SCROCCARE SBAFARE & DINTORNI
Questa volta su suggerimento/richiesta dell’amico E. C. amico di cui al solito (per questione di riservatezza) mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome, prendo in esame le voci italiane in epigrafe,i sinonimi e le corrispondenti voci del napoletano. Comincio dunque a dire di
scroccare verbo tr..
1 riuscire a ottenere qualcosa a spese altrui (anche assol.): gli ho scroccato un pranzo; costui non fa che scroccare
2 (estens.) ricevere senza merito: scroccare lo stipendio;etimologicamente si tratta di un verbo denominale di crocco ( voce anche napoletana dal francese croc con tipico raddoppiamento espressivo della consonante e paragoge di una vocale semimuta finale)= uncino, con prostesi di una s distrattiva; propr. 'staccare dall'uncino'quasi che semanticamente ciò che sia stato ottenuto a spese altrui lo si sia sottratto con violenza staccandolo via da un ipotetico uncino dove fosse atteccato; rammento che in italiano esiste anche un antico e desueto verbo intransitivo scroccare che però non à i significati di quello in esame, ma vale: scoccare (che ne à fornito l’etimo per sovrapposizione su crocco), scattare.
sbafare verbo tr.
1 mangiare a spese d'altri: sbafare un pranzo
2(estens.) scroccare;
3 mangiare avidamente e in abbondanza;
etimologicamente si tratta di un verbo piú che denominale di
sbafo(voce onomatopeica), direttamente marcato sul fr. s + bâfrer).
i due verbi esaminati ànno molto estensivamente quali sinonimi
rubare, frodare che di per sé ànno significati molto diversi dello scroccare e/o sbafare; ma poi che sono in uso come sinonimi li illustro:
rubare v. tr.
1 appropriarsi in modo illecito di beni altrui; sottrarre ad altri qualcosa, spec. con l'astuzia o con la frode (anche assol.): rubare il portafoglio a qualcuno; mi ànno rubato l'automobile; essere sorpreso a rubare | détto di animale: il gatto à rubato la salsiccia; l'anello della regina fu rubato dalla gazza | rubare lo stipendio, percepirlo senza meritarselo | rubare sulla spesa, sul prezzo, sul peso, aumentarli indebitamente ' rubare a man salva, senza misura | détto di persona ingorda e/o nel senso dei verbi in epigrafe ànno rubato il pane a tutti
2 (fig.) sottrarre, portar via quanto appartiene ad altri: à rubato il fidanzato all'amica; rubare l'affetto di una persona | rubare un'idea, metterla in opera spacciandola per propria | rubare il tempo a qualcuno, farglielo perdere | rubare ore al sonno, al riposo, dormire, riposare meno del necessario | rubare il mestiere a qualcuno, fare indebitamente o inopportunamente ciò che compete ad altri | rubare il posto a qualcuno, soppiantarlo in quel posto | rubare qualcosa con gli occhi, mostrare di desiderarla molto ' rubare la vista, si dice di edificio che si innalza davanti a un altro, riducendo di molto la vista che si godeva da quest'ultimo; il verbo etimologicamente è dal germanico raubon;
frodare v. tr.
1 privare qualcuno, con la frode, di qualcosa che gli spetta: frodare lo stato, un cliente, i compagni
2 sottrarre qualcosa con l'inganno, con la frode: frodare una somma a qualcuno
3 (ant.) nascondere, falsare: la verità nulla menzogna frodi; etimologicamente è dal lat. fraudare, deriv. di fraus fraudis 'frode'.
Esaminati i verbi dell’italiano, veniamo ai numerosi verbi del napoletano che rendono quelli dell’italiano dell’epigrafe; gli italiani scroccare sbafare son resi nel napoletano scurchiglià, sficcà,fégnere poi tégnere .
scurchiglià v. tr.
1 scroccare
2 pelare, spellare, spennare, salassare
3 frodare
interessantissima l’etimologia di questo verbo nato in àmbito dotto/letterario quale denominale del lat. curculio/gurgulio-onis = curculione (insetto coleottero dannoso per le colture, aduso a suggere, sottrarre sostanze nutritive dalle coltivazioni); a curculio/gurgulio si è aggiunta in posizione protetica la consueta s intensiva partenopea sino ad ottenere uno scurculio donde scurcuglio e scurchiglià;
sficcà v. tr.
1 sconficcare
2 estrarre, staccare
3 (per traslato)scroccare,sbafare
4 etimologicamente dal lat. volg. *figicare, intens. di figere 'attaccare, infiggere', con prostesi la consueta s distrattiva partenopea; semanticamente lo scroccare,sbafare del traslato sono spiegati con il fatto che ciò che viene estratto, staccato rappresenta quasi l’immeritato, indebito premio sottratto fraudolentemente e dunque sbafato a scrocco; fégnere e poi tégnere v. tr. e intr.; il primo verbo desueto e letterario significò
1 fingere,
2 mentire,
3 simulare; tégnere è v. tr. usatissimo sia nei significati primarî (sub 1 -2 3) che in quelli traslati (sub 4 etc.)
1 dare a una cosa un colore diverso da quello che à: tégnere ‘na giacchetta ‘e bblu(tingere una giacca di (o in) blu);
2 macchiare, sporcare:’o ccravone m’ à tignuto ‘o vestito (il carbone mi à tinto, mi à sporcato il vestito) | (assol.) nell'uso fam., spandere colore, e quindi sporcare di colore: ‘na stilografica, ‘na vesta ca tegne(una stilografica, una veste che tinge)
3 (lett.) colorare: ‘o sole ca tramuntava tigneva ‘o cielo ‘e russo(il tramonto tingeva il cielo di rosso);
4 scroccare soldi o altro(ed è il caso che ci occupa) chella femmena à tignuto bbuono e mmeglio ‘a famiglia d’isso ( quella donna à scroccato molti benefici alla famiglia del suo sposo)
| tégnerse v. rifl.
1 imbellettarsi | tingersi i capelli
2 (fam.) macchiarsi, sporcarsi di colore: te sî tignuto sano sano, va’ a lavarte!(ti sei tutto tinto, va' a lavarti!)
v. intr. pron. assumere un determinato colore, colorarsi (anche fig.): ‘e nnuvole se tignevano ‘e rosa(le nuvole si tingevano di rosa); ‘nu ricordo ca se tegne ‘e nustalgia(un ricordo che si tinge di nostalgia). Prima di accennare all’etimo dei due verbi in esame voglio soffermarmi sulla semantica delle singole accezioni: per quelle sub 1,2,3 sia del primo che del secondo, nulla quaestio; è intuitiva; piú complesso spiegare la semantica dell’accezione sub 4 di tegnere tuttavia mi cimenterò nell’impresa dicendo che l’accezione: scroccare soldi o altro di tégnere nel parlato della città bassa nasce da un equivoco; in effetti il verbo che negli antichi scritti del napoletano indicava lo scroccare fu fégnere (fingere, mentire, simulare bisogno per ottenere gratuitamente degli aiuti e/o beneficî); quando il verbo fégnere nell’accezione or ora rammentata pervenne sulla bocca dell’ illetterato popolino della città bassa, esso fégnere venne confuso con il piú noto ed usato assonante tégnere e si finí per riferire anche a quest’ultimo verbo l’accezione ch’era propria di fégnere: scroccare soldi o altro fingendo, mentendo, simulando bisogno; e ciò è tanto vero che dei molti compilatori di calepini del napoletano solo il D’Ascoli, studioso di estrazione popolare ed aduso a pescare nel parlato e non solo nello scritto, registra tégnere nell’accezione che fu di fégnere.
Come è pacifica l’etimologia di tégnere che è una lettura metatetica del lat. tingere→tígnere→tégnere come alibi per chiagnere ←plangere - astregnere←a(d)stringere etc., cosí è pacifica l’etimologia di fégnere che è una lettura metatetica del lat. fingere→fígnere→fégnere.
Proseguiamo.
Ben piú numerosi i verbi napoletani che rendono gli italiani rubare, frodare .Essi sono:accrastà, arravuglià, arraffà o,aggraffà o aggranfà, arrefulià, arrunzà, aggrammignà,affuffà, astregnere,arresidiare,azzimmà,annettere, auzà, arranfà, cottejare, furà, pezzecà, jucà ‘e renza, jucà ‘e rancio.
E passo ad esaminarli singolarmente
arrubbà: vale il generico rubare, ma sarebbe fallace pensare che il verbo napoletano sia stato marcato sull’italiano rubare; in realtà il verbo partenopeo à un diverso etimo di quello italiano risultando essere un denominale di robba (roba)( lemma dal tedesco rauba =bottino,preda) attraverso un ad + robba = adrobba→arrubba→arrubbare/arrubbà= darsi al bottino, alla preda;
accrastà:di per sé vale: agguantare, sopraffare con violenza, ma in particolare: rapinare; l’etimo è dal latino *ad-crastare→accrastare= sospingere ad una intagliatura; crastare è da un lat. classico castrare(=tagliare) da cui,con una evidente metatesi,crastare donde ad+crastare→accrastare/accrastà;
aggrammignà, v. tr. rubare con destrezza e/o con fatica.
L’etimo della voce, che chiarisce anche la semantica della definizione, è un denominale del s.vo gramegna/grammegna (dal lat. graminea(m), propr. f. sost. dell'agg. gramineus, deriv. di gramen -minis 'erba'); trattandosi di un’erba che si attacca saldamente al suolo con le proprie radici, se ne ricava che per estirparla occorra destrezza ed impegno i medesimi che occorrono per sottrarre qualcosa nel tipo di furto che il verbo a margine considera.
Affuffà v. tr.ed intr. come v. trans. vale rapinare derubare, depredare, spogliare, ma anche acciuffare, acchiappare, accalappiare, afferrare, catturare, arrestare come v. intr. sta per scappare precipitosamente(dopo d’aver portato a termine il firto e/o la rapina); etimologicamente il verbo in esame piú che un adattamento attraverso assimilazioni regressive di acciuffare→affuffare è una derivazione dello spagnolo azuzar→azzuzza(r)→affuffar prima con raddoppiamento espressivo dell'affricata alveolare sorda... zeta e poi con passaggio popolare alla consonante fricativa labiodentale sorda effe ritenuta piú espressiva e meno dura dell'affricata alveolare sorda... zeta;
astregnere, v.tr. in primis vale
1stringere, accostare, avvicinare con maggiore o minor forza una cosa a un'altra; serrare più cose insieme;
2 chiudere, premere, serrare qualcosa entro un'altra; premere, serrare, comprimere;
3 costringere qualcuno ad accostarsi a qualcosa; far addossare; obbligare, costringere;
4 in senso morale, legare, avvincere;
5 stipulare, concludere; rimpiccolire, accorciare, restringere; accelerare, affrettare il compimento di un'attività, di una decisione;
ed altri significasti traslati tra i quali quello che ci occupa di 6 rubare con violenza assalendo ed incalzando il derubato;
voce derivata da una lettura metatetica del lat. stringere→strignere con protesi di un a(d) intensivo.
arresedià, v. tr.
(voce abbondantemente desueta) che un tempo valse rassettare, mettere in ordine e per ampiamento semantico ed è il caso che ci occupa rubacchiare (dando una diversa … sistemazione ai beni altrui); oggi il verbo è sostituito nel significato di rassettare, ma anche in quello furbesco di rubare, da arricettà ( da un ad+ receptum)= dar sistemazione, raccogliere e riporre (arricettà ‘a casa, ‘a stanza= rassettare la casa, la stanza mentre arricettà ‘e fierre sta per raccogliere i ferri usati per lavorare, riporli nella borsa dando loro ricetto= pace,ricovero, calma, tranquillità ed ugualmente arricettà ‘e ssacche sta per ripulire le altrui tasche. Torniamo al verbo a margine: arresedià che come ò detto valse dapprima rassettare, mettere in ordine, sistemare; non tranquilla la lettura etimologica del verbo; qualcuno si trincera dietro un pilatesco etimo ignoto o incerto qualche altro (ad es. il fu D’Ascoli) opta per un lat. asseditare donde l’italiano assettare= mettere in assetto, ordinare, sistemare convenientemente e con cura; chi si trincera dietro l’etimo ignoto o incerto mi dà l’orticara, ma D’Ascoli non mi convince: se semanticamente asseditare potrebbe accontentarmi, non lo può morfologicamente: v’è, a mio avviso, troppa differenza tra asseditare ed arresediare. Direi anzi con il molisano on. Di Pietro: “Nun ce azzecca niente asseditare con arresediare. A mio sommesso, ma deciso avviso, anche con riferimento ai concetti di dar sistemazione, raccogliere e riporre dando ricetto ossia ricovero, calma, pace, tranquillità espressi dal verbo arricettà che nel parlato comune à sostituito il verbo a margine conservandone il significato, quanto all’etimo di arresedià dico che si possa con somma tranquillità farlo risalire ad un lat. ad + resedare= calmare (composto da un re (particella intensiva) + sedare).
azzimmà, è un verbo tr. che in napoletano, come il successivo arrefulià si usa per indicare il rubacchiare che si fa sui soldi della spesa; è il verbo che connota l’azione che in italiano è resa con l’espressione far la cresta (che spiegherò oltre); nel verbo a margine si fa riferimento all’azione di cimatura (nell'industria tessile, portare il pelo di un tessuto ad un'altezza uniforme) sui morbidi tessuti di lana, cimatura presa a modello per significare l’azione del rubacchiare consistente quasi nel cimare superficialmente il danaro destinato ad altro uso; etimologicamente si tratta di voce ricavata dal provenz. azesmar, che continua il lat. adaestimare;
annettà, v. tr. che in primis vale ripulire, render pulito, mondare e per traslato furbesco sottrarre a qualcuno tutto il suo danaro portandoglielo via, spec. vincendoglielo al giuoco 'annettà ‘a casa a quaccuno (ripulire la casa a qualcuno), rubargli tutto. Etimologicamente è un verbo denominale dell’agg.vo netto (dal lat. Lat. nit(i)du(m)→nittu(m), deriv. di nitíre 'brillare') con protesi di un intensivo ad→an per assimilazione regressiva;
auzà/aizà=alzare v. tr. dal lat. volg. *altiàre denominale da altus; da *altiàre l’antico napoletano trasse un auzare/auzà→aizà come del resto altus diede auto donde con epentesi di una v eufonica, àvuto→àveto= alto; il verbo a margine à numerosi accezioni; in primis vale
1alzare, sollevare,
2raccogliere,
3 sollevarsi
4 possedere carnalmente una donna;
poi anche (ed è il caso che ci occupa) ricavare utili da un attività anche illecita quale è quella del furtarello;
cottejare, v. tr. verbo desueto che valse
1 frequentare le case da giuoco; ma anche
2 canzonare;
3 infinocchiare;
4 carpire la buona fede ed infine, come nel caso che ci occupa
5 rubacchiare al giuoco; etimologicamente si tratta di un grecismo in uso nell’Esarcato (circoscrizione amministrativa dell'Impero bizantino) dal greco kottismós (=giuoco di dadi; alea;) e dal verbo kottízō che diedero il tardo lat. *cottizzare da cui poi la voce napoletana;
pezzecà, v. tr. verbo dalle molte accezioni:
1 stringere con il pollice e l'indice una parte molle del corpo, per far male o, leggermente, come forma di scherzo o di approccio affettuoso: pezzecà ‘nu vraccio, ‘a masca(pizzicare un braccio, la guancia)
2 (estens.) pungere (anche assol.): ‘e tavane pizzecano (le zanzare pizzicano);
3 stimolare con un sapore piccante o una sensazione frizzante (anche assol.): ‘nu furmaggio ca pizzeca ‘a vocca(un formaggio che pizzica il palato);
4 (fig. fam.) sorprendere, cogliere in fallo:ll’ànnu pezzecato mentre pezzecava (l'hanno pizzicato mentre rubava)
5 (mus.) far vibrare le corde di uno strumento con il polpastrello delle dita o con il plettro
6 (per traslato come nel caso che ci occupa) rubacchiare rubare qua e là, poco per volta, ma con frequenza. ||| v. intr. [aus. avere] dare prurito: mi pizzica una mano | sentirsi pizzicare le mani, (fig. fam.) aver voglia di menarle ||| pezzecarsi v. rifl.
