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   6 MUNTAGNE E MUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO.  
  Letteralmente: le montagne non si scontrano
  con le proprie simili. E' una velata minaccia di vendetta con la quale si
  vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche
  cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili...  
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   7 FACCIA 'E TRENT'ANNE 'E FAVE.  
  Letteralmente: faccia da trent'anni di fava.
  Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto
  poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono,
  anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la
  fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva
  somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle
  detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato
  a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e
  sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le
  distanze.  
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   8 SPARÀ A VRENNA.  
  Letteralmente: sparare a crusca. Id est:
  minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati.
  L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si
  concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito
  borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con
  crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si
  esercitava.  
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   9 'E SCIABBULE STANNO APPESE E 'E FODERE CUMBATTONO.  
  Letteralmente: le sciabole stanno attaccate
  al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte
  le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o
  cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee,
  con risultati chiaramente inferiori alle attese.  
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   10 'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
   
  Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí,
  a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle
  donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle
  piú disparate ore, pretendendo che venga loro servito un pasto caldo. A tali
  pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del
  trentuno, nota bettola partenopea che prendeva il nome dal civico dove era
  ubicata, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora
  del giorno e della notte.  
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   11 'A VACCA, PE NUN MOVERE 'A CODA SE FACETTE MAGNÀ 'E PPACCHE
  DA 'E MOSCHE.  
  Letteralmente: la mucca per non voler muovere
  la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli
  indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono
  un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca che assalita dalle
  mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lasci che le mosche
  le pizzichino il fondo schiena!  
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   12 TRASÍ O PASSÀ CU 'A SCOPPOLA.  
  Letteralmente: entrare o passare con lo
  scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o
  pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie
  credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo
  comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza
  pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per
  traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove
  gratuitamente si ottengono benefíci per la magnanimità di coloro che invece
  dovrebbero controllare.  
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   13 POZZA MURÍ 'E TRUONO A CHI NUN LE PIACE 'O BBUONO.  
  Letteralmente: possa morire di violenta
  bastonatura chi non ama il buono. In una città come Napoli dove vi è
  un'ottima e succulenta cucina chi non è buongustaio merita di morire
  bastonato violentemente. in napoletano TRUONO significa sia tuono che
  percosse violente.  
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   14 'A FORCA È FATTA P''E PUVERIELLE.  
  Letteralmente: la forca è fatta per i poveri.
  Id est: nei rigori della legge vi incorrono solo i poveri, i ricchi trovano
  sempre il modo di scamparla. In senso storico, la locuzione rammenta però che
  la pena dell'impiccaggione era comminata ai poveri, mentre ai ricchi ed ai
  nobili era riservata la decapitazione o - in tempi piú recenti - la
  fucilazione.  
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   15 DARSE 'E PIZZECHE 'NCOPP' Â PANZA.  
  Letteralmente: darsi pizzichi sulla pancia.
  Id est: sopportare, rassegnarsi, far buon viso a cattivo gioco. E' il
  consiglio che si dà a chi ad una contrarietà sarebbe pronto a render la
  pariglia ed invece gli si consiglia di sopportare assestandosi dei pizzichi
  sulla pancia quasi che il dolore fisico che ne deriva servisse a lenire
  quello morale, in nome del quale ci si sentirebbe pronto a scatenare una
  guerra!  
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   16 'NCOPP' Ô MUORTO SE CANTA 'O MISERERE.  
  Letteralmente: sul morto si piange il
  miserere Id est: non bisogna precorrere i tempi, in ispece quelli delle
  lamentazioni che allora son lecite quando ci si trovi davanti al fatto
  compiuto del danno patito, mai prima.  
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   17 BBUONO PE SCERIÀ 'A RAMMA.
   
  Letteralmente: buono per pulire le stoviglie
  di rame. Cosí in modo quasi rabbioso viene definito un frutto cosí aspro di
  sapore da non essere edibile, ma che può solo servire alla pulizia delle
  pentole di rame. Un tempo, quando non esistevano acciai inossidabili o
  allumini leggeri, le pentole erano in rame opportunamente ricoperte di
  stagno; per la loro pulizia e lucidatura ci si serviva di pietra pomice,
  arena 'e vitrera (sabbia da vetraio ricca di silice), e limoni con i quali si
  soffregavano le pentole fino a detergerle e addirittura farle luccicare. Per
  traslato, la locuzione in epigrafe si attaglia anche a chi è di carattere cosí
  aspro e spigoloso da non consentire ad alcuno di avervi rapporti. 
  18.MIÉTTELE NOMME PENNA!  
  Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata, quasi
  volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far
  intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto,
  divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a
  volar via, come sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non
  restituisce ciò che à ottenuto in prestito. A maggior conferma del fatto si
  usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la
  moglie... a margine rammento che con il nomme penna si intendeva anche una
  vilissima monetina che si spendeva con facilità, senza remore o
  pentimenti;  la moneta détta penna ebbe
  il valore esiguo di 1 carlino, questa stessa moneta  per il motivo ricordato è ricollegabile al
  détto qui esaminato: miéttele nomme penna (chiamala penna) in riferimento
  appunto ad ogni cosa che si potesse facilmente  perdere o 
  cedere senza lasciar tracce di remore o dispiaceri; la monetina s’ebbe
  il nome di penna giacché su di una delle facce (verso) v’era effigiata un’ala
  pennuta, quella dell’arcangelo Gabriele che sul dritto era il protagonista
  dell’Annunciazione.     
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   19 PISCIÀ ACQUA SANTA P''O VELLICULO.  
  Letteralmente: orinare acqua santa
  dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro
  che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è
  diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo
  sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente,
  addirittura dell'acqua santa.  
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   20 Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE  
  Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est:
  in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate cose di cui si parli che
  risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della
  locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano
  Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e
  nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi retaggi architettonici
  risalenti al 1400, in
  varie strade napoletane.  
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   21 ARRETÍRATE, PIRETO!  
  Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed
  ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti
  consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di
  rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua
  sede vi possa rientrare a comando...  
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   22 A 'NU PARMO Dô CULO MIO, FOTTA CHI VO’.  
  Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si
  diverta chi vuole. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate
  lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi
  arrechiate danno!  
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   23 DICETTE 'O MIEDECO 'E NOLA: CHESTA È 'A RICETTA E CA DDIO
  T''A MANNA BBONA...  
  Letteralmente: Disse il medico di Nola:
  Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata
  quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto
  tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai
  confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi.  
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   24 FÀ 'NU QUATTO 'E MAGGIO.
   
  Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id
  est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in
  senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel
  lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di
  porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si
  operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa
  soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4,
  da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire
  mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto.  
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   25 S'À DDA ÒGNERE L'ASSO.  
  Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est:
  se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua bisogna, anche
  obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio:
  inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano
  spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei
  loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo
  delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di
  "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri
  chiarimenti. 
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   26 PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO.
   
  Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato.
  Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo,
  pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo.
  Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come,
  sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un
  maleodorante, vacuo flatus ventris.  
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   27 L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE.
   
  Letteralmente: l' Ecce òmo ai Banchi nuovi.
  Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla
  moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che
  dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami
  della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura
  lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano
  sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura
  rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il
  Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente,
  smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani
  cui la locuzione si attaglia.  
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   28 CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NNUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE
  CA LL'ASSOLVE.  
  Letteralmente: Chi à comodità e non se ne
  serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o
  meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non
  solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato cosí grave per la cui
  assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far
  ricorso al penitenziere maggiore.  
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   29 QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê
  SEMMENZELLE?  
  Letteralmente: poiché non siete ciabattino,
  perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata
  quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non
  gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue
  capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con
  cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per
  procedere alla fattura di una scarpa.  
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   30 'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA.  
  Letteralmente: la regina dovette ricorrere
  alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è
  bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina,
  figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è
  un'isola.  
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   31 SENZA ‘E FESSE NUN CAMPANO 'E DERITTE.  
  Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono
  i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi
  che consentano loro di prosperare.  
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   32 'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.  
  Letteralmente: il polpo si deve cuocere con
  l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza
  interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che
  recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile
  ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si
  autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta
  d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
   
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   33 DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.  
  Letteralmente: dare sulle orecchie. La
  locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei
  supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa
  elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare
  una sana violenza colpendoli, sia pure metaforicamente, sulle orecchie per
  fargliele abbassare.  
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   34 N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...  
  Letteralmente: ne ò  bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí
  grosso)che non entri per intero nella ipotetica  pentola destinata all'uso della bollitura.
  Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri
  per pensiero e/o azione,  cosí
  esageratamente pezzo di merda da eccedere  i limiti della ipotetica  pentola in cui dovrebbe  esser bollito.
   
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   35 TANTE GALLE A CANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.  
  Letteralmente: tanti galli a cantare non
  spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere
  intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si
  addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il
  parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori
  non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente? Parlano in tanti... come si vuole che giungano ad una conclusione pratica 
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   36 SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...  
  Letteralmente: sí quando corri ed infili! La
  locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto
  difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico,
  volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non potrà avvenire, nè  avverrà. La locuzione fa riferimento ad
  un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si
  infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un
  anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al
  vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la
  punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.  
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   37 MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!  
  Letteralmente: Madonna mia reggi l'acqua. Id
  est: fa’ che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene
  usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si
  prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei
  contendenti.  
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   38 OMMO 'E CIAPPA.  
  Letteralmente: uomo di bottone e, per
  traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime
  addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria
  particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe
  dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni
  d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo,
  appunto, di detta consorteria.  
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   39 'A NAVE CAMMINA I 'A FAVA SE COCE.  
  Letteralmente: la nave cammina, e la fava si
  cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la
  sopravvivenza,id est la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della
  nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è piú
  opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce.  
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   40 ESSERE 'NU CASATIELLO CU LL'UVA PASSA.  
  Letteralmente: essere una caratteristica
  torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona
  greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve
  di suo per esser ripiena di formaggio, uova, salame, resa meno digeribile
  dalla presenza dell'uva passita...  
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   41 NCE VONNO  QUATTO LASTE
  I 'O LAMPARULO.  
  Letteralmente: occorono  quattro vetri (laterali) ed il reggimoccolo.
  Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente
  incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna
  ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla
  sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi,
  ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad
  un attento controllo esso risulta vistosamente carente .  
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   42 JÍRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO.  
  Letteralmente: andarsene con una mano davanti
  ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore
  si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum – in
  napoletano: zitabona -, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una
  colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver piú niente.
  La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso
  nulla di buono, ci abbia rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resti
  che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di
  dietro.  
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   43 A - MIETTE MANO â TELA  
  B - ARRICIETTE 'E FIERRE  
  Le due locuzioni indicano l'incipit e il
  termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse
  indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela,
  ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro. sub
  B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro.  
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   44 ESSERE 'NU/’NA SECATURNESE.
   
  Letteralmente: essere un/una  sega tornesi.Id est: essere un avaraccio/a,
  super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete,
  che al tempo in cui circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per
  poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi la
  carta-moneta e finí il divertimento.  
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   45 ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA.
   
