifesa Albiòllo e bBritòsso, mettenno ‘mmiezo ô campo a bBehrami e annante tenenno fora a mMarekiaro (cu Pandemonio, siconna ponta) e a ‘o Pipita (facenno debbuttà a zZapata...),e ‘mbarba a cchi arricciaje ‘o naso dimustraje d’avé avuto raggione, vincenno (e cchi vence ave raggione!) e cunvincenno visto ca ‘a scuatra nun perdette ‘a fisiunumia soja ‘nfase uffenziva. Doppo ‘nu granne primmo ajone, ‘o Napule ‘e don Rafele sufferette quacche cusarella sulo a ll’arranqua quanno ‘o gGenoa ‘nsotto ‘e doje rredde, rutto pe rrutto, se menaje a ccapa ‘nsotto addirittura cu quatto attaccante, ma nun ne cacciaje niente!
L’arbitro DAMATO 4,5
Vecchia carta canusciuta st’avvocato ‘e Barletta(e comme a ppugliese quase certamente tifoso juventino) è ‘nu chiafeo, fúceto e sciacqualattuca(incapace) e ati vvote addirittura vennuto!Turnato a diriggere ‘o Napule doppo paricchiu tiempe dê ‘nguacchie fatte spisso precedentemente ‘ndanno d’ ‘o Napule, tentaje ‘e tutto pe dà fastidio ê cuane mettennose pe ‘mmiez’ê piere d’ ‘e napulitane custrette a scartà primma a isso e ppo a ll’avverzarie e nun vedenno ‘o juoco viulento e pruvucatorio d’ ‘e delinquente crifune e anze caputianno ‘e ffalte (invertendo i falli) abbuffaje ‘e cuane ‘e cartelline jalizze....pe nun dicere po d’’a fessaria fatta ‘ndanno d’’e cuane quanno fermaje ‘nu contropiede libbero e ffranco ‘e Lorenzigno pe siscarce, a sfuttò, ‘na punizzione a ffavore! No, chisto è scemo! dicètteno ‘ntribbuna divano... e i’ cunfermaje. ‘O fatt’è ca si ‘mmece ‘e Damato ce fósse stato n’ato, era ‘a stessa cosa : ‘o Napule sta ‘ncopp’ê scatole d’ ‘o Palazzo e ll’arbitre taliane so’ tutte ‘na fetenzia e addó vaje vaje, scarte fruscio e ppiglie primera.
Cu ‘na bbona salute! Ce sentimmo, si dDi’ vo’, â prossima vota, ciovè doppo d’ ‘o fullé ‘e Ciampionsa. Staveti bbe’!
R.Bracale Brak
sabato 28 settembre 2013
RIGATONI MANTECATI AI FUNGHI PORCINI
RIGATONI MANTECATI AI FUNGHI PORCINI
Ingredienti e dosi per 4 persone
4 etti di rigatoni,
3 etti di funghi porcini freschi o surgelati,
1 bicchiere d’olio d’oliva evo,
1 cipolla dorata di montoro mondata e tritata,
1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato,
la buccia grattugiata d’un limone non trattato,
1 gran ciuffo di prezzemolo lavato asciugato e tritato,
3 etti di ricotta ovina stemperata,
1 etto di formaggio grana grattugiato,
sale grosso un pugno,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
procedimento
Pulire bene i funghi nettandoli con uno straccetto umido e con un coltellino affilatissimo, e tagliarli in pezzi abbastanza grossi;è essenziale operare il taglio alla francese, sfettando cioè i funghi in diagonale, appoggiando la lama lungo l’asse maggiore dei funghi, con un’inclinazione di 45°. Frattanto in un proporzionato tegame con l'olio, a fiamma vivace fare appassire la cipolla tritata con lo spicchio d'aglio, sbucciato e leggermente schiacciato, senza lasciarli colorire; aggiungere i funghi affettati e farli cuocere a fuoco vivace per cinque minuti. Insaporirli con un pizzico di sale e di pepe macinato a fresco e cospargerli con la buccia di limone grattugiata. Portare ad ebollizione una pentola d'acqua salata (pugno di sale grosso) e farvi cuocere i rigatoni; in una zuppiera calda stemperare la ricotta con un po’ d’acqua di cottura della pasta; scolare i rigatoni al dente e versarli nella zuppiera con la ricotta, cospargerli con il formaggio e rimestare; indi aggiungere i funghi trifolati con il loro fondo e cospargere il tutto con il prezzemolo lavato, asciugato e tritato. Mescolare accuratamente e servire questi gustosi rigatoni mantecati ancóra caldi,aggiungendo altro pepe decorticato macinato a fresco. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, buona salute!
Raffaele Bracale
CANNELLONI AL BACCALÀ
CANNELLONI AL BACCALÀ
Oggi vi propongo una ricetta per un primo davvero sfizioso a base di pesce; è notorio che io non ami il pesce, ma per il baccalà e segnatamente il mussillo di baccalà faccio un’eccezione convinta. L’ingrediente principale di questa semplice, ma gustosa ricetta è proprio il mussillo di baccalà, che richiede alcuni accorgimenti prima della cottura. Preciso súbito che il filetto o parte dorsale e di mezzo o di baccalà o di stocco è quella parte (la migliore del pesce) ricavata appunto dalla parte centrale del merluzzo e precisamente dalla parte piú alta della sua groppa; a Napoli il filetto di baccalà à il nome di mussillo ( dico súbito che non è tranquillissima l’etimologia della voce mussillo; una scuola di pensiero propende per una derivazione per adattamento dal francese mousse(=spuma morbida e soffice come una crema ; ma la cosa non mi convince nè semanticamente né morfologicamente; pur essendo infatti il filetto di baccalà( détto mussillo) tenero e quasi soffice,semanticamente è lontanissimo dalla consistenza di una crema a base di bianco d’uovo e panna montata a freddo, quale può essere una mousse dolce ed anche molto lontano dalla consistenza di una mousse salata risultante da un passato di prosciutto, di tonno, di fegato od altro;morfologicamente poi non si capisce perché una voce femminile: mousse debba avere un diminutivo con suffisso maschile (illo) dando il maschile m(o)uss-illo e non un suffisso femminile (ella) che darebbero piú giustamente (un nome femminile esige un diminutivo femminile, non maschile!...) m(o)uss-ella; ugualmente mi pare semanticamente e morfologicamente poco convincente una derivazione di mussillo da un adattamento di murzillo diminutivo di muorzo: semanticamente il filetto/mussillo non m’appare riconducibile alla voce muorzo, atteso che d’esso è impossibile farne un morsicino e neppure un morso!, d’altro canto morfologicamente non è spiegabile il passaggio di murzillo a mussillo; linguisticamente non è possibile che il gruppo rz (che al piú può addivenire a zz) evolva in ss ed infatti non esistono(ch’io sappia) altre voci dove il gruppo rz sia diventato ss. A questo punto non mi resta che aderire alla scuola di pensiero che fu già del D’Ambra, scuola che vede in mussillo un diminutivo di musso= labbra dal tardo lat. musu(m)con raddoppiamento espressivo della sibilante, cosa esattissima dal punto di vista sia morfologico (mussillo è l’esatto diminutivo maschile di musso) sia semantico risultando essere il filetto, di cui discorriamo, polposo e morbido quasi come le labbra di una giovane donna; il filetto del baccalà (mussillo ‘e baccalà ) che si presta ad essere fritto o a preparazioni alternative come ‘e zeppulelle o questa della ricetta che segue, si distingue dal filetto di stocco per essere quello di baccalà piú compatto e bianco oltre che piú polputo mentre il filetto di stoccafisso ( che in napoletano viene precisamente indicato come cureniello/córiniello ‘e stocco ) è di color ambra ed è meno polputo, si apre a fogli e si presta solo tutt’ al piú ad esser lessato e condito in bianco all’agro con olio, limone, aglio, sale doppio e prezzemolo, oppure per esser preparato alla vicentina in quella ricetta che i veneti impropriamente usano chiamare baccalà alla vicentina, laddove è noto che essi per la ricetta usano lo stocco, non il baccalà!
Passiamo alla ricetta
dosi per 6 persone
12 cannelloni di pasta secca,
1500 gr. di mussillo di baccalà ammollato,
½ litro di latte scremato,
5 patate medie;
1 spicchio d’aglio mondato e tritato,
1 etto di filetti d’acciuga sott’olio,
1 cucchiaio di farina;
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
sale fino e pepe decorticato q.s.
sale doppio due pugni.
un gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
procedimento
Mettere a lessare le patate in acqua salata (un pugno di sale grosso), dopo averle pelate, lavate e tagliate a pezzi abbastanza piccoli. Tagliare il baccalà a pezzi e metterlo a cuocere in una casseruola, con il latte e due cucchiai d’olio. Cuocere per circa 15 minuti badando che il latte non s’asciughi; se succede rabboccarlo con un po’ d’acqua bollente; a questo punto aggiungere le patate e la farina aggiustando di sale e pepe e tenere al fuoco moderato per ulteriori 15 minuti. Nel frattempo in un padellino far dorare nell’olio residuo l’aglio tritato e farvi sciogliere le acciughe Intanto cuocete i cannelloni. A questo punto, con una forchetta, schiacciate le patate e il baccalà, finchè non sarano ridotti in poltiglia ed unirvi le acciughe sciolte. Riempite i cannelloni con il composto ottenuto e serviteli semplicemente con olio e pepe e cosparsi di prezzemolo tritato finemente.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, buona salute!
