BOLLITO DI MANZO
Eccovi alcuni ottimi modi di preparare e servire dell'ottimo bollito o lesso di manzo.
Cominciamo con il ricordare che il miglior lesso si ottiene ponendo a cuocere per circa 2 ore ed a fuoco sostenuto la carne di manzo (pancettone e gamboncello corrispondenti a geretto posteriore (muscolo) e scalfo) in acqua bollente, addizionata di una cipolla, una carota, una costa di sedano, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani, mentre se con i medesimi ingredienti si vuole ottenere un buon brodo, bisogna che il tutto sia messo in acqua fredda e prolungare la cottura per circa 3 ore a fuoco dolcissimo per modo che la carne ceda tutti i suoi succhi al brodo, rendendolo gustoso.
Nella fattispecie a noi interessa il lesso, non il brodo e dunque eccovi la prima ricetta:
1 - BOLLITO DI MANZO e VITELLA IN INSALATA
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
2 cipolle bianche di cui una intera l’altra affettata ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.
1 tazzina d’aceto bianco,
il succo d’un limone non trattato,
1 cucchiaino di senape forte,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
2 etti di olive nere di Gaeta denocciolate,
1 etto di olive bianche di Spagna denocciolate,
1 cucchiaio di capperi di Pantelleria, dissalati e lavati.
Nota propedeutica:
Il modo di preparare il lesso di manzo o manzo e vitello è identico per tutte le preparazioni che qui di sèguito indicherò.
procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamenti e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare a temperatura ambiente (tempo occorrente circa 1 ora); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in una capace zuppiera, lasciate che la carne intiepidisca al massimo e frattanto in una ciotola, versate l’olio, l’aceto, il succo di limone, il cucchiaino di senape un pizzico di sale e due di pepe e sbattete il tutto velocemente con una forchetta fino ad ottenere una salsetta fredda con la quale irrorerete la carne sulla quale avrete distribuito gli anelli di cipolla, i capperi ed i due tipi di olive; rimestate accuratamente e servite o come pietanza o come ottimo antipasto.
E eccovi la seconda ricetta:
2 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO.
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
4 uova,
½ etto di pecorino grattugiato,
1 ciuffo di prezzemolo tritato,
farina q.s.,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
olio di semi q.s.
procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; frattanto aprite in una ciotola le uova, aggiungete un pizzico di sale e due di pepe, il pecorino ed il prezzemolo tritato e sbattete lungamente a spuma; infarinate accuratamente i pezzi di carne e tuffateli nell’uovo sbattuto, sgrondateli ed in una padella di ferro nero friggeteli fino a che siano croccanti, in olio di semi profondo e bollente; prelevate i pezzi fritti con una schiumarola, adagiateli su carta paglia a perdere l’eccesso d’unto, regolate eventualmente di sale e servite caldo con antipasto o secondo piatto.
Per ambedue le ricette precedenti, come per le seguenti: corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
3 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO IN PADELLA
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.
1 ciuffo di prezzemolo tritato,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
1 tazzina di cognac o brandy.
procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; versate in un’ampia padella di ferro nero l’olio e mandatelo a temperatura, unite gli anelli di cipolla ed a temperatura sostenuta fateli dorare se non arsicciare; regolate di sale e pepe, unite i pezzetti carne bollita e ripassateli accuratamente per circa 10 minuti, infine versate il cognac o brandy, alzate il fuoco, fate evaporare, rimestate e cospargete con il trito di prezzemolo; impiattate e servite questo gustosissimo bollito, caldo di fornello, o come antipasto o come pietanza.
A questo punto vi suggerisco altri due modi: quarto e quinto modo di preparare e servire un ottimo lesso;
4 – BOLLITO IN SALSA VERDE
Per preparare il lesso si procede come ò indicato nelle due prime ricette; indi (per il terzo modo) si serve il bollito che sia ancòra tiepido diviso in grossi pezzi di cm. 5x4x3 accompagnati dalla seguente, gustosa
salsa verde
ingredienti:
Prezzemolo gr.100,
1 spicchio d'aglio mondato,
6 filetti di acciughe sott’olio,
la mollica di una fetta di pane casareccio bagnata in aceto di vino bianco e poi strizzata,
50 gr di piccoli capperi di Pantelleria,
2 cucchiai di cetriolini sott'aceto,
1 piccola carota lavata, grattata e lessata al dente,
1 bicchiere d’olio extravergine d'oliva,
1 uovo sodo sgusciato.
sale grosso alle erbe q.s.
procedimento:
Lavare accuratamente ed asciugiugare il prezzemolo; lessare la carotina; rassodare l’uovo in acqua bollente (sette minuti) e sgusciarlo sotto un getto d’acqua fredda.
Porre nel frullatore il prezzemolo trinciato grossolanamente,i filetti di acciughe, la carota troncata in piú pezzi, i cetriolini, l’aglio mondato, i capperi, l’uovo sodo diviso in quattro parti ed un pizzico di sale grosso alle erbette e tritare con cura tutti gli ingredienti a velocità bassa aggiungendo a mano a mano tutto l’olio.
5 – BOLLITO CON SOTTACETI
Per l’ultimo modo (il quarto) di servire il bollito preparato come indicato nelle prime due ricette, lo si divide ancòra tiepido in grossi pezzi di cm. 5x4x3 e lo si accompagna con verdurine ed ortaggi (carote,sedano, sedano-rapa) sott’aceto tagliati a julienne, sgrondati del liquido di conservazione (aceto) leggermente salati, pepati ed irrorati con un filo d’olio e.v.
In qualsiasi modo lo si gusti il bollito è sempre comunque buonissimo, se buonissima è la carne con cui lo si prepara !
raffaele bracale
lunedì 30 giugno 2008
BOCCONCINI D’AGNELLO CON ORTAGGI IMPASTELLATI
BOCCONCINI D’AGNELLO CON ORTAGGI IMPASTELLATI
gustosissima preparazione da usarsi senza ulteriori contorni come seconda portata oppure per un veloce rompidigiuno.
ingredienti e dosi per 6 persone
per i bocconcini:
1 kg. e mezzo di sella d’agnello in fettine spesse un cm. da cui ricavare dei bocconcini della grandezza d’un pollice,
farina bianca q.s.
3 uova intere e 3 rossi ,
½ etto di pecorino laticauda grattugiato,
sale fino e pepe nero q.s.
abbondante olio di semi per friggere .
per la pastella degli ortaggi:
Farina 300g,
Sale fino un pizzico,
2 uova e 3 albumi,
3 cucchiai d'olio di semi,
Birra 1/4 di litro, oppure un panetto di lievito di birra,
per la frittura etc.
1 kg di zucchine napoletane piccole verdi e sode,
1kg di melanzane lunghe violette napoletane,
2 cipolle bianche o dorate tagliate ad anelli,
sale fino q.s.
abbondante olio di semi per friggere .
preparazione:
Cominciamo con l’approntare la pastella per gli ortaggi, unendo in una terrina la farina con il sale, le 2 uova intere e l'olio.
Mescolare con una frusta le uova e l'olio con un po' di farina; poi unire la birra o il panetto di lievito sciolto in un bicchiere d’acqua tiepida, ed amalgamare tutta la farina.
Far riposare per circa ½ ora indi montare gli albumi con un pizzico di sale ed incorporarli delicatamente al composto.
Far riposare ancóra per un’altra mezz’ora.
Nel frattempo mondare della tunica esterna le cipolle, lavarle, asciugarle e tagliarle ad anelli spessi ½ cm.; lavare, asciugare e spuntare le zucchine tagliandole poi longitudinalmente in bastoncini della grandezza d’un mignolo; ugualmente privare del calice e lavare le melanzane e senza sbucciarle tagliarle longitudinalmente in bastoncini della grandezza d’un indice eleminando se del caso un eccesso di polpa, e sistemando questi bastoncini in uno scolapasta in piú strati su ognuno dei quali spargere del sale fino (complessivamente un cucchiaio abbondante) e pressarli con un piattino sormontato da un peso di 2 kg tenendoli in pressione per circa ½ ora a decantare l’amaro liquido di vegetazione. Alla fine prelevare i bastoncini di melanzane e sciacquarli sotto un getto d’acqua fredda, strizzandoli decisamente; approntare una padella di ferro nero a bordi alti versandovi abbondante olio di semi e porla a prender temperatura su un fuoco alto; nel mentre tuffare nella pastella in sequenza gli anelli di cipolla, poi i bastoncini di zucchine ed infine quelli di melanzane, friggendoli via via nell’olio profondo e prelevandoli quando siano ben dorati con una schiumarola e deponendoli su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto; trasferire gli ortaggi fritti nel piatto di portata e solo allora salare ad libitum rimestando a mani nude(senza posate!). Terminata la frittura degli ortaggi, sciacquare velocemente in acqua fredda i bocconcini di agnello ed infarinarli abbondantemente, sbattere a spuma 3 uova intere e i tre rossi avanzati, aggiungere sale, pepe e d il pecorino grattugiato; intingere nelle uova i bocconcini d’agnello infarinati e friggerli fino a doratura in olio di semi bollente e profondo ;unire nel piatto di portata gli ortaggi impastellati con i bocconcini di agnello dorati e fritti, aggiustare di sale e pepe e mandare in tavola. È preparazione ottima da calda, ma resta buona e gustosa anche da tiepida.
Vini: ovviamente Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
nota:
alcuni fanno la pastella per gli ortaggi eliminando le uova (intere e chiare) e in luogo del ¼ di birra, usano solo un piccolo panetto di lievito di birra sciolto in un bicchiere d’acqua tiepido ed amalgamato alla farina ed agli altri ingredienti; se ne ottiene ugualmente una buona pastella , ma certamente meno ricca e perciò meno gustosa; del resto in cucina, come nella vita, le mezze misure non pagano o pagano poco: essere o non essere; tertium non datur!
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
gustosissima preparazione da usarsi senza ulteriori contorni come seconda portata oppure per un veloce rompidigiuno.
ingredienti e dosi per 6 persone
per i bocconcini:
1 kg. e mezzo di sella d’agnello in fettine spesse un cm. da cui ricavare dei bocconcini della grandezza d’un pollice,
farina bianca q.s.
3 uova intere e 3 rossi ,
½ etto di pecorino laticauda grattugiato,
sale fino e pepe nero q.s.
abbondante olio di semi per friggere .
per la pastella degli ortaggi:
Farina 300g,
Sale fino un pizzico,
2 uova e 3 albumi,
3 cucchiai d'olio di semi,
Birra 1/4 di litro, oppure un panetto di lievito di birra,
per la frittura etc.
1 kg di zucchine napoletane piccole verdi e sode,
1kg di melanzane lunghe violette napoletane,
2 cipolle bianche o dorate tagliate ad anelli,
sale fino q.s.
abbondante olio di semi per friggere .
preparazione:
Cominciamo con l’approntare la pastella per gli ortaggi, unendo in una terrina la farina con il sale, le 2 uova intere e l'olio.
Mescolare con una frusta le uova e l'olio con un po' di farina; poi unire la birra o il panetto di lievito sciolto in un bicchiere d’acqua tiepida, ed amalgamare tutta la farina.
Far riposare per circa ½ ora indi montare gli albumi con un pizzico di sale ed incorporarli delicatamente al composto.
Far riposare ancóra per un’altra mezz’ora.
Nel frattempo mondare della tunica esterna le cipolle, lavarle, asciugarle e tagliarle ad anelli spessi ½ cm.; lavare, asciugare e spuntare le zucchine tagliandole poi longitudinalmente in bastoncini della grandezza d’un mignolo; ugualmente privare del calice e lavare le melanzane e senza sbucciarle tagliarle longitudinalmente in bastoncini della grandezza d’un indice eleminando se del caso un eccesso di polpa, e sistemando questi bastoncini in uno scolapasta in piú strati su ognuno dei quali spargere del sale fino (complessivamente un cucchiaio abbondante) e pressarli con un piattino sormontato da un peso di 2 kg tenendoli in pressione per circa ½ ora a decantare l’amaro liquido di vegetazione. Alla fine prelevare i bastoncini di melanzane e sciacquarli sotto un getto d’acqua fredda, strizzandoli decisamente; approntare una padella di ferro nero a bordi alti versandovi abbondante olio di semi e porla a prender temperatura su un fuoco alto; nel mentre tuffare nella pastella in sequenza gli anelli di cipolla, poi i bastoncini di zucchine ed infine quelli di melanzane, friggendoli via via nell’olio profondo e prelevandoli quando siano ben dorati con una schiumarola e deponendoli su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto; trasferire gli ortaggi fritti nel piatto di portata e solo allora salare ad libitum rimestando a mani nude(senza posate!). Terminata la frittura degli ortaggi, sciacquare velocemente in acqua fredda i bocconcini di agnello ed infarinarli abbondantemente, sbattere a spuma 3 uova intere e i tre rossi avanzati, aggiungere sale, pepe e d il pecorino grattugiato; intingere nelle uova i bocconcini d’agnello infarinati e friggerli fino a doratura in olio di semi bollente e profondo ;unire nel piatto di portata gli ortaggi impastellati con i bocconcini di agnello dorati e fritti, aggiustare di sale e pepe e mandare in tavola. È preparazione ottima da calda, ma resta buona e gustosa anche da tiepida.
Vini: ovviamente Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
nota:
alcuni fanno la pastella per gli ortaggi eliminando le uova (intere e chiare) e in luogo del ¼ di birra, usano solo un piccolo panetto di lievito di birra sciolto in un bicchiere d’acqua tiepido ed amalgamato alla farina ed agli altri ingredienti; se ne ottiene ugualmente una buona pastella , ma certamente meno ricca e perciò meno gustosa; del resto in cucina, come nella vita, le mezze misure non pagano o pagano poco: essere o non essere; tertium non datur!
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
ARROSTO DI ANNECCHIA* AL FORNO
ARROSTO DI ANNECCHIA* AL FORNO
Per la preparazione di questa succulenta ricetta, se si vuole ottener il miglior risultato occorre fornirsi in macelleria di un pezzo abbastanza grosso di carne non di manzo, ma rigorosamente di vitello/a anzi di *annecchia che con derivazione dal lat. annicula→anniclja→annecchia indica il vitello o la vitella molto giovane quella bestia cioè che non abbia superato l’anno d’età ed abbia gustose carni sode, morbide e non grasse (occorrerà infatti steccarle).
Ingredienti per 6 persone:
• da 1 kg. ad 1,5 kg. di pezza a cannella, (altrove) noce di vitello,
1 cucchiaio di sugna,
• un rametto di rosmarino,
• 2 spicchi di aglio mondati e spaccati in due parti,
• 1 bicchiere e mezzo di vino bianco secco,
• 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
2 etti di pancetta tesa o lardo di groppa tagliati a bastoncini di cm. 5x2x1,
• sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
Incidete il grosso pezzo di carne in 3 o 4 punti con un coltello a lama appuntita e infilatevi i pezzi di aglio, i rametti di rosmarino e i bastoncini di pancetta o lardo, salatela e pepatela; legatela con uno spago da cucina per mantenerla in forma durante la cottura e mettetela in una casseruola con lo strutto ed irroratela con l’ olio e ponete il recipiente sul fuoco.
Fate rosolare la carne a calore vivace per qualche minuto, rigirandola spesso.
Quando si presenterà ben colorita, bagnatela con il vino bianco e lasciatelo evaporare.
Passate il recipiente in forno preriscaldato a 180° e lasciate cuocere la carne per un'ora e mezzo circa.
Durante la cottura, aprite il forno di tanto in tanto e cospargete la carne con il sughetto che raccoglierete con un cucchiaio.
Se necessario, aggiungete acqua bollente. A fine cottura sgocciolate la carne dal sugo, affettatela in fette spesse 1 cm., disponete le fette su un piatto caldo ed irrorate con il sughetto.
Servite in tavola accompagnando l’arrosto con un contorno di patate fritte o in umido o con verdure bollite e condite all’agro con olio,aglio, sale e limone.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Per la preparazione di questa succulenta ricetta, se si vuole ottener il miglior risultato occorre fornirsi in macelleria di un pezzo abbastanza grosso di carne non di manzo, ma rigorosamente di vitello/a anzi di *annecchia che con derivazione dal lat. annicula→anniclja→annecchia indica il vitello o la vitella molto giovane quella bestia cioè che non abbia superato l’anno d’età ed abbia gustose carni sode, morbide e non grasse (occorrerà infatti steccarle).
Ingredienti per 6 persone:
• da 1 kg. ad 1,5 kg. di pezza a cannella, (altrove) noce di vitello,
1 cucchiaio di sugna,
• un rametto di rosmarino,
• 2 spicchi di aglio mondati e spaccati in due parti,
• 1 bicchiere e mezzo di vino bianco secco,
• 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
2 etti di pancetta tesa o lardo di groppa tagliati a bastoncini di cm. 5x2x1,
• sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
Incidete il grosso pezzo di carne in 3 o 4 punti con un coltello a lama appuntita e infilatevi i pezzi di aglio, i rametti di rosmarino e i bastoncini di pancetta o lardo, salatela e pepatela; legatela con uno spago da cucina per mantenerla in forma durante la cottura e mettetela in una casseruola con lo strutto ed irroratela con l’ olio e ponete il recipiente sul fuoco.
Fate rosolare la carne a calore vivace per qualche minuto, rigirandola spesso.
Quando si presenterà ben colorita, bagnatela con il vino bianco e lasciatelo evaporare.
Passate il recipiente in forno preriscaldato a 180° e lasciate cuocere la carne per un'ora e mezzo circa.
Durante la cottura, aprite il forno di tanto in tanto e cospargete la carne con il sughetto che raccoglierete con un cucchiaio.
Se necessario, aggiungete acqua bollente. A fine cottura sgocciolate la carne dal sugo, affettatela in fette spesse 1 cm., disponete le fette su un piatto caldo ed irrorate con il sughetto.
Servite in tavola accompagnando l’arrosto con un contorno di patate fritte o in umido o con verdure bollite e condite all’agro con olio,aglio, sale e limone.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
SUONNE SUNNATE
Suonne sunnate
…E a uno a uno, tutte so’ cadute
’e suonne ca facevo da guaglione…
Comme d’autunno ’e ffronne, uno muntone
’a vita ll’à arrunzate… e te saluto!
E mo sto’ cca ogni gghiuorno cchiú avveluto
ca cerco ’e me ne farme ’na raggione…
me dico: che vuó fà? chest’è ’a strazzione
chest’era destinato e tanto hê avuto…
Ma nun me ne cunvinco, nonzignore!
E comme, e santu Ddio!, manco tantillo
’e chello ca speraje cu tutt’ ’o core
’O Cielo m’êsse ditto: teccatillo?!
Eppure accussí è, accussí è stato
e so’ rummase, ahimmé, suonne sunnate!
RAFFAELE BRACALE
(dal vol. 'E CCOSE D''O PPASSATO ed. Graus)
…E a uno a uno, tutte so’ cadute
’e suonne ca facevo da guaglione…
Comme d’autunno ’e ffronne, uno muntone
’a vita ll’à arrunzate… e te saluto!
E mo sto’ cca ogni gghiuorno cchiú avveluto
ca cerco ’e me ne farme ’na raggione…
me dico: che vuó fà? chest’è ’a strazzione
chest’era destinato e tanto hê avuto…
Ma nun me ne cunvinco, nonzignore!
E comme, e santu Ddio!, manco tantillo
’e chello ca speraje cu tutt’ ’o core
’O Cielo m’êsse ditto: teccatillo?!
Eppure accussí è, accussí è stato
e so’ rummase, ahimmé, suonne sunnate!
RAFFAELE BRACALE
(dal vol. 'E CCOSE D''O PPASSATO ed. Graus)
NAPULE MIA!...
Napule mia!…
I
Te stanno distruggenno!… Pure ’o mare
’o mare bbello, t’ànno avvelenato…
’Nun ll’abbastaje ’e s’arrubbà denare,
peffino ’a dignità se so’ pigliata!
Eramo ’na nazione, e a quanto pare
mo simmo meno ’e niente addeventate:
Napule mia, e quanti mmorze amare
ce âmmo agliuttute, nce simmo magnate!
E tutte’ànno azzuppato: chi venette,
chi se truvaje ’e passaggio: o bbuono e ’o tristo
ognuno arricettaje e annascunnette
ognuno addeventaje ’nu cammurrista
pe paccariarte e te spugliarte ’e tutto,
deciso, e comme!, a farlo bbuono ’o bbutto!
II
E tu, mannaggia a tte, tu zitta e mmuta
l’hê fatto fà, senza dicere niente!
Pecché, Napule mia, t’ ’o ssî tenuto
e l’hê permiso a ’sti quatte pezziente
’e scurtecarte?!… E comme l’hê pututo?
E mo? Mo aize ’a capa inutilmente…
È ttarde ormaje, ormaje t’ànno futtuta!
E aje voglia ’e fà nun c’è cchiú salvamiento:
’a ch’ire masta, mo fatte capace
mo staje a guagliona e t’hê ’a tenerte ’a posta.
Che te vuó ribbellarte? Datte pace:
mo nun sî cchiú nisciuna!… E ’e ffaccetoste
ca te danno curaggio, damme retta
te pigliano pe ffessa, nce scummetto.
III
E si t’ ’o dico e nn’ ’o ttengo annascuso,
m’hê ’a credere è pecché me sape a dduro
pe ccomme sî arredotta… e sto’ ’nguttuso
penzanno ca ’sti fforme ’e ’mpustature
’sti giesuite fauze e cuntignuse,
tenenno ’a chiave ’e cchiú ’e ’na mascatura
stànno azzuppanno ’o ppane, ’sti mafiuse
ca parlano facenno ’e prufessure,
ma invece nun le ’mporta ’o riesto ’e niente
’e stu paese cca… ’o fatto overo
è ca fanno ’e sapute unicamente
pe scurchiglià quaccosa a chi nce crere
a tutt’ ’e mmille chiacchiere assurtite…
a ’sti cunziglie… quase maje gratuíte!
IV
E ognuno ’e lloro te caccia ’a ricetta
’o studio fatto apposta e situato,
’a soluzzione ch’è propeto allicchetto
ca costa poco o niente, ma è indicata
pe te salvà…, pe metterte ’nzeggetta,
pe te fà saglí ancora ’a scalinata
e farte fà a figura ’e primm’aletta
comm’ire tanno, ô seculo passato…
E cu ’sta scusa ’e te salvarte ’a pella
vanno ’assettarse ô posto… d’ ’e barune
e masterianno ognuno dint’â tiella,
’a ch’erano sultanto ’e si’ nisciuno,
so’ addeventate tali puzze ’e scienza,
ca tutto cosa… ’o ppigliano ’ncrerenza…
V
Ma ’e fatte nun se vedono… purtroppo!