  Esser piccolo di statura, ma soprattutto
  valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante
  la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il prodotto di
  un gesto onanistico non compiuto neppure per intero.  
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   46 ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.  
  Letteralmente: essere un biscotto di
  Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener
  sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad
  affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di
  carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi intendimenti da
  essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti
  a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che
  li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano cosí tenacemente
  duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire.  
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   47 'E CURALLE   LL'À DDA
  Fà 'O TURRESE.  
  Letteralmente: i coralli  li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno
  deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi
  previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la
  lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del
  Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti
  lavorati in corallo.  
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   48 MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA ô CUORNO D''A CARNACOTTA  
  Da intendersi:  adesso lo prendo per te dal corno per la
  carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole
  rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia
  dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno
  la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o
  frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già atte ad essere
  consumate o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono
  ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi
  di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del
  sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad òc proprio per
  contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione.
  Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita e lasciato
  pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche
  del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi
  nell'impossibilità di aderire alle richieste.  
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   49 PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.  
  Letteralmente: anche i corbellati vanno in
  paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui
  si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in giro, ma poi
  spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è
  il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa =
  peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.  
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   50 DICETTE 'O SCARRAFONE: PO’ CCHIOVERE 'GNOSTIA COMME VÒ ISSO,
  MAJE CCHIÚ NIRO POZZO ADDEVENTÀ...  
  Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far
  cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di
  quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già
  ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri
  sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.  
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   51 ABBACCA ADDó VENCE.  
  Letteralmente: collude con chi vince. Di per
  sé il verbo abbaccare presupporrebbe una segretezza d'azione che però ormai
  nella realtà non si riscontra, in quanto l'opportunista - soggetto sottinteso
  della locuzione in epigrafe non si fa scrupolo di accordarsi apertis verbis
  con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può offrire
  vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del vincitore e
  di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli italiani.  
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   52 TENÉ 'E FRUVOLE DINT'ô MAZZO.  
  Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel
  sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo
  vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali
  allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi
  a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli
  scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a
  tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole sono
  i fulmini, le folgori dal latino fulgor con roticizzazione e successiva
  metatesi della elle.  
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   53 RUMMANÉ â PREVETINA  o
  anche COMME A DON PAULINO.  
  Rimanere alla maniera dei preti o anche  come don Paolino. Id est: Rimanere in
  condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino,
  sacerdote nolano che, non avendo di che comprare ceri per celebrar messa, si
  doveva accontentare di tizzoni accesi.  
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   54 TANTO VA 'A LANCELLA ABBASCIO ô PUZZO, CA CE RUMMANE 'A
  MANECA.  
  Letteralmente: tanto va il secchio al fondo
  del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione,
  molto piú icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci
  lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il
  ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le
  compie. La lancella è una brocca o un vaso di creta, quella  della locuzione è propriamente un secchio
  atto a contenere acqua o  ad
  attingerne  dal pozzo; in tal caso è un
  secchio in terraglia o  provvisto di doghe
  lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per
  staccarsi dal secchio.la voce lancella/langella è dal lat. lanx-lancis e dai suoi diminutivi lancula e lancella   
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   55 SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI COGLIE.  
  Letteralmente: Signore mio fa salvo me e
  chiunque possa venir colto. E' la locuzione invocazione rivolta a Dio quando
  ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di
  finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando
  in operazioni non supportate da perizia.  
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   56 ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE.  
  Letteralmente: essere un'ernia corredata di
  frittate d'uova. Icastica offensiva espressione con cui si denota una persona
  molle ed imbelle dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula
  ernia a cui siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e
  spugnose frittatine d'uova.  
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   57 METTERE A UNO 'NCOPP' A 'NU PUORCO.  
  Letteralmente: mettere uno a cavallo di un
  porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli
  altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito condurre
  alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale – animale di cui la
  città di Napoli brulicava essendo detta bestia allevata da chiunque e dovunque
  – affinché il condannato venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e
  contumelie.  
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   58 ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SSANT' ALOJA.  
  Letteralmente: ormai à appeso i ferri a
  sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della
  senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese
  Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad
  appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di
  lavorare. Da questa consuetudine, nacque il proverbio ammiccante nei
  confronti degli anziani.  
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   59 SI ME METTO A FFà CAPPIELLE, NASCÉNO CRIATURE SENZA CAPA.  
  Letteralmente: se mi metto a confezionare
  cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a
  Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica.  
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   60 A - NUN Fà PÉRETE A CCHI TÈNE CULO.  
  B - NUN DÀ PONIE A CCHI TÈNE MANE.  
  I due proverbi in epigrafe, in fondo con
  parole diverse mirano allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon
  rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere -
  secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che
  certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una
  salve di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto
  oggetto di una medesima salve. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni
  qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di
  mani.  
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   61 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: IETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.  
  Letteralmente: la cattiva fortuna di Cazzetta:
   si dispose a mingere e perse per
  caduta l'organo deputato alla bisogna. Iperbolica locuzione costruita dal
  popolo napoletano intorno ad un fantomatico Cazzetta ritenuto cosí sfortunato
  da non potersi permettere le piú elementari funzioni fisiologiche senza
  incorrere in danni incommensurabii. La locuzione è l'amaro commento fatto da
  chi veda le proprie opere non produrre gli sperati risultati positivi, ma al
  contrario negatività non prevedibili.  
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   62 QUANNO CHIOVONO PASSE E FFICUSECCHE.  
  Letteralmente: quando cadono dal cielo uva
  passita e fichi secchi. Id est: mai. La
  locuzione viene usata quale risposta dispettosa a chi chiedesse quando si
  potrebbe verificare un accadimento ritenuto invece dalla maggioranza
  irrealizzabile.  
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   63 'O CULO 'E MAL'ASSIETTO NUN TROVA MAJE ARRICIETTO.  
  Letteralmente: il sedere che siede
  malvolentieri non trova mai tregua. Per solito, con la frase in epigrafe si
  fa riferimento al continuo dimenarsi anche da seduti che fanno i ragazzi
  incapaci di porre un freno alla loro voglia di muoversi.  
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   64 FATTE 'E CAZZE TUOJE E VIDE CHI T''E FA Fà...  
  Letteramente: impicciati dei casi tuoi e
  procura di trovare qualcuno che ti aiuti in tal senso.Il mondo è pieno,
  purtroppo di gente incapace di restare nel proprio ambito che gode ad
  intromettersi negli affari altrui dispensando consigli non richiesti che il
  piú delle volte procurano ulteriori affanni, invece di lenire la situazione
  di coloro a cui vengon rivolti i sullodati consigli. L'invito dell'epigrafe è
  perentorio e non ammette repliche.  
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   65 ESSERE ALL'ABBLATIVO.  
  Letteralmente: essere all'ablativo. Id est:
  essere alla fine, alla conclusione e, per traslato, trovarsi nella condizione
  di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo
  della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine.  
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   66 ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.  
  Letteralmente: essere adiacente alle mura
  della Vicaria. Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge
  per pregressi reati che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione
  era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550 ed era
  insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva
  davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era subito allocato
  nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco.  
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   67 CU 'O TIEMPO E CCU 'A PAGLIA...  
  S’AMMATURANO ‘E NESPOLE 
  Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La
  frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe
  vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i
  tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo
  lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono
  raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a
  compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali
  aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e
  saporiti.  
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   68 Sî ARRIVATO â MONACA ‘E LIGNAMMO.  
  Letteralmente: sei giunto presso la monaca di
  legno. Id est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe
  veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in
  escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua
  lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era
  situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili
  di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali.  
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   69 STAMMO A LL'EVERA.  
  Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo
  in miseria, siamo alla fine, non c'è piú niente da fare. L'erba della
  locuzione con l'erba propriamente detta c'entra solo per il colore; in
  effetti la locuzione, anche se in maniera piú estensiva, richiama quasi il
  toscano: siamo al verde dove il verde era il colore con cui erano tinte alla
  base le candele usate nei pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela
  giungeva al verde, significava che s'era giunti alla fine dell'asta e
  occorreva tentare di far qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo
  dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi.  
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   70 Hê SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
   