Raffaele Bracale
CANNARUNCIELLE INCACIATI CON SALSA RUSTICA DORATA
CANNARUNCIELLE INCACIATI CON SALSA RUSTICA DORATA
Nota
Per la preparazione di questa ricetta ci serviremo di una gustosissima salsa rustica dorata e come pasta useremo i cannaruncielle détti pure don ciccille ‘ncruvattate ossia dei grossi tubettoni rigati noti anche come pasta militare
Tale pasta avendo la forma d’un grosso tubetto cilindrico viene appaiato, nella concezione popolare a quegli alti colletti rigidi delle camicie d’antan corredati per solito da grossi cravattoni, donde il nome di don ciccille ‘ncruvattate dove il don ciccillo (che è il sig. di don ciccille, è il nome dell’ipotetico individuo che indossava quei tronfi colletti rigidi; il nome cannaruncielle deriva invece dal fatto che quei tronfi colletti insistono sul collo o gola che in napoletano è canna((che deriva dal latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale della gola) o cannarone donde cannaruncielle. E veniamo alla ricetta:
per i cannaruncielli incaciati
6 etti dicannaruncielle (tubettoni rigati),
3 etti di pecorino (laticauda) grattugiato finemente,
abbondante pepe decorticato macinato a fresco,
2 etti di prosciutto cotto in bastoncini di cm. 5x 2x 1,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p. s. a f. ,
una tazzina di cognac,
4 etti di gherigli di noci tritati.
sale doppio mezzo pugno.
per la salsa rustica
1 bicchiere di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
3 grosse patate vecchie,
3 grosse carote,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 etto di pancetta tesa in cubetti da 1 cm. di spigolo,
una tazzina di cognac,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.,
sale grosso 1 pugno
1 bicchiere di latte intero caldo,
2 bustine di zafferano,
1 etto di pecorino grattugiato.
procedimento
Si comincia approntando la salsa rustica nel modo che segue: Lavare, lessare in acqua salata (un pugno di sale grosso),sbucciare e passare allo schiacciapatate le tre grosse patate vecchie a pasta gialla ed a seguire lavare, grattare, dividere in tocchi, lessare nella medesima acqua salata usata per le patate e passare allo schiacciapatate anche le tre carote grattate,raccogliendo ambedue i triti di patate e carote irrorati con un filo d’olio, in una ciotolina; nel frattempo in un tegame antiaderente versare tutto l’olio residuo ed a temperatura sostenuta farvi dorare il trito di cipolla; abbassare i fuochi, aggiungere i cubetti di pancetta affumicata, e farli rosolare;bagnare con il cognac e farlo evaporare; indi aggiungere le patate e le carote schiacciate, regolare di sale e pepe e lasciare amalgamare i sapori mantecando per qualche minuto aggiungendo il formaggio pecorino e bagnando il tutto con un bicchiere di latte caldo in cui sia disciolto lo zafferano.A seguire si versa un bicchiere d’olio in una padella ed a fuoco sostenuto si fanno dorare i bastoncini di prosciutto cotto bagnandoli con il cognac; tenere il tutto in caldo. A questo punto occorre mettere a lessare la pasta in abbondante acqua leggermente (mezzo pugno di sale doppio) salata.Nel frattempo mandare a temperatura un bicchiere d'olio in un tegame unendovi una generosa quantità di pepe decorticato macinato a fresco; a seguire porre in
un’ insalatiera 3 etti di pecorino laticauda grattugiato finemente ed un po' d' acqua di cottura della pasta; amalgamare il tutto con un cucchiaio di legno fino ad ottenere una crema liscia. Si scolano i tubettoni lessati al dente, trasferendoli nell’insalatiera con il formaggio; si aggiunge la metà della salsa rustica dorata e si rimestano accuratamente.Si aggiunge infine il prosciutto dorato ed, a seguire, si spalmano a specchio sul fondo di sei fondine calde alcune cucchiaiate della residua salsa rustica dorata e vi si porzionano i rigatoni; si completano i piatti distribuendo su ogni porzione abbondanti gherigli di noce tritati.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
BUCATINI E BROCCOLETTI
BUCATINI E BROCCOLETTI
dosi per 6 persone
600g. di Pasta Tipo Bucatini spezzettati in pezzi di 4 cm,
1 kg di Broccoletti o in alternativa e meglio 1 kg. di Frijarielli,
3 Spicchi d’aglio,
50g. di Pinoli,
50g. Uvetta Sultanina –
6 acciughe dissalate, lavate e spinate o equivalenti filetti d’acciuga sott’olio –
2 peperoncini piccanti, privati del picciolo ed aperti longitudinalmente,
1 gran ciuffo di menta lavato, asciugato e tritato finemente,
100g di Formaggio Pecorino,
-
1 bicchiere e mezzo d’Olio D'oliva e.v.p.s. a f.,
sale doppio due pugni
Sale fino alle erbette e Pepe bianco q.s.
Mondare i broccoletti conservando solo le cime; lessarle rapidamente in acqua salata(un pugno di sale grosso) e scolarle al dente. Sbucciare l'aglio, tritarlo finemente e farlo rosolare in una padella con un bicchiere d’ olio ed i peperoncini; unirvi i broccoletti o i frijarielli lessati molto al dente e farli insaporire. Aggiungere le acciughe, i pinoli e l'uvetta ammorbidita nell'acqua calda e strizzata. Unire una presa di sale e un pizzico di pepe.
Cuocere i bucatini al dente (in molta acqua salata con un pugno di sale grosso), scolarli, condirli con 1 filo di olio e il formaggio grattugiato, unire i broccoletti, cospargere con il trito di menta, mescolare e servire.
Nota
I broccoletti fanno parte della famiglia delle Crucifere, la specie a cui appartengono è la Brassica Oeracea, divisa in molte varietà. Quella che a noi interessa, di origine mediterranea, è quella appunto dei broccoletti, ma in particolare ci interessa la varietà napoletana detta frijarielle (da friggere) varietà che si distingue dalle altre per il tipico sapore leggermente amarognolo (gradevolmente amaro).
Di solito i frijarielle napoletani vengono cotti direttamente a crudo (senza preventiva lessatura) in olio, aglio e peperoncino piccante e vengono fritti usando un tegame di ferro nero provvisto di coperchio; per la preparazione di cui dico i broccoletti o i frijarielli vengono invece dapprima inteneriti lessandoli brevemente in poca acqua salata e poi son ripassati in padella come ò detto.
Il nome di broccoletto deriva dal latino Broccus che significa germoglio. Sono caratterizzati da fusto corto, foglie ondulate di colore verde intenso. Nel centro si trovano dei piccoli fiori immaturi che costituiscono le cime; qui e là, quando la verdura è ben matura si trovano dei piccoli fiori gialli che a malgrado siano edibili, è meglio eliminare.
Il nome frijariello= da soffriggere che è inutile, scorretto maldestro tentar di rendere in italiano con un inconferente friggiarello (come pure talvolta mi è occorso d’udire in taluni programmi televisivi) è un deverbale di frijere ( dal lat. frigere di origine onomatopeica) = friggere
Le Varietà piú diffuse di broccoletti sono:
• il Bianco;
• il Precoce di Verona;
• il Grosso romanesco;
• il Violetto siciliano;
• il Bronzino di Albenga;
• il Calabrese
• il Napoletano (frijariello)
• Per la preparazione si potranno scegliere il Bianco;il Precoce di Verona;il Grosso romanesco;il Violetto siciliano,il Bronzino di Albenga o il Calabrese, ma il risultato migliore si otterrà con il napoletano (frijarielle).
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
BUCATINI CON LE ALICI
BUCATINI CON LE ALICI
ingredienti e dosi per 6 persone
600 gr. di bucatini spezzettati in pezzi di circa 4 cm.,
500 gr. di alici freschissime non eccessivamente piccole,
100 gr. di finocchio selvatico o in alternativa 1 cucchiaio abbondante di semi di finocchio,
1 bicchiere di olio d'oliva e.v.,
50 gr. di pinoli,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
50 gr. di uvetta sultanina,
1 peperoncino piccante privato del picciolo, lavato asciugato ed inciso longitudinalmente,
12 filetti d'acciuga sott’olio,
sale fino e pepe nero q.s.
sale doppio un pugno.
procedimento
Versate in un’ampia padella antiaderente tutto l’olio ed a fuoco vivo dorate la cipolla tritata , poi unite il finocchio tritato finemente o il cucchiaio di semi di finocchio, i pinoli, l'uvetta scolata che avrete fatto rinvenire in acqua tiepida ed i filetti d'acciuga. Dopo qualche minuto unite le alici ben pulite, private della testa, diliscate ed aperte a libro, una tazza d'acqua tiepida, il peperoncino, il sale, il pepe; portate a cottura. Lessate la pasta in acqua salata(pugno di sale doppio), scolatela e versatela nella padella con la salsa di pesce; rimestate lentamente , impiattate, cospargete di pepe nero macinato a fresco e mandate in tavola calda di fornello. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
BUCATINE â CARRETTIERE
BUCATINE â CARRETTIERE
bucatini alla carrettiere.
ingredienti e dosi per 6 persone:
600 g di bucatini,
1 kg di pomidoro freschi,sbollentati pelati e tritati in piccoli pezzi,
1 trito abbondante di basilico con 3 spicchi d'aglio mondato, peperoncino piccante a pezzetti,
½ etto di ricotta salata di pecora stemperata con un cucchiaio d’acqua di cottura della pasta ,
100 g di pecorino piccante grattugiato,
1 bicchiere e mezzo d'olio d'oliva e.v.,
sale grosso alle erbette un pugno,
sale fino alle erbette ed una presa.
procedimento
Pelare e tagliare a pezzetti i pomidoro nettati e metterli in infusione per due ore in un’ampia terrina col trito d'aglio e basilico, con una presa di sale fino alle erbette e con pezzetti di peperoncino; lessare al dente in moltissima (8 litri) acqua salata( un pugno di sale grosso alle erbette) i bucatini spezzati in pezzi di circa 4 cm.
A fime cottura scolarli ed amalgamarli velocemente (per non far perdere di calore) con la salsetta preparata prima, aggiungendo la ricotta salata stemperata ed il pecorino, impiattare e servire súbito.
* sale fino o doppio alle erbe
sale fino o doppio alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla, erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
venerdì 27 settembre 2013
LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE E GLI AVVERBI DI LUOGO DEL NAPOLETANO
LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE E GLI AVVERBI DI LUOGO DEL NAPOLETANO
La richiesta delle pagine che seguono mi è stata fatta da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, amico di cui, per questioni di riservatezza, mi limiterò ad indicare le sole iniziali di nome e cognome: N.C. Lo accontento volentieri e mi soffermo quindi parlare di quanto in epigrafe.