1 scambiarsi dei pizzichi
2 (fig.) stuzzicarsi, punzecchiarsi:stanno sempe a pezzecarse ll’uno cu ll’ato( stanno sempre a pizzicarsi vicendevolmente).Etimologicamente è un intens. del verbo ant. pizzare 'pungere', da avvicinare a pizzo 'punta'
jucà ‘e renza/ jucà ‘e rancio. v. intr.
letteralmente giocare (rubare) di abitudine o mania/giocare (rubare ) servendosi delle nude mani a mo’ di un rampino (strumento atto a brancare qualcosa) id est: 1) rubare per cleptomania 2) rubare con destrezza e rapidità;
jucà = v. intr. giocare, 1 dedicarsi a un'attività piacevole per divertimento, per passatempo, per esercizio fisico o mentale o anche per trarne guadagno; trastullarsi, scherzare; usare parole equivoche per poterle poi interpretare a proprio modo; ingannare o prendere in giro; 2 dedicarsi al gioco d'azzardo; arrischiare il proprio denaro in scommesse e in altre attività dominate dalla sorte;
3 dare prova di abilità, servirsi di qualcosa con abilità;ed è in questa accezione che rientra il significato che ci occupa;
4 praticare un gioco sportivo;
5 essere in gioco: dinto a ‘sti fatte ce joca ‘a furtuna!(in queste cose gioca la fortuna), agire; mettere in gioco, a repentaglio; rischiare;
6 aver gioco, avere la possibilità di muoversi nell'insieme degli organi di un meccanismo; ‘a chiave joca bbuono dint’ â mascatura(la chiave gioca bene nella serratura);
7 detto di luce, aria, acqua ecc., creare particolari effetti;
v. tr. [nei sign. 1, 2, 3 anche rafforzato con la particella pron.]
1 mettere in gioco, usare le proprie risorse;
2 scommettere, puntare al gioco; in espressioni iperb.: jucarse pure ‘a cammisa(giocarsi anche la camicia), (fig.) tutto ciò che si possiede; jucarse ‘a capa ‘ncoppa a quaccuno o quaccosa(giocarsi la testa su qualcuno, su qualcosa), (fig.) per dire che si è assolutamente sicuri di qualcuno o qualcosa;
3 arrischiare, mettere in pericolo; perdere qualcosa per averla messa a repentaglio;
4 ingannare, prendere in giro; vincere con astuzia: t’aggiu jucato (ti ò giocato!)
5 disputare una gara sportiva; come ò détto, qui il verbo è usato per estensione nel senso di rubare; la voce è dal lat. volg. *iocare, per il class. iocari, deriv. di iocus 'gioco'
renza s.vo f.le = uso, abitudine, mania viene dal participio presente del verbo latino haerere= aderire; in napoletano infatti è usato nell’espressione jí ‘e renza oppure tirarse ‘na renza cioè prendere un’abitudine, aderire ad un modo di fare.
rancio/rangio s.vo m.le granchio, rampino voce dal lat. crancer→(c)rance(r) collaterale di cancer.
Rammento che nel parlato comune, soprattutto della città bassa accanto all’espressione jucà ‘e renza non s’usa nel significato di rubare con destrezza e rapidità, non s’usa il riportato jucà ‘e rancio ma un corrispondente menà ‘o rancio costruito con il verbo menà = buttare, lanciare, allungare; di per sé la voce menà, etimologicamente viene da un tardo lat. minare, propr. 'spingere innanzi gli animali con grida e percosse', deriv. di minae 'minacce';
arraffare/arraffà/arranfà o anche aggranfà o pure aggraffà tutte le voci verbali in esame sono evidenti diverse sistemazioni fonetiche (attraverso varî adattamenti) di una medesima voce iniziale che è aggranfà e tutte valgono per: abbrancicare, afferrare con destrezza e rapidità e posson quasi valere l’italiano scippare; etimologicamente la voce aggranfare/aggranfà risulta essere un denominale del longobardo krampfa = artiglio, grinfia,uncino;
arrunzà:di per sé vale: prender tutto, senza distinzione di sorta, far man bassa di ciò che capiti, raccattandolo alla meno peggio; con questo verbo, e con il successivo si identifica il furto di piccoli oggetti o generi alimentari operato nei grandi eserci commerciali; etimologicamente la voce risulta denominale di un tardo latino runca = falcetto, quasi nel significato di tagliar tutto, recidere (con la roncola) senza distinzione;
arravugliare/arravuglià: di per sé vale: avvolgere, inviluppare ed estensivamente sottrarre qualsiasi cosa capiti sotto mano, celandola nelle tasche o nelle pieghe degli abiti; come ò detto è il tipo di furto che si perpetra nei grandi esercizi commerciali soprattutto nei reparti di generi alimentari; etimologicamente la voce risulta essere dal basso latino ad+revolviare→arrevolviare→arravovljare→arravoglià→arravuglià= confondere, celare;
arrefuliare/arrefulià è il verbo che in napoletano si usa per indicare il rubacchiare che si fa sui soldi della spesa; è il verbo che connota l’azione che in italiano è resa con l’espressione far la cresta (dalla locuzione romanesca: far l'agresta, riferita ai contadini che, per rubare al padrone, coglievano l'uva acerba e ne vendevano il succo);il verbo napoletano a margine è un rafforzamento, attraverso un ad→ar protetico , del verbo refulià /refilà = rifilare (da un tardo lat.re(ri)+ filare, deriv. di filum 'filo'=pareggiare qualcosa con un taglio a filo);
furare/furà che è il generico rubare, sottrarre , ma è voce essenzialmente usata anticamente in poesia; il verbo a margine ripete dritto per dritto il basso latino furare per il classico furari da fur/furis, da cui anche l'taliano furto. In coda mi pare giusto, con il rischio di ripetermi, rielencare le voci aggiungendone qualcuna inopinatamente sfuggita.
rubbà v. tr. = rubare in tutti i medesimi significati del corrispondente verbo italiano, ma sarebbe fallace pensare che il verbo napoletano sia stato marcato sull’italiano rubare (che etimologicamente è dal germ. raubon) ; in realtà il verbo partenopeo à un diverso etimo di quello italiano risultando essere un denominale di robba (roba)(dal tedesco rauba =bottino,preda) attraverso un ad→ar per assimilazione regressiva + robba = adrobba→arrobba→arrobbare→arrubbare/arrubbà= darsi al bottino, alla preda;
accrastà v. tr. = agguantare,rapinare, sopraffare violentemente; etimologicamente da un lat.parlato *ad-crastare metatesi d’un classico castrare= tagliare;
affucà v. tr. = in primis soffocare, affogare, uccidere e poi per ampliamento semantico, ma usato come riflessivo di vantaggio: affucarse appropriarsi di qualcosa, sottrarre; etimologicamente da un lat. volg. *affocare per offocare 'strozzare', da ob e fauces, pl. di faux -cis 'gola',
aggraffà v. tr. = in primis abbrancicare, afferrare e poi per ampliamento semantico togliere, levare;
arrefulïà in primis assottigliare,ridurre, diminuire di poco in poco e poi per ampliamento semantico togliere,sottrarre e quindi rubare; etimologicamente da un lat. volg.*ad- refilare→arrefilare→arrefulïare, deriv. di filum 'filo';
furà v. tr. = sottrarre,rapinare,rubare con destrezza è voce essenzialmente usata anticamente in poesia; il verbo a margine ripete dritto per dritto il basso latino furare per il classico furari da fur/furis, da cui anche l'taliano furto.
grancïà/rancïà v. tr. = sottrarre,rapinare,rubare con destrezza servendosi di arnesi da scasso; etimologicamente è un denominale di grancio = granchio (dal lat. cranciu(m) con lenizione cr→gr e semplificazione di gr→r per la forma rancïà; interessante il passaggio semantico dalle chele del granchio agli arnesi da scasso.
scraffignà v. tr. = portare via con lestezza,rapinare,rubare; etimologicamente denominale di graffa/*craffa 'uncino' deriv. dal longob. *krapfo 'uncino' con protesi di una . s(intensiva)
Degli altri verbi (attrappulià e attrappià,arravuglià etc.) che per traslato o estensione semantica valgono rubare ò già détto altrove.
E con ciò penso d’avere, anche questa volta risposto adeguatamente alla richiesta dell’amico E.C. e d’avere interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori. Satis est.
Raffaele Bracale
venerdì 30 settembre 2011
SCIÀSCIA – SCIASCÉLLA - SCIASCÈLLA – SCIÚSCIO – SCIUSCÈLLA CATECATÀSCIA & ALTRO.
SCIÀSCIA – SCIASCÉLLA - SCIASCÈLLA – SCIÚSCIO – SCIUSCÈLLA
CATECATÀSCIA & ALTRO.
La cara amica R.d’A. (di cui per i consueti problemi di riservatezza mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome) mi à proposto un ventaglio di termini (quelli in epigrafe) che – a tutta prima – parrebbero morfologicamente derivare da un medesimo ceppo. L’accontento qui di sèguito chiarendo súbito che la cosa è vera solo per i primi due: sciàscia e sciascella che ne è il diminutivo, mentre per gli altri termini ci troviamo di fronte a semplici assonanze ed ògni termine à significato ed etimo affatto diverso.Entro in medias res e m’auguro che rispondendo all’amica (e conto di farlo in maniera esauriente) possa interessare anche qualcun altro dei miei ventiquattro lettori! Principiamo: sciàscia= sciatta, sciamannata,scioperata,trascurata, negligente, superficiale, svogliata, approssimativa,
agg.vo f.le del m.le sciàscio che ovviamente vale sciatto, sciamannato,scioperato,trascurato, negligente, superficiale, svogliato, approssimativo; etimologicamente è un deverbale di sciascïà = godere a fondo di qualcosa, bearsi con gusto, tranquillità ed abbandono; dal latino volg. *iacíare forma intensiva di iacere; di sciàscio e sciàscia sono molto usati l’accrescitivo m.le agg.vo e s.vo sciascióne che vale uomo, ragazzo placido e tranquillo spesso anche in carne mentre il femminile sciascióna sta per donna grassoccia e simpatica,amabile e piacente; ancóra di sciàscio è molto usato il diminutivo/vezzeggiativo sciascíllo = bimbo, ragazzo grassoccio ed alquanto sciocchino mentre il diminutivo metafonetico femminile sciascélla che dovrebbe valere giovane donna grassottella è pochissimo usato, anzi è usato, come vedremo, in tutt’altro significato e con diverso etimo, preferendoglisi nel medesimo significato di giovane donna grassottella il diminutivo/vezzeggiativo con il suffisso ampliato r-ella sciasciarèlla. Come dicevo sciascélla non è usato come diminutivo/vezzeggiativo di sciàscia nel significato di giovane donna grassottella, ma è usato con cambio d’accento tonico da chiuso ad aperto sciascèlla come collaterale di ciacèlla e derivazione onomatopeica infantile nel significato di carne giovane e tenera.
Proseguiamo e troviamo due termini imparentati tra di essi dall’assonanza, ma non dall’etimo, né – tanto meno – dal significato; abbiamo
sciuscio s.vo m.le = soffio, alito,fiato, respiro voce deverbale di sciusciare che è dal lat subflare→sciusciare. A margine rammento che il verbo sciuscià (soffiare) è usato in napoletano nei significati di
1 emettere aria con forza da una piccola apertura lasciata tra le labbra riunite e protese; spostare aria con un attrezzo: sciuscià ‘ncopp’êccannelelle pe stutarle(soffiare sulle candeline per spegnerle); sciusciàcu ‘a fujeglia(soffiare col mantice) | sciuscià ‘ncopp’ô ffuoco (soffiare sul fuoco), per ravvivarlo; (fig.) fomentare discordie, rancori
2 détto di vento, spirare, tirare: ‘o viento scioscia ‘a punente(il vento soffia da ponente);
3 détto di aria, ventilare, ventilarsi: siuscià, sciusciarse cu ‘o ventaglio (agitare il ventaglio, ventilarsi)
4 sbuffare, respirare affannosamente: saglienno ‘e scale susciava comme a ‘na fujeglia(nel salire le scale soffiava come un mantice), ansimare fortemente | sospirare: Chillu sfaticato turnato a ffaticà nun faceva ato ca sciuscià (Quel pigro tornato a lavorare, non faceva altro che soffiare ||| v. tr.
1 espirare con forza, mandar fuori dai polmoni: sciuscià fummo dô naso(soffiare fumo dal naso) | espellere, convogliare aria o altro gas con un attrezzo: sciuscià aria cu ‘a fujeglia(soffiare aria col mantice) | spingere mediante aria emessa a forza: sciuscià ‘a póvera(soffiare via la polvere) | sciuscià ‘o bbrito(soffiare il vetro), soffiare con un tubo di ferro nell'interno di una massa pastosa di vetro fuso per modellarla e trarne vari oggetti 'sciusciarse ‘o naso( soffiarsi il naso), espellendo con forza l'aria attraverso le narici cosí da farne uscire anche il muco
2 (fig.) dire in segreto, insinuare con intenzione maligna: sciuscià coccosa dinto â recchia a quaccheduno(soffiare qualcosa nell'orecchio a qualcuno) | assol. (gerg.) fare la spia; spifferare: quaccuno à sciusciato(qualcuno à soffiato) | assol. (furbesco )sciusciarsela(sventolarsela) détto di ragazza che non trovi marito o di prostituta che non trovi clienti
3 nel gioco della dama, togliere all'avversario una pedina con la quale questi avrebbe dovuto mangiare un pezzo
4 (estens.) sottrarre, portar via con astuzia o con destrezza ciò che appartiene o spetta ad altri: ll’ànno sciusciato ‘a carpetta, ‘o posto(gli ànno soffiato il portafogli, il posto).
Nulla a che vedere à però ‘ il verbo sciuscià con
sciuscèlla s.vo f.le voce che traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscèlla! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che nel napoletano vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciéllo voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscèllo, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in esame.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscèlla , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciéllo ed accoglie solo sciuscèlla in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che, per sciuscella, si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi, neutro poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscèlla) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare a dei brodini.
Come si vede non v’à modo di apparentare sciuscella con sciúscio e men che meno è da apparentarvi sciuscia s.vo f.le che a tutta prima parrebbe adattamento al femminile di sciúscio e che invece è tutt’altro vocabolo con diverso significato e diverso etimo; in effetti il s.vo femm.le sciuscia voce domestica,epperò intesa quasi volgare (ma non penso lo sia ) è uno dei numerosissimi, icastici sinonimi con i quali, con linguaggio piú o meno colorito e volta a volta mutuato da riferimenti storici o da osservazioni visivo-gastronomiche, si è soliti indicare la vulva della donna, l’organo femminile esterno della riproduzione. Come ò già detto è voce generica che vale vulva, vagina, organo riproduttivo esterno della donna il tutto senza particolari specificazioni concernenti l’età o la destinazione d’uso, ed è voce colloquiale privata in uso tra contraenti (sposi, amanti, fidanzati etc.) dei due sessi di qualsiasi ceto sociale.
Per la verità dico súbito che solo tre calepini della parlata napoletana ( l’antico D’Ambra,ed i piú vicini Altamura e D’Ascoli che vi attingono spudoratamente) dei numerosi in mio possesso e che ò potuto consultare, prendono in considerazione la voce a margine, e però a malgrado che tali vocabolaristi àbbiano il merito di considerare la voce, per ciò che riguarda l’etimo non ànno merito alcuno, in quanto copiandosi l’un l’altro optano,ma a mio avviso, maldestramente, per un inconferente generico idiotismo (.s. m. (ling.) locuzione, voce o costrutto caratteristici di una lingua o di un dialetto) fatto scaturire con un arzigogolo fastidioso ed inattendibile da far risalire a cíccia→ciàccia→sciàscia→sciúscia … che pasticcio!