  Letteralmente: Ài sciupato un sangradale.
  Lo si dice di chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi
  di fortuna, dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria
  piú cupa ed esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il
  sangradale dell'epigrafe è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore
  istituí la santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa
  Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo
  a seguito del colpo infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si
  tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de
  Troyes che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa
  da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro,
  riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti
  gli altri cavalieri non abbastanza puri.  
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   71 FATTE CAPITàNO E MMAGNE GALLINE.  
  Letteralmente: diventa capitano e mangerai
  galline. Id est: la condizione socio-economica di ciascuno, determina il
  conseguente tenore di vita (olim il mangiar gallina era ritenuto segno di
  lusso e perciò se lo potevano permettere i facoltosi capitani non certo i
  semplici, poveri soldati). La locuzione à pure un'altra valenza dove
  l'imperativo fatte non corrisponde a diventa, ma a mostrati ossia: fa le
  viste di essere un capitano e godine i benefici.  
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   72 CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MURÍ QUATRO.  
  Letteralmente: chi nasce tondo non può morire
  quadrato. Id est: è impossibile mutare l'indole di una persona che, nata con
  un'inclinazione, se la porterà dietro per tutta la vita. La locuzione, usata
  con rincrescimento osservando l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di
  correggere le cattive inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio
  dell'impossibilità della quadratura del cerchio. 
  Analoga a l’espressione esaminata, ma molto più icastica è
  quella che recita: 
  72 bis: CHI NASCE MAPPINA
  SPORCA NUN PO’ ADDEVENTà FAZZULETTO ‘E SETA! 
  Che letteralmente è: chi nasce straccio sporco, non può
  diventare un fazzoletto di seta!Locuzione che afferma l’impossibilità del
  miglioramento in positivo dell’indole di chi nasca con pessime inclinazioni
  tali da farlo ritenere alla stregua di un cencio,canovaccio, pezza,
  strofinaccio a maggior disdoro lercio.  
  
  
   
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     73 A CCHI PARLA ARETO, 'O CULO LLE RISPONNE.  
    Letteralmente: a chi parla alle spalle gli
    risponde il sedere. La locuzione vuole significare che coloro che parlano
    alle spalle di un individuo, cioè gli sparlatori, gli spettegolatori
    meritano come risposta del loro vaniloquio una salve di peti.  
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     74 A CCRAJE A CCRAJE COMME 
    â CURNACCHIA.  
    Letteralmente: a crai, a crai come una
    cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il
    comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria
    opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia e la parola
    latina cras che in napoletano suona craje e che significa: domani, giorno a
    cui suole rimandare il proprio operato chi non à seria intenzione di
    lavorare .  
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     75 CHELLO CA NUN SE FA NUN SE SAPE.  
    Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non
    si viene a sapere. Id est: La fama diffonde le notizie e le propaga, per
    cui se si vuole che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non
    farle, giacché ciò che è fatto prima o poi viene risaputo.  
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     76 'O PESCE GRUOSSO, MAGNA ô 
    PICCERILLO.  
    Letteralmente: il pesce grande mangia il
    piccolo. Id est piú generalmente: il potente divora il debole per cui se ne
    deduce che è lotta impari destinata sempre all'insuccesso quella combattuta
    da un piccolo contro un grande.  
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     77 'O PUORCO SE 'NGRASSA PE NNE Fà SACICCE.  
    Letteralmente: il maiale è ingrassato per
    farne salsicce. La locuzione vuole amaramente significare che dalla
    disincantata osservazione della realtà si deduce che nessuno fa del bene
    disinterassatamente; anzi chiunque fa del bene ad un altro mira certamente
    al proprio tornaconto che gliene deriverà, come - nel caso in epigrafe - il
    maiale non deve pensare che lo si lasci ingrassare per fargli del bene,
    perchè il fine perseguito da colui che l'alleva è quello di procurarsi il
    proprio tornaconto sotto specie di salsicce.
     
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     78 JÍ METTENNO 'A FUNE 'E NOTTE.  
    Letteralmente: Andar tendendo la fune di
    notte. Lo si dice sarcasticamente nei confronti specialmente dei bottegai
    che lievitano proditoriamente i prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei
    confronti di tutti coloro che vendono a caro prezzo la loro opera. La
    locuzione usata nei confronti di costoro - bottegai e salariati - li
    equipara quasi a quei masnadieri che nottetempo erano soliti tendere lungo
    le strade avvolte nel buio, una fune nella quale incespicavano passanti e
    carrozze, che stramazzando a terra diventavano facilmente cosí oggetto di
    rapina da parte dei masnadieri.  
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     79 SE SO' RUTTE 'E TIEMPE, BAGNAJUÒ.  
    Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i
    tempi(per cui non avrai piú clienti bagnanti e i tuoi guadagni
    precipiteranno di colpo). La locuzione la si usa quando si intenda
    sottolineare che una situazione sta mutando in peggio e si appropinquano
    relative conseguenze negative.  
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     80 PARLA QUANNO PISCIA ‘A GALLINA!  
    Letteralmente: parla quando orina la
    gallina. Cosí, icasticamente ed in maniera perentoria, si suole imporre di
    zittire a chi parli inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire
    insulsaggini, magari gratuite cattiverie. Si sa che la gallina espleta le
    sue funzioni fisiologiche, non in maniera autonoma e separata, ma in un
    unicum, per modo che si potrebbe quasi pensare che, non avendo un organo
    deputato esclusivamente alla bisogna, la gallina non orini mai, di talché
    colui cui viene rivolto l'invito in epigrafe pare che debba tacere sempre.  
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     81 PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA.
     
    Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). E'
    come a dire: Possa tu morire. Per la zona della Loggia di Genova, infatti,
    temporibus illis, transitavano tutti i cortei diretti al Camposanto.  
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     82 CORE CUNTENTO â LOGGIA.
     
    Letteralmente: Cuor contento alla Loggia.
    Cosí il popolo suole apostrofare ogni persona propensa, anche
    ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con
    la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne allegria, alla fine
    dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di Genova che era una
    sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli alla Repubblica
    marinara di Genova, dove i genovesi svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi.  
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  83 FARNE UNA CCHIÚ 'E CATUCCIO.  
  Letteralmente: compierne una piú di Catuccio.
  Id est: farne di tutti i colori, compiere infamie e scelleratezze tali da
  sorpassare quelle compiute in Francia dal settecentesco Louis Philippe
  Bourguignon celebre brigante soprannominato Cartouche corrotto in napoletano
  con il termine Catuccio. La locuzione viene usata per bollare il
  comportamento non raccomandabile di chi agisce procurando danno a terzi, ma
  iperbolicamente anche per sottolineare il comportamento un po' troppo vivace
  dei ragazzi.  
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   84 ESSERE PASSATA 'E CÒVETA O 'E CUTTURA.  
  Letteralmente: essere passata di raccolta
  cioè già sfiorita sull'albero perché abbondandemente maturata oppure essere
  oramai passata di cottura cioè bruciacchiata perchè troppo cotta. Ambedue le
  espressioni fanno furbescamente riferimento ad una donna piuttosto in avanti
  con gli anni perciò sfiorita e non piú degna di attenzioni galanti alla
  medesima stregua o di un frutto lasciato sul ramo troppo tempo dopo la
  maturazione o come un cibo lasciato sul fuoco oltre il tempo necessario,
  facendolo quasi bruciare.  
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   85 QUANNO 'O DIAVULO T'ACCAREZZA È SsIGNO CA VO’ LL'ANEMA.  
  Letteralmente : quando il diavolo ti carezza,
  significa che vuole l'anima. Lo si afferma a commento delle azioni degli
  adulatori o di coloro che godono di cattiva fame; se uno di costoro ti
  blandisce, offrendoti servigi o opere gratuite, bisogna non fidarsi, giacché
  nel loro operare c'è nascosta la richiesta di qualcosa molto piú importante
  della prestazione offerta.  
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   86 E' GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO I 'E MACCARUNE 'A COPPA.  
  Letteralmente: è finito il cacio sotto ed i
  maccheroni sopra. La locuzione la si usa per commentare con disappunto una
  situazione che non si sia evoluta secondo i principi logici ed esatti e codificati.
  In effetti, secondo logica si vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di
  sopra un piatto di maccheroni, non che facesse loro da strame. Id est:
  maledizione! Il mondo va alla rovescia!  
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   87 DOPPO MUORTO, BUZZARATO.
   
  Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo
  aver subito la morte, sopportare anche il vilipendio. La locuzione
  corrisponde, anche se in maniera un po' piú dura al toscano: il danno e la
  beffa. Essa fu usata nel corposo linguaggio partenopeo da un napoletano che
  assistette al consueto percuotimento del capo del defunto papa PIO XII, con
  il previsto martelletto d'argento operato dal cardinale camerlengo, per
  accertarsi che il pontefice non reagisse dimostrando cosí d'essere morto.  
  buzzarato voce
  verbale part. pass. dell’infinito buzzarà =1 (ant. , volg.) sodomizzare 
  2 (per estensione
  region. pop.come nel caso in esame) 
  percuotere,
  vilipendere  
  3 ( per traslato region.
  pop.) imbrogliare, ingannare. Etimologicamente  metaplasmo dal lat. tardo Bugarus→Buzzarus
  per Bulgarus 'bulgaro'; nel medioevo, dopo che questo popolo ebbe abbracciato
  l'eresia patarina, il suo nome significò anche 'eretici' e quindi (forse per
  l'identità della pena) 'sodomiti. 
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   88 TROPPI GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNE.  
  Letteralmente: troppi galli a cantare, non
  spunta mai il giorno. Id est: quando ci sono troppe persone ad esprimere
  un'opinione, un parere, non si arriva mai ad una conclusione; ed in effetti
  tenendo presente l'antico adagio latino: tot capita, tot sententiae: tante
  teste, tanti pareri, sarà ben difficile, anzi sarà impossibile trovarne di
  collimanti per modo che si possa finalmente giungere ad una conclusione.  
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   89 NUN C'È PPRERECA SENZA SANT' AUSTINO.  
  Letteralmente: Non v'è predica senza
  sant'Agostino. Come si sa, sant'Agostino, vescovo d' Ippona, è uno dei piú
  famosi padri della Chiesa cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non
  usi citare gli scritti del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene
  usata a mo' di risentimento da chi si senta chiamato in causa - soprattutto
  ingiustamente - e fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non
  desiderate.  
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   90 'A MALANOVA LL'ACCUMPAGNA 'O VIENTO.  
  Letteralmente: la cattiva notizia viaggia
  sulle ali del vento. Id est: le cattive notizie ti raggiungono rapidamente,
  spinte come sono dal vento; per cui il popolo è solito affermare: nessuna
  nuova, buona nuova, poichè sono le cattive notizie a giungere sospinte dal
  vento; se non ne giungono, significa che si tratta di buone notizie che - per
  solito - non viaggiano col vento.  
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   91 E BBRAVO ô FESSO!  
  Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase
  in epigrafe la si usa sempre quando si voglia ironicamente plaudire
  all'operato di chi pretende da saccente e supponente, con la propria azione
  di dimostrare la propria valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca
  di agire alla medesima stregua. Piú chiaramente, la locuzione è usata a mo'
  di presa in giro di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli
  altri e in realtà se lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali,
  ma solo per fortunose o ovvie ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un
  esempio. Poniamo vi sia un uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà
  ad ascendere una scala a pioli. Si presenta uno sciocco che, essendo
  pienamente integro nella sua salute, con irrisoria facilità ascende la scala
  e commenta con aria saccente: "Visto come è facile?". La risposta
  che si merita codesto sciocco è quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio
  starebbe a significare: Sei cosí stupido da non renderti conto che se anche
  io fossi nella mia integrità fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che ài
  fatto tu!  
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   92 QUANNO 'O MELLONE JESCE RUSSO, OGNEDUNO NE VO’ 'NA FELLA.  
  Letteralmente: Quando il cocomero al taglio
  si presenta ben colorito di rosso, ognuno ne vuole una fetta. Id est: Quando
  l'occasione è buona, ognuno cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per
  traslato, l'espressione si usa quando si voglia bollare il comportamento di
  chi è sempre pronto a saltare sul carro del vincitore...  
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   93 SI 'O SIGNORE ME PRUVVEDE, M'AGGI' 'A FÀ 'NU QUACCHERO LUONGO
  NFI’ ê PIEDE.  
  Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza,
  debbo farmi un soprabito lungo fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e aiuto
  dal Cielo mi voglio ricoprire fino ai piedi per modo che non possa temere
  offese dall'esterno. La parola quacchero nel senso di cappotto è modellata
  sul termine quaccheri, rammentando i lunghi costumi indossati da costoro.  
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   94 LL'ABBATE TACCARELLA.  
  Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo
  soprannome viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che,
  metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il nome
  Taccarella è chiaramente un deverbale desunto appunto dal verbo taccarià che
  significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti.  
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   95 T' HÊ PIGLIATO 'E CCIENT' OVE? 
  Letteralmente: ài preso le cento uova; ài
  bevuto cento uova? Id est: sei diventato pazzo? La locuzione rammenta un
  antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI,
  al tempo di un famosissimo medico dei pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui
  nome derivò poi il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti -
  il quale medico pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover
  assumere ben cento uova di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di
  girare la ruota di un pozzo.  
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   96 FRIJENNO, MAGNANNO.  
  Letteralmente: friggendo e mangiando. L'uso,
  tutto napoletano, di mettere in fila due gerundi, senza un apparente modo
  finito reggente, sta ad indicare che le due azioni debbono essere eseguite
  quasi contemporaneamente, senza soluzione di continuità, e - nella
  fattispecie - il cibo una volta fritto deve essere subito consumato, senza
  indugio, con immediatezza e rapidità. Il cibo, sottinteso nella locuzione, è
  rappresentato dalle famosissime paste cresciute, dai tittoli, dai fiori di
  zucca in pastella e da tutte quelle numerose verdure, fette di ricotta, uova
  sode, animelle etc. che concorrono a formare quello che erroneamente si dice
  fritto all'italiana e che sarebbe piú consono dire fritto alla napoletana,
  giacchè in Napoli fu ideato questo tipo di preparazione culinaria da
  consumarsi velocemente all'impiedi davanti ai banchi delle friggitorie
  (antenate delle moderne pizzerie) esercizi dove detto fritto veniva preparato
  ed offerto seduta stante all'avventore anche frettoloso.  
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   97 FATTE 'NA BBONA ANNUMMENATA E VVA' SCASSANNO CCHIESIE.  
  Letteralmente: procura di farti una buona
  nomea e poi saccheggia pure le chiese. Id est: ciò che conta nella vita è di
  godere di una buona opinione presso i terzi, poi si possono operare i
  peggiori misfatti, addirittura furti sacrileghi, nessuno mai sospetterà di
  uno che gode di buona nomea. La locuzione insomma affronta l'antico dilemma:
  essere o apparire e propende, stranamente per la cultura popolare, da sempre
  incline dalla parte della sostanza piuttosto che da quella della forma, per
  il secondo corno del dilemma.  
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   98 AMMACCA E SSALA, AULIVE 'E GAETA.  
  Letteralmente: schiaccia e sala, olive di
  Gaeta! Di per sè è la voce - ossia la frase di richiamo - usata dai venditori
  di olive e con essa si rammenta la tecnica della conservazione in salamoia
  delle olive che vengono stipate in botticelle e conservate in un bagno di
  acqua salata. Con la stessa locuzione si suole commentare a mo' di
  riprovazione, il comportamento di coloro che operano in maniera rapida e
  superficiale, senza porre attenzione ed applicazione a ciò che sono stati
  chiamati a fare.  
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   99 CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SSAPONE.  
  Letteralmente: di qui le pezze e di là il
  sapone. E' il modo rapidamente incisivo per dire che non si fa credito di
  sorta. Chi usa detta locuzione intende comunicare che con lui non si fanno
  contratti se non a prestazione e controprestazione immediata, contratti dove
  il do e il des sono contemporanei. Originariamente, la locuzione era usata
  dai robivecchi girovaghi detti "SAPUNARI" che offrivano in cambio
  di abiti dismessi un tot di sapone quale merce di scambio.  
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   100 M''O SSENTO 'E SCENNERE PE DDERETO ê RINE.  
  Letteralmente: me lo sento colare lungo il
  filo della schiena. L'espressione viene usata con senso di rammarico se non
  di timore, quando si voglia comunicare a terzi di avvertire su se stessi la
  sensazione di un prossimo imminente disastro e/o pericolo e di non potervi
  porre riparo.  
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   101 SE SO' 'NCUNTRATE 'O SANGO I 'A CAPA.  
  Letteralmente: si sono uniti il sangue e la
  testa. Id est: si è verificato l'incontro di due elementi ugualmente
  necessarii al conserguimento di un quid. Anche in senso marcatamente
  dispregiativo per sottolineare l'incontro di due poco di buono dalla cui
  unione deriverà certamente danno per molti. La locuzione, in senso positivo,
  fa riferimento all'incontro liturgico della teca contenente i reperti ematici
  del sangue di san Gennaro con il busto contenente il cranio del santo; solo
  dopo détto incontro infatti per solito si verifica il miracolo della
  liquefazione del sangue.  
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   102 ESSERE D''O BETTONE.  
  Letteralmente: essere del bottone Id est:
  appartenere ad un medesima consorteria, ad una stessa associazione e perciò
  essere nella condizione di poter chiedere e ricevere aiuto ed assistenza dai
  propri sodali. Il bottone della locuzione è, senza dubbio, il distintivo,
  cioè il segno esteriore della appartenenza ad un determinato consesso, ma è
  inesatto ritenere il distintivo della locuzione quello fascista, perché
  l'espressione, a Napoli, era nota e si usava fin dall'epoca dei Borbone.  
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  103 I' FACCIO PERTOSE E TTU GAVEGLIE.  
  Letteralmente: Io faccio buchi e tu cavicchi.
  Id est: mi remi contro. La locuzione la si usa quando si voglia redarguire
  qualcuno che proditoriamente e senza apparenti motivi, anzi quasi per
  dispetto, si adopera per vanificare l'opera di chi si sta affannando in
  un'azione di senso contrario come nella locuzione capita a chi si sta
  adoperando a fare buchi e trova chi invece si dà da fare per confezionare
  cavicchi atti a turare detti buchi.  
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  104 QUANNO SCIOSCIA VIENTO 'E TERRA, 'O PESCE NUN ZOMPA DINT' â
  TIELLA.  
  Letteralmente: quando spira il maerstrale il
  pesce non salta in padella. Id est: i giorni spazzati dal vento maestrale
  sono i meno adatti per la pesca. Piú in generale il proverbio sta a
  significare che per ottenere buoni risultati occorre attendere il momento
  propizio e non bisogna avventurarsi in alcuna opera quando spiri vento
  avverso.  
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   105 TRE SONGO 'E PUTIENTE: 'O PAPA 'O RRE E CHI NUN TÈNE NIENTE.  
  Letteralmente: Tre sono i potenti: il papa il
  re e chi non possiede nulla. E' facile capire il perché della locuzione. Il
  Papa non à concorrenti, per cui nel suo ambito è da ritenersi veramente un
  potente; idem valga per il re inteso come despota. E non meravigli che sia
  considerato un potente il nullatenente, che basa proprio sulla sua penuria di
  mezzi la propria forza, potendosi infischiare di tutti, non temendo assalti
  da parte di nessuno, giacchè a nessuno verrebbe in mente di attaccare
  qualcuno a cui in caso di vittoria non si avrebbe che cosa sottrarre.  
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   106 SIGNORE 'E UNU CANNELOTTO.
   
  Letteralmente: signore da un solo candelotto.
  Cosí a Napoli viene appellato chi pretende di avere nobili ascendenti, ed
  invece risulta essere di nessuna nobiltà. La locuzione risale al tempo in cui
  l'illuminazione dei palchi del teatro san Carlo, massimo teatro lirico della
  città partenopea, era assicurata da alcuni candelabri che venivano noleggiati
  dalla direzione del teatro agli spettatori che ne facessero richiesta. Il prezzo
  del noleggio variava con il numero dei candelabri richiesti e questo dalle
  possibilità economiche dello spettatore. Va da sè che minore era il numero di
  candele, minore era la possibilità economica dimostrata e conseguenzialmente
  minore il grado di nobiltà; per cui un signore da un candelotto era da
  ritenersi proprio all'infimo gradino della scala sociale.  
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   107 CARTA VÈNE E GGHIUCATORE S'AVANTA.  
  Letteralmente: carta (vincente) viene e
  giocatore (vittorioso) si vanta. La locuzione prendendo spunto dal giuoco
  delle carte stigmatizza il comportamento ridicolo e pretestuosamento
  presuntuoso - tipico peraltro di coloro che ànno scarse capacità intellettive
  - di chi tenti di farsi merito di successi ottenuti non per propria capacità,
  intelligenza e valore, ma per mera fortuna che lo abbia condotto al primato,
  come avviene in taluni giuochi di carte dove basta il possesso di determinate
  carte vincenti a procurare la vittoria e conta veramente poco il modo di
  giocare le predette carte.  
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   108 CHELLA 'A MANA È BBONA; È 'A VALANZA CA VO’ ESSERE ACCISA!  
  Letteralmente: Quella la mano è buona, è la
  bilancia che vuole essere uccisa cioè  che si comporta in modo tale da meritarsi
  d'essere ammazzata. La locuzione va riferita a chi proditoriamente tiri a
  derubare sul peso e tenti di far ricadere la colpa sul tramite ossia sulla
  bilancia. Per traslato la locuzione la si usa sarcasticamente nei confronti
  di chiunque, per un motivo o l'altro non si voglia assumere le responsabilità
  del proprio truffaldino comportamento.  
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   109 CHISTO È N'ATO D''A PASTA FINA.  
  Letteralmente: Costui è un altro della pasta
  fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui
  diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni
  comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina.
  Letta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua
  valenza di offesa.  
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   110 FATTÉLLA CU CCHI È MMEGLIO 'E TE E FANCE 'E SPESE.  
  Letteralmente: Intrattieni duraturi rapporti
  con chi è migliore di te e sopporta le spese che ne derivano.Id est: le
  proprie amicizie bisogna sceglierle tra chi ti è moralmente superiore , e
  occorre poi coltivarle anche se per fare ciò bisogna por mano alla tasca
  anche figurativamente parlando.  
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   111 ADDó SPERDETTENO A GGIESÚ CRISTO.  
  Letteralmente: dove dispersero Gesú Cristo.
  Lo si dice di un luogo lontano ed impervio, difficile da raggiungere... La
  locuzione fa certamente riferimento all'episodio dell'evangelo allorché Maria
  e Giuseppe persero di vista il Redentore che s'era attardato in Gerusalemme
  ed impiegarono alcuni giorni prima di ritrovarlo.  
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   112 RA COPPA SANT' ERMO, PESCA 'O PURPO A MMARE.  
  Letteralmente: Da sopra sant' Elmo pesca un
  polpo a mare. Lo si dice, ironizzando sull'azione di chi si affanna a voler
  raggiungere un risultato, che certamente invece gli mancherà, stanti le
  errate premesse da cui parte la propria opera, come chi volesse appunto
  pescare un polpo nel mare del golfo partenopeo e si trovasse a farlo assiso
  sulla collina di sant'Elmo, che è vero che guarda il mare, ma lo fa da
  un'altezza di circa 250
   metri...  
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   113 VA' FÀ LL'OSSE ô PONTE
   