Le preposizioni improprie e gli avverbi di luogo in uso nell’idioma partenopeo sono numerosi; molti di essi sono espressi da un’unica parola, molti altri necessitano di una preposizione d’accompagnamento in posizione protetica e spesso agglutinata con la parola cui si accompagnano.
Vediamoli, cominciando dai piú semplici:
cca( e non ca)avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (e)cc(um) (h)a(c); da notare che nell’idioma napoletano (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; nel napoletano esistono , per vero, una congiunzione ed un pronome ca = (che), pronome e congiunzione dal medesimo etimo (lat. quia→q(ui)a→qa→ca) che però si rendono con la c iniziale scempia, laddove l’avverbio a margine è scritto sempre con la c iniziale geminata ( cca) e basta ciò ad evitar confusione tra i due monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’(con un inutile segno d’apocope…, inutile giacché non è caduta alcuna sillaba!) e talora addirittura ccà’ addizionando errore ad errore, aggiungendo (nel caso di ccà’) cioè al già inutile accento un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che, ripeto, non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico! In coda a quanto fin qui détto, mi occorre però aggiungere un’ultima osservazione: è vero che gli antichi vocabolaristi (P.P. Volpi, R. Andreoli) registrarono l’avverbio a margine come cà per distinguerlo dagliomofoni ca (che) pronome e congiunzione. Si trattava d’una grafia erronea, giustificata forse dal fatto che temporibus illis lo studio della linguistica era ancóra gli albori e quei vocabolaristi, meritevoli d’encomio peraltro per il corposo tentativo operato nel registrare puntigliosamente i lemmi della parlata napoletana, non erano né informati, né precisi. Ancóra tra gli antichi vocabolaristi devo segnalare il caso del peraltro preziosissimo Raffaele D’Ambra che, diligentemente riprendendo l’autentica parlata popolare registrò sí l’avverbio a margine con la c iniziale geminata (cca) ma lo forní d’un inutile accento (ccà) forse lasciandosi fuorviare dal cà registrato dai suoi omologhi. Dal tempo però dei varî P.P. Volpi, R. Andreoli e Raffaele D’Ambra la linguistica e lo studio delle etimologie à fatto enormi passi per cui se mi sento di perdonare a Raffaele D’Ambra,P.P. Volpi, R. Andreoli e ad altri talune imprecisioni o strafalcioni, non mi sento di perdonarli a taluni spocchiosi sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura cattedratico d’ateneo , colpevolmente a digiuno di regole linguistiche, (per la serie: quando non sai una cosa, insegnala!) che si abbandonano a fantasiose, erronee soluzioni grafiche!
lla( e non llà) avverbio di luogo corrispondente all’italiano là
1) in quel luogo (indica un luogo genericamente lontano da chi parla e da chi ascolta): puosalo lla; sta certamente lla (sta senz'altro là) ; venimmo nuje lla ; nun sta cchiú lla, va’ lla | talvolta si unisce a gli agg.vi o pron. chillo/u – chellu - chella o ad un sostantivo preceduto dai medesimi aggettivi , per determinare meglio la posizione di una persona o di una cosa: chillu guaglione lla; chillu libro lla; damme chellu ppane lla; piglia chella cosa lla;
2) con valore rafforzativo o enfatico: siente lla che casino! | chi è lla?, chi va lla?, fermo lla, usati da chi è di guardia o in ispezione ' arri lla (in questo caso però piú spesso il lla si semplifica in a per cui si à arri,a! !, per incitare bestie da soma o da tiro;
3) unito a un avverbio o a una determinazione di luogo: lla dinto; lla fora; lla attuorno; lla ssotto; lla’ncoppa; lla ‘ncopp’ a chella seggia; lla dint’ â casa; lla addó m’hê ditto | ‘a lla, da quel luogo: è partuto‘a lla ajeressera; curre‘a lla a cca ; pe gghí ‘a lla nfino â cimma nc'è vo’ n'ora bbona ‘e scarpinetto; | essere ‘a lla essere cchiú ‘a lla ca a cca, essere vicino a morire; ‘o spitale è assaje cchiú a lla; essere
4) in correlazione con qua e qui, per indicare luogo indeterminato: andare ‘nu pco cca, ‘nu poco lla'; correre ‘a cca e’a lla;qui e là cca e lla; guardà cca e lla.
L’ etimo di questo avverbio di luogo, cosí come per il là dell’italiano è dal lat. (i)lla(c); in italiano si è stati costretti ad accentare l’avverbio per evitarne la confusione con il la art. determ. femm. sg; in napoletano invece non vi è alcun altro monosillabo la con cui l’avverbio a margine ingeneri confusione, per cui in napoletano non v’à ragione per accentare questo la avverbio come invece purtroppo fanno tutti gli autori partenopei buoni o meno buoni che siano che si lasciano frastornare e fuorviare dal là accentato della lingua italiana e dimenticano che i segni diacritici vanno usati per marcare differenze di voci omofone, ma appartenenti al medesimo àmbito linguistico!
Per cui l’avverbio di luogo la in napoletano va reso senza alcun accento, ma con la geminazione della consonante (che ripete la doppia L etimologica e soddisfa l’attento udito partenopeo che avverte l’avverbio a margine con il suono forte d’avvio; e dunque lla e non llà con un inutile, pletorico accento che fa corona sulla a e tantomeno lla’ come qualche sedicente autore partenopeo à avuto il pessimo gusto di fare), non esistendo alcuna sillaba apocopata nell’ illac di partenza ed al solito la caduta di una o piú consonanti non può comportare segno diacritico!
lloco avverbio di luogo = in questo/in quel luogo usato indifferentemente per indicare un posto/punto vicino a chi parla o a chi ascolta; un tempo per rafforzare l’indicazione d’ un punto vicino a chi ascoltasse s’usava addizionare l’avverbio a margine con l’espressione ‘mmocca (in bocca); e ‘mmocca lloco valeva esattamentenel punto dove (vi trovate) cioè proprio nel punto preciso dove si trovasse l’ascoltatore; etimologicamente l’avv. in esame deriva dall’espressione latina (i)llo(lo)co→lloco con aferesi ed aplologia(caduta di una sillaba all'interno di una parola che dovrebbe presentare, in base alla sua etimologia, due sillabe consecutive identiche o simili (p. e. mineralogia per mineralologia));
annanze/annante/’nnante/’nnanze prep. impr. ed avv.
1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti)
2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/annante/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo)
etimologicamente l’avv. in esame deriva dal lat. tardo abante 'avanti' con assimilazione regressiva della b in n e raddoppiamento espressivo della nasale: abante→anante→annante/annanze quest’ultimo anche nella forma aferizzata ‘nnanze;
arrèto/arèto/adderèto/dderèto prep. impr. ed avv.
nella parte posteriore, opposta al davanti: nun guardà arreto (non guardare dietro); preferisco stà addereto(preferisco star dietro) | preceduto da altro avv. di luogo: steva annascuso lla ddereto(era nascosto lí dietro); à dda stà cca ddereto(deve essere qua dietro);
come prep. impr. è sempre seguita dalla prep. sempl. a aspiettame arreto a chella culonna (attendimi dietro quella colonna; s’è annascusa arreto â porta (s’è nascosta dietro la porta); | non può essere preceduto (come invece nell’italiano) dalla prep. di pleonastica:tu va’ annanze ca i’ sto’ arreto( tu vai davanti, io sto di dietro || nella loc. corrispondente all’italiano di dietro (o in grafia unita didietro) è usata nella forma ‘e reto ed à anche un valore di agg. e di s. m. : ‘e zzampe ‘e reto(le zampe posteriori);’a parte ‘e reto ‘e ll’armuà(il pannello di dietro dell’ armadio) etimologicamente è dal tardo lat. *ad de retro→adderet(r)o→ addereto →arre(re)to e quest’ultimo anche a(r)reto;
luntano agg.vo avv. e s.vo; come agg.vo vale l’italiano lontano
1 che si trova a grande distanza, che è separato da un lungo spazio: città, paise luntane(città, paesi lontani); penzà sempe ê figlie luntane(pensare ai figli lontani); ‘a nave è lluntana dô puorto(la nave è lontana dal porto); ‘a casa mia è lluntana ‘a cca(la mia casa è lontana da qui) | che si trova a una distanza determinata: ‘a posta è luntana ‘nu centanaro ‘e metre (l'ufficio postale è lontano un centinaio di metri)
2 remoto, distante nel tempo (passato o futuro):ebbreche luntane ( epoche lontane); tiempe luntane(tempi lontani);’nu juorno cchiú o meno luntano( in un giorno piú o meno lontano; ‘a staggiona nun è lluntana(l'estate non è lontana), è prossima
3 distante in senso ideale: essere luntano dâ verità(essere lontano dal vero);mantenerse luntano ‘a quaccosa( tenersi lontano da qualcosa); essere assaje luntano dô ffà, dô ddicere dô ppenzà coccosa, ( essere ben lontano dal fare, dire, pensare qualcosa) fare, dire, pensare cose molto diverse; luntano parente (lontano parente), non stretto | vago, incerto, indeterminato: ‘na sumiglianza luntana(una lontana somiglianza); nun tène ‘a cchiú luntana idea(non à la piú lontana idea | diverso, divergente: avé luntani idee(avere opinioni lontane); un modo di pensare ben lontano da un altro |â luntana ( alla lontana), alla larga, a distanza; in modo vago: ‘o saccio sulo â luntana (lo conosco solo alla lontana);me nn’à parlato, ma â luntana (me ne à parlato, ma alla lontana); parente â luntana (parente alla lontana), non stretto; pigliarla â luntana (pigliarla alla lontana), incominciare un discorso senza affrontare subito l'argomento principale