Personalmente penso di poter proporre altri due etimi di cui il primo, pur essendo perseguibile quanto alla morfologia, convengo che zoppichi e non poco quanto alla semantica; a mio avviso si potrebbe morfologicamente pensare al solito latino ad un part. pass. femm. fluxa dell’infinito fluere atteso che il gruppo latino fl evolve sempre nel napoletano sci (vedi alibi flumen→sciummo, flos→sciore etc.) e ugualmente x=ss seguito da vocale diventa sci e dunque fluxa=flussa potrebbe aver dato morfologicamente sciuscia; ma, come ò io stesso notato, vi si oppone la semantica: una cosa scorsa, fluita poco o nulla à che spartir con una vulva… Occorre tenere altra via! È ciò che faccio e prendendo per buona un’idea dell’amico prof. Carlo Jandolo, la faccio mia e dico che partendo dalla considerazione che la voce sciuscia termina con il suff. latino/greco di appartenenza ia e che d’altro canto la voce classica latina sus indicò indifferentemente il maiale, la scrofa e la vulva, e tenendo presente che la sibilante s anche scempia seguíta da vocale evolve, come la precedente doppia ss in napoletano nel gruppo palatale sci, ecco che da un origianario sus addizionato del suffisso d’appartenenza ia si è potuto avere súsia→sciúscia e non susía→sciuscía ponendo bene attenzione che il suffisso latino ia comporta la ritrazione dell’accento tonico sulla sillaba radicale, mentre è il corrispondente ía greco che sposta l’accento sul suffisso come si ricava osservando la voce filosofia che in lat. è philosòphia(m), mentre in greco è philosophía; e posta l’ipotesi in questi termini, possiamo dire che anche la semantica (ramo della linguistica e, piú in generale, della teoria dei linguaggi (anche artificiali e simbolici), che studia il significato dei simboli e dei loro raggruppamenti e, nel caso delle lingue, studia il significato delle parole, delle frasi, dei singoli enunciati) possa esser contentata.
Senza dilungarmi oltre, correndo il rischio di chiamare in causa altri vocaboli assonanti ed allungare il brodo, passo a dire dell’ultima voce di cui mi à chiesto l’amica R.d’A. e cioè parlo di
catecatascia s.vo f.le colleterale di ascecatascia voci ambedue usate per indicare la lucciola, piccolo insetto coleottero, con corsaletto e zampe gialle, caratterizzato dalla luminosità, intermittente nelle specie alate, degli ultimi segmenti dell'addome; per ciò che concerne l’etimo, ambedue le voci sono da ricollegarsi all’agg.vo greco katabásios = che cala giú che diede origine ad un latino regionale *catabasĭa→cata(ba)sia donde catascia che in catecatascia fu addizionata in posizione protetica di un rafforzativo cata→cate; nel collaterale ascecatascia, catascia fu fantasiosamente addizionata in posizione protetica di uno specificativo asce riflesso di un lat. *axiu(m)→ascio→asce=uccello in quanto l’insetto lucciola nella specie alata fu pensato fantasiosamente, quanto erroneamente, uccello.
E qui faccio punto convinto di aver contentato l’amica R.d’A. ed interessato qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak
CATECATÀSCIA & ALTRO.
La cara amica R.d’A. (di cui per i consueti problemi di riservatezza mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome) mi à proposto un ventaglio di termini (quelli in epigrafe) che – a tutta prima – parrebbero morfologicamente derivare da un medesimo ceppo. L’accontento qui di sèguito chiarendo súbito che la cosa è vera solo per i primi due: sciàscia e sciascella che ne è il diminutivo, mentre per gli altri termini ci troviamo di fronte a semplici assonanze ed ògni termine à significato ed etimo affatto diverso.Entro in medias res e m’auguro che rispondendo all’amica (e conto di farlo in maniera esauriente) possa interessare anche qualcun altro dei miei ventiquattro lettori! Principiamo: sciàscia= sciatta, sciamannata,scioperata,trascurata, negligente, superficiale, svogliata, approssimativa,
agg.vo f.le del m.le sciàscio che ovviamente vale sciatto, sciamannato,scioperato,trascurato, negligente, superficiale, svogliato, approssimativo; etimologicamente è un deverbale di sciascïà = godere a fondo di qualcosa, bearsi con gusto, tranquillità ed abbandono; dal latino volg. *iacíare forma intensiva di iacere; di sciàscio e sciàscia sono molto usati l’accrescitivo m.le agg.vo e s.vo sciascióne che vale uomo, ragazzo placido e tranquillo spesso anche in carne mentre il femminile sciascióna sta per donna grassoccia e simpatica,amabile e piacente; ancóra di sciàscio è molto usato il diminutivo/vezzeggiativo sciascíllo = bimbo, ragazzo grassoccio ed alquanto sciocchino mentre il diminutivo metafonetico femminile sciascélla che dovrebbe valere giovane donna grassottella è pochissimo usato, anzi è usato, come vedremo, in tutt’altro significato e con diverso etimo, preferendoglisi nel medesimo significato di giovane donna grassottella il diminutivo/vezzeggiativo con il suffisso ampliato r-ella sciasciarèlla. Come dicevo sciascélla non è usato come diminutivo/vezzeggiativo di sciàscia nel significato di giovane donna grassottella, ma è usato con cambio d’accento tonico da chiuso ad aperto sciascèlla come collaterale di ciacèlla e derivazione onomatopeica infantile nel significato di carne giovane e tenera.
Proseguiamo e troviamo due termini imparentati tra di essi dall’assonanza, ma non dall’etimo, né – tanto meno – dal significato; abbiamo
sciuscio s.vo m.le = soffio, alito,fiato, respiro voce deverbale di sciusciare che è dal lat subflare→sciusciare. A margine rammento che il verbo sciuscià (soffiare) è usato in napoletano nei significati di
1 emettere aria con forza da una piccola apertura lasciata tra le labbra riunite e protese; spostare aria con un attrezzo: sciuscià ‘ncopp’êccannelelle pe stutarle(soffiare sulle candeline per spegnerle); sciusciàcu ‘a fujeglia(soffiare col mantice) | sciuscià ‘ncopp’ô ffuoco (soffiare sul fuoco), per ravvivarlo; (fig.) fomentare discordie, rancori
2 détto di vento, spirare, tirare: ‘o viento scioscia ‘a punente(il vento soffia da ponente);
3 détto di aria, ventilare, ventilarsi: siuscià, sciusciarse cu ‘o ventaglio (agitare il ventaglio, ventilarsi)
4 sbuffare, respirare affannosamente: saglienno ‘e scale susciava comme a ‘na fujeglia(nel salire le scale soffiava come un mantice), ansimare fortemente | sospirare: Chillu sfaticato turnato a ffaticà nun faceva ato ca sciuscià (Quel pigro tornato a lavorare, non faceva altro che soffiare ||| v. tr.
1 espirare con forza, mandar fuori dai polmoni: sciuscià fummo dô naso(soffiare fumo dal naso) | espellere, convogliare aria o altro gas con un attrezzo: sciuscià aria cu ‘a fujeglia(soffiare aria col mantice) | spingere mediante aria emessa a forza: sciuscià ‘a póvera(soffiare via la polvere) | sciuscià ‘o bbrito(soffiare il vetro), soffiare con un tubo di ferro nell'interno di una massa pastosa di vetro fuso per modellarla e trarne vari oggetti 'sciusciarse ‘o naso( soffiarsi il naso), espellendo con forza l'aria attraverso le narici cosí da farne uscire anche il muco
2 (fig.) dire in segreto, insinuare con intenzione maligna: sciuscià coccosa dinto â recchia a quaccheduno(soffiare qualcosa nell'orecchio a qualcuno) | assol. (gerg.) fare la spia; spifferare: quaccuno à sciusciato(qualcuno à soffiato) | assol. (furbesco )sciusciarsela(sventolarsela) détto di ragazza che non trovi marito o di prostituta che non trovi clienti
3 nel gioco della dama, togliere all'avversario una pedina con la quale questi avrebbe dovuto mangiare un pezzo
4 (estens.) sottrarre, portar via con astuzia o con destrezza ciò che appartiene o spetta ad altri: ll’ànno sciusciato ‘a carpetta, ‘o posto(gli ànno soffiato il portafogli, il posto).
Nulla a che vedere à però ‘ il verbo sciuscià con
sciuscèlla s.vo f.le voce che traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscèlla! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che nel napoletano vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciéllo voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscèllo, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in esame.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscèlla , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciéllo ed accoglie solo sciuscèlla in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che, per sciuscella, si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi, neutro poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscèlla) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare a dei brodini.
Come si vede non v’à modo di apparentare sciuscella con sciúscio e men che meno è da apparentarvi sciuscia s.vo f.le che a tutta prima parrebbe adattamento al femminile di sciúscio e che invece è tutt’altro vocabolo con diverso significato e diverso etimo; in effetti il s.vo femm.le sciuscia voce domestica,epperò intesa quasi volgare (ma non penso lo sia ) è uno dei numerosissimi, icastici sinonimi con i quali, con linguaggio piú o meno colorito e volta a volta mutuato da riferimenti storici o da osservazioni visivo-gastronomiche, si è soliti indicare la vulva della donna, l’organo femminile esterno della riproduzione. Come ò già detto è voce generica che vale vulva, vagina, organo riproduttivo esterno della donna il tutto senza particolari specificazioni concernenti l’età o la destinazione d’uso, ed è voce colloquiale privata in uso tra contraenti (sposi, amanti, fidanzati etc.) dei due sessi di qualsiasi ceto sociale.
Per la verità dico súbito che solo tre calepini della parlata napoletana ( l’antico D’Ambra,ed i piú vicini Altamura e D’Ascoli che vi attingono spudoratamente) dei numerosi in mio possesso e che ò potuto consultare, prendono in considerazione la voce a margine, e però a malgrado che tali vocabolaristi àbbiano il merito di considerare la voce, per ciò che riguarda l’etimo non ànno merito alcuno, in quanto copiandosi l’un l’altro optano,ma a mio avviso, maldestramente, per un inconferente generico idiotismo (.s. m. (ling.) locuzione, voce o costrutto caratteristici di una lingua o di un dialetto) fatto scaturire con un arzigogolo fastidioso ed inattendibile da far risalire a cíccia→ciàccia→sciàscia→sciúscia … che pasticcio!
Personalmente penso di poter proporre altri due etimi di cui il primo, pur essendo perseguibile quanto alla morfologia, convengo che zoppichi e non poco quanto alla semantica; a mio avviso si potrebbe morfologicamente pensare al solito latino ad un part. pass. femm. fluxa dell’infinito fluere atteso che il gruppo latino fl evolve sempre nel napoletano sci (vedi alibi flumen→sciummo, flos→sciore etc.) e ugualmente x=ss seguito da vocale diventa sci e dunque fluxa=flussa potrebbe aver dato morfologicamente sciuscia; ma, come ò io stesso notato, vi si oppone la semantica: una cosa scorsa, fluita poco o nulla à che spartir con una vulva… Occorre tenere altra via! È ciò che faccio e prendendo per buona un’idea dell’amico prof. Carlo Jandolo, la faccio mia e dico che partendo dalla considerazione che la voce sciuscia termina con il suff. latino/greco di appartenenza ia e che d’altro canto la voce classica latina sus indicò indifferentemente il maiale, la scrofa e la vulva, e tenendo presente che la sibilante s anche scempia seguíta da vocale evolve, come la precedente doppia ss in napoletano nel gruppo palatale sci, ecco che da un origianario sus addizionato del suffisso d’appartenenza ia si è potuto avere súsia→sciúscia e non susía→sciuscía ponendo bene attenzione che il suffisso latino ia comporta la ritrazione dell’accento tonico sulla sillaba radicale, mentre è il corrispondente ía greco che sposta l’accento sul suffisso come si ricava osservando la voce filosofia che in lat. è philosòphia(m), mentre in greco è philosophía; e posta l’ipotesi in questi termini, possiamo dire che anche la semantica (ramo della linguistica e, piú in generale, della teoria dei linguaggi (anche artificiali e simbolici), che studia il significato dei simboli e dei loro raggruppamenti e, nel caso delle lingue, studia il significato delle parole, delle frasi, dei singoli enunciati) possa esser contentata.
Senza dilungarmi oltre, correndo il rischio di chiamare in causa altri vocaboli assonanti ed allungare il brodo, passo a dire dell’ultima voce di cui mi à chiesto l’amica R.d’A. e cioè parlo di
catecatascia s.vo f.le colleterale di ascecatascia voci ambedue usate per indicare la lucciola, piccolo insetto coleottero, con corsaletto e zampe gialle, caratterizzato dalla luminosità, intermittente nelle specie alate, degli ultimi segmenti dell'addome; per ciò che concerne l’etimo, ambedue le voci sono da ricollegarsi all’agg.vo greco katabásios = che cala giú che diede origine ad un latino regionale *catabasĭa→cata(ba)sia donde catascia che in catecatascia fu addizionata in posizione protetica di un rafforzativo cata→cate; nel collaterale ascecatascia, catascia fu fantasiosamente addizionata in posizione protetica di uno specificativo asce riflesso di un lat. *axiu(m)→ascio→asce=uccello in quanto l’insetto lucciola nella specie alata fu pensato fantasiosamente, quanto erroneamente, uccello.
E qui faccio punto convinto di aver contentato l’amica R.d’A. ed interessato qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak
TRE PPENZIERE E CCHISTO ‘A QUATTO
TRE PPENZIERE E CCHISTO ‘A QUATTO
Ad litteram: (Ò) tre pensieri e questo (fa) da quarto! Id est: Quello che tu mi presenti come un problema, in realtà è un piccolissimo impiccio, anzi non lo è per nulla e rappresenta perciò sola l’ultima delle (mie) preoccupazioni in quanto esso supposto problema, in realtà non presenta alcuna difficoltà per essere superato e risolto. Espressione usata a sarcastico commento opposto a chi inetto ed incapace infastidisca il prossimo accampando problemi che non lo siano e per la loro soluzione richiedano addirittura un aiuto!
Brak
Ad litteram: (Ò) tre pensieri e questo (fa) da quarto! Id est: Quello che tu mi presenti come un problema, in realtà è un piccolissimo impiccio, anzi non lo è per nulla e rappresenta perciò sola l’ultima delle (mie) preoccupazioni in quanto esso supposto problema, in realtà non presenta alcuna difficoltà per essere superato e risolto. Espressione usata a sarcastico commento opposto a chi inetto ed incapace infastidisca il prossimo accampando problemi che non lo siano e per la loro soluzione richiedano addirittura un aiuto!
Brak
SPOGLIAMPISE/O & dintorni
SPOGLIAMPISE/O & dintorni
Questa volta tengo dietro ad una richiesta dell’amica M.P. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di non riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di chiarire significato e portata del termine spogliampise/o ed illustrare altre voci prossime simili, affini, analoghe, insomma sinonimi d’esso. L’accontento súbito e dico che la voce spogliampise/o à molti sinonimi o voci analoghe; le illustrerò tutte e m’auguro di interessare con queste paginette anche qualche altro dei miei consueti ventiquattri lettori. Diamoci da fare!
spogliampise/o s.vo e talora agg.vo m.le e f.le straccione, cencioso, ma letteralmente chi spoglia(va) degli abiti gli impiccati, oppure li depreda(va) degli ultimi averi, svuotando loro le tasche o ne compra(va) dal boia, per rivenderli, gli abiti; estensivamente in seguito il termine indicò colui che rivendesse abiti usati e per traslato la voce fu usata quale sinonimo di miserabile, spregevole, abietto, meschino, in quanto semanticamente tali aggettivazioni ben si attagliano sia a chi si dedicasse alla spoliazione e/o depredazione (in tutti i sensi) degli impiccati,sia a chi indossasse abiti dismessi da povera gente, per cui abitil isi, consunti, sia a chi si dedicasse alla rivendita di abiti usati,come che fosse sottratti ad impiccati. Etimologicamente la voce è formata dall’unione di spoglia + il s.vo ‘mpise ; la voce verbale spoglia è la 3° p. sg. ind. pr. dell’infinito spuglià (dal lat. spoliare, deriv. di spolium 'spoglia') =spogliare; ‘mpise è il pl. di ‘mpiso = appeso, impiccato (p.p. sostantivato di ‘mpennere = appendere impiccare che è dal lat. in→impendere 'pesare', poi ''sospendere' ', comp. di in→’m e pendere 'sospendere'.