Chiacchiere e ttabbacchere: e questo è quanto!
Ca si fanno quaccosa, è ’a coppa ’a coppa,
chello ca vede ’a suocera sultanto:
è tutto applò, muféta, ’nu rattoppo
ch’appara ll’uocchie, ma sotto è vacante…
e tu, paese mio, sî sempe zuoppo,
aje voglia ’e cummiglià, sî ’o stesso chianto…
’O stesso chianto ca ggià dura ’a tiempo
e nun ce sta speranza… ’o fatto è sserio
pecché oramaje ’stu chianto tujo è pe ssempe
e mare a nuje, nun ce sta cchiú remmerio:
e a che te serve ca tu aize ’a voce,
quanno pe sempe t’ànno miso ’ncroce?
VI
E nun ’a mo… Facenno bbuono ’e cunte
è cchiú ’e cient’anne e cchiú ca ne staje avenno
corde e funicellate e quante affrunte!
So’ cchiú ’e cient’anne ca tu staje chiagnenno
’a quanno te truvaste chill’accunte,
ca sott’ô colpo e senza jí sapenno
te libberajeno e… appresentajeno ’o cunto
ca p’ ’o pavà, tu ancora vaje pezzènno!
Purtajeno ’a libbertà! E tu ’e crediste!
’A libbertà! E ttu te ll’ammuccaste!
Cu nuje staje bbona! ’E bbraccia ll’arapiste
e te faciste fà crastule craste…
E mmo, mo staje scuntanno ’e peracotte,
ma che vuó fà… ormaje è scurata notte…
VII
E ’o cielo è cupo cupo, senza stelle
e comme a ’nu cecato senza ’o cane
mo vaje arrancanno, ’o vvi’… e, puverella,
te pienze ancora d’ ’a truvà ’na mana
ca t’accumpagna?… hê perzo ’e cerevelle
’sta mana nun ce sta… Nun c’è dimane
ormaje pe tte!… T’ànno spezzato ’e scelle:
nun puó vulà maje cchiú… fattélla ’nchiano
’sta strata ca te resta… Ma sperammo
ca almeno ’o nomme tujo, almeno chillo!,
quaccuno ’o salva… pecché, comme stammo.
i’ ’a veco nera assaje! ’Stu ppucurillo
ca nc’è restato ’e te, quant’ato dura?
Cchiú poco ’e niente, ahimmé, chest’è sicuro…
VIII
Ca comme a pigna d’uva, dalle e ddalle,
n’aceno â vota… ànno distrutto tutto…
Ànno ammunnato bbuono ’o purtuallo
e tiene mente a tte, t’ànno arredutta
sciarmata comme ô peggio sciarabballo…
e pazzianno a asso pigliatutto
ànno arrunzato e mo nun vaje tre ccalle…
E cchisto, terra mia, chist’è ’o custrutto
’e ’sti cient’anne e cchiú… Chist’è ’o finale!
’Na pucuntria cucente comme ’o ffuoco
e ’na tristezza amara ca fa male
e ca t’accedarrà a ppoco a ppoco…
Che bbrutta fine pe chi fuje riggina,
pe tte, Napule mia, che bbrutta fine!
marzo 1995
raffaele bracale
(dal vol. 'E CCOSE D''O PASSATO - ediz. Graus)
I
Te stanno distruggenno!… Pure ’o mare
’o mare bbello, t’ànno avvelenato…
’Nun ll’abbastaje ’e s’arrubbà denare,
peffino ’a dignità se so’ pigliata!
Eramo ’na nazione, e a quanto pare
mo simmo meno ’e niente addeventate:
Napule mia, e quanti mmorze amare
ce âmmo agliuttute, nce simmo magnate!
E tutte’ànno azzuppato: chi venette,
chi se truvaje ’e passaggio: o bbuono e ’o tristo
ognuno arricettaje e annascunnette
ognuno addeventaje ’nu cammurrista
pe paccariarte e te spugliarte ’e tutto,
deciso, e comme!, a farlo bbuono ’o bbutto!
II
E tu, mannaggia a tte, tu zitta e mmuta
l’hê fatto fà, senza dicere niente!
Pecché, Napule mia, t’ ’o ssî tenuto
e l’hê permiso a ’sti quatte pezziente
’e scurtecarte?!… E comme l’hê pututo?
E mo? Mo aize ’a capa inutilmente…
È ttarde ormaje, ormaje t’ànno futtuta!
E aje voglia ’e fà nun c’è cchiú salvamiento:
’a ch’ire masta, mo fatte capace
mo staje a guagliona e t’hê ’a tenerte ’a posta.
Che te vuó ribbellarte? Datte pace:
mo nun sî cchiú nisciuna!… E ’e ffaccetoste
ca te danno curaggio, damme retta
te pigliano pe ffessa, nce scummetto.
III
E si t’ ’o dico e nn’ ’o ttengo annascuso,
m’hê ’a credere è pecché me sape a dduro
pe ccomme sî arredotta… e sto’ ’nguttuso
penzanno ca ’sti fforme ’e ’mpustature
’sti giesuite fauze e cuntignuse,
tenenno ’a chiave ’e cchiú ’e ’na mascatura
stànno azzuppanno ’o ppane, ’sti mafiuse
ca parlano facenno ’e prufessure,
ma invece nun le ’mporta ’o riesto ’e niente
’e stu paese cca… ’o fatto overo
è ca fanno ’e sapute unicamente
pe scurchiglià quaccosa a chi nce crere
a tutt’ ’e mmille chiacchiere assurtite…
a ’sti cunziglie… quase maje gratuíte!
IV
E ognuno ’e lloro te caccia ’a ricetta
’o studio fatto apposta e situato,
’a soluzzione ch’è propeto allicchetto
ca costa poco o niente, ma è indicata
pe te salvà…, pe metterte ’nzeggetta,
pe te fà saglí ancora ’a scalinata
e farte fà a figura ’e primm’aletta
comm’ire tanno, ô seculo passato…
E cu ’sta scusa ’e te salvarte ’a pella
vanno ’assettarse ô posto… d’ ’e barune
e masterianno ognuno dint’â tiella,
’a ch’erano sultanto ’e si’ nisciuno,
so’ addeventate tali puzze ’e scienza,
ca tutto cosa… ’o ppigliano ’ncrerenza…
V
Ma ’e fatte nun se vedono… purtroppo!
Chiacchiere e ttabbacchere: e questo è quanto!
Ca si fanno quaccosa, è ’a coppa ’a coppa,
chello ca vede ’a suocera sultanto:
è tutto applò, muféta, ’nu rattoppo
ch’appara ll’uocchie, ma sotto è vacante…
e tu, paese mio, sî sempe zuoppo,
aje voglia ’e cummiglià, sî ’o stesso chianto…
’O stesso chianto ca ggià dura ’a tiempo
e nun ce sta speranza… ’o fatto è sserio
pecché oramaje ’stu chianto tujo è pe ssempe
e mare a nuje, nun ce sta cchiú remmerio:
e a che te serve ca tu aize ’a voce,
quanno pe sempe t’ànno miso ’ncroce?
VI
E nun ’a mo… Facenno bbuono ’e cunte
è cchiú ’e cient’anne e cchiú ca ne staje avenno
corde e funicellate e quante affrunte!
So’ cchiú ’e cient’anne ca tu staje chiagnenno
’a quanno te truvaste chill’accunte,
ca sott’ô colpo e senza jí sapenno
te libberajeno e… appresentajeno ’o cunto
ca p’ ’o pavà, tu ancora vaje pezzènno!
Purtajeno ’a libbertà! E tu ’e crediste!
’A libbertà! E ttu te ll’ammuccaste!
Cu nuje staje bbona! ’E bbraccia ll’arapiste
e te faciste fà crastule craste…
E mmo, mo staje scuntanno ’e peracotte,
ma che vuó fà… ormaje è scurata notte…
VII
E ’o cielo è cupo cupo, senza stelle
e comme a ’nu cecato senza ’o cane
mo vaje arrancanno, ’o vvi’… e, puverella,
te pienze ancora d’ ’a truvà ’na mana
ca t’accumpagna?… hê perzo ’e cerevelle
’sta mana nun ce sta… Nun c’è dimane
ormaje pe tte!… T’ànno spezzato ’e scelle:
nun puó vulà maje cchiú… fattélla ’nchiano
’sta strata ca te resta… Ma sperammo
ca almeno ’o nomme tujo, almeno chillo!,
quaccuno ’o salva… pecché, comme stammo.
i’ ’a veco nera assaje! ’Stu ppucurillo
ca nc’è restato ’e te, quant’ato dura?
Cchiú poco ’e niente, ahimmé, chest’è sicuro…
VIII
Ca comme a pigna d’uva, dalle e ddalle,
n’aceno â vota… ànno distrutto tutto…
Ànno ammunnato bbuono ’o purtuallo
e tiene mente a tte, t’ànno arredutta
sciarmata comme ô peggio sciarabballo…
e pazzianno a asso pigliatutto
ànno arrunzato e mo nun vaje tre ccalle…
E cchisto, terra mia, chist’è ’o custrutto
’e ’sti cient’anne e cchiú… Chist’è ’o finale!
’Na pucuntria cucente comme ’o ffuoco
e ’na tristezza amara ca fa male
e ca t’accedarrà a ppoco a ppoco…
Che bbrutta fine pe chi fuje riggina,
pe tte, Napule mia, che bbrutta fine!
marzo 1995
raffaele bracale
(dal vol. 'E CCOSE D''O PASSATO - ediz. Graus)
IL DUBBIO.
IL DUBBIO.
di Raffaele Bracale
Che se ne sia persa la semenza?… Che sia scomparso prematuramente e passato a quella che si dice sia la miglior vita?…
Dev’essere cosí… Ne son convinto, ormai. E per forza!
Apro una rivista, sfoglio un settimanale, un quotidiano (‘na cosa qualunque, insomma…) embè, mi dovete credere, mi imbatto sempre in qualcuno che mi partecipa una verità sacrosanta, che – ça va sans dire – non ammette repliche di sorta.
Il dubbio…, l’incertezza…, il “chi sa”… non appartengono piú al nostro claudicante tempo.
Si procede per affermazioni categoriche, per assiomi, per corollarî.
Tutti sanno tutto di tutto e di tutti e, mannaggia ê cane ‘e caccia!, lo sanno in maniera certa e sicura e inconfutabile…
Pigliate una qualsiasi “carta stampata” con le sue “firme” importanti e avrete la conferma palese di ciò che vengo dicendo.
In effetti è facile: davanti ad un foglio bianco e senza la presenza di un interlocutore, chiunque può permettersi il lusso di affermare: “Chesta è ‘a verità, ‘a saccio sul’ io e mo vi faccio la grazia di parteciparvela…” E lo fa senza correre il pericolo di sentirsi dire:”Neh, Titò! Ma tu che cacchio stai dicendo?!”
Tanto è risaputo che un ipotetico lettore che voglia controbattere una qualsiasi affermazione, non tiene che una via di uscita: la lettera di protesta, o di precisazione o di chiarimento (magari documentato…) , lettera che però - nel novantanove per cento dei casi - verrà cestinata prima ancora di essere letta e non sarà mai pubblicata; di talché si verrà a formare, nella pletora dei lettori, l’ idea che l’ unica “verità vera” è quella sciorinata dall’ articolista, tanto è vero che nessuno si è permesso di eccepire…
E se, puta caso, uno è di idea contraria, si guarderà bene dall’ enunciarla, se tène ‘a posta e se sta zitto pe nun fà ‘a fijura d’ ‘o fesso…
E questa la carta stampata…
Quando poi passiamo alla carta… parlata (lèggi: Mamma RAI, Canale 5 e compagnia bella), il fatto diventa grottesco, per non dir di peggio.
La spia rossa delle telecamere, gli obbiettivi delle medesime, irradiano sul “concionatore” di turno una sorta di fluido che èccita, turba ed esalta.
Sollecitato, se non solleticato, dalle domande (ora sciocche, ora pepate, ora furbe, ora decisamente ‘nzipete) del presentatore o dell’ “uomo-ancora”, il “pozzo di scienza” di turno, il piú delle volte, se ne va ‘e mmummera e comincia a sentenziare, asserire, accertare, attestare, asseverare, con dovizia di esempi e logorroica sicumera, trascinando, nella piena delle sue immarcescibili certezze, l’ uditorio tutto che resta, ahilui! - irretito com’è nel conopèo del fiume di parole - conquiso, abbacinato, affascinato, sedotto… in una parola: bello e fottuto.
E ce ne fosse uno, dico uno, che nel contraddittorio, che spesso spesso tiene sèguito alle interviste televisive, dicevo, ce ne fosse uno che receda da una sua affermazione, che si lasci sfiorare dal dubbio (”E se fosse vero quello che sta dicendo il mio antagonista?…).
Manco p’ ‘a capa! Tutti, ammantati nella clamide della propria onniscienza, urlano la incontrovertibilità della propria massima, del proprio asserto, della proposizione, del principio, dell’ aforismo, del domma che volta a volta vengon enunciando, mirando a zittire l’ interlocutore, ad annichilirlo. E te futte se, per fare ciò, mettono in giuoco le proprie coronarie e corrono il rischio ‘e se fà vení ‘na cosa… Te futte! La gloria prima di ogni altra cosa!
Il tutto sotto lo sguardo divertito o il baffo tremulo del moderatore di turno che – naturalmente – sape isso ‘o juoco e, se ciò che viene detto non collima con il suo “sapere” è pronto o a levar la parola o a menare la stoccata finale per chiudere la partita, rivelando “lippis et tonsoribus, urbi et orbi” dove e quale sia la verità. Che – manco a dirlo – è la sua!
Del resto come dubitarne? Uno che parla in televisione, che tiene – che ne so? - le veline, le vallette, il maggiordomo, può mai dire sciocchezze?
Può mai contare chiacchiere uno ca sta dint’ â televisione, uno ca tène ‘e sponsòr? Pô maje smammà fessarie l’esperto di turno, uno cioè che à fatto le scuole esagerate, che tiene cattedra e cadrega, uno che quando gli studenti all’ università ‘o sentono ‘e parlà, raggiungono l’acme del piacere e – se interrogati dal sullodato padreterno – s’ ‘a fanno sotto?
E io? Io, che nell’ oltre mezzo secolo dell’ esistenza mia, non ò messo insieme che tre o quattro piccole verità (di cui la maggior parte con la vu minuscola…)? Io, niente…
Chiudo la rivista, ‘nzerro ‘a televisione e mi sorprendo a ripetermi:
“Rafè quanto sî ffesso!… Possibile ca tu sulo nun t’ hê ‘mparato niente? Possibile ca tu sulo non sei sicuro di niente? Possibile ca tu sulo fai tutto possibile? Possibile che sei rimasto fermo a Cartesio? Possibile che – non negare! - se qualcuno ti dicesse: “’O ciuccio vola…”, fusse cacchio ‘e aizà ‘a capa pe guardà?…
Ma mèttiti al passo con i tempi, datte ‘na mossa, muovete!
Il mondo, Rafè, è di chi non dubita mai, di chi – giuste o sbagliate che siano – urla le proprie idee, e si tura le orecchie davanti a quelle degli altri.
Il mondo, Rafè, è soprattutto di chi non ammette repliche, di chi sa quello che vuole. Sempre, comunque e dovunque…”
A meno che la verità non sia da tutt’ altra parte…
Ma vallo a sapè…
di Raffaele Bracale
Che se ne sia persa la semenza?… Che sia scomparso prematuramente e passato a quella che si dice sia la miglior vita?…
Dev’essere cosí… Ne son convinto, ormai. E per forza!
Apro una rivista, sfoglio un settimanale, un quotidiano (‘na cosa qualunque, insomma…) embè, mi dovete credere, mi imbatto sempre in qualcuno che mi partecipa una verità sacrosanta, che – ça va sans dire – non ammette repliche di sorta.
Il dubbio…, l’incertezza…, il “chi sa”… non appartengono piú al nostro claudicante tempo.
Si procede per affermazioni categoriche, per assiomi, per corollarî.
Tutti sanno tutto di tutto e di tutti e, mannaggia ê cane ‘e caccia!, lo sanno in maniera certa e sicura e inconfutabile…
Pigliate una qualsiasi “carta stampata” con le sue “firme” importanti e avrete la conferma palese di ciò che vengo dicendo.
In effetti è facile: davanti ad un foglio bianco e senza la presenza di un interlocutore, chiunque può permettersi il lusso di affermare: “Chesta è ‘a verità, ‘a saccio sul’ io e mo vi faccio la grazia di parteciparvela…” E lo fa senza correre il pericolo di sentirsi dire:”Neh, Titò! Ma tu che cacchio stai dicendo?!”
Tanto è risaputo che un ipotetico lettore che voglia controbattere una qualsiasi affermazione, non tiene che una via di uscita: la lettera di protesta, o di precisazione o di chiarimento (magari documentato…) , lettera che però - nel novantanove per cento dei casi - verrà cestinata prima ancora di essere letta e non sarà mai pubblicata; di talché si verrà a formare, nella pletora dei lettori, l’ idea che l’ unica “verità vera” è quella sciorinata dall’ articolista, tanto è vero che nessuno si è permesso di eccepire…
E se, puta caso, uno è di idea contraria, si guarderà bene dall’ enunciarla, se tène ‘a posta e se sta zitto pe nun fà ‘a fijura d’ ‘o fesso…
E questa la carta stampata…
Quando poi passiamo alla carta… parlata (lèggi: Mamma RAI, Canale 5 e compagnia bella), il fatto diventa grottesco, per non dir di peggio.
La spia rossa delle telecamere, gli obbiettivi delle medesime, irradiano sul “concionatore” di turno una sorta di fluido che èccita, turba ed esalta.
Sollecitato, se non solleticato, dalle domande (ora sciocche, ora pepate, ora furbe, ora decisamente ‘nzipete) del presentatore o dell’ “uomo-ancora”, il “pozzo di scienza” di turno, il piú delle volte, se ne va ‘e mmummera e comincia a sentenziare, asserire, accertare, attestare, asseverare, con dovizia di esempi e logorroica sicumera, trascinando, nella piena delle sue immarcescibili certezze, l’ uditorio tutto che resta, ahilui! - irretito com’è nel conopèo del fiume di parole - conquiso, abbacinato, affascinato, sedotto… in una parola: bello e fottuto.
E ce ne fosse uno, dico uno, che nel contraddittorio, che spesso spesso tiene sèguito alle interviste televisive, dicevo, ce ne fosse uno che receda da una sua affermazione, che si lasci sfiorare dal dubbio (”E se fosse vero quello che sta dicendo il mio antagonista?…).
Manco p’ ‘a capa! Tutti, ammantati nella clamide della propria onniscienza, urlano la incontrovertibilità della propria massima, del proprio asserto, della proposizione, del principio, dell’ aforismo, del domma che volta a volta vengon enunciando, mirando a zittire l’ interlocutore, ad annichilirlo. E te futte se, per fare ciò, mettono in giuoco le proprie coronarie e corrono il rischio ‘e se fà vení ‘na cosa… Te futte! La gloria prima di ogni altra cosa!
Il tutto sotto lo sguardo divertito o il baffo tremulo del moderatore di turno che – naturalmente – sape isso ‘o juoco e, se ciò che viene detto non collima con il suo “sapere” è pronto o a levar la parola o a menare la stoccata finale per chiudere la partita, rivelando “lippis et tonsoribus, urbi et orbi” dove e quale sia la verità. Che – manco a dirlo – è la sua!
Del resto come dubitarne? Uno che parla in televisione, che tiene – che ne so? - le veline, le vallette, il maggiordomo, può mai dire sciocchezze?
Può mai contare chiacchiere uno ca sta dint’ â televisione, uno ca tène ‘e sponsòr? Pô maje smammà fessarie l’esperto di turno, uno cioè che à fatto le scuole esagerate, che tiene cattedra e cadrega, uno che quando gli studenti all’ università ‘o sentono ‘e parlà, raggiungono l’acme del piacere e – se interrogati dal sullodato padreterno – s’ ‘a fanno sotto?
E io? Io, che nell’ oltre mezzo secolo dell’ esistenza mia, non ò messo insieme che tre o quattro piccole verità (di cui la maggior parte con la vu minuscola…)? Io, niente…
Chiudo la rivista, ‘nzerro ‘a televisione e mi sorprendo a ripetermi:
“Rafè quanto sî ffesso!… Possibile ca tu sulo nun t’ hê ‘mparato niente? Possibile ca tu sulo non sei sicuro di niente? Possibile ca tu sulo fai tutto possibile? Possibile che sei rimasto fermo a Cartesio? Possibile che – non negare! - se qualcuno ti dicesse: “’O ciuccio vola…”, fusse cacchio ‘e aizà ‘a capa pe guardà?…
Ma mèttiti al passo con i tempi, datte ‘na mossa, muovete!
Il mondo, Rafè, è di chi non dubita mai, di chi – giuste o sbagliate che siano – urla le proprie idee, e si tura le orecchie davanti a quelle degli altri.
Il mondo, Rafè, è soprattutto di chi non ammette repliche, di chi sa quello che vuole. Sempre, comunque e dovunque…”
A meno che la verità non sia da tutt’ altra parte…
Ma vallo a sapè…
domenica 29 giugno 2008
AGNELLONE Â CACCIATORA
AGNELLONE Â CACCIATORA
Ingredienti per 4 persone:
1 kg. di spezzato di groppa d’ agnellone in pezzi di ca cm. 4 x 6 x 2
1 cucchiaio di strutto
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.
1/2 bicchiere di aceto
4 acciughe dissalate lavate e spinate o equivalenti filetti d’acciuga sott’olio
Farina q.s.
1 spicchio d’Aglio mondato ed affettato
½ cipolla dorata tritata grossolanamente
400 gr. di polpa di pomodoro
Rosmarino q.s.
Salvia q.s.
Sale fino e pepe bianco q.s.
Procedimento
Lavare ed asciugare i pezzi d’agnellone, infarinarli accuratamente e farli rosolare a fuoco vivo con lo strutto e l’olio con la cipolla tritata; appena rosolati unire la polpa di pomodoro e infine aggiungere sale, pepe e spolverizzandoil tutto con un battuto di aglio, rosmarino e salvia. Bagnare l'agnellone con l'aceto e 1/2 bicchiere d'acqua.
Cuocere la carne per circa un’ora a fuoco moderato mescolandola con cura per non farla attaccare.