4 (anticamente ) molto esteso nello spazio o nel tempo: è turnato ‘a ll’America pe ‘nu mare luntano (è tornato dall’America attraversando un mare lontano)…attraversando l’oceano
come avv. in un luogo distante: stà, truvarse luntano(stare, trovarsi lontano); jí luntano luntano (andare lontano lontano), molto lontano | luntano ‘nu miglio(lontano un miglio), (fig.) a grande distanza | mirà luntano(mirare lontano), (fig.) avere grandi ambizioni | vedé luntano(vedere lontano), (fig.) saper prevedere l'evolversi delle cose | jí luntano (andare lontano) (fig.) avere successo, far carriera || Nelle loc. avv. ‘a luntano (da lontano, di lontano): chiammà, salutà ‘a luntano(chiamare, salutare da lontano); vedé, mustrà ‘a luntano(vedere, mostrare di lontano) || Nella loc. prepositiva luntano ‘a(lontano da: luntano ‘a cca, ‘a lla(lontano da qui, da lí); campà luntano dâ casa(vivere lontano da casa); stammo ‘e casa luntano ‘a vuje(abitiamo lontano da voi) | prov. :luntano ‘a ll’uocchie, luntano dô core (lontano dagli occhi, lontano dal cuore), l'affetto si affievolisce con la lontananza
come s. neutro. (anticamente) ‘o lluntano d’ ‘o quatro ( ciò che in un quadro si vede in lontananza); sfondo
la voce è derivata dal lat. volg. *longitanu(m), deriv. dell'avv. longiter 'lontano, lungi'; questo il percorso: longitanu(m)→ lon(gi)tanu(m)→luntano,
vicino/bbicino agg.vo s.vo, prep. impr. ed avv.; come aggettivo
1 che non è lontano o è poco lontano nello spazio o nel tempo: ‘o municipio è bbicino â casa mia(il municipio è vicino a casa mia); ddoje chiezze bbicine(due piazze vicine (tra loro)); simmo oramaje vicine ô sciummo(siamo ormai prossimi al fiume); ‘a fine d’ ‘a fatica è bbicina(la fine del lavoro è vicina); ‘a notte è vvicina (la notte è vicina); n’ommo cchiú vvicino ê cinquanta ca ê quaranta(un uomo piú vicino ai cinquanta che ai quaranta); essere vicino a ffà coccosa(essere vicino a fare qualcosa), stare per farla | paise vicine(paesi vicini), confinanti | ll’Uriente vicino(il vicino oriente), quello costituito dalle nazioni che si affacciano o sono prossime al Mediterraneo
2 (fig.) che à rapporti di parentela o di amicizia: ‘nu parente vicino(un parente vicino), stretto | che partecipa ai sentimenti di qualcuno: me sento vicino a tte a ‘stu mumento (mi sento vicino a te in questa circostanza)
3 (fig.) simile, affine: è ‘na tenta cchú bbicina ô bblu ca ô vverde (è una tinta piú vicina al blu che al verde;
come s.vo m. [f. -a] è raro ed è piú spesso sostituito da altre espressioni
1 chi è o abita vicino: ‘o vicino ‘e casa( il vicino di casa);ad es. ‘o vicino/’a vicina ‘e casa son resi con ‘o signore/’a signora a pporta
come avv. a poca distanza, non lontano: stevano ‘e casa vicino; succedette cca bbicino;fatte cchiú bbicino(abitavano vicino;abitavano nei pressi; accadde qui vicino accadde poco lontano; fatti piú vicino), avvicinati maggiormente; nun c’è riuscito, ma c’è gghiuto vicino(non c'è riuscito, ma c'è andato vicino), (fig.) c'è mancato poco | ‘a vicino(da vicino o davvicino), da breve distanza (anche fig.): sparaje ô berzaglio assaje ‘a vicino(sparò al bersaglio molto da vicino); fatte vedé ‘a vicino(fatti vedere da vicino); guardanno ‘o fatto cchiú ‘a vicino(esaminando la questione piú da vicino, piú addentro, piú minutamente; conoscere quaccuno ‘a vicino(conoscere qualcuno da vicino), personalmente, bene
come loc. prepositiva
1 vicino a, a poca distanza da, accanto a, presso: sta ‘e casa vicino a piazza Dante(abita vicinopiazza Dante); nun starte accussívicino â televisione(non stare cosí vicino al televisore)
è voce derivata dal lat. vicinu(m), deriv. di vicus 'villaggio'; propr. 'che appartiene allo stesso villaggio'; tipiche nel napoletano le alternanze b→v, v→b (cfr. bocca→vocca – barca→varca – avvincere→abbencere etc.);
‘mmiero/’mpiero preposizione impr.cong. ed avverbio antico e desueto
Come prep. impr.
1 in direzione di, verso, alla volta di (introduce un compl. di moto a luogo): jettero ‘mmiero ê muntagne, ‘mpiero Milano (andarono verso i monti, verso Milano); avutaje ‘a faccia ‘mpier’ô cielo(volse il viso verso il cielo); ‘mpiero addó site dirette?( verso dove siete diretti?) | si unisce ai pron. pers. per lo piú mediante la prep. de→’e: guardate ‘mpiero ‘e me(guardate verso di me); jettero ‘mpiero d’isso(andarono verso di lui)
2 dalle parti di, nei pressi di (introduce un compl. di stato in luogo): sta ‘e casa ‘mpiero ô corzo Garibbalde (abita) abita dalle parti del corso Garibaldi; | (rar.) anche preceduto da prep.: è de ‘mpiero Casoria(è di verso Casoria)
3 poco prima o poco dopo; circa a, intorno a (introduce un compl. di tempo determinato): te telefono ‘mmiero ê ssette(ti telefonerò verso le sette); se trasferisce ‘mmiero â fine ‘e ll’anno(si trasferirà verso la fine dell'anno) | in prossimità di, intorno a (introduce un compl. di età): mpiero ê trent’anne decidette ‘e se ‘nzurà( verso i trent'anni decise di sposarsi);
4 nei riguardi di, nei confronti di: ammore ‘mpiero tutte quanteamore verso tutti; pietà ‘mmiero chi soffre (pietà verso chi soffre); s’è cumpurtato malamente ‘mmiero ‘e te; (si è comportato male nei tuoi confronti);
5 (commerciale e giurid. ) contro, dietro: ‘o certificato se rilascia ‘mpiero pagamento(l'attestato si rilascia contro pagamento).
Come avv.
Quasi,circa, pressappoco, pressoché
Costa ‘mpiero mille lire; so’ ‘mmiero ‘e sseje; so’ venute ‘mpiero tutte; me parono ‘mmiero euale; nun ‘o ‘ncontro ‘mpiero majenon lo incontro quasi mai; «Hê fernuto?» «’Mpiero»;(costa quasi mille lire; sono quasi le sei; sono venuti quasi tutti; mi sembrano quasi uguali; non lo incontro quasi mai; «Ài finito?» «Quasi»);
come cong. = come se (sempre seguito dal verbo al congiunt.): era assaje preoccupato, ‘mpiero sapesse chello ca steva pe succedere( era molto preoccupato, quasi sapesse quello che stava per accadere).
La voce è un derivato del greco perí (intorno) con prostesi di un in→’n illativo: in + pĕrí→inpĕrí→’npierí→’mpiero ed anche ‘mmiero per assimilazione progressiva;
miezo/’mmiezo agg.vo, avv.prep. imp. e s.vo
Come aggettivo
1 che è metà dell'intero: miezu chilo(mezzo chilo); meza purzione(mezza porzione), meza jurnata(mezza giornata); ce ò magnammo miezo peduno(lo mangeremo mezzo per uno); ‘nu bbuonu miezu litro(un buon mezzo litro), mezzo litro abbondante meza festa (mezza festa), giornata lavorativa nella quale, per una ricorrenza o altro, si lavora solo per metà tempo miezu lutto (mezzo lutto), lutto non stretto | meza età(mezza età), non piú giovanile e non ancora senile; età matura 'mizu ‘uanto (mezzo guanto),quello che lascia scoperte le dita ‘na fatica a mmiezo(un lavoro a mezzo (tempo)), a tempo parziale, con orario ridotto di circa metà rispetto a quello normale ma distribuito per lo piú nel normale numero di giorni |
2 (fam.) poco meno di, quasi: è succieso ‘nu miezu casino (s’è scatenato un mezzo putiferio); m’à fatto ‘na meza prumessa(mi à fatto una mezza promessa); ‘na meza idea(una mezza idea), un'idea molto vaga | era miezu muorto(era mezzo morto, molto mal ridotto |nun aggiu ditto meza parola (non ò detto mezza parola), assolutamente nulla .
come avv.
per metà; parzialmente, quasi: ‘nu muro miezo ggiallo e mmiezo bblu(una parete mezzo gialla e mezzo blu); dduje paise miezo distrutte(due paesi mezzo distrutti); (in tali casi all'avv. si sostituisce spesso l'agg.: ‘nu muro miezu ggiallo e mmiezu bblu (una parete mezza gialla e mezza blu); dduje paise mieze distrutte(due paesi mezzi distrutti);
come s.vo m.le
1 la metà di un tutto: | si usa spec. dopo un numerale, sottintendendo il sostantivo precedentemente espresso: dduje chile e mmieze(due chili e mezzo(chilo);tengo quinnece anne e mmieze (ò quindici anni e mezzo); songo ‘e ccinche e mmezo(sono le cinque e mezzo (frequente, intendendosi mezzo come agg., la concordanza al femminile: ll’una e mmeza (l'una e mezza);
2 il punto, il tratto di spazio o l'arco di tempo che divide idealmente in due parti uguali uno spazio o un periodo di tempo: ‘mmiezo ô salotto(nel mezzo del salone); ‘mmiezo â strata( in mezzo alla strada); ‘mmiezo ô mmeglio d’ ‘a festa (nel bel mezzo della festa) | ‘na via ‘e miezo(via di mezzo), (fig.) si dice di ciò che à caratteristiche miste, che rappresenta una soluzione intermedia: ‘na via ‘e miezo’nfra ‘na machina e ‘nu furgone( una via di mezzo tra una vettura ed un furgone); scegliere ‘na via ‘e miezo(scegliere una via di mezzo) | jí pe mmiezo (andar di mezzo), essere coinvolto, soffrire le conseguenze levà ‘a miezo coccosa( levar di mezzo qualcosa), toglierla da un luogo dove è d'ingombro, gettarla via, liberarsene levà ‘a miezo a coccheduno (levar di mezzo qualcuno), allontanarlo, o anche ucciderlo levarse ‘a miezo (levarsi, togliersi di mezzo), liberare dalla propria presenza, andarsene; non occuparsi piú di qualcosa | mettere ‘mmiezo a coccheduno (mettere in mezzo qualcuno), ingannarlo, comprometterlo, coinvolgerlo
come loc. prep.