Come ò premesso, ripeto che della voce spogliampise or ora esaminata esistono e sono usati nel napoletano, alcuni icastici sinonimi da leggersi tutti oltre che nel primitivi significati di straccione/a, cencioso/a anche estensivamente in tutti quelli indicati: miserabile, spregevole, abietto, meschino, ed addirittura persona malvagia, priva di scrupoli, crudele, feroce,furba, scaltra, spietata, scellerata, empia, perversa, sadica, maligna proclive ad essere efferata, disumana, brutale;
i sinonimi che esamino sono:
arrobbagalline s.vo ed agg.vo m.le e f.le; voce spregiativa che vale straccione/a, cencioso/a povero, miserabile, straccione, pezzente,ma letteralmente chi ruba galline, chi ruba piccole cose, chi compie piccoli furti, per incapacità o paura (sinon. delle espressioni fig. mariuolo ‘e galline, ‘e pullaste(ladro di galline, di polli): chillo è n’arrobbagalline nun è stato cert’ isso a svaliggià ‘arefice (quello è un rubagalline, non è stato certo lui a svaligiare la gioielleria); semanticamente la voce a margine può accostarsi a spogliampiso per il fatto che ambedue le voci ci si riferisce a chi è cosí misero da accontentarsi di abiti lisi e rattoppati o di piccola, insignificante refurtiva; etimologicamente arrobbagalline è l’agglutinazione del s.vo f.le galline con la voce verbale arrobba:
galline s.vo f.le pl. di gallina tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';
arrobba voce verbale (3ª pers. sg. ind.pr.) dell’infinito arrubbà che vale il generico rubare, ma sarebbe fallace pensare che il verbo napoletano sia stato marcato sull’italiano rubare; in realtà il verbo partenopeo à un diverso etimo di quello italiano risultando essere un denominale di robba (roba)( lemma dal tedesco rauba =bottino,preda) attraverso un ad + robba = adrobba→arrubba→arrubbare/arrubbà= darsi al bottino, alla preda. petacciuso/osa s.vo ed agg.vo m.le o f.le
1 in primis straccione/a, cencioso/a, barbone/a
2 per ampliamento semantico individuo miserabile, spregevole, abietto, meschino;
etimologicamente è voce costruito addizionando al s.vo petaccia il con il suffisso lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa (suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, che indica presenza, caratteristica, qualità ecc.; il s.vo petaccia = cencio, brandello, straccio ed estensivamente abito di tessuto logoro; piú in generale con tutte le accezioni di straccio quale indumento logoro e dimesso, pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare, ma con valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia!
quanto all’etimo, petaccia appare a taluno un derivato dello spagnolo pedazo= pezzo ma a mio avviso non è errato vedervi un derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) + il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia qualcuno à anche ipotizzato un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia= cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m).
sauzammàro/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le 1 in primis salumaio grossolano, dozzinale,
2 produttore/trice girovago/a di salsa;
3 per ampliamento semantico sudicione/a, sbrindellone/a straccione/a, cencioso/a; si tratta comunque in tutte e tre le accezioni di voce dispregiativa e lo si ricava dalla presenza nel corpo della parola del suffisso collettivo/ dispregiativo amma/immo che continua con raddoppiamento espressivo della labiale il latino imen (cfr. zuzzimma, canimma, lutamma, sfaccimma etc.) unito con il suff. lat. di competenza arius→àro.
L’accostamento semantico tra il salumaio ordinario o il/la produttore/trice girovago/a di salsa e l’individuo sudicione/a, sbrindellone/a straccione/a etc. si coglie tenendo presente il fatto che sia il salumaio scadente che il/la produttore/trice girovago/a di salsa sono intesi individui poco attenti all’igiene,vestiti alla meno peggio con camici spesso luridi, sozzi, lercio, macchiati, individui incuranti di lordarsi di grasso o sugo.
sfelenza/o s.vo ed agg.vo m.le e f.le 1 in primis sbrindellone/a straccione/a,cencioso, poveraccio/a 2 per traslato e/o ampliamento semantico, riferito soprattutto a soggetti giovani individuo furbo ed intrapendente aduso a vivere (confidando sulla propria destrezza ed abilità fisica) di attività disoneste, di truffe,addirittura di rapine; briccone, furfante, mascalzone; per ciò che riguarda l’etimologia della voce a margine attestata sia come sfelenza che come sfelenzo indipendentemente del genere dell’individuo cui sia riferita, per ciò che riguarda l’etimologia non v’è identità di vedure e non manca chi si trincera dietro il solito irritante etimo ignoto.
Qualcuno ( G. Alessio) vi lesse cosí come per il calabrese sfilènziu/sfilènsu ed il salentino sfilènze/sfelènze, vi lesse il nome d’un non meglio identificato personaggio lat.: Fidentĭus; la cosa non convince perché se è vero che è normale nel napoletano un passaggio di dentale sonora a liquida (d→l), è ugualmente vero che non v’à traccia di un tal personaggio né nella storia, né nel teatro...; ugualmente m’appare poco convincente l’idea dell’amico Renato de Falco che vede in sfelenza/o un collegamento a sfilaccio (filaccio, filo sdrucito d’abiti lisi e/o a brandelli che son del cencioso, del poveraccio...): non mi convince perché, in tal modo la parola non è chiarita morfologicamente; transeat per lo sfel d’attacco che può richiamare il tema sfil di sfilaccio, ma la desinenza enza è un suffisso derivato dal lat. -entia(m), che unito a basi verbali forma sostantivi astratti (diffidenza, impotenza, partenza, scajenza etc. ),...nulla da spartire con il s.vo concreto in esame.Non resta che accettare l’idea di Ernesto Giammarco ( valente linguista abruzzese scomparso intorno al 1960) che lèsse in sfelenza/o un connubio tra sfila (dal tema di sfilà nel senso di sottrarre) e lenza (dal lat. lintea(m), f.le di linteus 'di lino'; propr. '(striscia) di lino')con evidente riferimento semantico al fatto che in origine la primitiva attività truffaldina dello sfelenza/o fu quella appunto di sottrarre (per poi rivenderli) abilmente gli attrezzi di lavoro dei poveri pescatori adusi a tenerli esposti palam ed incustoditi.
spetaccione/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
spellicchione/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
scauzacane s.vo ed agg.vo m.le e f.le
sdellenzato/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
sbrenzulato/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
sbrunzuluso/oa s.vo ed agg.vo m.le o f.le
E qui penso di poter far punto, convinto, se non di avere esaurito l’argomento, di averne détto a sufficenza, accontentato l’amica M.P. ed interessato qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori. Satis est.
raffaele bracale
Questa volta tengo dietro ad una richiesta dell’amica M.P. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di non riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di chiarire significato e portata del termine spogliampise/o ed illustrare altre voci prossime simili, affini, analoghe, insomma sinonimi d’esso. L’accontento súbito e dico che la voce spogliampise/o à molti sinonimi o voci analoghe; le illustrerò tutte e m’auguro di interessare con queste paginette anche qualche altro dei miei consueti ventiquattri lettori. Diamoci da fare!
spogliampise/o s.vo e talora agg.vo m.le e f.le straccione, cencioso, ma letteralmente chi spoglia(va) degli abiti gli impiccati, oppure li depreda(va) degli ultimi averi, svuotando loro le tasche o ne compra(va) dal boia, per rivenderli, gli abiti; estensivamente in seguito il termine indicò colui che rivendesse abiti usati e per traslato la voce fu usata quale sinonimo di miserabile, spregevole, abietto, meschino, in quanto semanticamente tali aggettivazioni ben si attagliano sia a chi si dedicasse alla spoliazione e/o depredazione (in tutti i sensi) degli impiccati,sia a chi indossasse abiti dismessi da povera gente, per cui abitil isi, consunti, sia a chi si dedicasse alla rivendita di abiti usati,come che fosse sottratti ad impiccati. Etimologicamente la voce è formata dall’unione di spoglia + il s.vo ‘mpise ; la voce verbale spoglia è la 3° p. sg. ind. pr. dell’infinito spuglià (dal lat. spoliare, deriv. di spolium 'spoglia') =spogliare; ‘mpise è il pl. di ‘mpiso = appeso, impiccato (p.p. sostantivato di ‘mpennere = appendere impiccare che è dal lat. in→impendere 'pesare', poi ''sospendere' ', comp. di in→’m e pendere 'sospendere'.
Come ò premesso, ripeto che della voce spogliampise or ora esaminata esistono e sono usati nel napoletano, alcuni icastici sinonimi da leggersi tutti oltre che nel primitivi significati di straccione/a, cencioso/a anche estensivamente in tutti quelli indicati: miserabile, spregevole, abietto, meschino, ed addirittura persona malvagia, priva di scrupoli, crudele, feroce,furba, scaltra, spietata, scellerata, empia, perversa, sadica, maligna proclive ad essere efferata, disumana, brutale;
i sinonimi che esamino sono:
arrobbagalline s.vo ed agg.vo m.le e f.le; voce spregiativa che vale straccione/a, cencioso/a povero, miserabile, straccione, pezzente,ma letteralmente chi ruba galline, chi ruba piccole cose, chi compie piccoli furti, per incapacità o paura (sinon. delle espressioni fig. mariuolo ‘e galline, ‘e pullaste(ladro di galline, di polli): chillo è n’arrobbagalline nun è stato cert’ isso a svaliggià ‘arefice (quello è un rubagalline, non è stato certo lui a svaligiare la gioielleria); semanticamente la voce a margine può accostarsi a spogliampiso per il fatto che ambedue le voci ci si riferisce a chi è cosí misero da accontentarsi di abiti lisi e rattoppati o di piccola, insignificante refurtiva; etimologicamente arrobbagalline è l’agglutinazione del s.vo f.le galline con la voce verbale arrobba:
galline s.vo f.le pl. di gallina tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';
arrobba voce verbale (3ª pers. sg. ind.pr.) dell’infinito arrubbà che vale il generico rubare, ma sarebbe fallace pensare che il verbo napoletano sia stato marcato sull’italiano rubare; in realtà il verbo partenopeo à un diverso etimo di quello italiano risultando essere un denominale di robba (roba)( lemma dal tedesco rauba =bottino,preda) attraverso un ad + robba = adrobba→arrubba→arrubbare/arrubbà= darsi al bottino, alla preda. petacciuso/osa s.vo ed agg.vo m.le o f.le
1 in primis straccione/a, cencioso/a, barbone/a
2 per ampliamento semantico individuo miserabile, spregevole, abietto, meschino;
etimologicamente è voce costruito addizionando al s.vo petaccia il con il suffisso lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa (suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, che indica presenza, caratteristica, qualità ecc.; il s.vo petaccia = cencio, brandello, straccio ed estensivamente abito di tessuto logoro; piú in generale con tutte le accezioni di straccio quale indumento logoro e dimesso, pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare, ma con valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia!
quanto all’etimo, petaccia appare a taluno un derivato dello spagnolo pedazo= pezzo ma a mio avviso non è errato vedervi un derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) + il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia qualcuno à anche ipotizzato un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia= cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m).
sauzammàro/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le 1 in primis salumaio grossolano, dozzinale,
2 produttore/trice girovago/a di salsa;
3 per ampliamento semantico sudicione/a, sbrindellone/a straccione/a, cencioso/a; si tratta comunque in tutte e tre le accezioni di voce dispregiativa e lo si ricava dalla presenza nel corpo della parola del suffisso collettivo/ dispregiativo amma/immo che continua con raddoppiamento espressivo della labiale il latino imen (cfr. zuzzimma, canimma, lutamma, sfaccimma etc.) unito con il suff. lat. di competenza arius→àro.
L’accostamento semantico tra il salumaio ordinario o il/la produttore/trice girovago/a di salsa e l’individuo sudicione/a, sbrindellone/a straccione/a etc. si coglie tenendo presente il fatto che sia il salumaio scadente che il/la produttore/trice girovago/a di salsa sono intesi individui poco attenti all’igiene,vestiti alla meno peggio con camici spesso luridi, sozzi, lercio, macchiati, individui incuranti di lordarsi di grasso o sugo.
sfelenza/o s.vo ed agg.vo m.le e f.le 1 in primis sbrindellone/a straccione/a,cencioso, poveraccio/a 2 per traslato e/o ampliamento semantico, riferito soprattutto a soggetti giovani individuo furbo ed intrapendente aduso a vivere (confidando sulla propria destrezza ed abilità fisica) di attività disoneste, di truffe,addirittura di rapine; briccone, furfante, mascalzone; per ciò che riguarda l’etimologia della voce a margine attestata sia come sfelenza che come sfelenzo indipendentemente del genere dell’individuo cui sia riferita, per ciò che riguarda l’etimologia non v’è identità di vedure e non manca chi si trincera dietro il solito irritante etimo ignoto.
Qualcuno ( G. Alessio) vi lesse cosí come per il calabrese sfilènziu/sfilènsu ed il salentino sfilènze/sfelènze, vi lesse il nome d’un non meglio identificato personaggio lat.: Fidentĭus; la cosa non convince perché se è vero che è normale nel napoletano un passaggio di dentale sonora a liquida (d→l), è ugualmente vero che non v’à traccia di un tal personaggio né nella storia, né nel teatro...; ugualmente m’appare poco convincente l’idea dell’amico Renato de Falco che vede in sfelenza/o un collegamento a sfilaccio (filaccio, filo sdrucito d’abiti lisi e/o a brandelli che son del cencioso, del poveraccio...): non mi convince perché, in tal modo la parola non è chiarita morfologicamente; transeat per lo sfel d’attacco che può richiamare il tema sfil di sfilaccio, ma la desinenza enza è un suffisso derivato dal lat. -entia(m), che unito a basi verbali forma sostantivi astratti (diffidenza, impotenza, partenza, scajenza etc. ),...nulla da spartire con il s.vo concreto in esame.Non resta che accettare l’idea di Ernesto Giammarco ( valente linguista abruzzese scomparso intorno al 1960) che lèsse in sfelenza/o un connubio tra sfila (dal tema di sfilà nel senso di sottrarre) e lenza (dal lat. lintea(m), f.le di linteus 'di lino'; propr. '(striscia) di lino')con evidente riferimento semantico al fatto che in origine la primitiva attività truffaldina dello sfelenza/o fu quella appunto di sottrarre (per poi rivenderli) abilmente gli attrezzi di lavoro dei poveri pescatori adusi a tenerli esposti palam ed incustoditi.
spetaccione/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
spellicchione/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
scauzacane s.vo ed agg.vo m.le e f.le
sdellenzato/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
sbrenzulato/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le
sbrunzuluso/oa s.vo ed agg.vo m.le o f.le
E qui penso di poter far punto, convinto, se non di avere esaurito l’argomento, di averne détto a sufficenza, accontentato l’amica M.P. ed interessato qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori. Satis est.
raffaele bracale
‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE etc.
‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE = letteralmente donna Pereta fuori (affacciata) al balcone; citroviamo dinnanzi ad una locuzione usata con divertente immagine per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di persona) è il femminile ricostruito di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella donna becera, sguaiata, volgare e sfrontata è detta, volta volta:locena che nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed il successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena; lumera = esattamente lume a gas e lume a ggiorno =lume a petrolio atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una pereta.
A margine ed aggiunta alla espressione in epigrafe fin qui esaminata, ne rammento altre tre che articolate sui termini loffe e perete fanno parte del patrimonio popolare nell’icastico linguaggio partenopeo. E sono:
1) ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo!
2) ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!
3) ‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!
Mi pèrito di darne la traduzione letterale chiarendo súbito che si tratta solo di un esercizio letterale atteso che le espressioni non vanno lette ad litteram, ma nei sensi figurati che chiarirò. Ecco le traduzioni:
1) Le scorregge delle monache odorano d’incenso!
2) I péti della signora Rosa sono tutti sciroppati!
3) I péti della signora Badessa son tutti limoncini freschi!
E passiamo ai significati figurati che son quelli con cui vanno intese le espressioni in esame:
1)La locuzione ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo che è da intendersi come “le mancanze, anche gravi, delle persone consacrate vanno in ogni caso perdonate” è usata ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che subíto un danno fisico o morale da soggetti consacrati vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono cristianamente offrire l’altra guancia atteso che le offese o mancanze delle persone consacrate iperbolicamente odorano d’incenso, cioè di solito non son dovute a cattiveria ma a mero errore.
2)La locuzione ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!” è usata ironicamente in riferimento ai comportamenti vanaglioriosi dei vanitosi, superbi, immodesti, boriosi che pur tenendo atteggiamenti non consoni, irriguardosi o immodesti fan le viste opposte al segno di voler fare apparire dolci, graditi, gradevoli, piacevoli, soavi manifestazioni che al contrario son palesemente brutte, sgradevoli, spiacevoli quando non addirittura disgustose come sono i peti.