Nel frattempo mettere in un tegamino tutte le acciughe schiacciate con un filo d’olio, stemperarle e mescolare fino a d ottenere una salsina che verrà aggiunta alla carne a cottura ultimata.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
nota
allo spezzato d’agnellone si può sostituire vantaggiosamente un coscio di capretto disossato, e tagliato in grossi pezzi.
raffaele bracale
Ingredienti per 4 persone:
1 kg. di spezzato di groppa d’ agnellone in pezzi di ca cm. 4 x 6 x 2
1 cucchiaio di strutto
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.
1/2 bicchiere di aceto
4 acciughe dissalate lavate e spinate o equivalenti filetti d’acciuga sott’olio
Farina q.s.
1 spicchio d’Aglio mondato ed affettato
½ cipolla dorata tritata grossolanamente
400 gr. di polpa di pomodoro
Rosmarino q.s.
Salvia q.s.
Sale fino e pepe bianco q.s.
Procedimento
Lavare ed asciugare i pezzi d’agnellone, infarinarli accuratamente e farli rosolare a fuoco vivo con lo strutto e l’olio con la cipolla tritata; appena rosolati unire la polpa di pomodoro e infine aggiungere sale, pepe e spolverizzandoil tutto con un battuto di aglio, rosmarino e salvia. Bagnare l'agnellone con l'aceto e 1/2 bicchiere d'acqua.
Cuocere la carne per circa un’ora a fuoco moderato mescolandola con cura per non farla attaccare.
Nel frattempo mettere in un tegamino tutte le acciughe schiacciate con un filo d’olio, stemperarle e mescolare fino a d ottenere una salsina che verrà aggiunta alla carne a cottura ultimata.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
nota
allo spezzato d’agnellone si può sostituire vantaggiosamente un coscio di capretto disossato, e tagliato in grossi pezzi.
raffaele bracale
AGNELLO E SALSICCIA CON I FUNGHI
Agnello e salsiccia con i funghi
Ingredienti e Dosi per 6 persone:
1Kg. di salsiccia di maiale,
1 Kg. di groppa di agnello tagliato in grossi pezzi di cm. 5 x 3,
1/2 Kg. di funghi cardoncelli, 2 spicchi d' aglio mondati e tritati,
½ kg. pomidorini ciliegia,
1 etto di pecorino laticauda grattugiato,
1 bicchiere di olio d’oliva e.v.,
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento:
Porre in un tegame da forno ben unto d' olio, i pezzi di agnello lavati ed asciugati,i rocchi di salsiccia lavati e punzecchiati ed i funghi cardoncelli nettati. Aggiungere l' aglio sminuzzato, i pomidorini ciliegia tagliati in quattro, il sale, il pepe ed il pecorino grattugiato. Cospargere il tutto con olio e con un bicchiere d' acqua bollente ed infornare per un’ora a 220°. A metà cottura abbassare la temperatura portandola a 180°.
Piatto gustosissimo in cui i sapori forti della salsiccia e dell’agnello son mitigati dal delicato sapore dei cardoncelli, pur in presenza del formaggio pecorino!
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Ingredienti e Dosi per 6 persone:
1Kg. di salsiccia di maiale,
1 Kg. di groppa di agnello tagliato in grossi pezzi di cm. 5 x 3,
1/2 Kg. di funghi cardoncelli, 2 spicchi d' aglio mondati e tritati,
½ kg. pomidorini ciliegia,
1 etto di pecorino laticauda grattugiato,
1 bicchiere di olio d’oliva e.v.,
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento:
Porre in un tegame da forno ben unto d' olio, i pezzi di agnello lavati ed asciugati,i rocchi di salsiccia lavati e punzecchiati ed i funghi cardoncelli nettati. Aggiungere l' aglio sminuzzato, i pomidorini ciliegia tagliati in quattro, il sale, il pepe ed il pecorino grattugiato. Cospargere il tutto con olio e con un bicchiere d' acqua bollente ed infornare per un’ora a 220°. A metà cottura abbassare la temperatura portandola a 180°.
Piatto gustosissimo in cui i sapori forti della salsiccia e dell’agnello son mitigati dal delicato sapore dei cardoncelli, pur in presenza del formaggio pecorino!
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Agnello con le patate al forno
Agnello con le patate al forno
ingredienti e dosi per 6 persone
2 kg di spezzato di groppa di agnello con l'osso,
2 kg di patate vecchie a pasta bianca,
1 bicchiere e mezzo di olio d'oliva e.v.,
2 spicchi d'aglio mondati e tritati,
mezza cipolla dorata mondata e tritata, ,
3 cucchiai di pangrattato,
20 pomidoro d’’o piennulo,
un rametto di rosmarino fresco,
1 bicchiere di vino bianco secco,
sale fino e pepe nero q.s..
procedimento
In una grande teglia di alluminio, che possa andar bene sia sulla fiamma di fornello che nel forno, si metta il bicchiere d'olio d'oliva e.v. , quindi si mettano i pezzi d'agnello ben lavati sotto acqua corrente ed asciugati. Si uniscano gli spicchi d'aglio mondati e tritati e gli aghi di rosmarino, distribuendoli su tutta la superficie della carne. Si ponga la teglia sulla fiamma alta di fornello e si faccia rosolare l'agnello nell'olio,dopo 10 minuti di cottura si unisca la cipolla mondata e tritata, quindi si pelino le patate e, dopo averle tagliate a spicchi grossi, si mescolino all'agnello, si condiscano ad libitum con il sale e il pepe, si mescolino ancora utilizzando una grossa spatola,ed infine si metta la teglia in forno già caldo a 220° e si faccia completare la cottura di agnello e patate, spruzzando dapprima col vino bianco e poi, se necessario, anche con un mestolino di acqua calda.
5 minuti prima di togliere l'agnello dal forno, si cosparga di pangrattato e si faccia rosolare sotto il grill.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
ingredienti e dosi per 6 persone
2 kg di spezzato di groppa di agnello con l'osso,
2 kg di patate vecchie a pasta bianca,
1 bicchiere e mezzo di olio d'oliva e.v.,
2 spicchi d'aglio mondati e tritati,
mezza cipolla dorata mondata e tritata, ,
3 cucchiai di pangrattato,
20 pomidoro d’’o piennulo,
un rametto di rosmarino fresco,
1 bicchiere di vino bianco secco,
sale fino e pepe nero q.s..
procedimento
In una grande teglia di alluminio, che possa andar bene sia sulla fiamma di fornello che nel forno, si metta il bicchiere d'olio d'oliva e.v. , quindi si mettano i pezzi d'agnello ben lavati sotto acqua corrente ed asciugati. Si uniscano gli spicchi d'aglio mondati e tritati e gli aghi di rosmarino, distribuendoli su tutta la superficie della carne. Si ponga la teglia sulla fiamma alta di fornello e si faccia rosolare l'agnello nell'olio,dopo 10 minuti di cottura si unisca la cipolla mondata e tritata, quindi si pelino le patate e, dopo averle tagliate a spicchi grossi, si mescolino all'agnello, si condiscano ad libitum con il sale e il pepe, si mescolino ancora utilizzando una grossa spatola,ed infine si metta la teglia in forno già caldo a 220° e si faccia completare la cottura di agnello e patate, spruzzando dapprima col vino bianco e poi, se necessario, anche con un mestolino di acqua calda.
5 minuti prima di togliere l'agnello dal forno, si cosparga di pangrattato e si faccia rosolare sotto il grill.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
‘A CACCAVELLA CU ‘O PUORCO*
‘A CACCAVELLA CU ‘O PUORCO*
Ingredienti e dosi per 6 persone:
1,5 kg di polpa (lonza) di maiale
farina q.s.
1/2 cipolla dorata mondata e tritata
5 spicchi d’aglio senza camicia
3 rametti di rosmarino
3 rametti di salvia
2 peperoncini piccanti,
1 bicchiere d’olio extravergine di oliva
1 bicchiere di vino bianco
1 pizzico di cannella in polvere
2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro
*Il tegame con il maiale; caccavella = tegame di coccio dal lat. caccabella(m)
Procedimento.
Tagliare la polpa di maiale a cubetti di 2,5 cm. di lato ed infarinarla. Preparare, in una teglia rigorosamente di coccio, un buon trito di cipolla e d’aglio privo di camicia, con rosmarino, salvia e peperoncino piccante . Far imbiondire nell’olio. Aggiungere la carne infarinata , facendola rosolare da tutte le parti. Bagnare con il vino bianco, quindi aggiungere il concentrato sciolto in una tazza di acqua calda. Far sobbollire dolcemente e far cuocere per un’ora e mezza circa a fiamma dolce. Aggiungere il sale ed infine la cannella in polvere. Mandare in tavola calda di fornello questa gustosissima caccavella ‘e puorco.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
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Ingredienti e dosi per 6 persone:
1,5 kg di polpa (lonza) di maiale
farina q.s.
1/2 cipolla dorata mondata e tritata
5 spicchi d’aglio senza camicia
3 rametti di rosmarino
3 rametti di salvia
2 peperoncini piccanti,
1 bicchiere d’olio extravergine di oliva
1 bicchiere di vino bianco
1 pizzico di cannella in polvere
2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro
*Il tegame con il maiale; caccavella = tegame di coccio dal lat. caccabella(m)
Procedimento.
Tagliare la polpa di maiale a cubetti di 2,5 cm. di lato ed infarinarla. Preparare, in una teglia rigorosamente di coccio, un buon trito di cipolla e d’aglio privo di camicia, con rosmarino, salvia e peperoncino piccante . Far imbiondire nell’olio. Aggiungere la carne infarinata , facendola rosolare da tutte le parti. Bagnare con il vino bianco, quindi aggiungere il concentrato sciolto in una tazza di acqua calda. Far sobbollire dolcemente e far cuocere per un’ora e mezza circa a fiamma dolce. Aggiungere il sale ed infine la cannella in polvere. Mandare in tavola calda di fornello questa gustosissima caccavella ‘e puorco.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
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sabato 28 giugno 2008
PANZAROTTI NAPOLETANI
PANZAROTTI NAPOLETANI
Ingredienti per 4 persone
• 1 Kg di patate a pasta gialla
• 4 uova di cui uno per indorare
• pangrattato q.s.
• 4 cucchiai di parmigiano ben grattugiato
4 cucchiai di pecorino romano grattugiato finissimo
• 1 etto di burro o ½ etto di sugna
farina 4 cucchiai
1 ciuffo di prezzemolo tritato finissimo
sale fino, pepe bianco q.s.
1 etto di salame tipo napoli tagliato a piccoli pezzetti
2 etti di fiordilatte, tenuto in frigo 12 ore e poi tagliato in listarelle di 5 cm. x uno.
Abbondante olio per fritture.
Lavare le patate, lessarle e sbucciarle ancora calde pelandole a mano senza ausilio di coltelli Passare le patate, divise in grossi pezzi in un passaverdure a buchi fitti o uno schiacciapatate e pressare il passato con una bottiglia in modo che diventi una pasta filante.
Unire il burro ammorbidito o – meglio ancòra! – la sugna ,due cucchiai di farina, il parmigiano,il pecorino, il prezzemolo tritato, sale e pepe, 3 rossi d’uovo ad uno ad uno, tenendo da parte le chiare che serviranno insieme all’ultimo uovo per la doratura, infine aggiungere i pezzetti di salame.
Lavorare l’impasto con le mani fino ad amalgamare bene tutti gli ingredienti. Ungersi le mani d’olio e formare dei panzarotti di circa 10 – 12 cm. di lunghezza in forma di fuso leggermenteappuntito alle due estremità; tenendo uno per volta i panzarotti adagiati su di una mano, introdurre al centro di ognuno, per pressione, una listarella di fiordilatte; passare i panzarotti dapprima nella farina residua , poi nelle chiare d’uovo addizionate di un uovo intero montate a neve, ed infine rollarli nel pangrattato avendo cura di pressare leggermente per fare aderire il pangrattato,
friggere i panzarotti in abbondante olio fumante, asciugarli su carta assorbente e servirli caldi, regolando in superficie di sale.
brak
Ingredienti per 4 persone
• 1 Kg di patate a pasta gialla
• 4 uova di cui uno per indorare
• pangrattato q.s.
• 4 cucchiai di parmigiano ben grattugiato
4 cucchiai di pecorino romano grattugiato finissimo
• 1 etto di burro o ½ etto di sugna
farina 4 cucchiai
1 ciuffo di prezzemolo tritato finissimo
sale fino, pepe bianco q.s.
1 etto di salame tipo napoli tagliato a piccoli pezzetti
2 etti di fiordilatte, tenuto in frigo 12 ore e poi tagliato in listarelle di 5 cm. x uno.
Abbondante olio per fritture.
Lavare le patate, lessarle e sbucciarle ancora calde pelandole a mano senza ausilio di coltelli Passare le patate, divise in grossi pezzi in un passaverdure a buchi fitti o uno schiacciapatate e pressare il passato con una bottiglia in modo che diventi una pasta filante.
Unire il burro ammorbidito o – meglio ancòra! – la sugna ,due cucchiai di farina, il parmigiano,il pecorino, il prezzemolo tritato, sale e pepe, 3 rossi d’uovo ad uno ad uno, tenendo da parte le chiare che serviranno insieme all’ultimo uovo per la doratura, infine aggiungere i pezzetti di salame.
Lavorare l’impasto con le mani fino ad amalgamare bene tutti gli ingredienti. Ungersi le mani d’olio e formare dei panzarotti di circa 10 – 12 cm. di lunghezza in forma di fuso leggermenteappuntito alle due estremità; tenendo uno per volta i panzarotti adagiati su di una mano, introdurre al centro di ognuno, per pressione, una listarella di fiordilatte; passare i panzarotti dapprima nella farina residua , poi nelle chiare d’uovo addizionate di un uovo intero montate a neve, ed infine rollarli nel pangrattato avendo cura di pressare leggermente per fare aderire il pangrattato,
friggere i panzarotti in abbondante olio fumante, asciugarli su carta assorbente e servirli caldi, regolando in superficie di sale.
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MENÚ DEL PARADISO TERRESTRE
MENÚ DEL PARADISO TERRESTRE
Questa volta intendo proporvi un intero menú (dall’antipasto al dolce) che ò inteso chiamare menú del Paradiso terrestre in quanto composto da ricette tutte imperniate sulla mela annurca.
Cominciamo con il dire che la mela Annurca tradizionale è un frutto campano di forma regolarmente sferica con epidermide rossa striata. Nei pressi della cavità peduncolare presenta una caratteristica area rugginosa, non molto estesa.La polpa è bianca, compatta, croccante, succosa, dolce, ed al contempo gradevolmente acidula, di eccezionale sapore, aromatica e finemente profumata;vi posso dire che si tratta di una mela ritenuta fin dai tempi di Plinio, regina delle mele e che quindi, presumo, possa vantare delle imitazioni, ma non somiglianze.
Talvolta, sui banchetti dei mercatini rionali ci si imbatte, oltreché in anonime mele cinesi, in delle mele che solo esteriormente somigliano alle annurche, ma sono in realtà una varietà scadente che all'assaggio si rivela essere nè croccante, nè soda come l'annurca, ma solo dura e legnosa, aspra oltre il consentito etc.; detta mela viene indicata come mela sargenta ed è detta cosí perchè vuole apparire ciò che in realtà non è, tal quale un sergente che nelle forze armate si dà l'aria del comandante, mentre ne è solo una ridicola controfigura; infatti la mela sargenta vuol dare ad intendere d'essere un'annurca e ne è solo una brutta imitazione.
Quanto all’etimo la voce sargenta è un agg.vo femminilizzato del sost. masch. sergente (che anticamente fu anche sargente) da un franc. ant.serjant;per ciò che riguarda invece la voce annurca dirò che essa è un’agg.vo femminile con cui si identifica, come ò detto, una tipica varietà di mela campana messa in vendita al massimo della maturazione (che avviene su approntati lettucci di paglia su cui vengono distese le mele raccolte ancòra semiacerbe e periodicamente girate a mano fino a che non maturino assumendo un tipico colore rosso cupo ma brillante, mentre la polpa soda e croccante perde un originario sapore aspro e si addolcisce); quanto all’etimo rammenterò che con ogni probabilità, la voce annurca deriva dal verbo latino indulcare= addolcire secondo il seguente percorso morfologico: indulcata→innulcata→annulcata→annurca(ta)→annurca, quantunque qualcuno un po’ troppo fantasiosamente, ricollegandosi ad uno scritto (?) di Plinio il vecchio, parli di una orcola (mela coltivata nell’agro puteolano nella zona dell’ Orco/Solfatara (?)); da orcola si sarebbe avuto anorcola ed annorcola ma nessuno spiega questo percorso morfologico/semantico e soprattutto non si spiega come e perché si sarebbe passati da orcola ad anorcola ed annorcola, dimostrando soltanto che alla fantasia non v’è limite!
Detto ciò passo qui di sèguito ad elencare tutto il menú e poi ad illustrare le varie ricette che lo compongono.
menú del Paradiso terrestre
- antipasto: affettato di mela annurca dorato e fritto
- pastotto indulcato
- muscoletto annegato con mele e patate
- macedonia aromatica
- tortino eden
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Liquori: cognac fine champagne vsop.
E passiamo alle ricette; tutte le dosi sono per 6 persone.
1 - Affettato di mela annurca dorato e fritto
1 kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo ed affettate sottilmente (1/2 cm. di spessore),
4 uova,
sale fino q.s.,
farina q. s.,
pangrattato q.s.,
olio di semi per friggere q.s.
procedimento
Distendere le fettine di mele sbucciate su di un canovaccio fresco di bucato, affinché perdano un po’ della loro umidità; sbattere le uova con un pizzico di sale fino; infarinare le fettine di mele, intingerle nell’uovo e poi nel pangrattato; portare a temperatura l’olio e friggervi le fettine di mela fino a che diventino croccanti; prelevarle con una schiumarola, adagiarle su carta paglia a perdere l’eccesso d’unto e servirle calde di frittura, evitando di salare ancòra.
2 – Pastotto indulcato
½ kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
6 etti di pasta secca tipo padrenostro (tubetti) oppure tipo occhi di lupo (ditaloni)
1 etto di pancetta tesa a cubetti,
1 etto di macinato di manzo,
1 cipolla dorata affettata grossolanamente,
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
½ etto di pecorino grattugiato
1 bicchiere di vino bianco secco,
3 litri di brodo vegetale fatto con 3 dadi vegetali da brodo e 3 litri d’acqua fredda portata ad ebollizione prima di sciogliervi i dadi,
sale fino e pepe bianco q.s.
procedimento
preparare per prima cosa il brodo vegetale e farvi lessare fino a mezza cottura la pasta; prelevarla con una schiumarola e tenerla da parte; frattanto versare in un’ampia padella antiaderente l’olio e farvi rosolare la cipolla fino a che arsicci, ma non bruci, indi aggiungere la pancetta e farla rosolare un po’, a seguire aggiungere il macinato, bagnare con il vino, salare, incoperchiare e far sobbollire per 20 minuti; alla fine unire i cubetti di mela, farli insaporire senza che perdano di croccantezza e súbito dopo versare nella padella la pasta lessata, mantecandola con il pecorino, e se risultasse troppo asciutta, bagnandola con un po’di brodo della lessatura della pasta, brodo tenuto da parte; servire súbito.
- 3 - muscoletto annegato con mele e patate
½ kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
½ kg dipatate vecchie, sbucciate, e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
1,200kg. di pezza a cannello (noce) di manzo adulto,tagliati possibilmente a macchina in fette non eccessivamente spesse (max 1 cm.)
farina q.s.,
2 bicchieri d’olio d’oliva e.v.
1 cipolla dorata affettata grossolanamente
1 bicchiere di vino bianco secco
sale fino q.s.,
procedimento
In un’ ampia padella di ferro nero versare un bicchiere d’olio, aggiungere mezza cipolla tritata, alzare i fuochi ed appena la cipolla sia appassita aggiungere le patate a tocchetti, mezzo mestolo d’acqua bollente e farle stufare dolcemente (20’) aggiungendo alla fine i cubetti di mela per farli ugualmente stufare dolcemente (10’), senza perdere di croccantezza; salare con parsimonia; frattanto in un altro tegame versare l’olio e farvi colorire l’altra mezza cipolla; infarinare accuratamente le fettine di manzo eventualmente battute con un batticarne se eccedenti il cm. di spessore e farle friggere una per volta (1,5’ per lato); infine adagiare l’una accanto a l’altra nel tegame con olio e cipolla tutte le fettine infarinate e fritte, bagnare con il vino, incoperchiare e far sobbollire a fuoco moderato per circa 15’; solo alla fine salare con moderazione e togliendo il coperchio fare asciugare un poco.
Servire caldissimo, accompagnando con alcune cucchiaiate di patate e mele stufate.
-4 Macedonia aromatica.
1 kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
il succo di due limoni non trattati,
la buccia grattugiata di detti limoni,
1 tazzina di maraschino,
1 tazzina di cognac,
4 bustine di zucchero vainigliato,
cannella in polvere un pizzico,
4 cucchiai di pinoli tostati,
(per la guarnizione)rametti di menta fresca q.s.
preparazione
ponete in una grossa zuppiera i cubetti di mela irrorandoli súbitocon il succo di limone perché non si ossidino, aggiungete lo zucchero vainigliato, il maraschino ed infine il cognac (scegliendone uno degno di questo nome: in cucina non bisogna mai lesinare sulla qualità degli ingredienti…) rimestando delicatamente; completare la preparazione con la buccia di limone grattugiata ed i pinoli tostati; servire in coppette monoporzioni con una guarnizione di rametti di menta fresca.
- 5 Tortino eden
dosi per 6 – 8 persone
½ kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
300 gr di burro,
300 gr di zucchero,
4 uova,
175 gr di farina,
175 gr di fecola di patate,
buccia di limone grattugiata,
zucchero a velo q.s.
preparazione
In un’ ampia ciotola,lavorate il burro, a temperatura ambiente, con un cucchiaio di legno per renderlo spumoso; aggiungete lo zucchero e mescolate bene. Unire i tuorli, uno per volta, sbattendo bene dopo ogni aggiunta e quindi incorporate la farina e la fecola setacciate insieme, mescolando solo il necessario per amalgamare il tutto. Sbattete i bianchi con un pizzichino di sale a neve fermissima e unite al composto insieme alla buccia del limone,ed ai cubetti di mela con molta delicatezza. Versate il composto in una tortiera di cm 25 di diametro che avrete imburrata e spolverizzata di farina e fate cuocere nel forno preriscaldato a 180º per 50 minuti circa. Sformate il tortino ,lasciatelo raffreddare e spolverizzate con zucchero a velo prima di servire.