introduce il nome della persona o della cosa di cui ci si serve o che funge da tramite: mannà ‘na nutizzia pe mmiezo ‘e n’amico (mandare la notizia per mezzo di un amico); spedí ‘nu pacco pe mmiezo d’ ‘o curriere(spedire un pacco per mezzo di (o del) corriere); comunicare per mezzo della stampa; spedí a mmiezo d’ ‘o curriere, raccumannata etc. (spedire a mezzo corriere, a mezzo raccomandata etc.);
come prep. impropria introduce il compl. di moto per luogo e vale fra, tra, per ed è sempre costruita seguita dalla prep. a
è voce dal lat. mediu(m) cammenà pe ‘mmiezo â via (camminare per istrada)ll’aggiu ‘ncuntrato pe ‘mmiezo ê scale (l’ò incontrato per le scale) è voce dal lat. mediu(m) e nella morfologia ‘mmiezo si riconosce in + miezo→inmiezo→immiezo→’mmiezo.
‘mpizzo avverbio di luogo
sulla punta, proprio al margine: ‘mpizzo â lengua (sulla punta della lingua,) ‘mpizzo â seggia (al margine della sedia talora, ma reiterato: ‘mpizzo ‘mpizzo anche avverbio di tempo nel significato di a tempo a tempo, giusto in tempo: è arrivato ‘mpizzo ‘mpizzo pe s’assettà a ttavula a mangià (è arrivato giusto in tempo per sedere a mangiare), ‘o piccerillo è trasuto ‘mpizzo ‘mpizzo pe sèntere chello ca stévamo dicenno (il bimbo è entrato a tempo a tempo per udire ciò che dicevamo); la voce è da in→’n + pizzo→’npizzo→’mpizzo; pizzo =punta,merletto,posto ed anche becco d’uccellino è voce d’origine espressiva da un tema onomatopeico piz-.;
’mponta avverbio di luogo, ma non di tempo che ripete le accezioni del precedente, con esclusione di quelle relative al luogo );
la voce è da in→’n + puncta(m)→’npuncta→’mponta; ponta =punta è dal lat. tardo puncta(m) 'colpo inferto con una punta', deriv. di pungere 'pungere';
‘ncoppa/ ‘a coppa prep. impr. ed avv. di luogo
come avv.
sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa
come prep.
1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa;
2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione piú elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, piú (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, piú a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10° parallelo | piú di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che à gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra
¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica.
etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a Mette conto parlare anche di ‘ncopp’â = sulla, sopra la - ncopp’ô sul sullo, sopra il/lo e di ‘ncopp’ê su gli/sulle, sopra i,gli/le;
queste tre locuzioni prepositive napoletane sono forgiate da un in→’n illativo e da coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, addizionate volta a volta da â (crasi di a ‘a=alla), da ô(crasi di a ‘o=al/allo),da ê(crasi di a ‘e= ai,a gli, alle).
‘ncuollo avv. di luogo vale
1 addosso, sulla persona, sulle spalle: che puorte ‘ncuollo?(che cosa porti addosso?); tené ‘ncuollo(avere addosso), avere con sé, su di sé; indossare | tené ‘a jella ‘ncuollo(avere la sfortuna addosso), (fig.) essere sempre sfortunato | chiammarse ‘e guaje ‘ncuollo(chiamarsi addosso i guai), (fig.) procurarseli | se ll’è ffatta ‘ncuollo p’ ‘a paura(per la paura se l’è fatta addosso, fare i bisogni corporali nei vestiti; (fig.) farsi prendere dalla paura, dal panico |parlarse ‘ncuollo (parlarsi addosso), (fig.) in continuazione e con autocompiacimento
2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle
1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra)
2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo
3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto;
‘nfunno prep. impr. ed avv. di luogo
1 nella parte inferiore di qualcosa, spec. di un recipiente o di una cavità: ‘nfunno â tiana (in fondo alla pentola), | ‘nfunno ô mare, ô sciummo (al fondo del mare, del fiume)| jí ‘nfunno(andare a fondo), affondare; (fig.) rovinarsi | mannà ‘nfunno a quaccheduno(mandare al fondo qualcuno) affondarlo; (fig.) rovinarlo
2 in fondo, nella parte piú interna di un luogo o piú lontana rispetto all'osservatore o situata alla fine di qualcosa; (fig.) la parte piú riposta e intima: ‘nfunn’â cascia(nel fondo del baúle); ‘nfunn’â strata (in fondo alla strada) ‘a cammera ‘nfunn’ô curreturo (la camera in fondo al corridoio); ‘nfunn’ô core (nel fondo del cuore); ‘nfunno a ll’anema( in fondo all'anima) ' |’a cimma ‘nfunno (da cima a fondo), completamente | jí’nzino ‘nfunno(andare fino in fondo), (fig.) non abbandonare un'impresa prima di averla conclusa | è gghiuto‘nfunn’ô fatto ( è andato in fondo alla faccenda), à cercato di vederci chiaro | tutto sommato:’nfunno ‘nfunno è mmeglio accussí! (in fondo, in fondo è meglio cosí!). etimologicamente‘nfunno = in fondo è forgiato da un in→’n illativo + funno dal latino fundu(m)→funno con assimilazione progressiva nd→nn.
‘nterra prep. impr. ed avv. di luogo
nella parte inferiore, piú bassa o estrema di qualcosa,giú’nterra â Mmaculatella (giú, all’estremo limite dell’ imbarco del molo dell’ Immacolata) ’nterra â Cajola (sulla spiaggia della Gaiola), è caduto ‘nterra (è cascato in terra), ‘o voglio vedé ‘nterra (lo voglio vedere a terra) (fig.) sottomettere, rovinare;
etimologicamente‘nterra = in fondo, giú, all’estremo limite è forgiato da un in→’n illativo + terra dal latino terra(m).
‘ntridice/’ntririce avv. di luogo ma anche modale
Letteralmente: in tredici id est: giusto nel mezzo, al centro, in vista; usato sempre con valore o accezione negativa come nell’espressione che segue:
Stà sempe 'ntridice/’ntririce.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, al centro, in vista, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo.
Ora poiché nella smorfia napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che se ne è ricavato l’avverbio a margine e viene fuori l'espressione in esame con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti. etimologicamente‘ntridice/’ntririce = nel mezzo, al centro, in vista è forgiato da un in→’n illativo + tridice/tririce = tredici numerale dal lat. tredecim, comp. di trís 'tre' e decem 'dieci'; nella morfologia tririce da tridice è riscontrabile la rotacizzazione osco-mediterranea della d→r.
sotto/ avv. e preposiz. impropria
come avv.
1 in luogo o posizione inferiore: sta cca ssotto, lla ssotto(è qui sotto, lí sotto); miettela sotto, cchiú ssotto(mettilo sotto, piú sotto); ‘nu scatolo ‘a coppa ‘e rasone, ‘a sotto ‘e velluto(una scatola sopra di raso e sotto di velluto), con la parte inferiore di velluto | preceduto dalla prep. a/di pleonastica: scennere ‘a sotto(scendere di sotto), al piano inferiore; chi steva‘a coppa faceva ‘e dispiette a cchille ca stevano‘a sotto (chi stava sopra faceva i dispetti a quelli che stavano di sotto) | può essere preceduto da prep. diversa da a/di: passaje pe ssott; è asciuto ‘a sotto(passò per sotto; è uscito da sotto);| raddoppiato à valore di 'al di sotto di tutto il resto': ll’acqua scavaje sotto sotto(l'acqua scavò sotto sotto); sotto sotto, (fig.) dentro di sé, di nascosto, copertamente: sotto sotto avesse vuluto essere ‘mmitato a restà(sotto sotto, avrebbe voluto essere invitato a restare) | mettere sotto, investire: fuje miso sotto ‘a ‘nu camionne(è stato messo sotto da un camion); metterse sotto(mettersi sotto), (fig.) impegnarsi con tutte le energie in un lavoro |ce sta sotto coccosa (c’è qualcosa sotto), di situazione non chiara, che appare losca;
2 in seguito, con riferimento a cosa che sarà détta o scritta poco oltre: comme dimustrato cca ssotto(come dimostrato qui sotto)
come prep.
[si unisce ai nomi direttamente o mediante la prep. a, ai pronomi personali quasi sempre mediante la prep. a oppure‘e(di); si può elidere davanti a vocale, spec. in espressioni del tipo:sott’acqua, sott’acito (sott'acqua, sott'aceto); sotto a mme, sotto’e te (sotto di me, sotto di te)]
1 in posizione inferiore rispetto ad altro (con riferimento a cose che sono a contatto): mettette ‘na zeppa sott’ â zampa d’ ‘a tavula(mise un cuneo sotto la gamba del tavolo);’o libbro ca cirche sta sott’ô manesiglio niro( il libro che cerchi è sotto il quaderno nero; annasconnere coccosa sott’ô lietto(nascondere qualcosa sotto il letto); purtà ‘e libbre sott’ô vraccio( portare i libri sotto il braccio)
2 con riferimento a cose l'una delle quali avvolge l'altra: purtà ‘nu vestito liggiero sott’ô cappotto( portare un abito leggero sotto il cappotto); ‘nfilarse sott’ê cuperte(infilarsi sotto le coperte); ‘o piatto steva sotto a ‘nu parmo ‘e póvera(il piatto era sotto uno strato di polvere.)