  Letteralmente: vai a racimolare le ossa al
  ponte. Id est: mandare qualcuno a quel paese. Infatti la locuzione suona
  pure: mannà ô ponte, con il medesimo significato. Un tempo a Napoli presso il
  ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello, dove il
  popolo si recava ad acquistare le carni delle bestie macellate. I meno
  abbienti si accontentavano di prelevare gratis et amore Dei le ossa, per
  farne del brodo, per cui spingere qualcuno a fare le ossa al ponte significa
  augurargli grande miseria. La medesima accezione vale per la locuzione mannà
  a ‘o ponte; (mandare al ponte) tenendo presente che questa seconda locuzione
  la si usa nei confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi
  e dall’età ecco che essa locuzione à una valenza un po’ piú amara della prima
  giacché la si rivolge a chi - probabilmente - non à la capacità di
  ripigliarsi ed è costretto a subire gli strali dell’avversa fortuna.  
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   114 Né FFEMMENA, Né TTELA A LLUME DE CANNELA.  
  Letteralmente: Né donne, né tessuti alla luce
  artificiale. Id est: la luce artificiale può nascondere parecchi difetti, che
  - invece - alla luce del sole - vengono in risalto e ciò vale sia per la
  consistenza dei tessuti, sia - a maggior ragione - per la bellezza muliebre.  
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