NOTA
Se è vero il detto francese trois pommes au jour, santé pour toujours (tre mele al giorno, salute per sempre!) quanto piú potrà esser utile questo menú che reputo un’autentica sinfonia di mele annurche!
Vi consiglio di provarlo, v’auguro ‘e farne salute ed attendo i vostri ringraziamenti.
raffaele bracale
Questa volta intendo proporvi un intero menú (dall’antipasto al dolce) che ò inteso chiamare menú del Paradiso terrestre in quanto composto da ricette tutte imperniate sulla mela annurca.
Cominciamo con il dire che la mela Annurca tradizionale è un frutto campano di forma regolarmente sferica con epidermide rossa striata. Nei pressi della cavità peduncolare presenta una caratteristica area rugginosa, non molto estesa.La polpa è bianca, compatta, croccante, succosa, dolce, ed al contempo gradevolmente acidula, di eccezionale sapore, aromatica e finemente profumata;vi posso dire che si tratta di una mela ritenuta fin dai tempi di Plinio, regina delle mele e che quindi, presumo, possa vantare delle imitazioni, ma non somiglianze.
Talvolta, sui banchetti dei mercatini rionali ci si imbatte, oltreché in anonime mele cinesi, in delle mele che solo esteriormente somigliano alle annurche, ma sono in realtà una varietà scadente che all'assaggio si rivela essere nè croccante, nè soda come l'annurca, ma solo dura e legnosa, aspra oltre il consentito etc.; detta mela viene indicata come mela sargenta ed è detta cosí perchè vuole apparire ciò che in realtà non è, tal quale un sergente che nelle forze armate si dà l'aria del comandante, mentre ne è solo una ridicola controfigura; infatti la mela sargenta vuol dare ad intendere d'essere un'annurca e ne è solo una brutta imitazione.
Quanto all’etimo la voce sargenta è un agg.vo femminilizzato del sost. masch. sergente (che anticamente fu anche sargente) da un franc. ant.serjant;per ciò che riguarda invece la voce annurca dirò che essa è un’agg.vo femminile con cui si identifica, come ò detto, una tipica varietà di mela campana messa in vendita al massimo della maturazione (che avviene su approntati lettucci di paglia su cui vengono distese le mele raccolte ancòra semiacerbe e periodicamente girate a mano fino a che non maturino assumendo un tipico colore rosso cupo ma brillante, mentre la polpa soda e croccante perde un originario sapore aspro e si addolcisce); quanto all’etimo rammenterò che con ogni probabilità, la voce annurca deriva dal verbo latino indulcare= addolcire secondo il seguente percorso morfologico: indulcata→innulcata→annulcata→annurca(ta)→annurca, quantunque qualcuno un po’ troppo fantasiosamente, ricollegandosi ad uno scritto (?) di Plinio il vecchio, parli di una orcola (mela coltivata nell’agro puteolano nella zona dell’ Orco/Solfatara (?)); da orcola si sarebbe avuto anorcola ed annorcola ma nessuno spiega questo percorso morfologico/semantico e soprattutto non si spiega come e perché si sarebbe passati da orcola ad anorcola ed annorcola, dimostrando soltanto che alla fantasia non v’è limite!
Detto ciò passo qui di sèguito ad elencare tutto il menú e poi ad illustrare le varie ricette che lo compongono.
menú del Paradiso terrestre
- antipasto: affettato di mela annurca dorato e fritto
- pastotto indulcato
- muscoletto annegato con mele e patate
- macedonia aromatica
- tortino eden
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Liquori: cognac fine champagne vsop.
E passiamo alle ricette; tutte le dosi sono per 6 persone.
1 - Affettato di mela annurca dorato e fritto
1 kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo ed affettate sottilmente (1/2 cm. di spessore),
4 uova,
sale fino q.s.,
farina q. s.,
pangrattato q.s.,
olio di semi per friggere q.s.
procedimento
Distendere le fettine di mele sbucciate su di un canovaccio fresco di bucato, affinché perdano un po’ della loro umidità; sbattere le uova con un pizzico di sale fino; infarinare le fettine di mele, intingerle nell’uovo e poi nel pangrattato; portare a temperatura l’olio e friggervi le fettine di mela fino a che diventino croccanti; prelevarle con una schiumarola, adagiarle su carta paglia a perdere l’eccesso d’unto e servirle calde di frittura, evitando di salare ancòra.
2 – Pastotto indulcato
½ kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
6 etti di pasta secca tipo padrenostro (tubetti) oppure tipo occhi di lupo (ditaloni)
1 etto di pancetta tesa a cubetti,
1 etto di macinato di manzo,
1 cipolla dorata affettata grossolanamente,
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
½ etto di pecorino grattugiato
1 bicchiere di vino bianco secco,
3 litri di brodo vegetale fatto con 3 dadi vegetali da brodo e 3 litri d’acqua fredda portata ad ebollizione prima di sciogliervi i dadi,
sale fino e pepe bianco q.s.
procedimento
preparare per prima cosa il brodo vegetale e farvi lessare fino a mezza cottura la pasta; prelevarla con una schiumarola e tenerla da parte; frattanto versare in un’ampia padella antiaderente l’olio e farvi rosolare la cipolla fino a che arsicci, ma non bruci, indi aggiungere la pancetta e farla rosolare un po’, a seguire aggiungere il macinato, bagnare con il vino, salare, incoperchiare e far sobbollire per 20 minuti; alla fine unire i cubetti di mela, farli insaporire senza che perdano di croccantezza e súbito dopo versare nella padella la pasta lessata, mantecandola con il pecorino, e se risultasse troppo asciutta, bagnandola con un po’di brodo della lessatura della pasta, brodo tenuto da parte; servire súbito.
- 3 - muscoletto annegato con mele e patate
½ kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
½ kg dipatate vecchie, sbucciate, e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
1,200kg. di pezza a cannello (noce) di manzo adulto,tagliati possibilmente a macchina in fette non eccessivamente spesse (max 1 cm.)
farina q.s.,
2 bicchieri d’olio d’oliva e.v.
1 cipolla dorata affettata grossolanamente
1 bicchiere di vino bianco secco
sale fino q.s.,
procedimento
In un’ ampia padella di ferro nero versare un bicchiere d’olio, aggiungere mezza cipolla tritata, alzare i fuochi ed appena la cipolla sia appassita aggiungere le patate a tocchetti, mezzo mestolo d’acqua bollente e farle stufare dolcemente (20’) aggiungendo alla fine i cubetti di mela per farli ugualmente stufare dolcemente (10’), senza perdere di croccantezza; salare con parsimonia; frattanto in un altro tegame versare l’olio e farvi colorire l’altra mezza cipolla; infarinare accuratamente le fettine di manzo eventualmente battute con un batticarne se eccedenti il cm. di spessore e farle friggere una per volta (1,5’ per lato); infine adagiare l’una accanto a l’altra nel tegame con olio e cipolla tutte le fettine infarinate e fritte, bagnare con il vino, incoperchiare e far sobbollire a fuoco moderato per circa 15’; solo alla fine salare con moderazione e togliendo il coperchio fare asciugare un poco.
Servire caldissimo, accompagnando con alcune cucchiaiate di patate e mele stufate.
-4 Macedonia aromatica.
1 kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
il succo di due limoni non trattati,
la buccia grattugiata di detti limoni,
1 tazzina di maraschino,
1 tazzina di cognac,
4 bustine di zucchero vainigliato,
cannella in polvere un pizzico,
4 cucchiai di pinoli tostati,
(per la guarnizione)rametti di menta fresca q.s.
preparazione
ponete in una grossa zuppiera i cubetti di mela irrorandoli súbitocon il succo di limone perché non si ossidino, aggiungete lo zucchero vainigliato, il maraschino ed infine il cognac (scegliendone uno degno di questo nome: in cucina non bisogna mai lesinare sulla qualità degli ingredienti…) rimestando delicatamente; completare la preparazione con la buccia di limone grattugiata ed i pinoli tostati; servire in coppette monoporzioni con una guarnizione di rametti di menta fresca.
- 5 Tortino eden
dosi per 6 – 8 persone
½ kg di mele annurche lavate, asciugate, sbucciate, private del torsolo e tagliate a cubetti (1 cm. di spigolo),
300 gr di burro,
300 gr di zucchero,
4 uova,
175 gr di farina,
175 gr di fecola di patate,
buccia di limone grattugiata,
zucchero a velo q.s.
preparazione
In un’ ampia ciotola,lavorate il burro, a temperatura ambiente, con un cucchiaio di legno per renderlo spumoso; aggiungete lo zucchero e mescolate bene. Unire i tuorli, uno per volta, sbattendo bene dopo ogni aggiunta e quindi incorporate la farina e la fecola setacciate insieme, mescolando solo il necessario per amalgamare il tutto. Sbattete i bianchi con un pizzichino di sale a neve fermissima e unite al composto insieme alla buccia del limone,ed ai cubetti di mela con molta delicatezza. Versate il composto in una tortiera di cm 25 di diametro che avrete imburrata e spolverizzata di farina e fate cuocere nel forno preriscaldato a 180º per 50 minuti circa. Sformate il tortino ,lasciatelo raffreddare e spolverizzate con zucchero a velo prima di servire.
NOTA
Se è vero il detto francese trois pommes au jour, santé pour toujours (tre mele al giorno, salute per sempre!) quanto piú potrà esser utile questo menú che reputo un’autentica sinfonia di mele annurche!
Vi consiglio di provarlo, v’auguro ‘e farne salute ed attendo i vostri ringraziamenti.
raffaele bracale
INSALATA DI MARE
INSALATA DI MARE
ingredienti per 6 persone
400 g di gamberetti (anche surgelati),
400 g di filetto di merluzzo,
400 g di piccoli polpi (moscardini),
500 g di cozze,
1 cipolla,
1 cuore di sedano,
2 spicchi d'aglio in camicia,
1 bicchiere di olio d'oliva e.v.,
1 cucchiaio di aceto bianco,
½ bicchiere di vino bianco secco
1 tazzina di succodi limone,
sale grosso alle erbe q.s.
Preparazione:
Raschiate e lavate le cozze mettetele sul fuoco in una casseruola con mezzo bicchiere di olio d’oliva e.v. e mezzo bicchiere di vino bianco ed uno spicchio d’aglio schiacciato, coprite e fatele aprire; sgusciatele e tenetele da parte. Lavate i gamberetti, privateli del carapace e del budellino e cuoceteli in una padella con 2 cucchiai di olio e l'aglio schiacciato per 2 minuti; sgocciolateli e lasciateli raffreddare. Tagliate il filetto di merluzzo a pezzi regolari e cuocetelo al vapore.Pulite i moscardini eliminando gli occhi, il becco e la vescichetta; lavateli, cuoceteli in un cucchiaio di olio ed uno d'aceto,con mezzo spicchio d’aglio schiacciato, per 20 minuti. Sgocciolateli e tagliateli grossolanamente.Affettate la cipolla, mettetela in una ciotola con acquafredda per 10 minuti, sgocciolatela e asciugatela. Affettate il sedano e mettetelo in una terrina con la cipolla; unite le cozze, i gamberetti, i moscardini ed il merluzzo. Stemperate un poco il sale grosso alle erbe nel limone, unitevi a filo l'olio residuo sbattendo con una frusta e utilizzate la salsa ottenuta per condire la preparazione. Tenete in fresco fino al momento di servire a tavola.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo
gustosissima preparazione estiva!
Raffaele Bracale
ingredienti per 6 persone
400 g di gamberetti (anche surgelati),
400 g di filetto di merluzzo,
400 g di piccoli polpi (moscardini),
500 g di cozze,
1 cipolla,
1 cuore di sedano,
2 spicchi d'aglio in camicia,
1 bicchiere di olio d'oliva e.v.,
1 cucchiaio di aceto bianco,
½ bicchiere di vino bianco secco
1 tazzina di succodi limone,
sale grosso alle erbe q.s.
Preparazione:
Raschiate e lavate le cozze mettetele sul fuoco in una casseruola con mezzo bicchiere di olio d’oliva e.v. e mezzo bicchiere di vino bianco ed uno spicchio d’aglio schiacciato, coprite e fatele aprire; sgusciatele e tenetele da parte. Lavate i gamberetti, privateli del carapace e del budellino e cuoceteli in una padella con 2 cucchiai di olio e l'aglio schiacciato per 2 minuti; sgocciolateli e lasciateli raffreddare. Tagliate il filetto di merluzzo a pezzi regolari e cuocetelo al vapore.Pulite i moscardini eliminando gli occhi, il becco e la vescichetta; lavateli, cuoceteli in un cucchiaio di olio ed uno d'aceto,con mezzo spicchio d’aglio schiacciato, per 20 minuti. Sgocciolateli e tagliateli grossolanamente.Affettate la cipolla, mettetela in una ciotola con acquafredda per 10 minuti, sgocciolatela e asciugatela. Affettate il sedano e mettetelo in una terrina con la cipolla; unite le cozze, i gamberetti, i moscardini ed il merluzzo. Stemperate un poco il sale grosso alle erbe nel limone, unitevi a filo l'olio residuo sbattendo con una frusta e utilizzate la salsa ottenuta per condire la preparazione. Tenete in fresco fino al momento di servire a tavola.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo
gustosissima preparazione estiva!
Raffaele Bracale
venerdì 27 giugno 2008
Fricassea di verdure al finocchietto
Fricassea di verdure al finocchietto
Ingredienti per 6 persone:
4 carote, 4 carciofi, 500 gr di fave sgusciate (anche surgelate),
2 grosse patate,
1 grosso finocchio
, 4 rossi d’uovo,
1 limone,
1 bicchiere d'olio d'oliva e.v. ,
1 cipolla,
sale grosso alle erbe, pepe q. s.
semi di finocchio un pizzico (facoltativo)
un cucchiaio di farina o fecola (se necessario)
Preparazione
Mondate i carciofi, tagliateli in due e metteteli in acqua acidulata con poco succo di limone per non farli annerire. Sbucciate le carote e le patate e tagliatele a pezzi piuttosto grossi. Mondate il finocchio (conservate la barba verde!) lavatelo e tagliatelo a spicchi.
Lessate per circa 20 minuti in acqua salata insieme carote spuntate e pulite, fave e patate sbucciate e tagliate a grossi tocchi.
Lessate separatamente il finocchio per circa 10 minuti.
Eliminate le bratteee più dure dei carciofi,eleminate le punte spinose, divideteli longitudinalmente in due parti, togliete il fieno e tagliateli sempre longitudinalmente a spicchi sottili (1/2 cm di spessore).
Scolate tutte le verdure lessate,conservando però l'acqua di cottura di patate e carote.
Scaldate l'olio in una padella antiaderente e fatevi appassire insieme i carciofi ben scolati e la cipolla tagliata a rondelle. Unite le altre verdure e lasciate insaporire per 10 minuti, quindi bagnate con circa 3 dl dell'acqua di cottura delle carote, unite la barba tritata del finocchio o in alternativa il pizzico di semi di finocchio e lasciate cuocere, a padella scoperta, per altri 10 minuti a fuoco medio; salate adeguatamente solo a fine cottura!
Togliete le verdure dalla padella con un cucchiaio forato e sistematele in un piatto di portata caldo. Mescolate i rossi d’uovo con il succo del limone e versatelo nel liquido rimasto nella padella.
Fate ispessire il tutto a fuoco basso mescolando sempre e versate sulle verdure. Pepate con pepe macinato al momento e portate in tavola.
Consiglio: se le uova tardassero ad ispessire, aggiungete un cucchiaio di farina o fecola.
Ottima come primo piatto o come contorno di portate di carne.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale
Ingredienti per 6 persone:
4 carote, 4 carciofi, 500 gr di fave sgusciate (anche surgelate),
2 grosse patate,
1 grosso finocchio
, 4 rossi d’uovo,
1 limone,
1 bicchiere d'olio d'oliva e.v. ,
1 cipolla,
sale grosso alle erbe, pepe q. s.
semi di finocchio un pizzico (facoltativo)
un cucchiaio di farina o fecola (se necessario)
Preparazione
Mondate i carciofi, tagliateli in due e metteteli in acqua acidulata con poco succo di limone per non farli annerire. Sbucciate le carote e le patate e tagliatele a pezzi piuttosto grossi. Mondate il finocchio (conservate la barba verde!) lavatelo e tagliatelo a spicchi.
Lessate per circa 20 minuti in acqua salata insieme carote spuntate e pulite, fave e patate sbucciate e tagliate a grossi tocchi.
Lessate separatamente il finocchio per circa 10 minuti.
Eliminate le bratteee più dure dei carciofi,eleminate le punte spinose, divideteli longitudinalmente in due parti, togliete il fieno e tagliateli sempre longitudinalmente a spicchi sottili (1/2 cm di spessore).
Scolate tutte le verdure lessate,conservando però l'acqua di cottura di patate e carote.
Scaldate l'olio in una padella antiaderente e fatevi appassire insieme i carciofi ben scolati e la cipolla tagliata a rondelle. Unite le altre verdure e lasciate insaporire per 10 minuti, quindi bagnate con circa 3 dl dell'acqua di cottura delle carote, unite la barba tritata del finocchio o in alternativa il pizzico di semi di finocchio e lasciate cuocere, a padella scoperta, per altri 10 minuti a fuoco medio; salate adeguatamente solo a fine cottura!
Togliete le verdure dalla padella con un cucchiaio forato e sistematele in un piatto di portata caldo. Mescolate i rossi d’uovo con il succo del limone e versatelo nel liquido rimasto nella padella.
Fate ispessire il tutto a fuoco basso mescolando sempre e versate sulle verdure. Pepate con pepe macinato al momento e portate in tavola.
Consiglio: se le uova tardassero ad ispessire, aggiungete un cucchiaio di farina o fecola.
Ottima come primo piatto o come contorno di portate di carne.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale
CÔTELETTES D’’O VESUVIO
CÔTELETTES D’’O VESUVIO
Cutalette d’’o Vesuvio
dosi per 6 persone:
per le côtelettes
8 etti di provola affumicata,
4 uova,
farina q.s.
pangrattato q.s.
sale fino q.s.
pepe bianco q.s.
due cucchiai di pecorino grattugiato,
olio di semi (arachidi, mais) per friggere q.s.
per il sugo
500 gr. di polpa di pomidoro o freschi o in iscatola
1 cipolla dorata tritata finemente,
1 ciuffo di basilico lavato, asciugato e spezzettato a mano,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.
sale fino e pepe bianco q.s.
procedimento
Tagliate la provola in fette di 1 cm. di spessore; adagiatele in un piatto coperto con carta assorbente da cucina e poi trasferitele in frigo per circa 12 ore
Preparate poi uno spesso sugo di pomidoro ponendo al fuoco un’ampia padella con tutto l’olio e facendovi colorire a fuoco sostenuto la cipolla tritata; aggiungete i pomidoro freschi passati o il passato di pomidoro in bottiglia, salate ed abbassando un po’ il fuoco prepate in ca 15’ uno spesso sugo nel quale, solo verso la fine della cottura, spezzetterete (a mano, niente coltello!) il basilico. Prelevate dal frigo le fette di provola ed infarinatele accuratamente; sbattete a spuma le uova con un pizzico di sale e due di pepe e due cucchiai di pecorino grattugiato;intingetevi le fette di provola infarinate e rollatele nel pangrattato; mandate a temperatura l’olio di semi e friggetevi velocemente le fette di provola che súbito dopo adagerete tutte insieme nell’ampia padella con il sugo di pomidoro e ve le terrete per 3 minuti a sobbollire a fuoco bassissimo.
Servite queste côtelettes vesuviane calde di fornello, con un contorno di pomidoro in insalata o patate fritte.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Cutalette d’’o Vesuvio
dosi per 6 persone:
per le côtelettes
8 etti di provola affumicata,
4 uova,
farina q.s.
pangrattato q.s.
sale fino q.s.
pepe bianco q.s.
due cucchiai di pecorino grattugiato,
olio di semi (arachidi, mais) per friggere q.s.
per il sugo
500 gr. di polpa di pomidoro o freschi o in iscatola
1 cipolla dorata tritata finemente,
1 ciuffo di basilico lavato, asciugato e spezzettato a mano,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.
sale fino e pepe bianco q.s.
procedimento
Tagliate la provola in fette di 1 cm. di spessore; adagiatele in un piatto coperto con carta assorbente da cucina e poi trasferitele in frigo per circa 12 ore
Preparate poi uno spesso sugo di pomidoro ponendo al fuoco un’ampia padella con tutto l’olio e facendovi colorire a fuoco sostenuto la cipolla tritata; aggiungete i pomidoro freschi passati o il passato di pomidoro in bottiglia, salate ed abbassando un po’ il fuoco prepate in ca 15’ uno spesso sugo nel quale, solo verso la fine della cottura, spezzetterete (a mano, niente coltello!) il basilico. Prelevate dal frigo le fette di provola ed infarinatele accuratamente; sbattete a spuma le uova con un pizzico di sale e due di pepe e due cucchiai di pecorino grattugiato;intingetevi le fette di provola infarinate e rollatele nel pangrattato; mandate a temperatura l’olio di semi e friggetevi velocemente le fette di provola che súbito dopo adagerete tutte insieme nell’ampia padella con il sugo di pomidoro e ve le terrete per 3 minuti a sobbollire a fuoco bassissimo.
Servite queste côtelettes vesuviane calde di fornello, con un contorno di pomidoro in insalata o patate fritte.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
giovedì 26 giugno 2008
INSALATA TIEPIDA
INSALATA TIEPIDA
da usarsi o come contorno di carne o formaggi freschi oppure come prima portata accompagnata da fettine di pane casareccio bruscato al forno (220°).
ingredienti e dosi per 6 persone
3 pomidoro tipo roma o sanmarzano rossi e sodi,
4 peperoncini verdi dolci,
due melanzane violette napoletane,
due cipolle dorate,
2 peperoni quadrilobati uno giallo, l’altro rosso,
2 stecche di cannella,
2 zucchine piccole verdi e sode,
1 gambo di sedano
3 grossi spicchi d’aglio
4 foglie di alloro,
un cucchiaio di origano secco
100 g di olive nere di gaeta denocciolate,
300 g di provola affumicata tagliati a dadi di 1,5 cm. di spigolo,
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di olio extravergine aromatizzato all’aglio,
sale doppio un pugno
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
1) Mondate e lavate tutta la verdura e fatela sgocciolare.
2) Tagliate a tocchetti le melanzane, le zucchine, il sedano ed i pomidoro; tagliate a rondelle i peperoncini ed a listelli i peperoni.