3 con riferimento a cose non in contatto fra loro: ‘o scannetiello sta sott’ô tavulino(lo sgabello è sotto il tavolino); passà pe sott’ô ponte (passare sotto il ponte); sta ‘e casa proprio sotto a mme( abita proprio sotto di me); stevano tutte e dduje sott’ô ‘mbrello erano ambedue sotto l'ombrello; s’arreparaje sott’ô barcone( si riparò sotto il balcone); sott’ê stelle( sotto le stelle), all'aperto di notte; sott’ô sole (sotto il sole), in questo mondo |tené coccosa sotto a ll’uocchie, sott’ô naso avere qualcosa sotto gli occhi, sotto il naso, vicinissimo
4 con riferimento a cose l'una delle quali travolge o grava sull'altra:è ffernuto sotto a ‘na machina( è finito sotto un'automobile); metterse sott’ê piere(mettersi sotto i piedi), calpestare; (fig.) umiliare, assoggettare; jí sott’acqua(andare sott'acqua), sprofondare nell'acqua; anche, immergersi sotto il pelo dell'acqua | con riferimento a situazioni di assoggettamento, subordinazione, dipendenza: ‘a rivoluzzione ‘e Masaniello scuppiaje sott’ô guverno d’ ‘o vicerre(la rivoluzione di Masaniello scoppiò sotto il governo vicereale; tengo assaje ‘mpiecate sotto a mme (ò molti impiegati sotto di me; ‘mpararse sotto a ‘nu bbuonu masto(imparare sotto un buon maestro);
5 con riferimento a cosa che subisce l'azione di un'altra che scende dall'alto: stà sotto a ll’acqua(stare sotto la pioggia); leggere sott’â luce d’ ‘o lumetto (leggere sotto la luce della lampada da comodino); murí sott’ê bumbardamente(perire sotto i bombardamenti); arrivà sott’ô patapato ‘e ll’acqua(arrivare sotto un gran temporale) | in usi fig., con sfumatura modale: viaggià sotto scorta(viaggiare sotto scorta); campà sotto a ‘na minaccia continua(vivere sotto una continua minaccia);fa ‘o testemmonio sotto ggiuramento ( far da testimonio sotto giuramento); guardà ‘nu prubblema sotto a ‘nu certu punto ‘e vista(considerare un problema sotto un certo punto di vista);
6 per indicare immediata vicinanza, spec. in posizione inferiore: se cumbatteva sott’ê mmura(si battagliava sotto le mura); alluccavano sott’ê feneste soje( urlavano sotto le sue finestre); | farse sotto ô nemicofarsi sotto (all'avversario), avvicinarsi per colpirlo
7 non oltre, meno di (per indicare un limite): piccerille sott’ê tre anne( bambini sotto i tre anni);essere poco sott’ ô cantàro(essere di poco sotto il quintale) | nell’espressione ellittica farsela sotto(farsela sotto)mingersi o defecarsi indosso;
8 in prossimità, nell'imminenza (con valore temporale): ll’aggiu ‘ncuntrato sotto Natale(l'ò incontrato in prossimità del Natale); stammo oramaje sotto a ll’esame(siamo ormai sotto gli esami);
9 l’avv. sotto lo si ritrova anche nella locuzione prep. avverbiale ‘a sotto = da/di sotto che è formata da ‘a= da dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; o dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc. e da sotto avv. e preposiz. impropria = sotto dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto';a margine di tale locuzione rammento una nota esclamazione del linguaggio partenopeo che suona:
‘a sotto p’’e chiancarelle!
Ad litteram: Di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione esclamativa (in origine grido di avvertimento) con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere nella valenza di Accidenti!, Perbacco!; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli.
chiancarelle = panconcelli, travicelli, strette, ma abbastanza lunghe (un metro) doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano (nelle costruzioni di una volta) l’impiantito dei solai. la voce è il plurale di chiancarella che etimologicamente è un derivato (diminutivo : vedi suff. ella+ l’infisso ar) del basso latino planca(m)=tavola lignea; dalla medesima planca(m)=tavola lignea il napoletano trasse la voce chianca = macelleria, rivendita di carni macellate; e ciò in quanto originariamente l’ esposizione e la sezionatura per la vendita al minuto delle carni avveniva tenendole poggiate su di un tavolo ligneo; tipico e normale l’esito nel napoletano chi del digramma latino pl e del digramma cl seguíto da vocale (vedi plus→cchiú=piú, platea→chiazza=piazza, plumbeum→chiummo=piombo, clausum→chiuso, etc.).
abbascio/ ‘a vascio avv.e prep. impr. di luogo
abbasso, in giú,in fondo, di sotto, in basso: scinne abbascio(scendi giú), saglie ‘a vascio e viene ‘ncoppa(sali di sotto e monta su),abbascioâ via nova(in fondo alla strada maestra), derivazione dal tardo latino bassu(m) morfologicamente si è pervenuti ad abbascio partendo da bassu(m) attraverso la locuzione a basso→a bascio→abbascio, sul modello del fr. à bas; nella locuzione la voce basso à prodotto dapprima bascio e poi il raddoppiamento dell’esplosiva labiale b intervocalica invece del passaggio di b a v; rammento ancóra che in napoletano sempre dalla voce bassu(m) abbiamo il verbo denominale avascià/avasciare= abbassare, calare, portare, mettere qualcosa piú in basso, ridurre l'altezza, il valore o l'intensità di qualcosa; verbo nel quale è riconoscibile la prostesi di una a eufonica che qui però (misteri della parlata napoletana!) non à prodotto il raddoppiamento della b come ci si sarebbe atteso alla luce di quanto detto precedentemente, e non à influito in alcun modo sul passaggio della b a v; si è avuto dunque bassu(m)→vascio→a + vasci(o)+are=avasciare/avascià;
addó = avverbio di luogo e cong. usato in primis in proposizioni interrogative, ma anche in relative etc.,
1 in quale luogo (in prop. interrogative dirette e indirette, e talora in prop. esclamative): addó vaje?(dove vai?); addó s’è ‘mpurtusato?(dove si è cacciato?); chi sa’ addó sta a chest’ora!(chissà dove sarà a quest'ora!); dimme addó staje ‘e casa(dimmi dove abiti);sta ‘e casa nun saccio addó( abita non so dove) | di, da dove, di, da quale luogo: ‘e addó sî?(di dove sei?);
2 nel luogo in cui (in prop. relative): stongo ‘e casa addó tu stive ‘e casa ‘na vota(abito dove tu abitavi un tempo); rieste addó staje!(resta dove sei!); jate addó ve pare e ppiace(andate dove vi pare ed aggrada);
3 il luogo in cui (in prop. relative): ‘o vvi’ cca addó ce simmo ‘ncuntrate(ecco dove ci siamo incontrati); cca è addó è succieso ‘o ‘mpiccio(qui è dove è accaduto l'incidente) |
4 preceduto da un sostantivo equivale a in cui, nel quale, nella quale ecc.: ‘a pultrona addó t’assiette solitamente(la poltrona dove siedi di solito); ‘a casa addó sta ‘e casa(la casa dove abita); ‘o paese addó stammo jenno(il paese dove siamo diretti); ripigliammo dô punto addó ero rummaso(riprendiamo dal punto dove ero rimasto);
5 nell’espressione esclamativa addó va! usata come risposta, spesso corale, a commento di frasi augurali in un brindisi vale lí(dove sta andando), per chi (sta bevendo)a pro di chi (sta assumendo il vino oggetto del brindisi).
6 (lett.) seguito da ca equivale a dovunque, in qualunque luogo: addó ca vaje vaje(dove che tu vada vada); addó ca fosse(dove che fosse);
come cong. (lett.)
1 nel caso che, qualora, ove (con valore ipotetico-condizionale): Addó po ca nun fosse overo chello ca avimmo ditto, cagnammo pruggetto(Nel caso che poi non fosse vero ciò che abbiamo détto, cambieremo il progetto)addó nun te piacesse ‘e vení cca, vengo i’ addu te!(qualora non ti picesse di venire qui, verrò io da te!);
2 mentre, laddove (con valore avversativo): ‘E guagliune tenevano ‘na speranza ‘e jí a mmare, addó ca ‘o pate aveva deciso n’ata cosa…(I ragazzi avevano una speranza di andare al mare, mentre il padre aveva deciso diversamente.)
comes.vo m.le (raro) luogo: nun saccio né addó, né ‘o cquanno (non so né il dove né il quando);
etimologicamente addó→addove è da un latino de ubi→du(bi) con successivo rafforzamento espressivo attraverso un ad del de d’avvio secondo il percorso de ubi→du(bi)→du→ad du→addu→addó; le tre locuzioni prepositive locative che seguono (indicanti rispettivamente provenienza, moto da luogo, moto per luogo): ; esse non sono costruite con addó, ma son costruite con l’avv.dove→ do’/ro’ e le preposizioni semplici ‘e←de (di), ‘a←da (da), pe (per), e sono:
‘e do’/’e ro’, ’a ro’, pe ddo’ di, da dove, per dove di, da quale luogo: ‘e ro’ site?(di dove siete?); ‘a ro’ me staje telefonanno?(da dove mi telefoni?); ‘a ro’ è trasuto(da (o di) dove sarà entrato?) ' per dove, per quale luogo: pe ddo’sî ppassato?( per dove sei passato?) | per dove, per il luogo per il quale: sî ppassato pe ddo’ so’ passato i’? (sei passato per dove sono passato io?);
In coda ed a completamento di queste paginette con le quali spero d’aver contento l’amico N.C. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori riporto ciò che ebbi a scrivere alibi circa le le preposizioni articolate nel napoletano e ricordo che nel napoletano, cosí come nell’italiano, le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano). Tanto premesso annoto altresí che mentre in italiano la gran parte delle preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli sg. e pl. con le preposizioni semplici, ànno una forma agglutinata, nel napoletano ciò non avviene che per una o due preposizioni semplici, tutte le altre si rendono con la forma scissa mantenendo cioè separati gli articoli dalle preposizioni.