3) Ed infine la locuzione”‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!” analoga a quella sub 1)
‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo. La locuzione in esame è da intendersi come “le mancanze delle persone importanti e/o dei capi vanno in ogni caso accettate come ineludibili quali fatti cui non ci si possa opporre ”. La locuzione è usata perciò ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che subíto un danno fisico o morale o siano vessati da soggetti consacrati vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono obtorto collo sopportare in silenzio atteso che è del tutto inutile contrastare avversare, osteggiare, contrariare, contestare, contraddire i capi o i superiori destinati in ogni caso ad aver la meglio sui sottoposti che devono rassegnarsi alla figurata iperbole che i peti dei superiori odorino di limoncini freschi!
Alcune notazioni linguistiche.
Di loffa e péreta ò già détto antea.
addorano voce verbale (3ª pers. pl. ind. pr.) dell’infinito addurà = odorare, profumare, olezzare; etimologicamente addurà è un denominale del tardo lat. *adore(m) per il cl. odore(m); la a intesa come un residuo di ad favorí il raddoppiamento espressivo della occlusiva dentale sonora (d) per cui *adore(m) fu*addore(m) donde addurà.
‘ncienzo s.vo neutro = incenso: gommoresina che si ottiene praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante originarie dell'India, Arabia e Somalia, e che, bruciata, emana un intenso aroma; fin dall'antichità è stata usata durante le cerimonie religiose.
2 (estens.) il fumo e l'odore di quella gommaresina. etimologicamente è voce aferizzata dal lat. tardo, eccl. incĕnsu(m), propr. part. pass. neutro sost. di incendere 'accendere, infiammare'; da incĕnsu(m)→(i)ncĕnsu(m)→’ncienzo con il consueto passaggio ns→nz e dittongazione della ĕ.
sceruppato = sciroppato voce verbale (part.pass.m.le agg.to)dell’infinito sceruppà = (come nel caso che ci occupa)sciroppare,conservare la frutta nello sciroppo: sciroppare le pesche | sciropparsi qualcuno, qualcosa, (fig.) sopportarli, sorbirseli pazientemente; etimologicamente il verbo sceruppà è un denominale di sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce; a margine di questa voce rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.
Ed ora, quasi al termine mi piace illustrare un’ icastica frase in uso a Napoli forgiata col verbo sceruppà; essa recita sceruppà ‘nu strunzo e vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e la cosa vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso, pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate ed invece in realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con iattanza, boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.
Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia impossibile da farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale!
sié è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-gneuse→sié(gneuse)→sié.
badessa e cioè: superiora in un monastero femminile: madre badessa, ma ironicamente anche donna autoritaria, che si dia arie di superiorità; etimologicamente il termine badessa è una forma aferetica per (a)-badessa che viene dal latino abbatissa voce femminilizzata di abbas/abbate(m) che trae dal caldeo e siriaco âbâ o âbbâ= padre.
E qui mi fermo. Satis est.
R.Bracale
A margine ed aggiunta alla espressione in epigrafe fin qui esaminata, ne rammento altre tre che articolate sui termini loffe e perete fanno parte del patrimonio popolare nell’icastico linguaggio partenopeo. E sono:
1) ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo!
2) ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!
3) ‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!
Mi pèrito di darne la traduzione letterale chiarendo súbito che si tratta solo di un esercizio letterale atteso che le espressioni non vanno lette ad litteram, ma nei sensi figurati che chiarirò. Ecco le traduzioni:
1) Le scorregge delle monache odorano d’incenso!
2) I péti della signora Rosa sono tutti sciroppati!
3) I péti della signora Badessa son tutti limoncini freschi!
E passiamo ai significati figurati che son quelli con cui vanno intese le espressioni in esame:
1)La locuzione ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo che è da intendersi come “le mancanze, anche gravi, delle persone consacrate vanno in ogni caso perdonate” è usata ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che subíto un danno fisico o morale da soggetti consacrati vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono cristianamente offrire l’altra guancia atteso che le offese o mancanze delle persone consacrate iperbolicamente odorano d’incenso, cioè di solito non son dovute a cattiveria ma a mero errore.
2)La locuzione ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!” è usata ironicamente in riferimento ai comportamenti vanaglioriosi dei vanitosi, superbi, immodesti, boriosi che pur tenendo atteggiamenti non consoni, irriguardosi o immodesti fan le viste opposte al segno di voler fare apparire dolci, graditi, gradevoli, piacevoli, soavi manifestazioni che al contrario son palesemente brutte, sgradevoli, spiacevoli quando non addirittura disgustose come sono i peti.
3) Ed infine la locuzione”‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!” analoga a quella sub 1)
‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo. La locuzione in esame è da intendersi come “le mancanze delle persone importanti e/o dei capi vanno in ogni caso accettate come ineludibili quali fatti cui non ci si possa opporre ”. La locuzione è usata perciò ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che subíto un danno fisico o morale o siano vessati da soggetti consacrati vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono obtorto collo sopportare in silenzio atteso che è del tutto inutile contrastare avversare, osteggiare, contrariare, contestare, contraddire i capi o i superiori destinati in ogni caso ad aver la meglio sui sottoposti che devono rassegnarsi alla figurata iperbole che i peti dei superiori odorino di limoncini freschi!
Alcune notazioni linguistiche.
Di loffa e péreta ò già détto antea.
addorano voce verbale (3ª pers. pl. ind. pr.) dell’infinito addurà = odorare, profumare, olezzare; etimologicamente addurà è un denominale del tardo lat. *adore(m) per il cl. odore(m); la a intesa come un residuo di ad favorí il raddoppiamento espressivo della occlusiva dentale sonora (d) per cui *adore(m) fu*addore(m) donde addurà.
‘ncienzo s.vo neutro = incenso: gommoresina che si ottiene praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante originarie dell'India, Arabia e Somalia, e che, bruciata, emana un intenso aroma; fin dall'antichità è stata usata durante le cerimonie religiose.
2 (estens.) il fumo e l'odore di quella gommaresina. etimologicamente è voce aferizzata dal lat. tardo, eccl. incĕnsu(m), propr. part. pass. neutro sost. di incendere 'accendere, infiammare'; da incĕnsu(m)→(i)ncĕnsu(m)→’ncienzo con il consueto passaggio ns→nz e dittongazione della ĕ.
sceruppato = sciroppato voce verbale (part.pass.m.le agg.to)dell’infinito sceruppà = (come nel caso che ci occupa)sciroppare,conservare la frutta nello sciroppo: sciroppare le pesche | sciropparsi qualcuno, qualcosa, (fig.) sopportarli, sorbirseli pazientemente; etimologicamente il verbo sceruppà è un denominale di sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce; a margine di questa voce rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.
Ed ora, quasi al termine mi piace illustrare un’ icastica frase in uso a Napoli forgiata col verbo sceruppà; essa recita sceruppà ‘nu strunzo e vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e la cosa vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso, pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate ed invece in realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con iattanza, boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.
Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia impossibile da farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale!
sié è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-gneuse→sié(gneuse)→sié.
badessa e cioè: superiora in un monastero femminile: madre badessa, ma ironicamente anche donna autoritaria, che si dia arie di superiorità; etimologicamente il termine badessa è una forma aferetica per (a)-badessa che viene dal latino abbatissa voce femminilizzata di abbas/abbate(m) che trae dal caldeo e siriaco âbâ o âbbâ= padre.
E qui mi fermo. Satis est.
R.Bracale
giovedì 29 settembre 2011
INSALATA DI MARE
INSALATA DI MARE
Ingredienti e dosi per 12 persone:
2 polpi di ca 1 kg. cadauno,
1 Kg. di calamari,
1Kg di gamberetti freschi o surgelati sgusciati,
1 kg. di cozze,
500 gr. di vongole veraci,
2 spicchi d’aglio in camicia schiacciato,
il succo filtrato di 2 limoni non trattati,
1 bicchiere e mezzo d’olio extra vergine p.s. a f.,
sale doppio alle erbette e pepe bianco q.s.,
1 rametto abbondante di timo/piperna tritato assieme ad uno spicchio d’aglio mondato,
1 tazza di aceto bianco.
Preparazione:
Pulite e poi bollite i polpi e i calamari separatamente in abbondante acqua salata. Per la cottura del polpo regolatevi che occorrerà il doppio del tempo necessario per lessare i calamari; ne ignoro il motivo, ma pare che il polpo, conveniente battuto prima di lessarlo, risulterà piú tenero se nella pentola verrà messo a bollire con un grosso turacciolo di sughero.Pare comunque – o per lo meno ciò afferma un tal Roberto Carcangiu, famoso chef - che trattasi d’una leggenda metropolitana da collegarsi al fatto che anticamente i venditori girovaghi di polpo bollito solevano attaccare i polpi messi a cuocere nel pentolone, ad una lenza legata ad un sughero, e ciò per poterli facilmente issare su una volta lessi; ne derivò la credenza che il polpo andasse lessato in compagnia d’un turacciolo…
Proseguiamo con la ricetta.
A parte lessate i gamberetti sgusciati con l'aggiunta di un po' di aceto affinchè, una volta sgocciolati, non diventino neri. Mettete un tegame incoperchiato sul fuoco vivo con un aglio schiacciato e tre cucchiai di olio e ponetevi le cozze (opportunamente lavate e soffregate con una spazzolina metallica per eliminare incrostazioni e bisso) assieme alle vongole ben lavate ed attendete fino a che le valve non si siano tutte aperte. Togliete il tegame dal fuoco e prelevate dalle valve tutti i frutti mettendoli da parte in una ciotola; filtrate con un colino di garza il liquido che avranno emesso e tenetelo da parte. Appena il polpo ed i calamari saranno cotti, scolateli e tagliate il polpo a tocchetti e i calamari ad anelli. Prendete una grossa zuppiera, mescolate polpi, calamari, cozze, vongole, gamberi e condite con una salsetta fatta sbattendo in una ciotola, con una forchetta l’olio, il succo dei limoni, una presa di sale doppio alle erbette, il pepe bianco macinato, la tazza d’aceto ed aggiungete il liquido di apertura delle cozze e delle vongole passato nel colino. Spruzzate abbondantemente con il trito di aglio e timo/piperna . Servite in tavola, come antipasto dopo aver fatto transitare per un'ora la zuppiera nel frigo.
brak
Ingredienti e dosi per 12 persone:
2 polpi di ca 1 kg. cadauno,
1 Kg. di calamari,
1Kg di gamberetti freschi o surgelati sgusciati,
1 kg. di cozze,
500 gr. di vongole veraci,
2 spicchi d’aglio in camicia schiacciato,
il succo filtrato di 2 limoni non trattati,
1 bicchiere e mezzo d’olio extra vergine p.s. a f.,
sale doppio alle erbette e pepe bianco q.s.,
1 rametto abbondante di timo/piperna tritato assieme ad uno spicchio d’aglio mondato,
1 tazza di aceto bianco.
Preparazione:
Pulite e poi bollite i polpi e i calamari separatamente in abbondante acqua salata. Per la cottura del polpo regolatevi che occorrerà il doppio del tempo necessario per lessare i calamari; ne ignoro il motivo, ma pare che il polpo, conveniente battuto prima di lessarlo, risulterà piú tenero se nella pentola verrà messo a bollire con un grosso turacciolo di sughero.Pare comunque – o per lo meno ciò afferma un tal Roberto Carcangiu, famoso chef - che trattasi d’una leggenda metropolitana da collegarsi al fatto che anticamente i venditori girovaghi di polpo bollito solevano attaccare i polpi messi a cuocere nel pentolone, ad una lenza legata ad un sughero, e ciò per poterli facilmente issare su una volta lessi; ne derivò la credenza che il polpo andasse lessato in compagnia d’un turacciolo…
Proseguiamo con la ricetta.
A parte lessate i gamberetti sgusciati con l'aggiunta di un po' di aceto affinchè, una volta sgocciolati, non diventino neri. Mettete un tegame incoperchiato sul fuoco vivo con un aglio schiacciato e tre cucchiai di olio e ponetevi le cozze (opportunamente lavate e soffregate con una spazzolina metallica per eliminare incrostazioni e bisso) assieme alle vongole ben lavate ed attendete fino a che le valve non si siano tutte aperte. Togliete il tegame dal fuoco e prelevate dalle valve tutti i frutti mettendoli da parte in una ciotola; filtrate con un colino di garza il liquido che avranno emesso e tenetelo da parte. Appena il polpo ed i calamari saranno cotti, scolateli e tagliate il polpo a tocchetti e i calamari ad anelli. Prendete una grossa zuppiera, mescolate polpi, calamari, cozze, vongole, gamberi e condite con una salsetta fatta sbattendo in una ciotola, con una forchetta l’olio, il succo dei limoni, una presa di sale doppio alle erbette, il pepe bianco macinato, la tazza d’aceto ed aggiungete il liquido di apertura delle cozze e delle vongole passato nel colino. Spruzzate abbondantemente con il trito di aglio e timo/piperna . Servite in tavola, come antipasto dopo aver fatto transitare per un'ora la zuppiera nel frigo.
brak
MULIGNANE A LIBBRETTA
MULIGNANE A LIBBRETTA
melanzane a libretto
NOTA
*mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi peto o petro e s’ebbe petonciano o petronciano.
la voce melanzana fu anche ritenuta, ma impropriamente, derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia;
questa preparazione che qui illustro non à un nome univoco; è infatti conosciuta con almeno tre nomi diversi pur essendo comunque la medesima ricetta senza variazione alcuna;
a) nella parte ad estrazione popolare della città bassa è conosciuta come mulignane a pullastiello = melanzane a pollastrello quasi certamente perché si tratta di melanzane abbondantemente farcite, come un tempo lo furono i pollastrelli ruspanti che prima d’esser cotti al forno o allo spiedo erano imbottiti con i medesimi ingredienti:uova, salame o prosciutto; caciocavallo e/o provola etc.;
b) nella zona piú borghese della città invece la preparazione prende il nome di mulignane a libbretta (melanzane a libretto, di cui le melanzane sono le copertine e le imbottiture sono i foglietti;
c) nella zona collinare della città sono détte mulignane ‘ncarrozza (melanzane in carrozza forse ad erronea imitazione della cosiddetta muzzarella ‘ncarrozza e parlo di erronea imitazione perché la mozzarella in carrozza è sí infarinata, intinta nell’uovo e fritta, ma prima va sistemata tra due fette di pane bagnate nel latte, mentre queste melanzane son esse a far da carrozza all’imbottitura, e non sono condotte in carrozza dal pane).
A mio avviso perciò m’appare decisamente migliore l’idea di chiamarle, come ò fatto mulignane a libbretta!
ingredienti e dosi per 6 persone
6-8 melanzane lunghe violette napoletane,
sale fino e pepe bianco q.s.
100 gr di pecorino grattugiato oppure,ma lo sconsiglio, pari peso di formaggio grana grattugiato,
4 uova,
2 etti di salame napoletano in fettine da cm 0.5 di spessore,
oppure 2 etti di prosciutto crudo affettato sottilmente,
250 di caciocavallo (silano) piccante in fettine da cm 0.5 di spessore,oppure 3 etti di provola (di bufala) affumicata tenuta in frigo per 12 ore ed affettata in fettine da cm 0.5 di spessore.
abbondante olio per friggere.
procedimento
Lavate ed asciugate le melanzane,troncate il picciolo con il calice e tagliatele, senza sbucciare a fette longitudinali di mezzo cm. di spessore, e tenetele sotto sale per circa un’ora adagiandole in piú strati in uno scolapasta e cospargendo di sale fino ogni strato (complessivamente occorreranno circa 3 cucchiai di sale). Quando le melanzane avranno ceduto l’amaro liquido di vegetazione, sciacquatele sotto uno scroscio di acqua fredda, strizzatele e ponetele ad asciugare distese su di un canevaccio.
Portate a temperatura l’olio di semi e/o mais e friggetevi poche per volta le fette, prelevatele appena siano dorate con una schiumarola e ponetole su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto. Salatele con molta parsimonia; adagiate su ogni fetta un paio di fettine di caciocavallo o provola e di salame o prosciutto, ricoprite con un’altra fetta di melanzana fritta, fino a formare tanti libriccini a due copertine (fette di melanzane) ed alcuni fogli(fettine dell’imbottitura), esaurendo gli ingredienti; montate a spuma le uova addizionate di sale e formaggio grattugiato;passate nella farina i libriccini, intingeteli nelle uova, portate ancóra a temperatura l’olio di semi e/o mais e friggetevi pochi per volta i libriccini; prelevateli, appena siano dorati, con una schiumarola e ponetoli su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto.