3) In una pentola di acqua salata (sale doppio), fate sbollentare con la cannella tutte le verdure, eccetto i pezzetti di pomodoro, per circa 6 minuti. Poi scolatele.
4) Versate mezzo bicchiere di olio aromatizzato in un tegame e fatevi soffriggere due agli schiacciati, le cipolle affettate e l’alloro.
5) Quando saranno dorati, versatevi i tocchetti di pomidoro e le verdure sbollentate; salate, pepate, unite il vino e fatelo evaporare. Cuocete per 20 minuti. 6) A cottura ultimata, unite le olive,il cucchiaio di origano e la provola tagliata acubetti.Rimestate accuratamente, lasciate riposare per 5 minuti e appena le verdure intiepidiscono, aggiungete a filo l’olio residuo,rimestate e servite in tavola.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
da usarsi o come contorno di carne o formaggi freschi oppure come prima portata accompagnata da fettine di pane casareccio bruscato al forno (220°).
ingredienti e dosi per 6 persone
3 pomidoro tipo roma o sanmarzano rossi e sodi,
4 peperoncini verdi dolci,
due melanzane violette napoletane,
due cipolle dorate,
2 peperoni quadrilobati uno giallo, l’altro rosso,
2 stecche di cannella,
2 zucchine piccole verdi e sode,
1 gambo di sedano
3 grossi spicchi d’aglio
4 foglie di alloro,
un cucchiaio di origano secco
100 g di olive nere di gaeta denocciolate,
300 g di provola affumicata tagliati a dadi di 1,5 cm. di spigolo,
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di olio extravergine aromatizzato all’aglio,
sale doppio un pugno
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
1) Mondate e lavate tutta la verdura e fatela sgocciolare.
2) Tagliate a tocchetti le melanzane, le zucchine, il sedano ed i pomidoro; tagliate a rondelle i peperoncini ed a listelli i peperoni.
3) In una pentola di acqua salata (sale doppio), fate sbollentare con la cannella tutte le verdure, eccetto i pezzetti di pomodoro, per circa 6 minuti. Poi scolatele.
4) Versate mezzo bicchiere di olio aromatizzato in un tegame e fatevi soffriggere due agli schiacciati, le cipolle affettate e l’alloro.
5) Quando saranno dorati, versatevi i tocchetti di pomidoro e le verdure sbollentate; salate, pepate, unite il vino e fatelo evaporare. Cuocete per 20 minuti. 6) A cottura ultimata, unite le olive,il cucchiaio di origano e la provola tagliata acubetti.Rimestate accuratamente, lasciate riposare per 5 minuti e appena le verdure intiepidiscono, aggiungete a filo l’olio residuo,rimestate e servite in tavola.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
PATANE Â ‘NZALATA
PATANE Â ‘NZALATA
dosi per 4 persone
1 kg. di patate vecchie a pasta bianca
1 fascio di cipolline novelle
1 spicchio d’aglio senza camicia tritato finissimo
1 tazzina d’aceto bianco
1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v.
1 limone (succo)
1 cucchiaio d’origano secco
sale grosso un pugno
sale (possibilmente alle erbe) q.s.
procedimento
Porre in acqua fredda salata con un pugno di sale grosso, le patate, alzare i fuochi e portare a bollore l’acqua e lessar le patate per circa 15’ dal bollore dell’acqua; prelevarle ed ancora calde pelarle, indi rigorosamente spezzettarle grossolanamente a mano (senza ausilio di coltello); tale fase è importantissima: le patate spezzettate a mano, risultando frastagliate accoglieranno meglio il condimento che se fossero tagliate a fette con un coltello! Porre i pezzi di patate in una capace insalatiera ed aggiungervi subito le cipolline spuntate, lavate e tagliate in piccoli pezzi; aggiungere altresí i pezzetti d’aglio, rimestare e salare con un sale fino (possibilmente alle erbe); frattanto in una ciotola prepare un’emulsione con l’olio, l’aceto, il succo del limone ed il cucchiaio d’origano sbattendo vivacemente la salsina con una forchetta; condire le patate con detta emulsione rimestando delicatamente; far riposare per circa 20’ prima di servire questa insalata come contorno di portate di carne o di pesce.
sale fino alle erbe
sale fino alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla, erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità.
brak
dosi per 4 persone
1 kg. di patate vecchie a pasta bianca
1 fascio di cipolline novelle
1 spicchio d’aglio senza camicia tritato finissimo
1 tazzina d’aceto bianco
1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v.
1 limone (succo)
1 cucchiaio d’origano secco
sale grosso un pugno
sale (possibilmente alle erbe) q.s.
procedimento
Porre in acqua fredda salata con un pugno di sale grosso, le patate, alzare i fuochi e portare a bollore l’acqua e lessar le patate per circa 15’ dal bollore dell’acqua; prelevarle ed ancora calde pelarle, indi rigorosamente spezzettarle grossolanamente a mano (senza ausilio di coltello); tale fase è importantissima: le patate spezzettate a mano, risultando frastagliate accoglieranno meglio il condimento che se fossero tagliate a fette con un coltello! Porre i pezzi di patate in una capace insalatiera ed aggiungervi subito le cipolline spuntate, lavate e tagliate in piccoli pezzi; aggiungere altresí i pezzetti d’aglio, rimestare e salare con un sale fino (possibilmente alle erbe); frattanto in una ciotola prepare un’emulsione con l’olio, l’aceto, il succo del limone ed il cucchiaio d’origano sbattendo vivacemente la salsina con una forchetta; condire le patate con detta emulsione rimestando delicatamente; far riposare per circa 20’ prima di servire questa insalata come contorno di portate di carne o di pesce.
sale fino alle erbe
sale fino alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla, erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità.
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GATTÒ DI PATATE
GATTÒ DI PATATE
Nota introduttiva
Il gattò di patate napoletano è una torta rustica, salata o meglio uno sformato di patate tipico della cucina partenopea dove fu introdotto dai cuochi francesi chiamati nel Reame di Napoli in occasione delle proprie nozze(1768) dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone; il gattò, però non è piatto derivante dalla cucina francese, ma fu inventato qui nel Reame, con tutti gli ingredienti usati nella cucina napoletana, con la sola eccezione del burro (ingrediente per solito …nordico) questa volta usato in luogo dell’olio d’oliva e.v. tipico della cucina meridionale (ma possono essere ambedue sostituiti proficuamente con dello strutto...) e con l’eccezione del pomodoro mancante del tutto in questa preparazione il cui nome è gattò, evidente corruzione del lemma francese gateau (torta); al proposito ricorderò che la parola gattò entrò anche, dopo la discesa dei cuochi francesi detti dai napoletani monzú,corrompendo il francese monsieur, nelle pasticceria napoletana dove con il nome di gattò mariaggio con evidente corruzione di gateau du mariage si indicò la dolce torta nuziale. Torniamo al gattò di patate.
DOSI per 6 persone
1,5 kg di patate vecchie a pasta gialla,
2 bicchieri di latte intero,
2 etti di burro ammorbidito (oppure e meglio 1 etto e ½ di strutto),
3 etti di salame tipo napoli tagliato a listarelle di cm.3 x ½ x 1,
4 etti di provola affumicata tagliata a dadini di 1,5 cm. di spigolo,
6 uova di cui 2 rassodate(facendole cioè cuocere con il guscio in acqua bollente per la durata di 7’a partire dal primo bollore),sgusciate, sciacquate e tagliate a fettine,
100 grammi di pecorino laticauda grattugiato,
2 cucchiai di pangrattato,
Sale fino, noce moscata e pepe nero macinato q. s.
Procedimento.
Lessare le patate con la buccia (o cuocerle in microonde).
Ancora calde, pelarle e passarle allo schiaccia-patate. Metterle in una grossa ciotola.
Aggiungere metà del burro o dello strutto e mescolare a mani nude finché sia completamente amalgamato, quindi unire 4 uova intere, il latte, una manciata di pecorino, un po’ di noce moscata, il salame e le fettine di uova sode. Regolar di sale, aggiungere il pepe macinato.
Ungere molto con il burro o lo strutto residui una teglia di circa 30 cm. di diametro e cospargerla di pan grattato.
Fare un unico strato con il composto di patate avendo cura di farlo ben aderire al fondo e alle pareti della teglia.
Cospargere di pan grattato e fiocchetti di burro o strutto.
Cuocere in forno già caldo a circa 190 gradi per 30-35 minuti o fino a che la superficie non sia ben dorata.
In alternativa (ed a me piace di piú…) il gattò può essere anche fritto già monoporzionato, in successive volte, sulla fiamma in una teglia appena unta d’olio fino a che non risulti ben dorato.
Rammentarsi che l’impasto e la sistemazione nella teglia va fatto rigorosamente a mani nude senza l’ausilio di posate!
Togliere dal forno o dal fuoco ed attendere che si raffreddi (occorrerà circa una mezz'ora) prima di servire il gattò tagliato in ampie fette, se non già monoporzionato.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Nota introduttiva
Il gattò di patate napoletano è una torta rustica, salata o meglio uno sformato di patate tipico della cucina partenopea dove fu introdotto dai cuochi francesi chiamati nel Reame di Napoli in occasione delle proprie nozze(1768) dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone; il gattò, però non è piatto derivante dalla cucina francese, ma fu inventato qui nel Reame, con tutti gli ingredienti usati nella cucina napoletana, con la sola eccezione del burro (ingrediente per solito …nordico) questa volta usato in luogo dell’olio d’oliva e.v. tipico della cucina meridionale (ma possono essere ambedue sostituiti proficuamente con dello strutto...) e con l’eccezione del pomodoro mancante del tutto in questa preparazione il cui nome è gattò, evidente corruzione del lemma francese gateau (torta); al proposito ricorderò che la parola gattò entrò anche, dopo la discesa dei cuochi francesi detti dai napoletani monzú,corrompendo il francese monsieur, nelle pasticceria napoletana dove con il nome di gattò mariaggio con evidente corruzione di gateau du mariage si indicò la dolce torta nuziale. Torniamo al gattò di patate.
DOSI per 6 persone
1,5 kg di patate vecchie a pasta gialla,
2 bicchieri di latte intero,
2 etti di burro ammorbidito (oppure e meglio 1 etto e ½ di strutto),
3 etti di salame tipo napoli tagliato a listarelle di cm.3 x ½ x 1,
4 etti di provola affumicata tagliata a dadini di 1,5 cm. di spigolo,
6 uova di cui 2 rassodate(facendole cioè cuocere con il guscio in acqua bollente per la durata di 7’a partire dal primo bollore),sgusciate, sciacquate e tagliate a fettine,
100 grammi di pecorino laticauda grattugiato,
2 cucchiai di pangrattato,
Sale fino, noce moscata e pepe nero macinato q. s.
Procedimento.
Lessare le patate con la buccia (o cuocerle in microonde).
Ancora calde, pelarle e passarle allo schiaccia-patate. Metterle in una grossa ciotola.
Aggiungere metà del burro o dello strutto e mescolare a mani nude finché sia completamente amalgamato, quindi unire 4 uova intere, il latte, una manciata di pecorino, un po’ di noce moscata, il salame e le fettine di uova sode. Regolar di sale, aggiungere il pepe macinato.
Ungere molto con il burro o lo strutto residui una teglia di circa 30 cm. di diametro e cospargerla di pan grattato.
Fare un unico strato con il composto di patate avendo cura di farlo ben aderire al fondo e alle pareti della teglia.
Cospargere di pan grattato e fiocchetti di burro o strutto.
Cuocere in forno già caldo a circa 190 gradi per 30-35 minuti o fino a che la superficie non sia ben dorata.
In alternativa (ed a me piace di piú…) il gattò può essere anche fritto già monoporzionato, in successive volte, sulla fiamma in una teglia appena unta d’olio fino a che non risulti ben dorato.
Rammentarsi che l’impasto e la sistemazione nella teglia va fatto rigorosamente a mani nude senza l’ausilio di posate!
Togliere dal forno o dal fuoco ed attendere che si raffreddi (occorrerà circa una mezz'ora) prima di servire il gattò tagliato in ampie fette, se non già monoporzionato.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
PIRCIATIELLE E MURZELLE D''O CHIANCHIERE
Perciatielle e Murzelle d’’o chianchiere
La ricetta che qui di sèguito vi propongo nasce dall’osservazione che spesso coloro che si recano dal proprio macellaio, (sia pure di fiducia) lo fanno quasi sempre non per farsi consigliare su quale sia il pezzo migliore di carne da usare per una determinata preparazione, ma, entrano in macelleria decisissimi ad imporre la propria presuntuosa idea anche quando questa dovesse risultare sciocca ed erronea, convinti come sono (da saccenti e supponenti) di essere in possesso di tutte le conoscenza fatte di verità sacrosante e di non aver bisogno del consiglio dell’esperto di turno (in questo caso del macellaio) e si finisce per pretendere dei tagli di carne quasi sempre ricavati dal quarto posteriore della bestia, quel quarto che in realtà è il meno saporito (essendo molto magro e privo quasi del tutto di grasso) ed è il piú costoso, laddove per moltissime preparazioni (se con umiltà ci si lasciasse consigliare dal macellaio)si potrebbero usare i gustosissimi tagli del quarto anteriore (locena, spalla (pettola o polpa) piú saporito e meno costoso, ottenendo risultati migliori ad un prezzo piú contenuto; ma come si sa l’umiltà è una virtú poco frequentata e, per converso saccenza e supponenza allignano nel comportamento della stragrande maggioranza del genere umano (soprattutto degli asini calzati e vestiti) , di talché in macelleria si perdura ad acquistare (spessissimo impropriamente) fettine di noce, rosa e girello cioè a dire, per dirlo alla maniera napoletana: pezza a cannella, lacerto e retocoscia lasciando al bottegaio invenduto il quarto anteriore che è invece quello che egli, furbescamente si porta a casa per il proprio asciolvere.
Questa ricetta si avvale dei consigli d’’o chianchiere (chianchiére s. maschile che al femm. è chianchèra = macellaio/a, chi macella le bestie e chi ne vende al minuto le carni in una macelleria; la voce macellaio/a è dal Lat. *macellariu(m)/aria(m) 'mercante di generi alimentari', deriv. di macellum; la voce partenopea chianchiére/èra sono un derivato del latino planca + iére/èra suff. di pertinenza: la voce planca→chianca indicava un piano di legno (tavolo) su cui in origine venivano esposti, tagliati ed offerti al pubblico i pezzi di carne macellati) e prevede l’uso di tagli (locena, spalla) del quarto anteriore del manzo adulto o del vitello.
ingredienti e dosi per 6 persone:
- 6 etti di perciatelli spezzettati in pezzi di 4 cm.,
- un litro di passata di pomidoro fresca o in bottiglia,
- 1,500 kg. di spalla di manzo o vitello in fettine di cm. 5 x 7 x 1 ridotte in bastoncini della grandezza d’un indice;
- 1 cipolla dorata mondata e tritata finemente,
- 1/2 bicchiere di vino bianco secco,
- 1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.,
- 4 uova,
- 1 cucchiaio di origano
- sale doppio – un pugno,
- sale fino e pepe bianco q.s.,
- farina q.s.
- pecorino grattugiato 1 etto
procedimento
Sbucciate la cipolla e tritatela finemente; poi fatela appassire a fuoco sostenuto in una padella antiaderente con mezzo bicchiere d'olio caldo. Unitevi la carne, lasciatela insaporire per dieci minuti e bagnatela con il vino. Aggiungete la passata di pomidoro,insaporite con sale, pepe, coprite e cuocete per 40 min. a fuoco moderato; alla fine aggiungete il cucchiaio di origano e fate sobbollire per circa 10 minuti. Nel frattempo sbattete a spuma le uova addizionate di sale e pepe; Approntate la pentola con abbondante acqua (8 litri) salata (pugno sale grosso) e lessatevi al dente i perciatelli spezzettati; appena lessati prelevateli con una schiumarola e poneteli in una zuppiera e conditeli con la metà del sugo di pomidoro (scartando le morzelle di carne) e spolverizzateli con metà del pecorino e pepe ad libitum.Teneteli in caldo e nel frattempo sgrondate con l’apposita pinza dal sugo i pezzi di carne, rollateli nella farina addizionata con l’altra metà del pecorino, intingeteli nelle uova sbattute e friggeteli rapidamente nell’olio residuo mandato a temperatura; appena fritti immergete i pezzi di carne dorati nel sugo di pomidoro residuo tenuto a lento bollore.
Servite in tavola la pasta ed a seguire le morzelle irrorate di sugo, accompagnate da un contorno o di patate fritte o di verdure (scarola liscia, cime di broccoli baresi) lessate o cotte al vapore e condite all’agro con olio, aglio tritato, limone e sale.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
La ricetta che qui di sèguito vi propongo nasce dall’osservazione che spesso coloro che si recano dal proprio macellaio, (sia pure di fiducia) lo fanno quasi sempre non per farsi consigliare su quale sia il pezzo migliore di carne da usare per una determinata preparazione, ma, entrano in macelleria decisissimi ad imporre la propria presuntuosa idea anche quando questa dovesse risultare sciocca ed erronea, convinti come sono (da saccenti e supponenti) di essere in possesso di tutte le conoscenza fatte di verità sacrosante e di non aver bisogno del consiglio dell’esperto di turno (in questo caso del macellaio) e si finisce per pretendere dei tagli di carne quasi sempre ricavati dal quarto posteriore della bestia, quel quarto che in realtà è il meno saporito (essendo molto magro e privo quasi del tutto di grasso) ed è il piú costoso, laddove per moltissime preparazioni (se con umiltà ci si lasciasse consigliare dal macellaio)si potrebbero usare i gustosissimi tagli del quarto anteriore (locena, spalla (pettola o polpa) piú saporito e meno costoso, ottenendo risultati migliori ad un prezzo piú contenuto; ma come si sa l’umiltà è una virtú poco frequentata e, per converso saccenza e supponenza allignano nel comportamento della stragrande maggioranza del genere umano (soprattutto degli asini calzati e vestiti) , di talché in macelleria si perdura ad acquistare (spessissimo impropriamente) fettine di noce, rosa e girello cioè a dire, per dirlo alla maniera napoletana: pezza a cannella, lacerto e retocoscia lasciando al bottegaio invenduto il quarto anteriore che è invece quello che egli, furbescamente si porta a casa per il proprio asciolvere.
Questa ricetta si avvale dei consigli d’’o chianchiere (chianchiére s. maschile che al femm. è chianchèra = macellaio/a, chi macella le bestie e chi ne vende al minuto le carni in una macelleria; la voce macellaio/a è dal Lat. *macellariu(m)/aria(m) 'mercante di generi alimentari', deriv. di macellum; la voce partenopea chianchiére/èra sono un derivato del latino planca + iére/èra suff. di pertinenza: la voce planca→chianca indicava un piano di legno (tavolo) su cui in origine venivano esposti, tagliati ed offerti al pubblico i pezzi di carne macellati) e prevede l’uso di tagli (locena, spalla) del quarto anteriore del manzo adulto o del vitello.
ingredienti e dosi per 6 persone:
- 6 etti di perciatelli spezzettati in pezzi di 4 cm.,
- un litro di passata di pomidoro fresca o in bottiglia,
- 1,500 kg. di spalla di manzo o vitello in fettine di cm. 5 x 7 x 1 ridotte in bastoncini della grandezza d’un indice;
- 1 cipolla dorata mondata e tritata finemente,
- 1/2 bicchiere di vino bianco secco,
- 1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.,
- 4 uova,
- 1 cucchiaio di origano
- sale doppio – un pugno,
- sale fino e pepe bianco q.s.,
- farina q.s.
- pecorino grattugiato 1 etto
procedimento
Sbucciate la cipolla e tritatela finemente; poi fatela appassire a fuoco sostenuto in una padella antiaderente con mezzo bicchiere d'olio caldo. Unitevi la carne, lasciatela insaporire per dieci minuti e bagnatela con il vino. Aggiungete la passata di pomidoro,insaporite con sale, pepe, coprite e cuocete per 40 min. a fuoco moderato; alla fine aggiungete il cucchiaio di origano e fate sobbollire per circa 10 minuti. Nel frattempo sbattete a spuma le uova addizionate di sale e pepe; Approntate la pentola con abbondante acqua (8 litri) salata (pugno sale grosso) e lessatevi al dente i perciatelli spezzettati; appena lessati prelevateli con una schiumarola e poneteli in una zuppiera e conditeli con la metà del sugo di pomidoro (scartando le morzelle di carne) e spolverizzateli con metà del pecorino e pepe ad libitum.Teneteli in caldo e nel frattempo sgrondate con l’apposita pinza dal sugo i pezzi di carne, rollateli nella farina addizionata con l’altra metà del pecorino, intingeteli nelle uova sbattute e friggeteli rapidamente nell’olio residuo mandato a temperatura; appena fritti immergete i pezzi di carne dorati nel sugo di pomidoro residuo tenuto a lento bollore.
Servite in tavola la pasta ed a seguire le morzelle irrorate di sugo, accompagnate da un contorno o di patate fritte o di verdure (scarola liscia, cime di broccoli baresi) lessate o cotte al vapore e condite all’agro con olio, aglio tritato, limone e sale.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
mercoledì 25 giugno 2008
N’ATA VOTA MO! ?
N’ATA VOTA MO! ?
Ad litteram: Un’altra volta adesso?
Spazientita domanda retorica che si sostanzia in un’esclamazione di dispetto quando non di rabbia rivolta contro chi, incurante di nostre sollecitazioni o raccomandazioni, perseversi insistendo nel tenere un atteggiamento non consono, per il quale sia stato già redarguito, o reiteri un’azione che già ci abbia infastiditi, se non scossi; con l’espressione in epigrafe, pronunciata con tono risentito pare quasi che si voglia dire a chi tenga quel tal non consono e reiterato comportamento: Non t’è bastato sbagliare una volta, intendi ripeterti e perseverare nell’errore?!