Passiamo ad elencare dunque le preposizioni articolate cosí come rese in italiano e poi in napoletano:
con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a, unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le);
con la preposizione di in italiano si ànno del = di+il, dello/a= di+lo/la delle = di+ le, degli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione de (=di), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata: de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e; con la preposizione da in italiano si ànno dal = da+il, dallo/a= da+lo/la dalle = da+ le, dagli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione da talora anche ‘a (=da), produce una preposizione articolata di forma normalmente scissa e spessa apostrofata: da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e ma come ognuno vede la forma apostrofata (quantunque usatissima) presta il fianco alla confusione con le preposizioni articolate formate con la preposizione de (=di), e d’acchito è impossibile distinguere tra de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e e da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e e bisogna far ricorso al contesto per chiarirsi le idee; ò dunque proposto d’usare una forma affatto diversa per le preposizione napoletane da + ‘o→dô = dal, da+ ‘a→dâ = dalla, da+ ‘e→dê = dagli/dalle, forma che eliminando l’apostrofo e facendo ricorso alla medesima contrazione usata per le preposizioni articolate formate con la preposizione a consente di evitare la deprecabile confusione cui accennavo precedentemente. Rammento che nel napoletano è usata spessissimo una locuzione articolata che con riferimento il moto a luogo rende i dal/dallo – dalla – dalle – dagli dell’italiano ; essa è (la trascrivo cosí come s’usa generalmente fare,ma a mio avviso erroneamente in quanto non ricostruibile nei suoi elementi costitutivi) essa è add’’o/add’’a/add’ ‘e es.: è gghiuto add’ ‘o zio(è andato dallo zio) è gghiuta add’ ‘a nonna, add’ ‘e pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; francamente non si capisce da cosa sia generato quel add’ né si comprenderebbe il motivo dell’agglutinazione della preposizione a con la successiva da→dd’; a mio avviso è piú corretta e qui la propugno: a ddô/ a ddâ/ a ddê per cui sempre ad es. avremo: è gghiuto a ddô zio(è andato dallo zio) è gghiuta a dd’ â nonna, a dd’ê pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; rammento tuttavia di non confondere a ddô con l’omofono addó←addo(ve) = dove, laddove che è un avverbio e cong. subord. che introduce proposizioni avversative, relative, interrogative dirette ed indirette.
Proseguiamo.
Con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in dal lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro'); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle.
Con la preposizione con in italiano si ànno col = con+il, collo/a= con+lo/la colle = con+ le, cogli = con+ gli, ma a mio avviso son tutte bruttissime, a parte che prestano il fianco alla confusione con taluni sostantivi e non le uso mai preferendo sempre e non da ora la forma disagglutinata ; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione cu (=con), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata, forma che però sconsiglio: cu ‘o→c’’o, cu ‘a→c’’a, cu ‘e che non ammette apostrofo, quantunque qualcuno si ostini a scrivere un bruttissimo ch’’e .
Con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e.
Per tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano sono rese rispettivamente con sotto, ‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente altresí che occorre sempre rammentare che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero; ora sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta della preposizione articolata alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) vicino al/allo (vicino a ‘o→vicino ô) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... vicino/lontano al...e non vicino/lontano il etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati lessici (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
E qui penso d’avere proprio esaurito l’argomento e poter porre un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale
TENÉ ‘E PECUNE & SEGA SPAGNOLA
TENÉ ‘E PECUNE & SEGA SPAGNOLA
1) Tené ‘e pecune.
Letteralmente: Avere le punte.Vale: essere ormai o finalmente cresciuto/maturato mentalmente e/o caratterialmente; lo si dice di solito degli adolescenti che si mostrino piú maturi di quel che la loro età farebbe sospettare; di per sé ‘o pecone(pl. metafonetico: ‘e pecune)che per etimo è un derivato in forma di accrescitivo (cfr. il suff. one) del francese pique/piqué= punta/tessuto a rilievo) è una sorta di punta che appare sulla pelle del corpo dei volatili, punta prodromica dello spuntar delle piume/penne; l’apparire di tali punte dimostra che il volatile non è piú un giovanissimo implume, ma è cresciuto e fisicamente evoluto, pronto ad affrontar la vita; per similitudine degli adolescenti che siano già o ormai maturi e si dimostrino scafati e cioè attenti, svegli e smaliziati, si dice che abbiano ‘e pecune (pl. di ‘o pecone), quantunque realmente sulla pelle degli adolescenti non si riscontrino punte simili a quelle dei volatili
2) Spagnola (nel senso di coito intermammario): piú esattamente occorrerebbe dire sega spagnola in quanto che spagnola è soltanto un aggettivo; ad ogni buon conto la masturbazione (sega) intermammaria prende il nome di spagnola in quanto metodo di soddisfazione sessuale maschile ideato ed attuato dalle prostitute partenopee di stanza in bassi e fondaci presso quelli che sarebbero stati gli acquartieramenti dei soldati spagnoli (XVI sec.), ma che già nel XV sec. ospitavano (1495)i soldati francesi di Carlo VIII (Amboise, 30 giugno 1470 – † Amboise, 7 aprile 1498) che fu Re di Francia della dinastia dei Valois dal 1483 al 1498. Salí alla ribalta cominciando la lunga serie di guerre Franco-Italiane; Carlo entrò in Italia nel 1494 con lo scopo preciso di metter le mani sul regno napoletano e la sua avanzata scatenò un vero terremoto politico in tutta la penisola. Incontrò nel viaggio di andata timorosi regnanti, che gli spalancarono le porte delle città pur di non aver a che fare con l'esercito francese e marciò attraverso la penisola, raggiungendo Napoli il 22 febbraio 1495. Durante questo viaggio assediò ed espugnò il castello di Monte San Giovanni, trucidando 700 abitanti, e assediò, distruggendone i due terzi e uccidendone 800 abitanti, la città di Tuscania (Viterbo).Incoronato re di Napoli, fu oggetto di una coalizione avversa che comprendeva la Lega di Venezia, l'Austria, il Papato e il Ducato di Milano. Sconfitto nella Battaglia di Fornovo nel luglio 1495, fuggí in Francia al costo della perdita di gran parte delle sue truppe. Tentò nei pochi anni seguenti di ricostruire il suo esercito, ma venne ostacolato dai grossi debiti contratti per organizzare la spedizione precedente, senza riuscire a ottenere un sostanziale recupero. Morí due anni e mezzo dopo la sua ritirata, per un banale incidente, sbattendo la testa contro l’architrave d’ un portone.) ; i quartieri spagnoli, o più semplicemente i quartieri, presero questo nome intorno alla metà del XVI secolo (1532 e ss.) per la vasta presenza delle guarnigioni militari spagnole, volute dal viceré don Pedro di Toledo, destinate alla repressione di eventuali rivolte della popolazione napoletana. All'epoca, come già precedentemente al tempo di Carlo VIII, comunque tali quartieri siti a Napoli a monte della strada di Toledo erano un luogo malfamato dove prostituzione e criminalità la facevano da padrone, con malgrado del viceré di Napoli, Don Pedro di Toledo (Pedro Álvarez de Toledo y Zuñiga (Salamanca, 1484 –† Firenze, 22 febbraio 1553) fu marchese consorte di Villafranca e dal 1532 al 1553 fu viceré di Napoli per conto di Carlo V d'Asburgo , da cui il nome della strada, emanasse alcune apposite leggi tese a debellare il fenomeno; torniamo dunque alla cosiddetta sega spagnola che fu un accorgimento adottato dalle meretrici allorché si diffuse nella città un pericoloso morbo: la lue o sifilide (détto comunemente: mal francese o morbo gallico) e si ritenne che tale morbo fosse stato portato e propagato ( nel 1495 circa) nella città, attraverso il contatto con le prostitute locali, dai soldati francesi al sèguito di Carlo VIII ; da notare che – per converso – i francesi dissero la lue: mal napolitain nella pretesa che fossero state le prostitute partenopee a diffonderlo fra i soldati carlisti; fosse francese o napoletano le prostitute invece di soddisfare i clienti soldati con un normale coito, si limitarono ad un contatto superficiale con quell’esercizio che fu detto (sega) spagnola in quanto le prostitute esercitavano in tuguri (bassi e fondaci) di quei quartieri poi détti spagnoli.
Brak
giovedì 26 settembre 2013
L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO
L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO
Faccio sèguito a quanto ebbi a dire circa il condizionale nel napoletano per rammentare che anche il futuro, come il condizionale, è un tempo che benché presente, ad incongrua imitazione dell’italiano, in talune grammatiche napoletane sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) dove è codificata e contemplata addirittura la farraginosa morfologia etimologica (ad es. il futuro del verbo avere che à come prima persona sg. avarraggio presuppone un binomio *habere + aggio→(*h)aberaggio→avarraggio, mentre la 2ª persona sg avarraje presupporrebe un binomio *habere + aje→(*h)aberaje→avarraje); orbene annoto che il futuro benché sia un tempo esistente o considerato tale da professori e glottologi, ma non dal popolo che fa l’idioma, in realtà è usato in poesia (per questioni di metrica o di rima), ma pochissimo usato nel parlato popolare che preferisce usare altre formule per indicare un’azione di là da venire; per cui ad es. la frase dell’italiano: domani andrò dal barbiere è resa in napoletano con dimane aggi’’a jí a d’’o barbiere piuttosto che con dimane jarraggio a dd’’o barbiere e talvolta, altrove, con il presente in funzione di futuro dimane vaco a dd’’o barbiere. Infatti nel napoletano del popolo si usa spesso la locuzione aggi’ ‘a che seguíta da un verbo all’infinito raffigura l’espressione italiana devo da o anche semplicemente devo; ad es. l’espressione T' aggi’ ‘a vedé va tradotta Ò da vederti ossia Devo da vederti oppure piú semplicemente Devo vederti; altrove ed è il caso che ci occupa con l’espressione aggi’ ‘a (=ò da) si rende in napoletano l’idea di un’ azione futura; ad es.: Dimane aggi’ ‘a jí a pavà ‘e ttasse (Domani andrò a pagare le tasse) e ciò perché nel napoletano il verbo manca ed è supplito dalla costruzione con il verbo avere seguito dalla preposizione ‘a (da) e dall’infinito connotante l’azione dovuta: ad es. aggio ‘a purtà ‘sta lettera (devo portare questa lettera), hê ‘a cammenà cchiú chiano! (devi camminare piú lentamente!); la medesima costruzione è usata pure, come ò anticipato e chiarito in funzione di futuro. Va da sé che non mette conto considerare come testimonianza di riferimento l’uso che del futuro, come del condizionale, che ad imitazione dell’italiano, ne fanno letterati, poeti e/o parolieri spesso condizionati da problemi di metrica e/o espressivi risolti con soluzioni imitative che non fan testo in quanto non autenticamente napoletane ( cioè del popolo napoletano che è quello che fa l’idioma!).