Serviteli caldi di fornello come gustosissimo antipasto o pietanza. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!Scialàteve e diciteme: Grazzie!
raffaele bracale
melanzane a libretto
NOTA
*mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi peto o petro e s’ebbe petonciano o petronciano.
la voce melanzana fu anche ritenuta, ma impropriamente, derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia;
questa preparazione che qui illustro non à un nome univoco; è infatti conosciuta con almeno tre nomi diversi pur essendo comunque la medesima ricetta senza variazione alcuna;
a) nella parte ad estrazione popolare della città bassa è conosciuta come mulignane a pullastiello = melanzane a pollastrello quasi certamente perché si tratta di melanzane abbondantemente farcite, come un tempo lo furono i pollastrelli ruspanti che prima d’esser cotti al forno o allo spiedo erano imbottiti con i medesimi ingredienti:uova, salame o prosciutto; caciocavallo e/o provola etc.;
b) nella zona piú borghese della città invece la preparazione prende il nome di mulignane a libbretta (melanzane a libretto, di cui le melanzane sono le copertine e le imbottiture sono i foglietti;
c) nella zona collinare della città sono détte mulignane ‘ncarrozza (melanzane in carrozza forse ad erronea imitazione della cosiddetta muzzarella ‘ncarrozza e parlo di erronea imitazione perché la mozzarella in carrozza è sí infarinata, intinta nell’uovo e fritta, ma prima va sistemata tra due fette di pane bagnate nel latte, mentre queste melanzane son esse a far da carrozza all’imbottitura, e non sono condotte in carrozza dal pane).
A mio avviso perciò m’appare decisamente migliore l’idea di chiamarle, come ò fatto mulignane a libbretta!
ingredienti e dosi per 6 persone
6-8 melanzane lunghe violette napoletane,
sale fino e pepe bianco q.s.
100 gr di pecorino grattugiato oppure,ma lo sconsiglio, pari peso di formaggio grana grattugiato,
4 uova,
2 etti di salame napoletano in fettine da cm 0.5 di spessore,
oppure 2 etti di prosciutto crudo affettato sottilmente,
250 di caciocavallo (silano) piccante in fettine da cm 0.5 di spessore,oppure 3 etti di provola (di bufala) affumicata tenuta in frigo per 12 ore ed affettata in fettine da cm 0.5 di spessore.
abbondante olio per friggere.
procedimento
Lavate ed asciugate le melanzane,troncate il picciolo con il calice e tagliatele, senza sbucciare a fette longitudinali di mezzo cm. di spessore, e tenetele sotto sale per circa un’ora adagiandole in piú strati in uno scolapasta e cospargendo di sale fino ogni strato (complessivamente occorreranno circa 3 cucchiai di sale). Quando le melanzane avranno ceduto l’amaro liquido di vegetazione, sciacquatele sotto uno scroscio di acqua fredda, strizzatele e ponetele ad asciugare distese su di un canevaccio.
Portate a temperatura l’olio di semi e/o mais e friggetevi poche per volta le fette, prelevatele appena siano dorate con una schiumarola e ponetole su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto. Salatele con molta parsimonia; adagiate su ogni fetta un paio di fettine di caciocavallo o provola e di salame o prosciutto, ricoprite con un’altra fetta di melanzana fritta, fino a formare tanti libriccini a due copertine (fette di melanzane) ed alcuni fogli(fettine dell’imbottitura), esaurendo gli ingredienti; montate a spuma le uova addizionate di sale e formaggio grattugiato;passate nella farina i libriccini, intingeteli nelle uova, portate ancóra a temperatura l’olio di semi e/o mais e friggetevi pochi per volta i libriccini; prelevateli, appena siano dorati, con una schiumarola e ponetoli su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto.
Serviteli caldi di fornello come gustosissimo antipasto o pietanza. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!Scialàteve e diciteme: Grazzie!
raffaele bracale
ARAGOSTA IN BELLAVISTA
ARAGOSTA IN BELLAVISTA
Ingredienti: Per 4 persone:
1 aragosta di circa 1 kg; 4 fondi di carciofo; 150 gr. di insalata russa preparata in casa o acquistata pronta; 2 uova sode; 100 gr. di maionese pronta; 1 cucchiaio di capperi; 250 gr. di riso -1 cuore di lattuga; sale.Per il court-bouillon: 30 gr. di strutto; 1 carota; 1cipolla; 1 bicchiere di vino bianco secco; 1 mazzetto sbriciolato di piperna ; alloro e timo q.s. ; sale fino q.s. ; pepe decorticato in grani q.s..
Preparazione:
In una grande casseruola fate imbiondire a fuoco sostenuto nello strutto, la carota e la cipolla affettata, versatevi il vino e un litro d'acqua, il mazzetto sbriciolato di piperna, I'alloro, il timo, il sale ed il pepe. Fate prendere il bollore, poi immergete l'aragosta (cercando di non rompere le antenne) possibilmente viva, fatela cuocere per 20 minuti e lasciatela raffreddare nel brodo di cottura.Intanto fate cuocere i fondi di carciofo in acqua bollente salata, scolateli e, quando saranno freddi, riempiteli con l'insalata russa. Tagliate le uova a metà, togliete i tuorli, passateli e mescolateli con la maionese e con i capperi; poi con questo composto riempite le mezze uova. Fate lessare il riso, scolatelo e disponetelo da un lato su un piatto di portata ovale, formando un incavo al centro, poi copritene tutta la superficie con le foglie di lattuga.Togliete l'aragosta dall'acqua, appoggiatela con il dorso su di un canevaccio candido di bucato e con le forbici da cucina tagliatela longitudinalmente dalla coda alla testa. Estraetene delicatamente la polpa tenendola intera, poi tagliatela a fette regolari. Disponete il guscio dell'aragosta sul piatto da portata con la testa appoggiata sullo zoccolo di riso ricopritene il dorso con le fette di polpa leggermente sovrapposte e decoratele con maionese, infine sul bordo del piatto alternate i fondi di carciofo, le mezze uova ripiene già preparate, con qualche bella foglia di lattuga.
Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
Ingredienti: Per 4 persone:
1 aragosta di circa 1 kg; 4 fondi di carciofo; 150 gr. di insalata russa preparata in casa o acquistata pronta; 2 uova sode; 100 gr. di maionese pronta; 1 cucchiaio di capperi; 250 gr. di riso -1 cuore di lattuga; sale.Per il court-bouillon: 30 gr. di strutto; 1 carota; 1cipolla; 1 bicchiere di vino bianco secco; 1 mazzetto sbriciolato di piperna ; alloro e timo q.s. ; sale fino q.s. ; pepe decorticato in grani q.s..
Preparazione:
In una grande casseruola fate imbiondire a fuoco sostenuto nello strutto, la carota e la cipolla affettata, versatevi il vino e un litro d'acqua, il mazzetto sbriciolato di piperna, I'alloro, il timo, il sale ed il pepe. Fate prendere il bollore, poi immergete l'aragosta (cercando di non rompere le antenne) possibilmente viva, fatela cuocere per 20 minuti e lasciatela raffreddare nel brodo di cottura.Intanto fate cuocere i fondi di carciofo in acqua bollente salata, scolateli e, quando saranno freddi, riempiteli con l'insalata russa. Tagliate le uova a metà, togliete i tuorli, passateli e mescolateli con la maionese e con i capperi; poi con questo composto riempite le mezze uova. Fate lessare il riso, scolatelo e disponetelo da un lato su un piatto di portata ovale, formando un incavo al centro, poi copritene tutta la superficie con le foglie di lattuga.Togliete l'aragosta dall'acqua, appoggiatela con il dorso su di un canevaccio candido di bucato e con le forbici da cucina tagliatela longitudinalmente dalla coda alla testa. Estraetene delicatamente la polpa tenendola intera, poi tagliatela a fette regolari. Disponete il guscio dell'aragosta sul piatto da portata con la testa appoggiata sullo zoccolo di riso ricopritene il dorso con le fette di polpa leggermente sovrapposte e decoratele con maionese, infine sul bordo del piatto alternate i fondi di carciofo, le mezze uova ripiene già preparate, con qualche bella foglia di lattuga.
Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
POLPETTINE DI PANE
POLPETTINE DI PANE
Questa volta vi suggerisco una semplicissima ma gustosa ricetta da servirsi come antipasto caldo in accompagnamento di affettati misti e/o formaggi stagionati.
ingredienti e dosi per 6 – 8 persone
7 – 8 etti di mollica di pane casareccio raffermo di un giorno,
6 uova,
1 bicchiere di latte intero,
1 etto di pecorino grattugiato,
2 ciuffi di basilico lavato, asciugato,
2 etti di gherigli di noci secche,
2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente,
¾ di bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
1ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
1 etto di uva sultanina ammollata in acqua bollente,
½ etto di pinoli tostati in un filo d’olio,
3 etti di salame tipo napoli in cubetti da ½ cm. di spigolo,
farina q.s.,
pangrattato q.s.,
sale fino e pepe nero q.s.
abbondante olio per friggere (semi varî o arachidi o mais o girasole)
Preparazione:
Approntate dapprima un pesto non eccessivamente fluido, ponendo in un mixer con lame da umido il basilico, metà del prezzemolo, l’olio d’oliva e.v. i gherigli di noci, un cucchiaio di aglio tritato,un pizzico di sale e due di pepe.
Mettete la mollica in un’ampia zuppiera e bagnatela con il latte, poi strizzatela bene; aggiungete due cucchiaiate di pesto, un uovo intero ed i rossi di altre cinque uova, il pecorino, il salame, l’uvetta ammollata, i pinoli tostati, il trito d’aglio e di prezzemolo residui, salate e pepate ad libitum ed impastate a mani nude fino ad ottenere un impasto morbido, ma consistente: se dovesse risultar troppo morbido, unite del pangrattato; dovesse esser troppo duro aggiungete qualche cucchiaio di latte intero caldo.
Sbattete a neve ferma le chiare d’uovo con un pizzico di sale; ungetevi le mani e prendendo piccole porzioni di impasto formate delle polpettine della grandezza e forma di una noce; ripetete l’operazione fino ad esaurimento dell’impasto; mandate a temperatura l’olio per friggere (che dovrà risultare bollente e profondo); passate le polpettine nella farina, intingetele nelle chiare montate, rollatele nel pangrattato e friggetele, poche per volta, fino a che siano ben dorate; prelevatale dall’olio con una schiumarola ed adagiatele su carta assorbente da cucina, a perdere l’eccesso d’unto; servitele per antipasto o rompidigiuno calde di fornello, irrorate con il pesto residuo in accompagnamento di affettati misti e/o formaggi stagionati, avendo cura (per la presentazione) di infilarle singolarmente con un cure- dent.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Questa volta vi suggerisco una semplicissima ma gustosa ricetta da servirsi come antipasto caldo in accompagnamento di affettati misti e/o formaggi stagionati.
ingredienti e dosi per 6 – 8 persone
7 – 8 etti di mollica di pane casareccio raffermo di un giorno,
6 uova,
1 bicchiere di latte intero,
1 etto di pecorino grattugiato,
2 ciuffi di basilico lavato, asciugato,
2 etti di gherigli di noci secche,
2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente,
¾ di bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
1ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
1 etto di uva sultanina ammollata in acqua bollente,
½ etto di pinoli tostati in un filo d’olio,
3 etti di salame tipo napoli in cubetti da ½ cm. di spigolo,
farina q.s.,
pangrattato q.s.,
sale fino e pepe nero q.s.
abbondante olio per friggere (semi varî o arachidi o mais o girasole)
Preparazione:
Approntate dapprima un pesto non eccessivamente fluido, ponendo in un mixer con lame da umido il basilico, metà del prezzemolo, l’olio d’oliva e.v. i gherigli di noci, un cucchiaio di aglio tritato,un pizzico di sale e due di pepe.
Mettete la mollica in un’ampia zuppiera e bagnatela con il latte, poi strizzatela bene; aggiungete due cucchiaiate di pesto, un uovo intero ed i rossi di altre cinque uova, il pecorino, il salame, l’uvetta ammollata, i pinoli tostati, il trito d’aglio e di prezzemolo residui, salate e pepate ad libitum ed impastate a mani nude fino ad ottenere un impasto morbido, ma consistente: se dovesse risultar troppo morbido, unite del pangrattato; dovesse esser troppo duro aggiungete qualche cucchiaio di latte intero caldo.
Sbattete a neve ferma le chiare d’uovo con un pizzico di sale; ungetevi le mani e prendendo piccole porzioni di impasto formate delle polpettine della grandezza e forma di una noce; ripetete l’operazione fino ad esaurimento dell’impasto; mandate a temperatura l’olio per friggere (che dovrà risultare bollente e profondo); passate le polpettine nella farina, intingetele nelle chiare montate, rollatele nel pangrattato e friggetele, poche per volta, fino a che siano ben dorate; prelevatale dall’olio con una schiumarola ed adagiatele su carta assorbente da cucina, a perdere l’eccesso d’unto; servitele per antipasto o rompidigiuno calde di fornello, irrorate con il pesto residuo in accompagnamento di affettati misti e/o formaggi stagionati, avendo cura (per la presentazione) di infilarle singolarmente con un cure- dent.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
POLPETTE DI PATATE
POLPETTE DI PATATE
Questa ricetta è la maniera povera, ma gustosa di preparare un sostitutivo dei panzarotti napoletani e queste polpette possono essere usate come antipasto oppure come contorno o anche come rompidigiuno. Sono molto saporite e le consiglio di cuore!
Ingredienti e dosi per 6 persone
8 - 10 grosse patate vecchie a pasta gialla
5 uova + 2 rossi,
4 cucchiai di formaggio pecorino grattugiato,
150gr di salame tipo napoli tagliato a bastoncini di cm. 5 x 1 x 1
un ciuffo di prezzemolo fresco finemente tritato,
qualche foglia di menta di campo,
sale doppio un pugno
sale fino e pepe nero q.s.,
150 gr di pangrattato, le chiare di due uova ben montate,
abbondante olio di semi (mais) per friggere.
procedimento
In abbondante acqua salata (un pugno di sale grosso) far lessare le patate per circa 25’ dal momento del bollore, senza pelarle. Provare di tanto in tanto ad infilzarle con i rebbi d’una forchetta per saggiarne la cottura all’interno; prelevarle e ponendo attenzione a non scottarsi, pelarle accuratamente e passarle al setaccio o ad una schiacciapatate fino ad ottenerne, adagiandola in una zuppiera, una purea omogenea e senza grumi. Unire le uova intere ed i rossi, la menta ed il prezzemolo tritati, il formaggio grattugiato, i bastoncini di salame, impastando a mani nude. A mani bagnate ( meglio se unte) preparare quindi delle polpette di forma e grandezza di un pollice che vanno prima intinte nelle chiare montate a neve e poi rollate nel pangrattato prima di friggerle in olio abbondante e profondo. A seconda del gusto personale, si può aggiungere al composto qualche spicchio d’aglio mondato finemente tritato, oppure un cucchiaio di erbette secche. Prelevarle con una schiumarola ed adagiarle su carta assorbente da cucina, indi salarle e peparle ad libitum e servirle calde.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
Questa ricetta è la maniera povera, ma gustosa di preparare un sostitutivo dei panzarotti napoletani e queste polpette possono essere usate come antipasto oppure come contorno o anche come rompidigiuno. Sono molto saporite e le consiglio di cuore!