La voce mo è l’avverbio napoletano di tempo che traduce i toscani: ora, adesso mentre nella forma reiterata mmo mmo rende il subito, immediatamente; l’etimologia di mo è controversa,come è controverso il modo di scriverlo: mo, mò, mo’;anche gli scrittori classici napoletani non offrono certezze di grafia ed usano indifferentemente le tre maniere e talvolta piú d’una nel medesimo scritto; orbene apparendo il mo ai piú un derivato del latino modo= ora, adesso sarebbe forse buona norma scriverlo: mo’ dove il segno (‘) indicherebbe giustamente l’apocope della sillaba etimologica do; ma un’altra scuola di pensiero, alla quale del resto mi collego fa discendere l’avverbio napoletano non da modo ma sempre da un latino mox ugualmente ora, adesso di talché mi pare piú corretto scrivere mo senza alcun segno diacritico, essendosi verificata la caduta di una sola consonante (x) e non di un’intera sillaba, la medesima cosa che capita con i napoletani cu (con) e pe (per)dove si registrano la caduta di una consonante che è rispettivamente m di cum e r di per consonanti che cadendo non richiedono segni diacritici sostitutivi; e tutto ciò sebbene qualche studioso di glottologia faccia notare che nel caso che l’etimo di mo fosse da mox non sarebbe possibile che la consonante ics cadendo non abbia lasciato traccia di sé; dico: l’etimologia avrà pure le sue regole, ma non mi pare che sia una scienza galileiana e troppe eccezioni ò incontrate per sorprendermi, come pure sconsiglio assolutamente di scrivere mò con l’accento che è segno diacritico da usarsi nei monosillabi solo se esiste analogo monosillabo di diverso significato come capita con gli italiani se congiunzione che vale qualora, nel caso che e l’accentato sé che è pronome; nel napoletano oltre il mo avverbio di tempo non v’è altro mo se non enclitico (e qui di seguito ve ne dico) e dunque non v’à ragione di accentare l’avverbio di tempo mo.
Nella grafia del napoletano c’è solo un caso in cui la caduta di una consonante in fin di parola richiede l’uso di un segno diacritico (‘); è il caso di nu’ che sta per nun= non; nella fattispecie si rende necessario scrivere nu’ piuttosto che nu (come consiglierebbe la regola che per caduta finale di consonante non richiede l’apposizione d’un segno diacrito). Infatti, poiché in napoletano esiste un altro omofono nu= uno, un articolo indeterminativo che è buona norma scrivere con il segno dell’aferesi ‘nu e non nu senza alcun segno come invece purtroppo è invalso nell’uso di molti scrittori e/o addetti ai lavori partenopei o sedicenti tali; il nu lasciato nudo d’ogni segno d’aferesi o d’apocope potrebbe dare adito alla confusione ed è questa la ragione per la quale scrivo e consiglio di scrivere ‘nu= un, uno e nu’ per nun= non.
Ma torniamo al mo enclitico che è dal latino meus è quello che si lega in coda ad un sostantivo nel significato appunto di mio ed essendo enclitico non à un proprio accento, nè fa mutare quello del sostantivo cui è legato; ad es: pàtemo = mio padre; fràtemo=mio fratello.
Raffaele Bracale
Ad litteram: Un’altra volta adesso?
Spazientita domanda retorica che si sostanzia in un’esclamazione di dispetto quando non di rabbia rivolta contro chi, incurante di nostre sollecitazioni o raccomandazioni, perseversi insistendo nel tenere un atteggiamento non consono, per il quale sia stato già redarguito, o reiteri un’azione che già ci abbia infastiditi, se non scossi; con l’espressione in epigrafe, pronunciata con tono risentito pare quasi che si voglia dire a chi tenga quel tal non consono e reiterato comportamento: Non t’è bastato sbagliare una volta, intendi ripeterti e perseverare nell’errore?!
La voce mo è l’avverbio napoletano di tempo che traduce i toscani: ora, adesso mentre nella forma reiterata mmo mmo rende il subito, immediatamente; l’etimologia di mo è controversa,come è controverso il modo di scriverlo: mo, mò, mo’;anche gli scrittori classici napoletani non offrono certezze di grafia ed usano indifferentemente le tre maniere e talvolta piú d’una nel medesimo scritto; orbene apparendo il mo ai piú un derivato del latino modo= ora, adesso sarebbe forse buona norma scriverlo: mo’ dove il segno (‘) indicherebbe giustamente l’apocope della sillaba etimologica do; ma un’altra scuola di pensiero, alla quale del resto mi collego fa discendere l’avverbio napoletano non da modo ma sempre da un latino mox ugualmente ora, adesso di talché mi pare piú corretto scrivere mo senza alcun segno diacritico, essendosi verificata la caduta di una sola consonante (x) e non di un’intera sillaba, la medesima cosa che capita con i napoletani cu (con) e pe (per)dove si registrano la caduta di una consonante che è rispettivamente m di cum e r di per consonanti che cadendo non richiedono segni diacritici sostitutivi; e tutto ciò sebbene qualche studioso di glottologia faccia notare che nel caso che l’etimo di mo fosse da mox non sarebbe possibile che la consonante ics cadendo non abbia lasciato traccia di sé; dico: l’etimologia avrà pure le sue regole, ma non mi pare che sia una scienza galileiana e troppe eccezioni ò incontrate per sorprendermi, come pure sconsiglio assolutamente di scrivere mò con l’accento che è segno diacritico da usarsi nei monosillabi solo se esiste analogo monosillabo di diverso significato come capita con gli italiani se congiunzione che vale qualora, nel caso che e l’accentato sé che è pronome; nel napoletano oltre il mo avverbio di tempo non v’è altro mo se non enclitico (e qui di seguito ve ne dico) e dunque non v’à ragione di accentare l’avverbio di tempo mo.
Nella grafia del napoletano c’è solo un caso in cui la caduta di una consonante in fin di parola richiede l’uso di un segno diacritico (‘); è il caso di nu’ che sta per nun= non; nella fattispecie si rende necessario scrivere nu’ piuttosto che nu (come consiglierebbe la regola che per caduta finale di consonante non richiede l’apposizione d’un segno diacrito). Infatti, poiché in napoletano esiste un altro omofono nu= uno, un articolo indeterminativo che è buona norma scrivere con il segno dell’aferesi ‘nu e non nu senza alcun segno come invece purtroppo è invalso nell’uso di molti scrittori e/o addetti ai lavori partenopei o sedicenti tali; il nu lasciato nudo d’ogni segno d’aferesi o d’apocope potrebbe dare adito alla confusione ed è questa la ragione per la quale scrivo e consiglio di scrivere ‘nu= un, uno e nu’ per nun= non.
Ma torniamo al mo enclitico che è dal latino meus è quello che si lega in coda ad un sostantivo nel significato appunto di mio ed essendo enclitico non à un proprio accento, nè fa mutare quello del sostantivo cui è legato; ad es: pàtemo = mio padre; fràtemo=mio fratello.
Raffaele Bracale
CARPACCIO DI CARCIOFI E SPECK
carpaccio di carciofi e speck
Ottimo piatto adatto per queste afose giornate!
Ingredienti e dosi per 4 persone
• 6 carciofi
• 2 mazzetti di insalata rucola
• 2 cespi di insalata belga (indivia)
• 100 g di speck a fettine non troppo sottili
• 1 limone non trattato
• 50 g di ricotta di pecora stagionata ed infornata
• in alternativa 100 g. di caciocavallo piccante tagliato a scaglie
• 10 cucchiai di olio d'oliva extra-vergine
• 2 cucchiai di aceto balsamico
• Sale doppio alle erbette e pepe bianco q.s.
• Preparazione
Mondate i carciofi, divideteli longitudinalmente a metà, eliminate il fieno e lavateli in acqua e succo di limone.
Lavate bene la rucola e l'insalata belga, quindi sgocciolate i carciofi e tagliateli longitudinalmente a fettine molto sottili.
Sui piatti individuali o su un piatto da portata, disponete le foglie di belga alternandole alle fettine di speck, poi unite la rucola e i carciofi.
In una ciotola versate l'olio, l'aceto, il sale e il pepe.
Emulsionate bene poi versate la salsa sui carciofi.
Cospargete con la ricotta sbriciolata o il caciocavallo a scaglie e servite dopo d’aver fatto transitare il carpaccio per un’ora nel frigo.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Ottimo piatto adatto per queste afose giornate!
Ingredienti e dosi per 4 persone
• 6 carciofi
• 2 mazzetti di insalata rucola
• 2 cespi di insalata belga (indivia)
• 100 g di speck a fettine non troppo sottili
• 1 limone non trattato
• 50 g di ricotta di pecora stagionata ed infornata
• in alternativa 100 g. di caciocavallo piccante tagliato a scaglie
• 10 cucchiai di olio d'oliva extra-vergine
• 2 cucchiai di aceto balsamico
• Sale doppio alle erbette e pepe bianco q.s.
• Preparazione
Mondate i carciofi, divideteli longitudinalmente a metà, eliminate il fieno e lavateli in acqua e succo di limone.
Lavate bene la rucola e l'insalata belga, quindi sgocciolate i carciofi e tagliateli longitudinalmente a fettine molto sottili.
Sui piatti individuali o su un piatto da portata, disponete le foglie di belga alternandole alle fettine di speck, poi unite la rucola e i carciofi.
In una ciotola versate l'olio, l'aceto, il sale e il pepe.
Emulsionate bene poi versate la salsa sui carciofi.
Cospargete con la ricotta sbriciolata o il caciocavallo a scaglie e servite dopo d’aver fatto transitare il carpaccio per un’ora nel frigo.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
FILOSCIO * CU ‘E CEPOLLE
FILOSCIO * CU ‘E CEPOLLE
DOSI PER 4 PERSONE
8 uova, preferibilmente fresche, 4 grosse cipolle dorate,1/2 bicchiere di latte,
1 bicchiere abbondante di olio per friggere , 4 cucchiai di pecorino grattugiato, sale e pepe q.s.
*per filoscio dal francese filoche a sua volta da fil, si intende una frittata molto sottile tale da poter essere convenientemente arrovesciata su se stessa fino ad assumere una forma oblunga e soffice.
Affettate le cipolle mondate della pellicola esterna in senso longitudinale con uno spessore di ca ½ cm.; ponetele in acqua fredda e dopo ca ½ ora sgrondatele ed asciugatele con un canevaccio, ponetele in una teglia con la metà dell’olio e lasciatele stufare a fuoco sostenuto; quando avranno preso colore, senza bruciare, salatele con parsimonia , raccoglietele con una schiumarola e ponetele in una terrina.
In una grossa ciotola rompete le uova, battetele a spuma, aggiungendo il latte, il pecorino , sale e pepe;
Aggiungete altro olio nella padella dove avete cotte le cipolle, portatelo a temperatura e versatevi parte delle uova sbattute, fino ad ottenere una frittata sottile tale che possa esser ripiegata su stessa; su detta frittata ancora stesa ponete qualche cucchiaiata di cipolle e ripiegate i lembi della frittata in modo che le cipolle restino imprigionate, ottenendo il c.d. filoscio oblungo e soffice; ripetete almeno quattro volte l’operazione fino ad esaurimento delle uova e delle cipolle.
Rammento che (per chi può permetterselo, non avendo problemi di diabete e/o colesterolo ) il filoscio cu ‘e cepolle va consumato a preferenza disteso in un panino marsigliese caldo di forno o riscaldato alla piastra, aperto longitudinalmente in due e poi farcito.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute ! E diciteme: Grazie!!
raffaele bracale
DOSI PER 4 PERSONE
8 uova, preferibilmente fresche, 4 grosse cipolle dorate,1/2 bicchiere di latte,
1 bicchiere abbondante di olio per friggere , 4 cucchiai di pecorino grattugiato, sale e pepe q.s.
*per filoscio dal francese filoche a sua volta da fil, si intende una frittata molto sottile tale da poter essere convenientemente arrovesciata su se stessa fino ad assumere una forma oblunga e soffice.
Affettate le cipolle mondate della pellicola esterna in senso longitudinale con uno spessore di ca ½ cm.; ponetele in acqua fredda e dopo ca ½ ora sgrondatele ed asciugatele con un canevaccio, ponetele in una teglia con la metà dell’olio e lasciatele stufare a fuoco sostenuto; quando avranno preso colore, senza bruciare, salatele con parsimonia , raccoglietele con una schiumarola e ponetele in una terrina.
In una grossa ciotola rompete le uova, battetele a spuma, aggiungendo il latte, il pecorino , sale e pepe;
Aggiungete altro olio nella padella dove avete cotte le cipolle, portatelo a temperatura e versatevi parte delle uova sbattute, fino ad ottenere una frittata sottile tale che possa esser ripiegata su stessa; su detta frittata ancora stesa ponete qualche cucchiaiata di cipolle e ripiegate i lembi della frittata in modo che le cipolle restino imprigionate, ottenendo il c.d. filoscio oblungo e soffice; ripetete almeno quattro volte l’operazione fino ad esaurimento delle uova e delle cipolle.
Rammento che (per chi può permetterselo, non avendo problemi di diabete e/o colesterolo ) il filoscio cu ‘e cepolle va consumato a preferenza disteso in un panino marsigliese caldo di forno o riscaldato alla piastra, aperto longitudinalmente in due e poi farcito.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute ! E diciteme: Grazie!!
raffaele bracale
Cazzabbubbole* cu ‘o presutto**
Cazzabbubbole* cu ‘o presutto**
(involtini con il prosciutto)
Gustosissima preparazione da servire o come antipasto o rompidigiuno o anche come secondo piatto accompagnata da verdure (bietole, cime di broccoli baresi lessate al vapore e condite all’agro con olio, aglio tritato, succo di limone, sale e pepe).
*la voce cazzabbubbole plurale di cazzabbubbola nasce come si può facilmente intendere (con riferimento alla forma dell’involtino) dall’unione furbesca di due voci di cui la prima: cazza è ovviamente adattamento divertito del maschile cazzo, mentre la seconda bubbola/e è presa dall’omonimo fungo (e segnatamente dal suo gambo di cui ripete la forma); tale voce cazzabbubbola è usata però in lingua napoletana non solo per indicare questo involtino di provola e prosciutto, ma molto piú estesamente e genericamente per indicare qualsiasi oggetto (che anche non abbia forma di fuso) che càpiti fra le mani e di cui non si conosca o non si rammenti il nome esatto o la destinazione d’uso.
** la voce presutto traduce l’italiano prosciutto pop. presciutto, s. m. coscia di maiale salata e parzialmente prosciugata perché si conservi a lungo; la voce napoletana deriva da un *pro-suctu(m) modellato su ex-suctu(m)= asciutto.
E passiamo alla ricetta:
ingredienti e dosi per 6 persone
1 kg di provola affumicata tenuta in frigo per 12 ore e poi tagliata in pezzi di circa 80 g. cadauno di cm. 8 x 3 x 2;
4 etti di prosciutto crudo affettato sottilmente;
6 uova;
1 etto di pangrattato;
1 etto di pecorino grattugiato;
1 etto di farina;
abbondante olio per friggere (semi varî o arachidi o mais o girasole);
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
Dopo d’aver tagliato la provola in pezzi, avvolgere attorno ad ognuno di essi una o due fette di prosciutto, ripetendo l’operazione fino ad esaurimento della provola e del prosciutto; aprire in una terrina le uova e sbatterle a spuma aggiungendo due o piú cucchiai di pecorino, un pizzico di sale e due di pepe; versare l’olio in una padella di ferro nero e portarlo su fiamma sostenuta ad altissima temperatura; nel frattempo rollare nella farina le cazzabbubbole (involtini) approntate, intingerle nelle uova, passarle nel pangrattato addizionato del pecorino residuo e friggerle fino a che siano ben dorate nell’olio ormai bollente; prelevarle con una schiumarola e porle in un piatto su cui avremo stesa della carta assorbente da cucina; le cazzabbubbole vanno servite (come ò detto) o come antipasto o come rompidigiuno, ma anche come secondo piatto accompagnate da verdure (bietole, cime di broccoli baresi lessate al vapore e condite all’agro con olio, aglio tritato, succo di limone, sale e pepe), pur che siano calde di fornello!
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo ) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E dicíteme grazzie!
raffaele bracale
(involtini con il prosciutto)
Gustosissima preparazione da servire o come antipasto o rompidigiuno o anche come secondo piatto accompagnata da verdure (bietole, cime di broccoli baresi lessate al vapore e condite all’agro con olio, aglio tritato, succo di limone, sale e pepe).
*la voce cazzabbubbole plurale di cazzabbubbola nasce come si può facilmente intendere (con riferimento alla forma dell’involtino) dall’unione furbesca di due voci di cui la prima: cazza è ovviamente adattamento divertito del maschile cazzo, mentre la seconda bubbola/e è presa dall’omonimo fungo (e segnatamente dal suo gambo di cui ripete la forma); tale voce cazzabbubbola è usata però in lingua napoletana non solo per indicare questo involtino di provola e prosciutto, ma molto piú estesamente e genericamente per indicare qualsiasi oggetto (che anche non abbia forma di fuso) che càpiti fra le mani e di cui non si conosca o non si rammenti il nome esatto o la destinazione d’uso.
** la voce presutto traduce l’italiano prosciutto pop. presciutto, s. m. coscia di maiale salata e parzialmente prosciugata perché si conservi a lungo; la voce napoletana deriva da un *pro-suctu(m) modellato su ex-suctu(m)= asciutto.
E passiamo alla ricetta:
ingredienti e dosi per 6 persone
1 kg di provola affumicata tenuta in frigo per 12 ore e poi tagliata in pezzi di circa 80 g. cadauno di cm. 8 x 3 x 2;
4 etti di prosciutto crudo affettato sottilmente;
6 uova;
1 etto di pangrattato;
1 etto di pecorino grattugiato;
1 etto di farina;
abbondante olio per friggere (semi varî o arachidi o mais o girasole);
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
Dopo d’aver tagliato la provola in pezzi, avvolgere attorno ad ognuno di essi una o due fette di prosciutto, ripetendo l’operazione fino ad esaurimento della provola e del prosciutto; aprire in una terrina le uova e sbatterle a spuma aggiungendo due o piú cucchiai di pecorino, un pizzico di sale e due di pepe; versare l’olio in una padella di ferro nero e portarlo su fiamma sostenuta ad altissima temperatura; nel frattempo rollare nella farina le cazzabbubbole (involtini) approntate, intingerle nelle uova, passarle nel pangrattato addizionato del pecorino residuo e friggerle fino a che siano ben dorate nell’olio ormai bollente; prelevarle con una schiumarola e porle in un piatto su cui avremo stesa della carta assorbente da cucina; le cazzabbubbole vanno servite (come ò detto) o come antipasto o come rompidigiuno, ma anche come secondo piatto accompagnate da verdure (bietole, cime di broccoli baresi lessate al vapore e condite all’agro con olio, aglio tritato, succo di limone, sale e pepe), pur che siano calde di fornello!
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo ) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E dicíteme grazzie!
raffaele bracale
PASTA E FAGIOLI CON LE COZZE
PASTA E FAGIOLI CON LE COZZE
Dosi per 6 persone:
1 chilo e mezzo di cozze;
6 etti di fagioli secchi cannellini o due confezione in contenitore vitreo di fagioli cannellini lessati di circa 250 grammi cadauna;
4 o 5 pomodorini tipo ciliegine;
2 spicchid'aglio,
2 cipolle dorate
1 costola di sedano,
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di olio d'oliva,
un ciuffo di prezzemolo,
sale fino e pepe nero q.b.
6 etti di pasta corta formato: ditalini (avemarie) o stortini
Lavare accuratamente le cozze, soffregandole con uno spazzolino duro, sciacquarle in acqua corrente. metterle in una ampia padella in cui avremo versato 2 cucchiai d'olio con uno spicchio d'aglio schiacciato ed il bicchiere di vino. Incoperchiare, alzare la fiamma ed attendere che i mitili si aprano; ad apertura avvenuta prelevare i frutti dalle valve e tenerli in una scodella coperti del loro liquido d'apertura opportunamente filtrato con un setaccio strettissimo.
Nel frattempo, se avremo usato i fagioli secchi, li lesseremo in parecchia acqua salata con mezza cipolla e mezza costa di sedano con un cucchiaino di bicarbonato; quando saranno ben cotti li trasferiremo con una schiumarola nel passaverdure assieme alla cipolla ed al sedano per ottenerne una densa crema; oggi le moderne industrie in ispecie quelle campane, a carattere familiare producono buonissimi fagioli già lessati e pronti per l'uso, per cui si possono tranquillamente usare le confezioni in commercio specialmente quelle con il contenitore di vetro.
In un'alta e capace pentola versiamo il rimanente olio con uno spicchio d'aglio schiacciato, mezza cipolla tritata e mezza costa di sedano ugualmente tritata; fare imbiondire il tutto ed eliminare poi l'aglio, spezzettare i pomodorini, versarli nel soffritto e portare a cottura la salsetta a fiamma dolce in 10 minuti. Alla fine aggiustare di sale e di pepe ed aggiungere il prezzemolo tritato; versare nell'intigolo la purea di fagioli ed il solo liquido di cottura delle cozze; versare la pasta, mescolare ed aggiungendo poco alla volta qualche mestolino di acqua bollente portare a cottura la pasta, a mo' di risotto; a cottura ultimata aggiustare di sale ed aggiungere tutte le cozze ed abbondante pepe macinato al momento, rimestare delicatamente ed impiattare versando su ogni porzione un sottile filo d'olio; servire accompagnando il piatto con una coccia di cipolla cruda da usarsi a mo’ di cucchiaio edibile!
Vini adatti: vini campani rossi e corposi serviti a temperatura ambiente.
NOTA
È piatto da prepararsi nei mesi SENZA la ERRE ( da maggio ad agosto) quando le cozze sono piú piene e saporite, avendo cura di acquistare quelle prodotte negli stabularî autorizzati e messe in vendita in tipiche reticelle di color verde scuro!
raffaele bracale
Dosi per 6 persone:
1 chilo e mezzo di cozze;
6 etti di fagioli secchi cannellini o due confezione in contenitore vitreo di fagioli cannellini lessati di circa 250 grammi cadauna;
4 o 5 pomodorini tipo ciliegine;
2 spicchid'aglio,
2 cipolle dorate
1 costola di sedano,
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di olio d'oliva,
un ciuffo di prezzemolo,
sale fino e pepe nero q.b.
6 etti di pasta corta formato: ditalini (avemarie) o stortini
Lavare accuratamente le cozze, soffregandole con uno spazzolino duro, sciacquarle in acqua corrente. metterle in una ampia padella in cui avremo versato 2 cucchiai d'olio con uno spicchio d'aglio schiacciato ed il bicchiere di vino. Incoperchiare, alzare la fiamma ed attendere che i mitili si aprano; ad apertura avvenuta prelevare i frutti dalle valve e tenerli in una scodella coperti del loro liquido d'apertura opportunamente filtrato con un setaccio strettissimo.
Nel frattempo, se avremo usato i fagioli secchi, li lesseremo in parecchia acqua salata con mezza cipolla e mezza costa di sedano con un cucchiaino di bicarbonato; quando saranno ben cotti li trasferiremo con una schiumarola nel passaverdure assieme alla cipolla ed al sedano per ottenerne una densa crema; oggi le moderne industrie in ispecie quelle campane, a carattere familiare producono buonissimi fagioli già lessati e pronti per l'uso, per cui si possono tranquillamente usare le confezioni in commercio specialmente quelle con il contenitore di vetro.
In un'alta e capace pentola versiamo il rimanente olio con uno spicchio d'aglio schiacciato, mezza cipolla tritata e mezza costa di sedano ugualmente tritata; fare imbiondire il tutto ed eliminare poi l'aglio, spezzettare i pomodorini, versarli nel soffritto e portare a cottura la salsetta a fiamma dolce in 10 minuti. Alla fine aggiustare di sale e di pepe ed aggiungere il prezzemolo tritato; versare nell'intigolo la purea di fagioli ed il solo liquido di cottura delle cozze; versare la pasta, mescolare ed aggiungendo poco alla volta qualche mestolino di acqua bollente portare a cottura la pasta, a mo' di risotto; a cottura ultimata aggiustare di sale ed aggiungere tutte le cozze ed abbondante pepe macinato al momento, rimestare delicatamente ed impiattare versando su ogni porzione un sottile filo d'olio; servire accompagnando il piatto con una coccia di cipolla cruda da usarsi a mo’ di cucchiaio edibile!
Vini adatti: vini campani rossi e corposi serviti a temperatura ambiente.
NOTA
È piatto da prepararsi nei mesi SENZA la ERRE ( da maggio ad agosto) quando le cozze sono piú piene e saporite, avendo cura di acquistare quelle prodotte negli stabularî autorizzati e messe in vendita in tipiche reticelle di color verde scuro!
raffaele bracale
• SCIORBA* D’ALICE
•
• SCIORBA* D’ALICE
• zuppa di alici
•
• ingredienti e dosi per 8 persone
• 1200 g di alici freschissime
• 1 bicchieredi olio d'oliva e.v.
• 1 cipolla affettata
• 400 g di pomidoro pelati
• 2 spicchi di agli schiacciati,
• 700 g di patate vecchie tagliate a dadini
• 1 foglia di alloro,
• 1 pizzico di origano,
• Sale grosso alle erbette q.s.
• Pepe nero q.s.
• 300 cl di acqua
• Prezzemolo tritato q.s.
• 8 fette di pane abbrustolito al forno (200°) e soffregato d’aglio.
NOTA
*la voce sciorba deriva , nel significato di zuppa, dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto trattasi di zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso .
procedimento
In un capace tegame (possibilmente) di terracotta versare il bicchiere di olio d'oliva e farvi appassire a fuoco vivace una cipolla tritata.
Quando la cipolla è quasi sfatta unire 400 g di pelati, 1 spicchio d'aglio schiacciato, una foglia (spezzettata a mano) di alloro, un pizzico di origano, una presa di sale grosso alle erbette ed abbondante pepe nero.
Cuocere il tutto per 8 minuti circa a fuoco basso e poi unire 700 g di patate vecchie sbucciate e tagliate a dadini di un cm. di spigolo.
Bagnare con 300 cl di acqua calda, far bollire per 20-25 minuti, aggiungere poi le alici, pulite, decapitate, eviscerate ed aperte, ma non divise, e diliscate e cuocere ancora per 15 minuti;alla fine aggiungere il prezzemolo tritato.
Versare la sciòrba su fette di pane abbrustolito al forno e soffregato con uno spicchio d’aglio e buon appetito!
Quando d’estate la temperatura s’alza e fa caldo a mare, la pesca di alici è abbondante e tale pesce azzurro è molto gustoso e vale dunque la pena di provare questa zuppa!
nota linguistica
la voci sciòrba/sciòrbacca che valgono zuppa sono due forme di un’antichissima voce napoletana (17° sec.) ormai assolutamente desueta che fu usata quasi esclusivamente nelle zone popolari della città bassa (Porta Capuana e dintorni) con derivazione dall’arabo persiano sciorbach che è da un tema verbale sciaríba (bere). Specialmente la seconda forma:sciorbacca fu usata anche per traslato in senso dispregiativo (suggerito forse dal suffisso acca cfr. vigli-acco/a) nei confronti di una donna non avvenente ed a maggior disdoro lamentosa, fastidiosa e lutulenta tal quale una sciorba(zuppa). Oggi a Napoli di una tale donna (seppure inelegantemente si direbbe: “Leta, le’ ca sî ‘na zuppa!” (Lèvati, lèvati,togliti via, giacché sei una zuppa!) Temporibus illis si disse analogamente Leta, le’ ca sî ‘na sciòrbacca!
raffaele bracale
• SCIORBA* D’ALICE
• zuppa di alici
•
• ingredienti e dosi per 8 persone
• 1200 g di alici freschissime
• 1 bicchieredi olio d'oliva e.v.
• 1 cipolla affettata
• 400 g di pomidoro pelati
• 2 spicchi di agli schiacciati,
• 700 g di patate vecchie tagliate a dadini
• 1 foglia di alloro,
• 1 pizzico di origano,
• Sale grosso alle erbette q.s.
• Pepe nero q.s.
• 300 cl di acqua
• Prezzemolo tritato q.s.
• 8 fette di pane abbrustolito al forno (200°) e soffregato d’aglio.
NOTA
*la voce sciorba deriva , nel significato di zuppa, dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto trattasi di zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso .
procedimento
In un capace tegame (possibilmente) di terracotta versare il bicchiere di olio d'oliva e farvi appassire a fuoco vivace una cipolla tritata.
Quando la cipolla è quasi sfatta unire 400 g di pelati, 1 spicchio d'aglio schiacciato, una foglia (spezzettata a mano) di alloro, un pizzico di origano, una presa di sale grosso alle erbette ed abbondante pepe nero.
Cuocere il tutto per 8 minuti circa a fuoco basso e poi unire 700 g di patate vecchie sbucciate e tagliate a dadini di un cm. di spigolo.
Bagnare con 300 cl di acqua calda, far bollire per 20-25 minuti, aggiungere poi le alici, pulite, decapitate, eviscerate ed aperte, ma non divise, e diliscate e cuocere ancora per 15 minuti;alla fine aggiungere il prezzemolo tritato.
Versare la sciòrba su fette di pane abbrustolito al forno e soffregato con uno spicchio d’aglio e buon appetito!
Quando d’estate la temperatura s’alza e fa caldo a mare, la pesca di alici è abbondante e tale pesce azzurro è molto gustoso e vale dunque la pena di provare questa zuppa!
nota linguistica
la voci sciòrba/sciòrbacca che valgono zuppa sono due forme di un’antichissima voce napoletana (17° sec.) ormai assolutamente desueta che fu usata quasi esclusivamente nelle zone popolari della città bassa (Porta Capuana e dintorni) con derivazione dall’arabo persiano sciorbach che è da un tema verbale sciaríba (bere). Specialmente la seconda forma:sciorbacca fu usata anche per traslato in senso dispregiativo (suggerito forse dal suffisso acca cfr. vigli-acco/a) nei confronti di una donna non avvenente ed a maggior disdoro lamentosa, fastidiosa e lutulenta tal quale una sciorba(zuppa). Oggi a Napoli di una tale donna (seppure inelegantemente si direbbe: “Leta, le’ ca sî ‘na zuppa!” (Lèvati, lèvati,togliti via, giacché sei una zuppa!) Temporibus illis si disse analogamente Leta, le’ ca sî ‘na sciòrbacca!
raffaele bracale
Sciorba di fagioli cannellini e pomodori freschi
Sciorba di fagioli cannellini e pomodori freschi
Ingredienti e dosi per 6 persone:
500 gr di fagioli cannellini secchi o 2 confezioni vitree da 250 gr. di cannellini già lessati,
1 foglia di alloro,
pepe nero in grani q.s.,
3 dadi vegetali da brodo,
, 6 grossi pomodori sanmarzano o roma ben maturi,
4 cipolle dorate di cui una intera, la seconda tritata grossolanamente e le altre due affettate ad anelli,
1 carota ed una costa di sedano grattate e tagliate a dadini da ½ cm. di spigolo,
1 bicchiere d'olio d'oliva extravergine,
2 spicchi d'aglio mondati e schiacciati,
alcunefoglie di basilico,
salefino e pepe nero q.s..
3 cucchiai di sugna,
6 etti di pane casareccio tagliato in cubi da 1,5 cm. di spigolo,
Procedimento
La sera precedente dell’utilizzo di questa sciorba, mettete i fagioli a bagno in acqua fredda (circa 3 litri).
La mattina, metteteli in una pentola con la loro acqua e unite un po'di sale ed una cipolla mondata ma intera, la foglia di alloro, un dado da brodo ed un cucchiaio di pepe nero in grani. Portate a ebollizione e lasciate cuocere a fuoco basso per circa 90 minuti.
Preparate i pomidoro : scottateli per pochi secondi in acqua bollente. Sbucciateli, tagliateli in 4 ed eliminate i semi e l'acqua di vegetazione. Tagliate la polpa a dadi e teneteli da parte.
Scaldate l'olio in una padella e fatevi soffriggere con la cipolla tritata gli spicchi d'aglio sbucciati e schiacciati. Quando sono dorati, scartateli ed unite la dadolata di ortaggi ed i pomidoro; fatele cuocere a fiamma bassa per circa 20 minuti;in un’altra pentola scaldate l’olio residuo con altra cipolla tritata ed uno spicchio d’aglio; lasciate dorare e poi eliminate l’aglio; passate i fagioli attraverso un passaverdure direttamente sopra la pentola, con tutta la loro acqua di cottura (nel caso di fagioli secchi)oppure(nel caso di fagioli già lessati) aggiungete due tazze di acqua bollente,in cui andranno sciolti altri due dadi. Quando la crema di fagioli bolle, assaggiatela e correggetela eventualmente di sale. Gettate nella pentola il sughetto di pomodoro e rimestate su fuoco basso per 5 minuti. Unite infine le foglie di basilico spezzettate e un po'di pepe macinato al momento. Servite questa sciorba calda di fornello, in fondine di terracotta aggiungendo su ogni porzione un filo d’olio crudo, pepe nero ed una cucchiaiata di cipolle crude ad anelli; accompagnate con i cubi di pane casareccio o bruscati al forno (220°) o (meglio ancora) fritti brevemente nella sugna bollente.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
NOTA
*la voce partenopea sciorba deriva , nel significato di zuppa, dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto originariamente trattavasi di una zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso .
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Ingredienti e dosi per 6 persone:
500 gr di fagioli cannellini secchi o 2 confezioni vitree da 250 gr. di cannellini già lessati,
1 foglia di alloro,
pepe nero in grani q.s.,
3 dadi vegetali da brodo,
, 6 grossi pomodori sanmarzano o roma ben maturi,
4 cipolle dorate di cui una intera, la seconda tritata grossolanamente e le altre due affettate ad anelli,
1 carota ed una costa di sedano grattate e tagliate a dadini da ½ cm. di spigolo,
1 bicchiere d'olio d'oliva extravergine,
2 spicchi d'aglio mondati e schiacciati,
alcunefoglie di basilico,
salefino e pepe nero q.s..
3 cucchiai di sugna,
6 etti di pane casareccio tagliato in cubi da 1,5 cm. di spigolo,
Procedimento
La sera precedente dell’utilizzo di questa sciorba, mettete i fagioli a bagno in acqua fredda (circa 3 litri).
La mattina, metteteli in una pentola con la loro acqua e unite un po'di sale ed una cipolla mondata ma intera, la foglia di alloro, un dado da brodo ed un cucchiaio di pepe nero in grani. Portate a ebollizione e lasciate cuocere a fuoco basso per circa 90 minuti.
Preparate i pomidoro : scottateli per pochi secondi in acqua bollente. Sbucciateli, tagliateli in 4 ed eliminate i semi e l'acqua di vegetazione. Tagliate la polpa a dadi e teneteli da parte.
Scaldate l'olio in una padella e fatevi soffriggere con la cipolla tritata gli spicchi d'aglio sbucciati e schiacciati. Quando sono dorati, scartateli ed unite la dadolata di ortaggi ed i pomidoro; fatele cuocere a fiamma bassa per circa 20 minuti;in un’altra pentola scaldate l’olio residuo con altra cipolla tritata ed uno spicchio d’aglio; lasciate dorare e poi eliminate l’aglio; passate i fagioli attraverso un passaverdure direttamente sopra la pentola, con tutta la loro acqua di cottura (nel caso di fagioli secchi)oppure(nel caso di fagioli già lessati) aggiungete due tazze di acqua bollente,in cui andranno sciolti altri due dadi. Quando la crema di fagioli bolle, assaggiatela e correggetela eventualmente di sale. Gettate nella pentola il sughetto di pomodoro e rimestate su fuoco basso per 5 minuti. Unite infine le foglie di basilico spezzettate e un po'di pepe macinato al momento. Servite questa sciorba calda di fornello, in fondine di terracotta aggiungendo su ogni porzione un filo d’olio crudo, pepe nero ed una cucchiaiata di cipolle crude ad anelli; accompagnate con i cubi di pane casareccio o bruscati al forno (220°) o (meglio ancora) fritti brevemente nella sugna bollente.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
NOTA
*la voce partenopea sciorba deriva , nel significato di zuppa, dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto originariamente trattavasi di una zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso .
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
martedì 24 giugno 2008
‘NCHIASTO, GNASTO e derivati
‘NCHIASTO, GNASTO e derivati
Questa volta, pungolato dalle insistenze dell’amico neretino prof. Armando Polito mi interesso delle due voci napoletane in epigrafe e tenterò di chiarirne etimi e significati.
Comincio súbito col dire che le due parole emarginate ‘nchiasto, gnasto sono (come chiarirò di qui a poco) due lemmi affatto diversi ognuno con un suo preciso significato ed etimi differenti e solo una certa consuetudine al parlato non esattamente napoletano, ma a quello rustico-provinciale ed una fuorviante assonanza di terminazione delle due parole à fatto sí che alcuni scrittori (ad es. Angelo Manna, Attilio Velardi) non esattamente nativi della città di Napoli, ma provenienti dalla provincia,e perciò non adusi a parlare il corretto napoletano, abbiano confuso i due termini, ingenerando confusione dei significati ed inducendo in errore anche un linguista di chiara fama come il prof. M. Cortelazzo che, nel suo Dizionario etimologico dei dialetti italiani si è fatto portare fuori strada.
Conobbi di persona negli anni ’90 Angelo Manna e lo seppi uomo di vasta cultura, battagliero giornalista, paladino del Sud poi deputato, affabulatore convincente benché usasse un linguaggio fortemente rustico, quando non provocatoriamente illitterato. Ebbene quantunque Angelo (parce sepulto!) amasse studiare la lingua napoletana, la sua origine provinciale (Acerra)nei suoi scritti, talora lo spinse ad usare impropriamente talune parole, costringendolo – come si dice – a piglià asso pe fijura (ad errori marchiani).
Di Attilio Velardi so poco men che niente, ma (se è vero – e lo è! – che è dai frutti che si conosce l’albero) devo presumere che anche Velardi abbia avuta rustica progenie e si sia portato nei suoi scritti una provincialità espressiva d’origine o acquisita.
Ciò detto veniamo alle parole in epigrafe.
‘Nchiastro ed il collaterale e piú usato ‘nchiasto nonché i loro diminutivi ‘nchiastillo, ‘nchiastrillo di per se stessi, e con etimo dal latino (e)mplastrum, valgono impiastro,impacco di semi medicamentosi, cataplasma,lenimento posto su piccole ferite da trauma e per estensione (per una sorta di metonimia), indicano una ecchimosi, una contenuta ferita, non sanguinolenta, da trauma, quelle stesse su cui a mo’ di medicamento viene posto uno ‘nchiasto o ‘nchiastro oppure il piú piccolo‘nchiastillo/‘nchiastrillo; altrove tali ecchimosi e/o contenute ferite, non sanguinolenti, da trauma vengon dette miérche e cioè marcature, segnature, lividi (deverbali - quanto all’etimo – del verbo mercà/are(= marcare)a sua volta modellato sul franc.marqueur da un antico merker); quando poi le voci ‘nchiasto/’nchiastro ed i loro diminutivi vengon riferiti non a cose, ma a persone, continuando l’idea di impiastro, impacco, cataplasma etc. prendono il significato appositivo di fastidio, impiccio, seccatura, noia etc. di tal che d’una persona che venga definita ‘nchiasto/’nchiastro non si intende significare che sia piccola,macilenta o malaticcia (in tali evenienze (e qui di sèguito lo vedremo), gli si darebbe dello gnasto), ma che sia persona fastidiosa e/o noiosa.
E passiamo a
gnastro ed al collaterale e piú usato gnasto con i loro diminutivi gnastillo, gnastrillo. Sull’esatto significato di gnastro/gnasto nonché gnastrillo/gnastillo non v’à questione: tutti concordemente identificano con i termini gnastro/gnasto l’uomo piccolo,minuto,magro se non macilento e di scarsissima presenza fisica; ugualmente con i dimunutivi gnastrillo/gnastillo ci si riferisce ad un bambino piccolo,minuto,magro spesso macilento, malaticcio e di scarsissima valenza fisica.
Dove la faccenda si complica è quando si passi dal significato all’etimo di gnastro/gnasto.
Non v’è identità di vedute; qualcuno (vedi D’Ascoli) salta a pie’ pari il lemma e si toglie dalle peste; qualche altro (e tra essi inopinatamente anche l’amico Renato de Falco) incorre nella confusione a cui ò accennato antea tra ‘nchiastro/’nchiasto e gnastro/gnasto facendo risalire il tutto all’emplastrum donde, come visto ‘nchiastro/’nchiasto , ma ognuno vede che né semanticamente né morfologicamente emplastrum=impacco può condurci a gnastro/gnasto= piccolo, minuto; rammenterò al proposito che il gruppo latino pl evolve sempre nel napoletano chi (cfr.: platea→chiazza, plus→cchiú etc.) ma non ò mai trovato che pl abbia dato gn...Posso dire che neppure tra i pochi compilatori di calepini che accolgono le voci in esame ci sia identità di vedute circa l’etimologia di gnastro/gnasto. Allo stato delle cose, messa da parte la confusione tra nchiastro/’nchiasto e gnastro/gnasto mi pare che quanto all’etimologia di gnastro/gnasto si possa seguire la via indicata da Carlo Iandolo che suggerisce un’aferesi dell’avvio gr. nenías per il tramite d’un *(nea)niastro con un ulteriore suffisso dim. illo (gnastrillo/gnastillo); epperò devo annotare con parecchio interesse che l’amico Polito mi suggerisce un’ ipotesi di lavoro che merita attenzione; essa ipotesi coinvolge l'aggettivo greco nastòs=pressato, da nàsso=schiacciare (in linea con le altre caratteristiche fisiche, oltre al corpo minuto dell’uomo o del bambino detto gnasto o gnastillo.Al proposito annoto però che il prof. Carlo Iandolo, circa tale ipotesi si dichiara molto scettico, dichiarando testualmente che il greco “nastós = pressato, schiacciato” (tanto suadente per il duo Bracale-Polito) è del tutto debole dalla duplice visuale “fono-morfologica e semantica”, essendo inspiegabile che “n → gn” e troppo sforzato l’arrivo al significato finale di “piccolo, minuto; essere umano di minuscole dimensioni” sebbene, quanto alla storicità, essa non contrasterebbe con il terreno greco di Neapolis (sia che si colleghi al greco antico, sia a quello piú vicino del bizantino, o addirittura a un’origine “dotta” e poi divenuta popolare della parola). Per chiudere e complicare (se mai occorresse...)la faccenda, dirò che in rete ò trovato anche scritto 'Gnastillo, grafia che farebbe presupporre la caduta di una vocale (i-?), a meno che – come del resto opino – questo ‘gnastillo aferizzato altro non sia che un madornale marrone in cui sia incorso chi (inesperto della morfologia della lingua napoletana...) abbia immesso nel web l’inesistente voce ‘gnastillo.
Chi vivrà, vedrà e – forse – saprà!
Per ora, satis est!
raffaele bracale
Questa volta, pungolato dalle insistenze dell’amico neretino prof. Armando Polito mi interesso delle due voci napoletane in epigrafe e tenterò di chiarirne etimi e significati.
Comincio súbito col dire che le due parole emarginate ‘nchiasto, gnasto sono (come chiarirò di qui a poco) due lemmi affatto diversi ognuno con un suo preciso significato ed etimi differenti e solo una certa consuetudine al parlato non esattamente napoletano, ma a quello rustico-provinciale ed una fuorviante assonanza di terminazione delle due parole à fatto sí che alcuni scrittori (ad es. Angelo Manna, Attilio Velardi) non esattamente nativi della città di Napoli, ma provenienti dalla provincia,e perciò non adusi a parlare il corretto napoletano, abbiano confuso i due termini, ingenerando confusione dei significati ed inducendo in errore anche un linguista di chiara fama come il prof. M. Cortelazzo che, nel suo Dizionario etimologico dei dialetti italiani si è fatto portare fuori strada.
Conobbi di persona negli anni ’90 Angelo Manna e lo seppi uomo di vasta cultura, battagliero giornalista, paladino del Sud poi deputato, affabulatore convincente benché usasse un linguaggio fortemente rustico, quando non provocatoriamente illitterato. Ebbene quantunque Angelo (parce sepulto!) amasse studiare la lingua napoletana, la sua origine provinciale (Acerra)nei suoi scritti, talora lo spinse ad usare impropriamente talune parole, costringendolo – come si dice – a piglià asso pe fijura (ad errori marchiani).
Di Attilio Velardi so poco men che niente, ma (se è vero – e lo è! – che è dai frutti che si conosce l’albero) devo presumere che anche Velardi abbia avuta rustica progenie e si sia portato nei suoi scritti una provincialità espressiva d’origine o acquisita.
Ciò detto veniamo alle parole in epigrafe.
‘Nchiastro ed il collaterale e piú usato ‘nchiasto nonché i loro diminutivi ‘nchiastillo, ‘nchiastrillo di per se stessi, e con etimo dal latino (e)mplastrum, valgono impiastro,impacco di semi medicamentosi, cataplasma,lenimento posto su piccole ferite da trauma e per estensione (per una sorta di metonimia), indicano una ecchimosi, una contenuta ferita, non sanguinolenta, da trauma, quelle stesse su cui a mo’ di medicamento viene posto uno ‘nchiasto o ‘nchiastro oppure il piú piccolo‘nchiastillo/‘nchiastrillo; altrove tali ecchimosi e/o contenute ferite, non sanguinolenti, da trauma vengon dette miérche e cioè marcature, segnature, lividi (deverbali - quanto all’etimo – del verbo mercà/are(= marcare)a sua volta modellato sul franc.marqueur da un antico merker); quando poi le voci ‘nchiasto/’nchiastro ed i loro diminutivi vengon riferiti non a cose, ma a persone, continuando l’idea di impiastro, impacco, cataplasma etc. prendono il significato appositivo di fastidio, impiccio, seccatura, noia etc. di tal che d’una persona che venga definita ‘nchiasto/’nchiastro non si intende significare che sia piccola,macilenta o malaticcia (in tali evenienze (e qui di sèguito lo vedremo), gli si darebbe dello gnasto), ma che sia persona fastidiosa e/o noiosa.
E passiamo a
gnastro ed al collaterale e piú usato gnasto con i loro diminutivi gnastillo, gnastrillo. Sull’esatto significato di gnastro/gnasto nonché gnastrillo/gnastillo non v’à questione: tutti concordemente identificano con i termini gnastro/gnasto l’uomo piccolo,minuto,magro se non macilento e di scarsissima presenza fisica; ugualmente con i dimunutivi gnastrillo/gnastillo ci si riferisce ad un bambino piccolo,minuto,magro spesso macilento, malaticcio e di scarsissima valenza fisica.
Dove la faccenda si complica è quando si passi dal significato all’etimo di gnastro/gnasto.
Non v’è identità di vedute; qualcuno (vedi D’Ascoli) salta a pie’ pari il lemma e si toglie dalle peste; qualche altro (e tra essi inopinatamente anche l’amico Renato de Falco) incorre nella confusione a cui ò accennato antea tra ‘nchiastro/’nchiasto e gnastro/gnasto facendo risalire il tutto all’emplastrum donde, come visto ‘nchiastro/’nchiasto , ma ognuno vede che né semanticamente né morfologicamente emplastrum=impacco può condurci a gnastro/gnasto= piccolo, minuto; rammenterò al proposito che il gruppo latino pl evolve sempre nel napoletano chi (cfr.: platea→chiazza, plus→cchiú etc.) ma non ò mai trovato che pl abbia dato gn...Posso dire che neppure tra i pochi compilatori di calepini che accolgono le voci in esame ci sia identità di vedute circa l’etimologia di gnastro/gnasto. Allo stato delle cose, messa da parte la confusione tra nchiastro/’nchiasto e gnastro/gnasto mi pare che quanto all’etimologia di gnastro/gnasto si possa seguire la via indicata da Carlo Iandolo che suggerisce un’aferesi dell’avvio gr. nenías per il tramite d’un *(nea)niastro con un ulteriore suffisso dim. illo (gnastrillo/gnastillo); epperò devo annotare con parecchio interesse che l’amico Polito mi suggerisce un’ ipotesi di lavoro che merita attenzione; essa ipotesi coinvolge l'aggettivo greco nastòs=pressato, da nàsso=schiacciare (in linea con le altre caratteristiche fisiche, oltre al corpo minuto dell’uomo o del bambino detto gnasto o gnastillo.Al proposito annoto però che il prof. Carlo Iandolo, circa tale ipotesi si dichiara molto scettico, dichiarando testualmente che il greco “nastós = pressato, schiacciato” (tanto suadente per il duo Bracale-Polito) è del tutto debole dalla duplice visuale “fono-morfologica e semantica”, essendo inspiegabile che “n → gn” e troppo sforzato l’arrivo al significato finale di “piccolo, minuto; essere umano di minuscole dimensioni” sebbene, quanto alla storicità, essa non contrasterebbe con il terreno greco di Neapolis (sia che si colleghi al greco antico, sia a quello piú vicino del bizantino, o addirittura a un’origine “dotta” e poi divenuta popolare della parola). Per chiudere e complicare (se mai occorresse...)la faccenda, dirò che in rete ò trovato anche scritto 'Gnastillo, grafia che farebbe presupporre la caduta di una vocale (i-?), a meno che – come del resto opino – questo ‘gnastillo aferizzato altro non sia che un madornale marrone in cui sia incorso chi (inesperto della morfologia della lingua napoletana...) abbia immesso nel web l’inesistente voce ‘gnastillo.
Chi vivrà, vedrà e – forse – saprà!
Per ora, satis est!
raffaele bracale
PASTOTTO ALLA CLOROFILLA
PASTOTTO ALLA CLOROFILLA
Preparazione gustosissima la cui preparazione vi occuperà per parecchio tempo, ma i risultati sono eccellenti e garantiti; poi in cucina su tre cose non bisogna mai lesinare: tempo, pazienza ed ingredienti!
Ingredienti e dosi per 6 persone:
5 etti d itubetti rigat (padrenostri o avemarie),
1 verza napoletana di circa 7 etti,
3 etti di pancetta tesa affumicata tagliata a cubetti da ½ cm. di spigolo,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
1 aglio mondato e schiacciato,
2 bicchieri di olio d’oliva e.v.
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
3 litri di brodo da dadi vegetali (3)
1 presa di sale doppio,
1 etto di caciocavallo dolce grattugiato finemente,
1 etto di pecorino grattugiato,
pangrattato q.s.,
sale fino e pepe nero q.s.
preparazione
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e 3 dadi vegetali e tenerlo a continuo lento bollore; nel frattempo mondare la verza eleminando il torsolo e la maggior parte delle foglie esterne: conservarne sei di quelle verdi piú grosse per il successivo utilizzo; tritare a sottile julienne il cuore bianco della verza e lavare il tutto in acqua fredda. Versare in un ampio tegame un bicchiere d’olio ed a fiamma moderata fare imbiondire lo spicchio d’aglio mondato e schiacciato; quando è biondo, si tira via e si aggiunge la julienne di verza, bagnandola con una tazza d’acqua bollente; regolare di sale fino e pepe, incoperchiare e farla stufare per circa 15’ aggiungendo solo alla fine il trito di prezzemolo; abbassare ancóra i fuochi e tenere il sugo al caldo; porre a fuoco vivace in un altro tegame un bicchiere d’olio con il trito di cipolla e farlo dorare, aggiungere la dadolata di pancetta e farla scioglere un poco(10’); nel frattempo lessare a mezza cottura i tubetti rigati nel brodo vegetale bollente e súbito dopo prelevarli con una schiumarola e trasferirli nel tegame con cipolla e pancetta; bagnare tutto con il vino, alzare i fuochi e farlo evaporare; rimestare i tubetti per cinque minuti indi aggiungendo a mano a mano piccole ramaiolate di brodo vegetale tenuto a bollore portare a cottura il pastotto in circa 10’;alla fine unire la julienne di verza stufata con il suo fondo di cottura; rimestare e completare (ultimi 3 minuti) la cottura del pastotto; regolare eventualmente e parsimoniosamente di sale fino;, abbassare un po’ il fuoco, spolverizzare dapprima con il caciocavallo e poi con il pecorino grattugiati e mantecare rimestando accuratamente per l’ultima volta il pastotto; tirarlo via dal fuoco e lasciarlo riposare per circa 10 minuti; nel frattempo sbollentare rapidamente (3’) in poca acqua salata (presa di sale doppio) le foglie verdi della verza lavate e tenute da parte; appena sbollentate, prelevarle delicatamente (attenti a non romperle!) con la punta delle dita o con le apposite pinze da cucina ed adagiarle su di un canevaccio pulitissimo per farle asciugare;poggiarle poi una per volta su di un tagliere, spennellarle con un poco di olio e. v.e farcirle con 3 cucchiaiate del pastotto ormai riposato; arrovesciare i lembi delle foglie su loro stesse fino a formare degli involtini di verza ripieni di tubetti; adagiare tali involtini uno accanto all’altro in una teglia leggermente unta, ungere un poco la superficie esterna degli involtini, spolverizzare di pangrattato e mandare in forno preriscaldato (160°)per circa 10 minuti o fino a soddisfacente gratinatura.
N.B. Al posto del pangrattato (che spesso inopinatamente è ottenuto industrialmente dalla macinatura non di pane, ma di altri prodotti da forno contenenti zuccheri aggiunti) è preferibile usare della mollica macinata domesticamente ricavandola da fette di pane casareccio, privato della scorza e bruscato al forno caldo (200°) e poi triturato in un mixer con lame da aridi).
Servire caldo di forno.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Note linguistiche:
pastotto neologismo che ò coniato ad imitazione della voce risotto che è voce originaria lombarda derivata da riso
il pastotto indica una particolare minestra di pasta corta (tubetti) che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condito in vario modo;
verza. s. f. varietà di cavolo usatissima nel meridione, in varie minestre, con larghe foglie biancastre increspate avvolte a globo, mentre quelle esterne sono piú ricche di clorofilla e perciò di colore verde;etimologicamente dal lat. volg. *virdia, neutro pl. di *virdis, dal class. viridis verde; propr. (cose) verdi.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! e diciteme: Grazie!
raffaele bracale
Preparazione gustosissima la cui preparazione vi occuperà per parecchio tempo, ma i risultati sono eccellenti e garantiti; poi in cucina su tre cose non bisogna mai lesinare: tempo, pazienza ed ingredienti!
Ingredienti e dosi per 6 persone:
5 etti d itubetti rigat (padrenostri o avemarie),
1 verza napoletana di circa 7 etti,
3 etti di pancetta tesa affumicata tagliata a cubetti da ½ cm. di spigolo,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
1 aglio mondato e schiacciato,
2 bicchieri di olio d’oliva e.v.
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
3 litri di brodo da dadi vegetali (3)
1 presa di sale doppio,
1 etto di caciocavallo dolce grattugiato finemente,
1 etto di pecorino grattugiato,
pangrattato q.s.,
sale fino e pepe nero q.s.
preparazione
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e 3 dadi vegetali e tenerlo a continuo lento bollore; nel frattempo mondare la verza eleminando il torsolo e la maggior parte delle foglie esterne: conservarne sei di quelle verdi piú grosse per il successivo utilizzo; tritare a sottile julienne il cuore bianco della verza e lavare il tutto in acqua fredda. Versare in un ampio tegame un bicchiere d’olio ed a fiamma moderata fare imbiondire lo spicchio d’aglio mondato e schiacciato; quando è biondo, si tira via e si aggiunge la julienne di verza, bagnandola con una tazza d’acqua bollente; regolare di sale fino e pepe, incoperchiare e farla stufare per circa 15’ aggiungendo solo alla fine il trito di prezzemolo; abbassare ancóra i fuochi e tenere il sugo al caldo; porre a fuoco vivace in un altro tegame un bicchiere d’olio con il trito di cipolla e farlo dorare, aggiungere la dadolata di pancetta e farla scioglere un poco(10’); nel frattempo lessare a mezza cottura i tubetti rigati nel brodo vegetale bollente e súbito dopo prelevarli con una schiumarola e trasferirli nel tegame con cipolla e pancetta; bagnare tutto con il vino, alzare i fuochi e farlo evaporare; rimestare i tubetti per cinque minuti indi aggiungendo a mano a mano piccole ramaiolate di brodo vegetale tenuto a bollore portare a cottura il pastotto in circa 10’;alla fine unire la julienne di verza stufata con il suo fondo di cottura; rimestare e completare (ultimi 3 minuti) la cottura del pastotto; regolare eventualmente e parsimoniosamente di sale fino;, abbassare un po’ il fuoco, spolverizzare dapprima con il caciocavallo e poi con il pecorino grattugiati e mantecare rimestando accuratamente per l’ultima volta il pastotto; tirarlo via dal fuoco e lasciarlo riposare per circa 10 minuti; nel frattempo sbollentare rapidamente (3’) in poca acqua salata (presa di sale doppio) le foglie verdi della verza lavate e tenute da parte; appena sbollentate, prelevarle delicatamente (attenti a non romperle!) con la punta delle dita o con le apposite pinze da cucina ed adagiarle su di un canevaccio pulitissimo per farle asciugare;poggiarle poi una per volta su di un tagliere, spennellarle con un poco di olio e. v.e farcirle con 3 cucchiaiate del pastotto ormai riposato; arrovesciare i lembi delle foglie su loro stesse fino a formare degli involtini di verza ripieni di tubetti; adagiare tali involtini uno accanto all’altro in una teglia leggermente unta, ungere un poco la superficie esterna degli involtini, spolverizzare di pangrattato e mandare in forno preriscaldato (160°)per circa 10 minuti o fino a soddisfacente gratinatura.
N.B. Al posto del pangrattato (che spesso inopinatamente è ottenuto industrialmente dalla macinatura non di pane, ma di altri prodotti da forno contenenti zuccheri aggiunti) è preferibile usare della mollica macinata domesticamente ricavandola da fette di pane casareccio, privato della scorza e bruscato al forno caldo (200°) e poi triturato in un mixer con lame da aridi).
Servire caldo di forno.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Note linguistiche:
pastotto neologismo che ò coniato ad imitazione della voce risotto che è voce originaria lombarda derivata da riso
il pastotto indica una particolare minestra di pasta corta (tubetti) che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condito in vario modo;
verza. s. f. varietà di cavolo usatissima nel meridione, in varie minestre, con larghe foglie biancastre increspate avvolte a globo, mentre quelle esterne sono piú ricche di clorofilla e perciò di colore verde;etimologicamente dal lat. volg. *virdia, neutro pl. di *virdis, dal class. viridis verde; propr. (cose) verdi.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! e diciteme: Grazie!
raffaele bracale
lunedì 23 giugno 2008
PRECISAZIONE LINGUISTICA
Precisazione linguistica relativa a PETI & SCORREGGE
Carissimi lettori del BLOG mi corre l'obbligo di fare mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa per aver fatto storcere il naso a qualche purista che in nome di Basilio Puoti mi à fatto una tirata d'orecchi per avere io usato nel mio originario scritto su Peti & Scorregge, l'idotismo partenopeo ACCORTENZA =avvedutezza, cautela in luogo della voce ACCORTEZZA in uso nel toscano con i medesimi significati del napoletano.
A mia parziale scusante devo dire però che mi son lasciato trasportare dalla forza del napoletano (lingua che uso tutti i giorni)né nascondo di preferire la voce napoletana costruita con il suff. ENZA (lat. entia) apposto ad una voce verbale per formare sostantivi astratti e non capisco perché l'italiano ancóra non abbia accolto ACCORTENZA e continui a preferire ACCORTEZZA dove è riconoscibile il suff. EZZA (lat. itia) per solito usato per formare sostantivi astratti sí, ma generati da aggettivo e non da voce verbale.
brak
Carissimi lettori del BLOG mi corre l'obbligo di fare mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa per aver fatto storcere il naso a qualche purista che in nome di Basilio Puoti mi à fatto una tirata d'orecchi per avere io usato nel mio originario scritto su Peti & Scorregge, l'idotismo partenopeo ACCORTENZA =avvedutezza, cautela in luogo della voce ACCORTEZZA in uso nel toscano con i medesimi significati del napoletano.
A mia parziale scusante devo dire però che mi son lasciato trasportare dalla forza del napoletano (lingua che uso tutti i giorni)né nascondo di preferire la voce napoletana costruita con il suff. ENZA (lat. entia) apposto ad una voce verbale per formare sostantivi astratti e non capisco perché l'italiano ancóra non abbia accolto ACCORTENZA e continui a preferire ACCORTEZZA dove è riconoscibile il suff. EZZA (lat. itia) per solito usato per formare sostantivi astratti sí, ma generati da aggettivo e non da voce verbale.
brak
Ògne scuffia p’’a notte etc.
Ògne scuffia p’’a notte è ssempe bbona e ô scuro ‘na vajassa è bbella e bbona quanto â madama.
Ogni cuffia per la notte è sempre buona (utile) e nell’oscurità la fantesca è bella ed appetibile quanto una signora.
Id est: sono sempre graditi i favori offerti a letto da una donna e non v’è differenza che tenga tra una serva o una padrona; piú ampiamente: nella vita occorre sapersi accontentare e – specialmente per ciò che attiene al sesso – non sottilizzare, cogliendo, al contrario, al volo l’occasione propizia da qualsiasi parte ci venga!
ògne = ogni, ciascuno, qualsiasi agg. indef. solo sing. ; etimologicamente dal lat. omne(m) da non confondere con ógne = unghie che etimologicamente è da un lat. ungula(m) con successive dissimilazioni che diedero il latino volgare *unguna→uguna e per sincope della seconda u→ugna=ógna;
scuffia= cuffia, copricapo aderente per neonati, chiuso da due nastri che si annodano sotto il mento; copricapo analogo usato anticamente dalle donne o di giorno o di notte , spesso ornato di gale e trine, o portato dagli uomini sotto il cappuccio, il berretto o l'elmo oppure( se di lana) a letto, di notte per tener calda la testa ; oggi usato solo da operaie, infermiere e cuoche per tenere a posto i capelli; etimologicamente da un tardo lat. cufia(m)(con prostesi di una s intensiva e raddoppiamento popolare della f) probilmente di orig. germ.;
ô forma contratta di a + ‘o = allo preposizione articolata come altrove â (a + ‘a)= alla ed ancóra ê(a + le oppure a + li)= alle oppure a gli ;
scuro aggettivo e sostantivo; come aggettivo vale oscuro, buio, cupo; come sostantivo vale oscurità, buio notturno; etimologicamente derivato dal lat. obscuru(m) =oscuro con deglutinazione ( perdita del suono iniziale di una parola, perché inteso come articolo o preposizione (p. e. avello, dal lat. labellum)) dell’iniziale o intesa articolo (oscuro→’o scuro);
bbella e bbona = bella ed appetibile; bbella è il femm. di bello che è dal tardo lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono' ed à il consueto significato attribuito a ciò che è dotato di bellezza o che suscita ammirazione, piacere estetico; mentre bbona (femm. di buono) nel significato a margine non vale conforme al bene; onesta, moralmente positiva, che à mitezza di cuore, mansueta, bonaria e non vale neppure abile, capace; o detto di cosa: utile, efficace, efficiente (come è per il bbona della prima parte del proverbio in epigrafe…) ma - pur mantenendo l’etimo dal lat. bonum=buono – sta nel significato traslato per piacente, appetibile, che risveglia i sensi; da rammentare poi che in napoletano esiste un’espressione che a tutta prima parebbe maschile ed invece è neutra: bbello e bbuono che non si riferisce a persona o cosa esteticamente gradevole o moralmente positiva, ma à una valenza temporale e sta per all’improvviso con riferimento ad una situazione che da positiva (bella e buona) che era si sia mutata d’improvviso in maniera negativa;
quanto =tal quale, come, alla medesima maniera dal lat. quantu(m), avv. da quantus ;
â forma contratta della prepos. articolata a +’a = a+la= alla;
madama = signora, titolo di riguardo che veniva rivolto in passato a una signora; oggi usato solo in tono scherzoso o ironico voce derivata al fr. madame, comp. di ma 'mia' e dame 'signora';
di vajassa (dall’arabo baassa attraverso il francese bajasse)= serva, fantesca già dissi passim precedentemente altrove.
Raffaele Bracale
Ogni cuffia per la notte è sempre buona (utile) e nell’oscurità la fantesca è bella ed appetibile quanto una signora.
Id est: sono sempre graditi i favori offerti a letto da una donna e non v’è differenza che tenga tra una serva o una padrona; piú ampiamente: nella vita occorre sapersi accontentare e – specialmente per ciò che attiene al sesso – non sottilizzare, cogliendo, al contrario, al volo l’occasione propizia da qualsiasi parte ci venga!
ògne = ogni, ciascuno, qualsiasi agg. indef. solo sing. ; etimologicamente dal lat. omne(m) da non confondere con ógne = unghie che etimologicamente è da un lat. ungula(m) con successive dissimilazioni che diedero il latino volgare *unguna→uguna e per sincope della seconda u→ugna=ógna;
scuffia= cuffia, copricapo aderente per neonati, chiuso da due nastri che si annodano sotto il mento; copricapo analogo usato anticamente dalle donne o di giorno o di notte , spesso ornato di gale e trine, o portato dagli uomini sotto il cappuccio, il berretto o l'elmo oppure( se di lana) a letto, di notte per tener calda la testa ; oggi usato solo da operaie, infermiere e cuoche per tenere a posto i capelli; etimologicamente da un tardo lat. cufia(m)(con prostesi di una s intensiva e raddoppiamento popolare della f) probilmente di orig. germ.;
ô forma contratta di a + ‘o = allo preposizione articolata come altrove â (a + ‘a)= alla ed ancóra ê(a + le oppure a + li)= alle oppure a gli ;
scuro aggettivo e sostantivo; come aggettivo vale oscuro, buio, cupo; come sostantivo vale oscurità, buio notturno; etimologicamente derivato dal lat. obscuru(m) =oscuro con deglutinazione ( perdita del suono iniziale di una parola, perché inteso come articolo o preposizione (p. e. avello, dal lat. labellum)) dell’iniziale o intesa articolo (oscuro→’o scuro);
bbella e bbona = bella ed appetibile; bbella è il femm. di bello che è dal tardo lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono' ed à il consueto significato attribuito a ciò che è dotato di bellezza o che suscita ammirazione, piacere estetico; mentre bbona (femm. di buono) nel significato a margine non vale conforme al bene; onesta, moralmente positiva, che à mitezza di cuore, mansueta, bonaria e non vale neppure abile, capace; o detto di cosa: utile, efficace, efficiente (come è per il bbona della prima parte del proverbio in epigrafe…) ma - pur mantenendo l’etimo dal lat. bonum=buono – sta nel significato traslato per piacente, appetibile, che risveglia i sensi; da rammentare poi che in napoletano esiste un’espressione che a tutta prima parebbe maschile ed invece è neutra: bbello e bbuono che non si riferisce a persona o cosa esteticamente gradevole o moralmente positiva, ma à una valenza temporale e sta per all’improvviso con riferimento ad una situazione che da positiva (bella e buona) che era si sia mutata d’improvviso in maniera negativa;
quanto =tal quale, come, alla medesima maniera dal lat. quantu(m), avv. da quantus ;
â forma contratta della prepos. articolata a +’a = a+la= alla;
madama = signora, titolo di riguardo che veniva rivolto in passato a una signora; oggi usato solo in tono scherzoso o ironico voce derivata al fr. madame, comp. di ma 'mia' e dame 'signora';
di vajassa (dall’arabo baassa attraverso il francese bajasse)= serva, fantesca già dissi passim precedentemente altrove.
Raffaele Bracale
SCIUSCELLA
SCIUSCELLA
La voce femminile in epigrafe sciuscella (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
In lingua napoletana la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che in lingua napoletana vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in epigrafe.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscella , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella che si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscella) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far pensare a dei brodini.
S.E.& O.
raffaele bracale
La voce femminile in epigrafe sciuscella (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
In lingua napoletana la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che in lingua napoletana vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in epigrafe.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscella , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella che si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscella) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far pensare a dei brodini.
S.E.& O.
raffaele bracale