Per ogni altra considerazione sul perché della coniugazione del futuro marcata su di una simile dell’italiano, rimando a quanto détto alibi circa il condizionale. Annoto in chiusura, non ricordando se lo abbia già détto,nel qual caso mi ripeto che l’uso improprio, nel napoletano, del futuro cosí come del condizionale può esser consentito eccezionalmente in poesia, ma mai nella prosa.
E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento e sperando d’avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori e forse scandalizzato qualcuno!
Satis est.
R.Bracale Brak
L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO
L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO
Questa volta affronto un argomento sul quale, son certo incontrerò piú di una resistenza non solo tra ça va sans dire i miei detrattori, ma pure tra i miei affezionati ventiquattro lettori...; ma tant’è: chi va pe chisti mare chisti pisce piglia! Pazienza, correrò il rischio ma penso che sia giunto il momento di fare un po’ di chiarezza e dire come stanno realmente le cose, delucidare cioé che (per tirarsi súbito il dente) il napoletano del popolo (che è poi quello che fa l’autentico idioma partenopeo...) rifugge dall’impiego del condizionale, (tollerato , rara avis, e non raccomandato in poesia, ma sconsigliato tassativamente in prosa...) usando in sua vece l’imperfetto congiuntivo! Prima di procedere faccio però un paio di premesse da cui non bisogna prescindere: a)il napoletano è una parlata autoctona costruita nobilmente, come del resto il toscano/fiorentino e tutti gli altri linguaggi locali dell’Italia, verosimilmente sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca);
b) l’idioma napoletano scritto ed orale è un linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle della lingua nazionale, come ci vorrebbe far credere qualche autore della domenica [e faccio ad exemplum un solo nome: Aurelio Fierro e la sua(?) scalcinata, inconcludente grammatica napoletana che in realtà è una pessima grammatica italiana adattata al napoletano...]. Argomentiamo; so bene che in molte grammatiche del napoletano sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) è codificata e contemplata l’esistenza del condizionale sia presente che passato (ess. sarría= sarei / sarría stato= sarei stato – avarría=avrei/ avarría avuto= avrei avuto etc.), ma come è facile arguire gli addetti ai lavori sono in genere dei letterati e/o professori, degli studiosi tutti con un abbondante retroterra culturale di studi universitari, persone che son ferratissime nell’uso della lingua nazionale e da essa condizionati e spesso son restie a tuffarsi nell’idioma popolare per imbibirsene e riportarlo cosí com’è nell’uso comune, nei loro scritti evitando di passarlo allo staccio della lingua italiana, staccio che quando poi finisce nelle mani di poeti e/o parolieri di canzonette, illetterati a digiuno sia dell’italiano che dell’esatto napoletano, ch’essi vergano scimmiottando l’italiano, dà come risultato gli inesatti vorria/vurria o addirittura un raccapricciante vularria in luogo dell’esatto vulesse usato nel parlato popolare. Del resto, per tornare all’esistenza in talune grammatiche del condizionale, e prima di chiarire perché il popolo usi il congiuntivo imperfetto, dirò che i medesimi autori succitati per illustrare la nascita del condizionale nel napoletano fanno ricorso ad un farraginoso percorso morfologico che può esser forse al piú seguíto da un letterato, ma certamente non da un incolto popolano! Ad es. il condizionale sarría deriverebbe dall’incontro di *essere +habeba(m)→*(es)ser(e) (h)a(b)e(b)a(m)→seraéa→seréa→sarría ed ugualmente il condizionale avarría seguirebbe il medesimo percorso etimologico dall’incontro di*habere +habeba(m) etc. E quando, quando un incolto popolano si sarebbe avventurato o avventurerebbe in tali gineprai linguistiti? Piú probabile che l’anonimo illetterato autore dei versi di Vorria ca fósse ciaola, piú probabile che Leonardo Vinci l’ illetterato autore dei versi di Vurria addeventare soricillo, come l’illetterato Vincenzo Russo autore dei versi di I’ te vurria vasà, come ancóra il giornalista Antonio Pugliese autore dei versi di Vurria per non esser tacciati di provincialismo si siano lasciati condizionare dall’ italiano vorrei ritenuto piú elegante del napoletano vulesse; ancóra di piú si lasciò condizionare Adolfo Genise dottore in lettere ed impiegato delle Ferrovie, autore dei versi di Suonno ‘e fantasia che ritenendo poco elegante il napoletano vulesse ed eludendolo creò un mostruoso vularría . A questo punto non mi resta che chiarire perché il napoletano del popolo rifugge dal condizionale ed usa l’imperfetto congiuntivo; la cosa affonda le sue radici nel fatto che – come ò détto nelle due premesse - il napoletano è forgiato sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica ed è noto che i latini non usavano il condizionale, ma in sua funzione il perfetto ed il piuccheperfetto congiuntivo e da quest’ultimo derivò l’imperfetto congiuntivo napoletano; per cui possiamo addirittura esagerare dicendo che sia piú esatto rispetto all’origine latina l’uso napoletano dell’imperfetto congiuntivo (vulesse) piuttosto che il condizionale dell’italiano (vorrei).
Annoto in chiusura, non ricordando se lo abbia già détto, nel qual caso mi ripeto che l’uso improprio, nel napoletano, del condizionale può esser consentito eccezionalmente in poesia,per ragioni metriche o di rima, ma mai nella prosa.
E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento e sperando d’avere interessato e forse scandalizzato i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak
PESCESPADA ALLA SICANA
PESCESPADA ALLA SICANA
ingredienti e dosi per 4 persone
4 fette (da 2 cm. di spessore) di pescespada per complessivi 6 etti
3 spicchi d’aglio mondati e tritati,
½ etto di filetti d’acciughe sott’olio,
1 bicchiere di vino bianco secco,
2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro,
1 bicchiere di olio d’oliva extravergine,
1 etto di olive nere disossate,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
un gran ciuffo di prezzemolo lavato asciugato e tritato finemente.
procedimento
Lavare ed asciugare le fette di pesce spada. In una proporzionata padella porre l'olio e l'aglio, ed a temperatura sostenuta lasciarlo rosolare prima di aggiungere i due cucchiai di doppio concentrato di pomodoro stemperati con mezzo bicchiere d’acqua calda; unire successivamente anche le acciughe, le olive disossate, il vino bianco ed infine, quando il sugo sarà già caldo, le fette di pesce spada. Condire il tutto con sale e pepe decorticato macinato a fresco; abbassare i fuochi e lasciar cuocere per 30 minuti.
Al termine della cottura, a fuochi spenti cospargere con il prezzemolo tritato e servire súbiuto questo gustoso pescespada alla sicana. Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, buona salute!
Raffaele Bracale
BARCHETTE DI MELANZANE FARCITE.
BARCHETTE DI MELANZANE FARCITE.
ingredienti e dosi per 6 persone
Sei melanzane lunghe violette napoletane,
3 etti di mezze penne rigate,
3 etti di macinato misto di manzo e maiale,
2 cucchiaiate di doppio concentrato di pomidoro,
2 bicchieri di olio d’oliva e.v.p.s.a f.,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 ciuffo di basilico lavato ed asciugato,
1 spicchio d’aglio mondato e tritato,
1 etto di pecorino grattugiato finemente,
sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.,
1 pugno di sale grosso.
procedimento
Mandare a bollore otto litri di acqua salata (pugno di sale grosso) e lessarvi al dente le mezze penne; sgrondarle e lasciarle intiepidire in una zuppiera irrorate con un filo d’olio; a seguire eliminare picciolo e corona delle melanzane,lavarle sciugarle e dividere in due con taglio longitudinale e scottarle per cinque minuti nella medesima acqua in cui si è lessata la pasta.Sgrondarle e porle ad asciugare poggiate con il lato liscio su di un canevaccio; a seguire servendosi di uno scavino affilato prelevare la polpa delle melanzane lasciando un margine di parete di circa mezzo centimetro in modo da ottenere delle barchette di melanzane; porre la polpa in una ciotolaed irrorarla con un filo d’olio. In un’ampia padella di ferro nero a fiamma moderata far rosolare la cipolla tritata in un bicchiere d’olio, aggiungere il macinato, bagnarlo con mezzo bicchiere d’acqua bollente e portarlo quasi a cottura aggiungendo il doppio concentrato sciolto in un altro mezzo bicchiere d’acqua bollente; salare e pepare solo a cottura ultimata.
Porre in un bicchiere di mixer con lame da umido la polpa di melanzane, l’aglio tritato, mezzo bicchiere d’olio, il ciuffo di basilico ed a bassa velocità ottenere una crema odorosa da unire al sugo di macinato; rimestare e condirvi le mezze penne; servendosi di un cucchiaio appuntito farcire le barchette di melanzane con questa pasta condita; allineare le melanzane farcite in una placca di forno verniciata con un po’ d’olio, spolverizzarle con il pangrattato ed irrorarle con l’olio residuo. Mandare in forno preriscaldato a 200° per trenta minuti e mandare súbito in tavola.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale