MIEZO PREVETE – BIZZUOCO E PECUOZZO
Esaminiamo un po’ le singole voci incontrate:
parrocchia s. f. (dal lat. tardo parochia(m), dal
gr. paroikía, propr. 'vicinato', deriv. di paroikêin 'abitare
presso')
1 nella chiesa cattolica e in altre chiese cristiane, la piú piccola circoscrizione territoriale in cui è divisa una diocesi | la chiesa in cui il parroco esercita il suo ministero; anche, la sede dell'ufficio parrocchiale o l'edificio in cui si svolgono alcune attività parrocchiali; la parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore; spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.
1 nella chiesa cattolica e in altre chiese cristiane, la piú piccola circoscrizione territoriale in cui è divisa una diocesi | la chiesa in cui il parroco esercita il suo ministero; anche, la sede dell'ufficio parrocchiale o l'edificio in cui si svolgono alcune attività parrocchiali; la parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore; spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.
2 l'insieme di tutti i parrocchiani cioè dei fedeli frequentanti la parrocchia affidati alle cure pastorali del parroco; l’ò precisato perché in napoletano esiste l’omofona ed omografa voce parrocchiano/parrucchiano che non indica però il fedele frequentante la parrocchia, ma indica il parroco con la medesima derivazione della voce parrocchia(dal lat. tardo parochia(m)) con l’aggiunta del suffisso di pertinenza aneus→ano); ricordo ancóra che ebbi con un tal sig. Gambardella frequentatore di un mio blog una divertente diatriba e durai non poca fatica per fargli comprendere ed accettare l’idea che le voci pacchiano e parrucchiano son solo graziosamente assonanti, ma ànno significati affatto diversi : ò détto di parrucchiano= parroco; mentre la voce pacchiano/a parola (sost. ed agg.vo m. o f.) oramai pressoché desueta , che fu molto usata negli anni tra il ’40 ed il ’50 dello scorso secolo e fu usata per indicare i contadini, i provinciali ed estensivamente gli zoticoni ed i rozzi provinciali provenienti dai paesi (nei quali per altro si rifugiarono parecchi napoletani per sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale) della campagna partenopea (da non confondere dunque con i cafoni per solito provinciali di montagna).
Ancora piú estensivamente con il termine pacchiano si identificò il villano, il rozzo provinciale fisicamente ben pasciuto, e con il corrispettivo pacchiana la contadinotta di generose forme, quella contadina, detta affettuosamente ‘a pacchianella ‘e ll’ova, che ogni giorno era solita rifornire le case dei cittadini sfollati id est:fuggiti dalla città, di generi alimentari freschi (uova, formaggi,insaccati, latte, burro nonché verdure ed altri prodotti dell’orto).
Chiarito ad un dipresso il concetto di pacchiano/a, passiamo a parlare brevemente della sua etimologia.
Sgombriamo súbito il campo da quella che – a mio avviso – è solo una graziosa, ma pretestuosa paretimologia e cioè che con la parola pacchiana e poi il corrispondente maschile si indicasse, contrariamente al cafone che è montanaro, la contadina, la villana e poi il contadino, il villano che giungessero in città p’’a chiana attraverso cioè la pianeggiante campagna. È altresí da escludere una pretesa derivazione onomatopeica da un ipotizzato, ma non spiegato suono pacchio.
Cosa mai produrrebbe nel pacchiano il suddetto suono? Non è dato sapere!...
Un’altra tentazione è che il termine pacchiano/a possa collegarsi al sostantivo italiano pacchia =gran mangiata e per estensione: vita beata e tranquilla, gioiosa ed allegra (dal latino: patulum→pat’lum→pac’lum→pacchio e pacchia = cibo,pasto),oppure che il termine pacchiano/a possa essere un deverbale di pacchiare: vivere beatamente, satollandosi di cibo e/o altro, senza quasi fatica; a me non pare però che, per quanto ben nutriti e satolli, i contadini durino una vita che sia solo una pacchia; ugualmente penso sia da scartare l’ipotesi che pacchiano/a possan derivare da un tardo latino regionale pachylus→pachilós derivato da un pachýs greco ="grassoccio".
Non resta dunque che aderire, per l’etimologia di pacchiano, a quanto proposto dal grandissimo prof. Rohlfs che ne congettura una derivazione per metatesi dal sostantivo chiappa (forgiato su di una radice indoeuropea klapp con l’aggiunta del suffisso di pertinenza aneus→ano) nel significato però non di sasso sporgente, ma di natica, elemento sporgente del corpo umano, tenendo presente la morfologia fisica del pacchiano o piú spesso della pacchiana, dotati quasi sempre di sostanziose natiche sporgenti.
3 (fig.) gruppo di persone legate da comuni interessi; conventicola (per lo più spreg.): appartenere alla stessa parrocchia, a parrocchie diverse.
miezo-prevete
o anche miezuprevete s.vo ed agg.vo ma.le e solo
m.le è voce usata esclusivamente
per dileggio, sta per mezzo prete, quasi
prete; etimologicamente è formata dalla unione di miezo = mezzo, metà a.vo (dal lat. mĕdiu(m)→miezo) e del s.vo prevete s.m. prete,presbitero, sacerdote, uomo
consacrato, addetto al culto, che abbia
ricevuto il sacramento dell’ordinazione; etimologicamente il napoletano prevete da cui poi per sincope della sillaba mediana ve si è formato il toscano prete è dal tardo
latino presbyteru(m), che è dal greco presbyteros, propriamente: piú anziano; cfr. presbitero;
la via seguíta per giungere a prevete partendo da presbyteru(m) è la seguente: presbyteru(m)→pre’bytero/e→prebeto/e→preveto/e;
Come qui di sèguito
per il
monaco, anche il prete è una figura emblematica, soggetto molto
apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere
inteso come soggetto molto preparato, a
conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo
tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e
segnatamente al prete titolare di una parrocchia (parrucchiano) i fedeli furono adusi rivolgersi per chiedere aiuto,
consiglio e/o soluzione dei problemi personali o familiari. A tal
proposito rammento una gustusa, colorita
espressione/esortazione che suona: fatte benedicere ‘a ‘nu monaco (ma oggi
) prevete ricchione
Letteralmente: Fatti benedire da un monaco (ma oggi)
prete pederasta attivo. Id est: Chiedi la benedizione (che risolva i
tuoi problemi) a qualcuno che ti possa adiuvare: nella fattispecie chiedila ad
un monaco (o prete) pederasta.
Chiariamo la portata
dell’espressione: In primis è da
rammentare che il detto/consiglio originariamente parlava di un
monaco ricchione, il prete è un' erronea e fantasiosa estensione
piú moderna nata probabilmente a rimbrotto ritorsivo in un qualche monastero
maschile.
Ma tentiamo di chiarire il perché dell’espressione; atteso che nella
vita ci sono casi tanto disperati da necessitare di interventi adeguati per essere avviati a
soluzione; chi se non un monaco (o un prete) ricchione, (che cioè siano tra coloro
che abbiano tutto provato nella vita ed affrontato
situazioni particolari) può/possono essere chiamato/i in causa per operare
efficaci benedizioni che sortiscano i benefici effetti desiderati?
Benedicere =
benedire 1 (teol.) pronunciare una benedizione: il
Signore benedisse Abramo
2 invocare la protezione di Dio su persone o cose: il padre benedisse il figlio; il sacerdote benedice i fedeli; benedire l'olivo | andare, mandare a farsi benedire, (fig.) andare, mandare via; anche, andare, mandare in malora
3 lodare, esaltare, ricordare con amore e gratitudine: lo benedico per il bene che mi à fatto
4 da parte di Dio, aiutare, custodire, elargire grazie: benedetto da Dio | che Dio ti benedica, formula di benedizione; nell'uso fam., esclamazione di meraviglia ironica o lieve rimprovero: che Dio ti benedica, ài mangiato tutto tu!. L’etimo di verbi sia italiano che napoletano (il napoletano anzi ripete piú esattamente la forma latina) è dal lat. benedicere, comp. di bene e dicere; propr. 'dir bene'
2 invocare la protezione di Dio su persone o cose: il padre benedisse il figlio; il sacerdote benedice i fedeli; benedire l'olivo | andare, mandare a farsi benedire, (fig.) andare, mandare via; anche, andare, mandare in malora
3 lodare, esaltare, ricordare con amore e gratitudine: lo benedico per il bene che mi à fatto
4 da parte di Dio, aiutare, custodire, elargire grazie: benedetto da Dio | che Dio ti benedica, formula di benedizione; nell'uso fam., esclamazione di meraviglia ironica o lieve rimprovero: che Dio ti benedica, ài mangiato tutto tu!. L’etimo di verbi sia italiano che napoletano (il napoletano anzi ripete piú esattamente la forma latina) è dal lat. benedicere, comp. di bene e dicere; propr. 'dir bene'
monaco s. m. è ovviamente il monaco cioè a dire chi à abbracciato il monachesimo; nel
cattolicesimo, membro di un ordine monastico o religioso che à pronunciato i
voti solenni di povertà, castità e obbedienza; etimologicamente è voce dal lat.
tardo monachu(m), che è dal gr. monachós 'unico', poi 'solitario'
(e quindi 'monaco'), deriv. di mónos 'solo, unico'; a Napoli il
monaco è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita
interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto a
conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo
tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e
proprio ai monaci dei numerosi conventi presenti nell’area cittadina e
limitrofa il popolo napoletano fu aduso rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio
e/o soluzione di problemi. Per restare nell’àmbito della parola monaco rammento
che il medesimo etimo d’esso monaco, sia pure addizionato di un suffisso diminutivo
iello vale per la voce munaciello
che nella tradizione popolare
partenopea è (quantunque non si tratti di un autentico religioso) un
particolare piccolo monaco;
‘o munaciello a Napoli è
un’entità dai vasti poteri magici; ò parlato di entità in quanto non è
dato sapere se si tratti di uno spirito o di un essere umano; nell’un caso o
nell’altro detta entità è rappresentata con le sembianze che sono o di
un nano mostruoso o di c.d. bambino vecchio, ed
assume due personalità: quando si appalesa in una casa, o vi prende
stabile dimora, se à in simpatia gli
abitanti della casa,che lo abbiano accolto di buon grado, onorandolo e
ammannendogli dolciumi (‘o munaciello è molto goloso!) egli arreca buona sorte e prosperità; se, al
contrario prende in odio una famiglia,
che non lo abbia accolto con i dovuti onori, egli le suscita guai ad iosa.Molto
vaste son le testimonianze che
riguardano l’apparizione di
questa simpatica entità che non vi à posto per alcun dubbio sulle
sue manifestazioni, che spesso sono oggetto di vivaci discussioni sul
tipo di onori (lauti e dolci pasti, odorosi incensi) da
tributare a questo spiritello che si
mostra sotto forma di vecchio-bambino vestito col saio dei trovatelli accolti
nei conventi, scarpe basse con fibbia d’argento, chierica e cappuccio.Non si
lascia vedere da chiunque, ma compare d’improvviso, quando vuole ed a chi
vuole(meglio però se donne in ispecie
giovani e procaci) , magari portando in mano le scarpe che à tolto per non
produrre rumore di calpestio Scalzo, scheletrico, spesso lascia delle monete sul luogo della sua
apparizione come se volesse ripagare le persone, dello spavento procurato o di
inconfessabili confidenze palpatorie
che ama a volte concedersi. Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La prima ipotesi vuole l'inizio di tutta la vicenda intorno
all'anno 1445 durante il regno Aragonese. La bella Caterinella Frezza, figlia
di un ricco mercante di stoffe, si innamora di un tal Stefano Mariconda, bello quanto si vuole, ma
semplice garzone di bottega.
Naturalmente l'amore tra i due è fortemente contrastato. Il
fato volle che tutta la storia finisse
in tragedia. Stefano venne assassinato nel luogo dei loro incontri segreti
mentre Caterinella si rinchiude in un convento. Ma era già da tempo incinta di
Stefano ed infatti dopo pochi mesi nacque da Caterinella un bambino alquanto
deforme(il Cielo talvolta fa ricadere sui figli le colpe dei genitori!...). Le
suore del convento adottarono motu
proprio il bambino cucendogli loro
stesse vestiti simili a quelli monacali con un cappuccio per mascherare le
deformità di cui il ragazzo soffriva. Fu cosí che per le strade di Napoli
veniva chiamato " lu munaciello". Gli si attribuirono poteri magici
fino ad arrivare alla leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono. Anche lu
munaciello morí misteriosamente., lasciando probabilmente in giro il suo
bizzarro spirito.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello altro non sia che il gestore degli antichi pozzi
d'acqua che, in molti casi, erano posti al centro dei cortili domestici, quando
non addirittura nel primo vano delle case, di tal che aveva facile accesso nelle case passando
attraverso i cunicoli di pertinenza del pozzo.
Personalmente sono
maggiormente attratto dalla vicenda di
Stefano e Caterinella, che mi appare piú consona ad una favola, anche perché
niente osta a che ‘o munaciello anche senza esserne
il gestore, si servisse dei pozzi per penetrare in casa; del resto storicamente
spesso Napoli, imprendibile dalle mura,
fu invasa attraverso le condutture.
Proseguiamo:
di prevete ò già détto;
recchione o ricchione,
s. m. omosessuale maschile, pederasta,gay, vocabolo che, partito dal
lessico partenopeo, è approdato per merito o colpa di taluna letteratura minore ed altre forme
artistiche quali: teatro cinema e televisione, nei piú completi ed aggiornati
lessici della lingua nazionale dove viene riportata come voce volgare, nel generico
significato di omosessuale
maschile.
Molto piú precisamente della lingua nazionale,
però, il napoletano con i vocaboli a margine
non definisce il generico
omosessuale maschile, ma definisce l’omosessuale
maschile attivo quello cioè che
nel rapporto sodomitico svolge la parte attiva;
chi invece svolge la parte passiva
è definito nel napoletano : femmenella
che è quasi: femminuccia, piccola
femmina ed è etimologicamente dal latino fémina(m) con
raddoppiamento espressivo della postonica m tipico in parole sdrucciole piú il
consueto suffisso diminutivo ella.
Torniamo al recchione -
ricchione precisando súbito che
nel napoletano tale omosessuale maschile non va confuso (come invece accade
nell’italiano)con il pederasta il quale, come dal suo
etimo greco: pais-paidos=fanciullo ed
erastós=amante, è chi intrattiene
rapporti omosessuali con i fanciulli;per il vero la parlata napoletana non à un
termine specifico per indicare il pederasta e ciò probabilmente perché la pedofilía o pederastía fu quasi sconosciuta alla latitudine
partenopea, quantuque Napoli sia stata città di origine e cultura greca
;dicevo: ben diverso il pederasta dal recchione – ricchione che infatti
à i suoi viziosi rapporti sodomitici quasi esclusivamente con adulti di pari
risma.
Ed accostiamoci adesso al
problema etimologico del termine recchione – ricchione; sgombrando
súbito il campo dall’idea che esso
termine possa derivare dall’affezione parotidea nota comunemente con il termine
orecchioni, affezione che attaccando
le parotidi le fa gonfiare ed aumentare di volume.
Una prima e principale scuola di
pensiero, alla quale, del resto mi sento di aderire fa risalire i termini in
epigrafe al periodo viceregnale(XV-XVI sec.) sulla scia del termine spagnolo orejón
con il quale i marinai spagnoli solevano indicare i nobili incaici, conosciuti
nei viaggi nelle Americhe, che si facevano forare ed allungare, tenendovi
attaccati grossi e pesanti monili, le orecchie; con il medesimo nome erano
indicati anche dei nobili peruviani privilegiati, noti altresí per i loro
costumi viziosi e lascivi; taluni di costoro usavano abbigliarsi in maniera
ridondante ed eccentrica talora cospargendosi di polvere d’oro i padiglioni
auricolari,donde la frase napoletana: tené ‘a póvera ‘ncopp’ ê rrecchie = avere la polvere sulle orecchie, usata
ironicamente appunto per indicare gli omosessuali.
Da non dimenticare che detti usi
di incaici e peruviani furono spesso mutuati da molti marinai che sbarcavano a
Napoli, provenienti dalle Americhe, agghindati con grossi e pesanti
orecchini(cosa che i napoletani non apprezzarono ritenendo gli orecchini monili
da donna e non da uomo..) e parecchi di questi marinai furono súbito indicati
con i termini in epigrafe oltre che per l’abbigliamento e le acconciature usati
anche per il modo di proporsi ed incedere quasi femmineo, atteso che dai
napoletani si ritenne che il loro comportamento sessuale cambiato, fosse stato determinato dalla lunga
permanenza in mare, per i viaggi transoceanici, permanenza che li costringeva a
non aver rapporti con donne e doversi contentare di averne con altri uomini.
Successivamente i termini recchione
– ricchione palesi adattamenti dello orejón spagnolo passarono
ad indicare non solo i marinai, ma un po’ tutti gli omosessuali attivi,
conservando il termine femmenielle/femmenelle per quelli
passivi.
E mi pare che ce ne sia
abbastanza, anche se – per amore di completezza – segnalo qui una nuova ipotesi
etimologica proposta dall’amico prof. Carlo Jandolo che ipotizza per ricchione/recchione
una culla greca: orkhi-(pédes)= chi à la strozzatura dei testicoli,impotente,
con aferesi iniziale, suono di transizione i fra r – cch←kh con
raddoppiamento popolare espressivo e
suffisso qualitativo accrescitivo one; tuttavia lo stesso Jandolo non
esclude un influsso di recchia soprattutto tenendo presente
la fraseologia riportata che fa riferimento ad un orecchio impolverato.
A malgrado dei sentimenti amicali
che nutro per Jandolo, non trovo serî motivi per abbandonare quella, a mio
avviso, convincente via vecchia per percorrere la impervia nuova.
Andiamo oltre e parliamo di:
bizzuoco/bizzoca s.vi ed agg.vi che valgono bigotto/a,bacchettone/a, baciapile, collotorto, pinzochero/a, e designano tutte all’incirca una persona che badi alle pratiche esterne della
religione piú che allo spirito di essa, ed estensivamente quindi anche persona ipocrita attenta piú all’apparire che all’essere; in principio fu
in uso la sola voce declinata al femminile atteso che furono in maggior numero
le donne piuttosto che gli uomini coloro che avessero quotidiane frequentazioni
chiesastiche; successivamente (attorno alla fine del 1800) con la nascita di
associazioni a frequentazione anche maschili, accanto al termine di nuovo
conio: miezoprevete, fu adottato, a
maggior motteggio, il termine bizzuoco che al femminile è bizzoca
= beghina; quanto all’etimologia di bizzuoco/bizzoca accanto ad un basso lat. *bigiòcius= dal saio bigio, ben si è supposto un *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m) base anche del successivo nap. picuozzo da cui per metatesi
ed alternanza p/b→ bizzuoco/bizzoca.
L’ ultima voce appunto
usata per dileggiare,
motteggiare, irridere al massimo gli uomini adulti che avessero quotidiane
frequentazioni chiesastico-parrocchiali, fu
pecuozzo s.vo ed agg.vo m.le e solo m.le che di
per sé à un ambito piú ristretto ed
identifica in primis il frate
converso, il frate laico di convento e solo estensivamente tutte le voci
quali bigotto,bacchettone, baciapile,
collotorto, pinzochero, e tutti coloro che – come i surriportati uomini
adulti - avessero quotidiane frequentazioni chiesastico-parrocchiali; l’etimo
della voce è un tardo latino *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m)→ picuozzo/pecuozzo.
E qui potrei far punto, ma mi pare giusto dire anche di - bigotto chi fa le viste di stare in
perenne continuo contatto con la
Deità, assorto in continue orazioni e/o pratiche religiose,
la voce deriva dal fr. bigot,
originariamente epiteto spregiativo dato
ai Normanni per il loro intercalare bî God, che nell'ant. alto ted.valse per Dio;
- beghina s. f.
1 (storicamente) donna appartenente a comunità ispirate a ideali evangelici e caritativi, sorte spec. in Belgio nel sec. XII
2 (per estensione) donna bigotta, bacchettona.
1 (storicamente) donna appartenente a comunità ispirate a ideali evangelici e caritativi, sorte spec. in Belgio nel sec. XII
2 (per estensione) donna bigotta, bacchettona.
Etimologicamente la voce a margine è dal fr. beguine, che è probabilmente
un adattamento del medio ingl. beggen
'pregare';
- bacchettone che è chi si dedica a pratiche religiose con
zelo esagerato e superstizioso; la voce è probabilmente
un accrescitivo (cfr. suff. one)
deriv. di bacchetta, con riferimento
alla pratica medievale dell'autoflagellazione;oppure con riferimento a
coloro che ben volentieri ed ostentatamente si recavano nelle basiliche dai
penitenzieri maggiori che usavano assestar loro delle solenni bacchettate dette
Sicutennosse parola
interessante e presente sebbene con piccole varianti, ma analogo
significato, nelle lingue regionali
calabre: zicutnose, zichitinos; sicutenosse
fu il nome dato al colpo
assestato con una verga sulla testa o sulle spalle; etimologicamente la parola
è una chiara, scherzosa deformazione del latino: sicut nos (come noi)
che si incontra nella parte finale della preghiera pater noster; un tempo nelle cattedrali o nelle basiliche
cattoliche esistevano i c.d. penitenzieri
maggiori, sorta di prelati abilitati,nell’amministrare il sacramento della
confessione,ad assolvere anche i piú gravi peccati, tali penitenzieri maggiori
inalberavano sul lato destro del loro confessionale, dove sedevano ad
ascoltare le confessioni dei penitenti, una lunga canna con la quale solevano
colpire sulla testa o le spalle i penitenti a mo’ di suggello dell’avvenuta
assoluzione.Poiché il piú delle volte i penitenzieri
maggiori nel congedare i penitenti,
facevan recitar loro il pater noster assestavano
il previsto colpo di canna sul finire della recita della preghiera, proprio in
coincidenza delle parole sicut nos e
da ciò il colpo trasse il nome di sicutennosse;
- baciapile che è chi
ostentatamente usi baciare , a mo’ di devozione ipocrita le acquasantiere
presenti all’ingresso delle chiese; va da sé che l’etimo è una composizione
di baciare( che è dal lat. basiare, deriv. di basium
'bacio' e il pl. di pila(=
grande vasca di marmo usata nelle chiese cattoliche per contenere l’cquasanta o
acqua benedetta dal lat. pila(m)
'mortaio', della stessa radice di pinsere 'pestare) per l'uso di baciare le pile
dell'acquasanta;
- collotorto che è chi
per mera ostentazione, reclini, quando prega, il capo in atto di falsa pietà;
etimologicamente è composizione di collo (dal
lat. collum) + l’agg.vo torto = piegato (dal part. pass. del
lat. volg. *torquĕre, per il class. torquēre/torquíre;
- pinzochero che
precisamente nel secolo XIV, fu un
appartenente ad un gruppo di terziari francescani che praticavano il
voto di povertà, ma non quello di
obbedienza alla gerarchia; etimologicamente la voce a margine risulta la stessa
di pizzocchero che è un ampliamento
di pizzòco a sua volta da bizzo=bigio colore del saio indossato da quei terziari di cui
sopra.
Satis est.
Raffaele Bracale
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