Ingredienti e dosi per 6 persone
8 - 10 grosse patate vecchie a pasta gialla
5 uova + 2 rossi,
4 cucchiai di formaggio pecorino grattugiato,
150gr di salame tipo napoli tagliato a bastoncini di cm. 5 x 1 x 1
un ciuffo di prezzemolo fresco finemente tritato,
qualche foglia di menta di campo,
sale doppio un pugno
sale fino e pepe nero q.s.,
150 gr di pangrattato, le chiare di due uova ben montate,
abbondante olio di semi (mais) per friggere.
procedimento
In abbondante acqua salata (un pugno di sale grosso) far lessare le patate per circa 25’ dal momento del bollore, senza pelarle. Provare di tanto in tanto ad infilzarle con i rebbi d’una forchetta per saggiarne la cottura all’interno; prelevarle e ponendo attenzione a non scottarsi, pelarle accuratamente e passarle al setaccio o ad una schiacciapatate fino ad ottenerne, adagiandola in una zuppiera, una purea omogenea e senza grumi. Unire le uova intere ed i rossi, la menta ed il prezzemolo tritati, il formaggio grattugiato, i bastoncini di salame, impastando a mani nude. A mani bagnate ( meglio se unte) preparare quindi delle polpette di forma e grandezza di un pollice che vanno prima intinte nelle chiare montate a neve e poi rollate nel pangrattato prima di friggerle in olio abbondante e profondo. A seconda del gusto personale, si può aggiungere al composto qualche spicchio d’aglio mondato finemente tritato, oppure un cucchiaio di erbette secche. Prelevarle con una schiumarola ed adagiarle su carta assorbente da cucina, indi salarle e peparle ad libitum e servirle calde.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
mercoledì 28 settembre 2011
SCOTTATE DI SPALLA DI MAIALE SU CREMA DI SEDANO CON CIPOLLE IN AGRODOLCE.
SCOTTATE DI SPALLA DI MAIALE SU CREMA DI SEDANO CON CIPOLLE IN AGRODOLCE.
Nota
Per la preparazione di questa succulenta ricetta, se si vuole ottener il miglior risultato occorre fornirsi in macelleria di fettine di carne non di manzo, ma rigorosamente di spalla di maiale
Ingredienti e dosi per 6 persone
per le scottate
1,5 kg. di polpa di spalla di maiale in fettine di cm. 8 x 5 x 1,
1 etto di strutto,
sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.,
2 etti di provolone piccante in scaglie sottili;
per la crema di sedano
2 cipolle dorate tritate finemente,
1 costa di sedano bianco tritata finemente,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
2 etti di pancetta affumicata in bastoncini di cm. 5 x2 x 1,
½ bicchiere di latte intero,
1 bicchiere di panna vegetale,
1 etto di pecorino grattugiato,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
per le cipolle novelle in agrodolce
8 etti di cipolle novelle al netto degli scarti,
6 cucchiai di zucchero,
6 cucchiai d’aceto di vino rosso,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
1 bicchiere d’acqua calda.
Sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
procedimento
Si inizia con il preparare la crema di sedano nel modo che segue: Versare l’olio in un ampio tegame provvisto di coperchio,e mandarlo a temperatura, aggiungere il trito di cipolla e súbito dopo quello di sedano e tenerli a fuoco sostenuto per 5 minuti, indi aggiungere il latte e la panna, salare e pepare ad libitum, incoperchiare e lasciar sobbolire per altri 10 minuti; in un altro tegamino a fuoco moderato rosolare i bastoncini di pancetta in mezzo bicchiere d’olio ed unirli, assieme al pecorino grattugiato, alla crema approntata;al termine passare tutto per qualche minuto ad alta velocità in un mixer con lame da umido fino ad ottenere una crema vellutata e fluida; rimetterla nel tegame a mezza fiamma e tenerla in caldo sino al momento dell’utilizzo. A seguire approntare le cipolle in agrodolce nel modo che segue: Mondare le cipolle eliminando barba e fusto, dividerle in due con taglio longitudinale; sciacquarle in acqua fredda corrente: metterle in un tegame, provvisto di coperchio, con l’olio e l’acqua, e cuocerle a fuoco lento girando spesso e cercando di non farle imbrunire; continuare la cottura a tegame coperto e sempre a fuoco lento, aggiungendo acqua se ve ne fosse necessità, fino a quando le cipolle diventino morbide.
Mandare a temperatura l’aceto in un tegamino e sciogliervi lo zucchero.
Quando le cipolle saranno cotte, unire lo zucchero e l’aceto, salare, pepare e fare evaporare.Mantenere in caldo.
Infine in una padella di ferro nero mandare a temperatura e sciogliere lo strutto e scottarvi tre minuti per faccia le fettine di maiale; spalmare a specchio sul fondo dei singoli piatti alcune cucchiaiate della crema di sedano sulle quale adagiare un paio di fettine di spalla opportunamente salate e pepate e sulle quali vanno distribuite le scaglie di a provolone piccante. Servire caldissime di fornello queste gustose scottate accompagnate dalle cipolline in agrodolce tenute in caldo.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
Raffaele Bracale
Nota
Per la preparazione di questa succulenta ricetta, se si vuole ottener il miglior risultato occorre fornirsi in macelleria di fettine di carne non di manzo, ma rigorosamente di spalla di maiale
Ingredienti e dosi per 6 persone
per le scottate
1,5 kg. di polpa di spalla di maiale in fettine di cm. 8 x 5 x 1,
1 etto di strutto,
sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.,
2 etti di provolone piccante in scaglie sottili;
per la crema di sedano
2 cipolle dorate tritate finemente,
1 costa di sedano bianco tritata finemente,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
2 etti di pancetta affumicata in bastoncini di cm. 5 x2 x 1,
½ bicchiere di latte intero,
1 bicchiere di panna vegetale,
1 etto di pecorino grattugiato,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
per le cipolle novelle in agrodolce
8 etti di cipolle novelle al netto degli scarti,
6 cucchiai di zucchero,
6 cucchiai d’aceto di vino rosso,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
1 bicchiere d’acqua calda.
Sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
procedimento
Si inizia con il preparare la crema di sedano nel modo che segue: Versare l’olio in un ampio tegame provvisto di coperchio,e mandarlo a temperatura, aggiungere il trito di cipolla e súbito dopo quello di sedano e tenerli a fuoco sostenuto per 5 minuti, indi aggiungere il latte e la panna, salare e pepare ad libitum, incoperchiare e lasciar sobbolire per altri 10 minuti; in un altro tegamino a fuoco moderato rosolare i bastoncini di pancetta in mezzo bicchiere d’olio ed unirli, assieme al pecorino grattugiato, alla crema approntata;al termine passare tutto per qualche minuto ad alta velocità in un mixer con lame da umido fino ad ottenere una crema vellutata e fluida; rimetterla nel tegame a mezza fiamma e tenerla in caldo sino al momento dell’utilizzo. A seguire approntare le cipolle in agrodolce nel modo che segue: Mondare le cipolle eliminando barba e fusto, dividerle in due con taglio longitudinale; sciacquarle in acqua fredda corrente: metterle in un tegame, provvisto di coperchio, con l’olio e l’acqua, e cuocerle a fuoco lento girando spesso e cercando di non farle imbrunire; continuare la cottura a tegame coperto e sempre a fuoco lento, aggiungendo acqua se ve ne fosse necessità, fino a quando le cipolle diventino morbide.
Mandare a temperatura l’aceto in un tegamino e sciogliervi lo zucchero.
Quando le cipolle saranno cotte, unire lo zucchero e l’aceto, salare, pepare e fare evaporare.Mantenere in caldo.
Infine in una padella di ferro nero mandare a temperatura e sciogliere lo strutto e scottarvi tre minuti per faccia le fettine di maiale; spalmare a specchio sul fondo dei singoli piatti alcune cucchiaiate della crema di sedano sulle quale adagiare un paio di fettine di spalla opportunamente salate e pepate e sulle quali vanno distribuite le scaglie di a provolone piccante. Servire caldissime di fornello queste gustose scottate accompagnate dalle cipolline in agrodolce tenute in caldo.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
Raffaele Bracale
FILETTO D’ANNECCHIA CON CARCIOFI.
FILETTO D’ANNECCHIA CON CARCIOFI.
Nota
Per la migliore riuscita di questa ricetta occorre usare dei filetti di vitello/a anzi di *annecchia che con derivazione dal lat. annicula→anniclja→annecchia indica il vitello o la vitella molto giovane quella bestia cioè che sia stata macellata quando non abbia superato l’anno d’età ed abbia gustose carni sode, morbide e non grasse.
ingredienti e dosi per 6 persone
6 filetti di vitello alti quattro cm di circa 250 gr cadauno, farina bianca q.s.,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
una cipolla dorata mondata e tritata,
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 tazza da tè di acqua bollente,
4 carciofi spinosi,
2 uova,
il succo filtrato di due limoni non trattati,
la buccia gialla dei due limoni non trattati tagliata a julienne,
un ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
procedimento
Mondare i carciofi, spuntandoli, eliminare le brattee piú dure, dividerli in due con taglio longitudinale ed eliminare il fieno, tagliarli a spicchetti e metterli in acqua fredda addizionata con due cucchiai di succo di limone. A seguire
in un tegame largo provvisto di coperchio,versare l’olio ed a fuoco dolce, imbiondirvi la cipolla; mettere i filetti lavati ed infarinati, rosolarli da ambo le parti, voltandoli delicatamente; bagnare con il vino e farlo evaporare, indi aggiungere una tazza da tè di acqua bollente, coprire il tegame e portare a cottura a fuoco lento per circa un'ora; aggiungere i carciofi strizzati ed a fuoco dolcissimo continuare la cottura per un’altra mezz’ora; al termine sbattere le uova addizionate di sale e pepe e del succo di limone e versarle sui filetti; a fuoco dolcissimo e tegame coperto lasciare che si rapprendano.A fuoco spento aggiungere il trito di prezzemolo, la julienne di buccia di limone, rimestare con delicatezza ed impiattare irrorando i filetti con il fondo di cottura. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
Nota
Per la migliore riuscita di questa ricetta occorre usare dei filetti di vitello/a anzi di *annecchia che con derivazione dal lat. annicula→anniclja→annecchia indica il vitello o la vitella molto giovane quella bestia cioè che sia stata macellata quando non abbia superato l’anno d’età ed abbia gustose carni sode, morbide e non grasse.
ingredienti e dosi per 6 persone
6 filetti di vitello alti quattro cm di circa 250 gr cadauno, farina bianca q.s.,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
una cipolla dorata mondata e tritata,
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 tazza da tè di acqua bollente,
4 carciofi spinosi,
2 uova,
il succo filtrato di due limoni non trattati,
la buccia gialla dei due limoni non trattati tagliata a julienne,
un ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
procedimento
Mondare i carciofi, spuntandoli, eliminare le brattee piú dure, dividerli in due con taglio longitudinale ed eliminare il fieno, tagliarli a spicchetti e metterli in acqua fredda addizionata con due cucchiai di succo di limone. A seguire
in un tegame largo provvisto di coperchio,versare l’olio ed a fuoco dolce, imbiondirvi la cipolla; mettere i filetti lavati ed infarinati, rosolarli da ambo le parti, voltandoli delicatamente; bagnare con il vino e farlo evaporare, indi aggiungere una tazza da tè di acqua bollente, coprire il tegame e portare a cottura a fuoco lento per circa un'ora; aggiungere i carciofi strizzati ed a fuoco dolcissimo continuare la cottura per un’altra mezz’ora; al termine sbattere le uova addizionate di sale e pepe e del succo di limone e versarle sui filetti; a fuoco dolcissimo e tegame coperto lasciare che si rapprendano.A fuoco spento aggiungere il trito di prezzemolo, la julienne di buccia di limone, rimestare con delicatezza ed impiattare irrorando i filetti con il fondo di cottura. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
SPEZZATINO AFFUMICATO ALLA BIRRA SCURA
SPEZZATINO AFFUMICATO ALLA BIRRA SCURA
dosi per 6 persone:
1,200 kg di spezzatino (possibilmente muscolo) di manzo
120 g di pancetta affumicata a dadini (da qui il nome)
1 bicchiere di birra scura (doppio malto)
1 grossa carota
1 cipolla dorata
½ litro di brodo vegetale (anche di dado)
2 foglie di alloro
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.
farina, sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.
procedimento
Affettare la cipolla e la carota mondate, lavarle ed asciugarle e soffriggerle a fuoco vivo in un tegame con l’olio, la pancetta e l’alloro. Aggiungere quindi lo spezzatino bene infarinato e far rosolare qualche minuto a fuoco vivo.
A questo punto versare la birra e lasciarla sfumare completamente.
Abbassare il fuoco,versare il brodo vegetale e regolare di sale e pepe. Coprire e lasciar cuocere per 2 ore circa.
Impiattate e servite quando lo stufato è ancòra ben caldo, con un contorno di patate fritte o verdure lesse.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
raffaele bracale
dosi per 6 persone:
1,200 kg di spezzatino (possibilmente muscolo) di manzo
120 g di pancetta affumicata a dadini (da qui il nome)
1 bicchiere di birra scura (doppio malto)
1 grossa carota
1 cipolla dorata
½ litro di brodo vegetale (anche di dado)
2 foglie di alloro
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.
farina, sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.
procedimento
Affettare la cipolla e la carota mondate, lavarle ed asciugarle e soffriggerle a fuoco vivo in un tegame con l’olio, la pancetta e l’alloro. Aggiungere quindi lo spezzatino bene infarinato e far rosolare qualche minuto a fuoco vivo.
A questo punto versare la birra e lasciarla sfumare completamente.
Abbassare il fuoco,versare il brodo vegetale e regolare di sale e pepe. Coprire e lasciar cuocere per 2 ore circa.
Impiattate e servite quando lo stufato è ancòra ben caldo, con un contorno di patate fritte o verdure lesse.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
raffaele bracale
SPALLA DI MAIALE ALLA BIRRA
SPALLA DI MAIALE ALLA BIRRA
Ingredienti e dosi per 6 persone
12 etti di spalla di maiale in pezzi di cm. 5 x 4 x2,
1 bicchiere di birra chiara,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 carota mondata e tritata
1 gambo di sedano bianco mondato e tritato,
1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato,
farina q.s.,
1 etto di strutto,
1 rametto di rosmarino lavato, asciugato e sbriciolato, paprika dolce in polvere un cucchiaino,
cannella in polvere un cucchiaino,
sale fino q.s.
procedimento
Dopo aver pulito, lavato ed asciugati i pezzi di spalla infarinarli abbondantemente. Tritare finemente cipolla carota e sedano; in un tegame di coccio, a fuoco vivo far sciogliere lo strutto aromatizzandolo con lo spicchio d’aglio schiacciato che va tolto appena prenda colore; aggiungere il trito d’ortaggi e rosolarlo leggermente nello strutto caldo; a seguire unite i pezzi di spalla infarinati e lasciar rosolare a lungo (30 minuti) rimestando , prima di aggiungere la birra che dovrà coprire a filo la carne, aggiungere il rametto di rosmarino lavato, asciugato e sbriciolato; salare, coprire il tegame e fate cuocere per 20 minuti. Unire la paprika dolce e la cannella disciolte in poco acqua tiepida e proseguire per trenta minuti la cottura a tegame scoperto. Servire questa spalla ben calda di fornello, accompagnandola con patate fritte o in insalata.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
Ingredienti e dosi per 6 persone
12 etti di spalla di maiale in pezzi di cm. 5 x 4 x2,
1 bicchiere di birra chiara,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 carota mondata e tritata
1 gambo di sedano bianco mondato e tritato,
1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato,
farina q.s.,
1 etto di strutto,
1 rametto di rosmarino lavato, asciugato e sbriciolato, paprika dolce in polvere un cucchiaino,
cannella in polvere un cucchiaino,
sale fino q.s.
procedimento
Dopo aver pulito, lavato ed asciugati i pezzi di spalla infarinarli abbondantemente. Tritare finemente cipolla carota e sedano; in un tegame di coccio, a fuoco vivo far sciogliere lo strutto aromatizzandolo con lo spicchio d’aglio schiacciato che va tolto appena prenda colore; aggiungere il trito d’ortaggi e rosolarlo leggermente nello strutto caldo; a seguire unite i pezzi di spalla infarinati e lasciar rosolare a lungo (30 minuti) rimestando , prima di aggiungere la birra che dovrà coprire a filo la carne, aggiungere il rametto di rosmarino lavato, asciugato e sbriciolato; salare, coprire il tegame e fate cuocere per 20 minuti. Unire la paprika dolce e la cannella disciolte in poco acqua tiepida e proseguire per trenta minuti la cottura a tegame scoperto. Servire questa spalla ben calda di fornello, accompagnandola con patate fritte o in insalata.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
NAPOLI – VILLAREAL (27.09.11) 2 A 0!LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ
NAPOLI – VILLAREAL (27.09.11) 2 A 0!
LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ
Tengo ‘o core mio luvardo dint’ô zzuccaro, guagliú! Doppo d’ ‘o sciuliamazzo ‘e Verona e ‘o miezu passo favezo ‘ncasa cu ‘a Fiorentina,finalmente ‘na partita cu sette parme ‘e chello ca sapite vuje...Vuó vedé ca – comme vo’ Mazzarri - ‘e guagliune cuane ànnu miso ‘mprimmese ‘a Ciampionsa o ppo ‘o campiunato? Vallo a ssapé! Cert’è ca ajere a ssera dinto a ‘nu san Paolo ca cantava ‘ncoro: Oj vita..., oj vita mia! ‘nu granne Napule urdinato e cuncreto se levaje ‘e pacchere ‘a faccia mazzianno ê spagnuole ca ll’anno passato ll’aveva eliminato da ll’E.L. Venenno â partita i’ dico ca si ‘o Napule jucasse sempe comme jucaje ajere ssera ô primmo tempo..., si jucasse sempe accussí overamente s’ ‘a putesse jucà ‘mparo cu tutte quante! Avevo ditto a ll’amico Sasà doppo d’ ‘a partita cu ‘a Fiorentina ca ‘a partita d’ajere ssera e cchella ‘e sapato ca vene contro a ll'Inter(re) c’êssero fatto capí qua’ tempurata(stagione) ce aspettava;ora mo pozzo dicere ca sapimmo ‘e jucarce ‘nCiampionsa ‘a qualificazione pe ll’uttave fino a ll'urdema partita d’ ‘o ggirone, e mmo me parono mill’anne ca vène sàpato pe vedé si dimustrammo ‘e puté fà ‘na bbella fijura pure ‘ncampiunato; peccato ca quase certamente s’ â dda fà a mmeno ‘e Cavani e d’ ‘o Pocho ‘nfurtunate e nun tenimmo sustitute all’ardezza grazzie a Aurelione, a Bbiguncino e a Mazzarri! Passammo ê paggelle:
DE SANCTIS 6 - Poco ‘mpignato. ‘Na vota tanta ‘a difesa luvarda le cuncedette ‘na serata tranquilla.
CAMPAGNARO 7,5. – Chisto sí ch’e ‘nu bbellu jucatore: ‘nu muro. Si sta bbuono , ce stanno pochi difenzori forti comme a isso dint’ê ddoje fase: difesa e ripartenza
CANNAVARO 6-. – Accumminciaje facenno ‘na puttanata cu ‘nu rinvio ca rimpallaje ‘ncuollo a Aronica e turnaje periculosamente arreto, ma po riuscette a mettere ‘a musarola ô spauracchio Pepito Rossi, pure si s’avette arrangià ‘nu paro ‘e vote e poco mancaje ca nun prucurasse dduje ricure. Pigliaje ‘ngenuamente ‘nu cartellino jalizzo, ma cummannaje quase a mmestiere ‘e muvimente d’ ‘a difesa.
ARONICA 7. - Pronti via: ammunito. M’aspettaje pirciò ‘na partita ‘ndifficultà e ‘mmece ‘o difenzore palermitano sfuderaje ‘na prestazione furmidabbile!Tène sulo mestiere, ma serve e ccomme!
ZUNIGA 6,5 - Peccato p’ ‘e cruzze (per i cross) poco pricise, ma zumpaje ll’ommo e raramente perdette palla. Pusitivo sia ‘nfase ‘e puzamiento (spinta) ca ‘ncupertura.
INLER 7 – ‘Ncrescenza a ppietto a ll’urdimi vvote. ‘Nu centrocampista ‘e carattere e perzunalità ca nun se fa passà ‘a mosca p’ ‘o naso e nun molla maje... Êsse ‘a pruvà a ttirà cchiú assaje ‘mporta, isso ca tène ‘nu tiro murtifero.
GARGANO 8 – ‘E solite passagge sbagliate ( ca però, pe ffurtuna, calano a vista d'ucchio) nun avettero ‘nfluenza (incisero) ‘ncopp’â prestazzione soja overamente cratista (ottima)! Durante ô primmo tempo distruggette ê centrocampisti e a ll’attaccanti spagnuole.Uragano Gargano à dda tènere tre pulmune...
DOSSENA 6,5 – Pochi cruzze, ma tanta corza,’nu guverno savante (sapiente) d’ ‘o pallone e ‘na diacunale acàbbata (perfetta) p’ avventà (per sventare) n'accasione ‘mpurtante d’ ‘e spagnuole.
HAMSIK 7 - Furtuna vulette ca Marekiaro decidette ‘e fà subbeto ‘o quarto d’ora suĵo dimustrannose ‘e jaccio ô mumento d’ ‘a redda e ppo sempe presente dint’ô vvivo d’ ‘o juoco. Peccato ca nun venettero premiati ‘nu paro ‘e ‘nsertamiente (inserimenti).
(Dô77°MASCARA s.v.)
LAVEZZI 7,5 - Miezu voto ‘e cchiú pecché se sapeva ca ‘o Pocho nun era all’arribba (al top) eppure lla ‘nnante facette quase tutt’isso: aiúda (assist) e ricore prucurato durante ô primmo tempo,quanno spisso spisso mannaje ô manicomio ‘a retrocuardia d’ ‘o Villarreal; peccato ca ô siconno tiempo sciupaje ‘nu cuntropiede murtifero, ma cumplessivamente dimustraje d’èssere determinante e ca ‘o Napule nun se po’ permettere ‘o lusso ‘e tenerlo fora.
(Dô87°SANTANA s.v.)
CAVANI 7 – ‘E jaccio ‘ncopp’ô ricore quanno mannaje ‘o pallone ‘a cca e ‘o purtiere ‘a chell’ata parte; generuso comme a ssempe,ô primmo tempo sbagliaje retissantamente (clamorosamente) ‘nu retropassaggio , ma ce ‘o pputimmo perdunà datosi ‘o contribbuto ca assicuraje sempe ê cuane.
( Da ll’82°PANDEV 5,5 – Nun facette ato ca pruvà a tènere ‘a palla..., ma è ppoco pe uno comme a isso! Purtroppo è assaje luntano ‘a ‘na forma fisica ca lle permettesse ‘e fà quacche gghiucata a mestiere. Sperammo ca pe sàpato se migliora allimmeno ‘nu poco!)
All. MAZZARRI 7,5 – ‘O Napule durante ô primmo tempo juocaje a mmemoria. ‘A cunnizzione fisica generale nun pare chella ‘e ll’anno passato, ma ‘a squatra ‘a cumpenzaje cu ccegna, carattere e vvoglia ‘e véncere, ca po so’ ‘e cqualità ca s’ ànn’ ‘a ricunoscere ô trainer(ro) cuano!
LL’ARBITRO 7 ‘Nu signor arbitro, pronto a siscà tutto e a ccundannà ‘e ffalte. Spicialmente chelle ‘a ricore.Succede quanno ‘o Napule trova n’arbitro ca nun sta ammanigliato cu ‘o Palazzo e nun è attaccato ô prezziosismo, â ricercatezza,â raffinatezza faveza d’ ‘o pallone taliano; Chi sa’ si Paolo Valeri se guardaje ‘a partita; forze se fósse ‘mparato comme se fa a arbitrà!
Bbona salute! Ce sentimmo
R.Bracale Brak
LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ
Tengo ‘o core mio luvardo dint’ô zzuccaro, guagliú! Doppo d’ ‘o sciuliamazzo ‘e Verona e ‘o miezu passo favezo ‘ncasa cu ‘a Fiorentina,finalmente ‘na partita cu sette parme ‘e chello ca sapite vuje...Vuó vedé ca – comme vo’ Mazzarri - ‘e guagliune cuane ànnu miso ‘mprimmese ‘a Ciampionsa o ppo ‘o campiunato? Vallo a ssapé! Cert’è ca ajere a ssera dinto a ‘nu san Paolo ca cantava ‘ncoro: Oj vita..., oj vita mia! ‘nu granne Napule urdinato e cuncreto se levaje ‘e pacchere ‘a faccia mazzianno ê spagnuole ca ll’anno passato ll’aveva eliminato da ll’E.L. Venenno â partita i’ dico ca si ‘o Napule jucasse sempe comme jucaje ajere ssera ô primmo tempo..., si jucasse sempe accussí overamente s’ ‘a putesse jucà ‘mparo cu tutte quante! Avevo ditto a ll’amico Sasà doppo d’ ‘a partita cu ‘a Fiorentina ca ‘a partita d’ajere ssera e cchella ‘e sapato ca vene contro a ll'Inter(re) c’êssero fatto capí qua’ tempurata(stagione) ce aspettava;ora mo pozzo dicere ca sapimmo ‘e jucarce ‘nCiampionsa ‘a qualificazione pe ll’uttave fino a ll'urdema partita d’ ‘o ggirone, e mmo me parono mill’anne ca vène sàpato pe vedé si dimustrammo ‘e puté fà ‘na bbella fijura pure ‘ncampiunato; peccato ca quase certamente s’ â dda fà a mmeno ‘e Cavani e d’ ‘o Pocho ‘nfurtunate e nun tenimmo sustitute all’ardezza grazzie a Aurelione, a Bbiguncino e a Mazzarri! Passammo ê paggelle:
DE SANCTIS 6 - Poco ‘mpignato. ‘Na vota tanta ‘a difesa luvarda le cuncedette ‘na serata tranquilla.
CAMPAGNARO 7,5. – Chisto sí ch’e ‘nu bbellu jucatore: ‘nu muro. Si sta bbuono , ce stanno pochi difenzori forti comme a isso dint’ê ddoje fase: difesa e ripartenza
CANNAVARO 6-. – Accumminciaje facenno ‘na puttanata cu ‘nu rinvio ca rimpallaje ‘ncuollo a Aronica e turnaje periculosamente arreto, ma po riuscette a mettere ‘a musarola ô spauracchio Pepito Rossi, pure si s’avette arrangià ‘nu paro ‘e vote e poco mancaje ca nun prucurasse dduje ricure. Pigliaje ‘ngenuamente ‘nu cartellino jalizzo, ma cummannaje quase a mmestiere ‘e muvimente d’ ‘a difesa.
ARONICA 7. - Pronti via: ammunito. M’aspettaje pirciò ‘na partita ‘ndifficultà e ‘mmece ‘o difenzore palermitano sfuderaje ‘na prestazione furmidabbile!Tène sulo mestiere, ma serve e ccomme!
ZUNIGA 6,5 - Peccato p’ ‘e cruzze (per i cross) poco pricise, ma zumpaje ll’ommo e raramente perdette palla. Pusitivo sia ‘nfase ‘e puzamiento (spinta) ca ‘ncupertura.
INLER 7 – ‘Ncrescenza a ppietto a ll’urdimi vvote. ‘Nu centrocampista ‘e carattere e perzunalità ca nun se fa passà ‘a mosca p’ ‘o naso e nun molla maje... Êsse ‘a pruvà a ttirà cchiú assaje ‘mporta, isso ca tène ‘nu tiro murtifero.
GARGANO 8 – ‘E solite passagge sbagliate ( ca però, pe ffurtuna, calano a vista d'ucchio) nun avettero ‘nfluenza (incisero) ‘ncopp’â prestazzione soja overamente cratista (ottima)! Durante ô primmo tempo distruggette ê centrocampisti e a ll’attaccanti spagnuole.Uragano Gargano à dda tènere tre pulmune...
DOSSENA 6,5 – Pochi cruzze, ma tanta corza,’nu guverno savante (sapiente) d’ ‘o pallone e ‘na diacunale acàbbata (perfetta) p’ avventà (per sventare) n'accasione ‘mpurtante d’ ‘e spagnuole.
HAMSIK 7 - Furtuna vulette ca Marekiaro decidette ‘e fà subbeto ‘o quarto d’ora suĵo dimustrannose ‘e jaccio ô mumento d’ ‘a redda e ppo sempe presente dint’ô vvivo d’ ‘o juoco. Peccato ca nun venettero premiati ‘nu paro ‘e ‘nsertamiente (inserimenti).
(Dô77°MASCARA s.v.)
LAVEZZI 7,5 - Miezu voto ‘e cchiú pecché se sapeva ca ‘o Pocho nun era all’arribba (al top) eppure lla ‘nnante facette quase tutt’isso: aiúda (assist) e ricore prucurato durante ô primmo tempo,quanno spisso spisso mannaje ô manicomio ‘a retrocuardia d’ ‘o Villarreal; peccato ca ô siconno tiempo sciupaje ‘nu cuntropiede murtifero, ma cumplessivamente dimustraje d’èssere determinante e ca ‘o Napule nun se po’ permettere ‘o lusso ‘e tenerlo fora.
(Dô87°SANTANA s.v.)
CAVANI 7 – ‘E jaccio ‘ncopp’ô ricore quanno mannaje ‘o pallone ‘a cca e ‘o purtiere ‘a chell’ata parte; generuso comme a ssempe,ô primmo tempo sbagliaje retissantamente (clamorosamente) ‘nu retropassaggio , ma ce ‘o pputimmo perdunà datosi ‘o contribbuto ca assicuraje sempe ê cuane.
( Da ll’82°PANDEV 5,5 – Nun facette ato ca pruvà a tènere ‘a palla..., ma è ppoco pe uno comme a isso! Purtroppo è assaje luntano ‘a ‘na forma fisica ca lle permettesse ‘e fà quacche gghiucata a mestiere. Sperammo ca pe sàpato se migliora allimmeno ‘nu poco!)
All. MAZZARRI 7,5 – ‘O Napule durante ô primmo tempo juocaje a mmemoria. ‘A cunnizzione fisica generale nun pare chella ‘e ll’anno passato, ma ‘a squatra ‘a cumpenzaje cu ccegna, carattere e vvoglia ‘e véncere, ca po so’ ‘e cqualità ca s’ ànn’ ‘a ricunoscere ô trainer(ro) cuano!
LL’ARBITRO 7 ‘Nu signor arbitro, pronto a siscà tutto e a ccundannà ‘e ffalte. Spicialmente chelle ‘a ricore.Succede quanno ‘o Napule trova n’arbitro ca nun sta ammanigliato cu ‘o Palazzo e nun è attaccato ô prezziosismo, â ricercatezza,â raffinatezza faveza d’ ‘o pallone taliano; Chi sa’ si Paolo Valeri se guardaje ‘a partita; forze se fósse ‘mparato comme se fa a arbitrà!
Bbona salute! Ce sentimmo
R.Bracale Brak
martedì 27 settembre 2011
È FFERNUTA A VVRENNA E SCIUSCELLE
È FFERNUTA A VVRENNA E SCIUSCELLE
Anche questa volta raccolgo un invito del mio caro amico N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che mi à sollecitato a parlare dell’espressione in epigrafe còlta sulle labbra d’un tifodo napoletano d’antan all’indomani di una sonora sconfitta rimediata dalla squara di calcio del Napoli nello stadio Meazza di Milano.
L’espressione che ad litteram è :(la faccenda) è terminata a crusca e carrube è usata come dolente commento di ogni situazione che si sperà evolvesse positivamente ed invece si risolse nel modo peggiore. Si tratta di icastica espressione che in origine registrò ciò che accadeva in talune povere rimesse o stalle dove ogni vetturino da nolo spesso a corto di mezzi,per risparmiare, a fine giornata di lavoro dava in pasto al suo unico ronzino un sacchetto di economica crusca e qualche carruba in luogo del costoso e piú salutare fieno di talché il cavallo avrebbe potuto commentare dolendosene :”(la giornata) è terminata(male!) a crusca e carrube!”
è ffernuta = è terminata voce verbale (3ª pers. sg. pass. prossimo) dell’infinito ferní= finire, terminare,evolvere, risolvere etimologicamente dal lat. finire→firnire→ferní con epentesi espressiva della consonante liquida vibrante erre.
vrenna s.vo f.le rende in napoletano quello che in italiano è il termine crusca cioè il residuo della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; usato soprattutto come alimento per il bestiame; vrenna è da un lat. med. brinna, mentre la voce italiana crusca è dal germanico *kruska. A margine di questa voce rammento l’espressione carrecà a vvrenna (caricare con crusca) nel senso di operare alcunché facendo solo le viste di voler essere minacciosi o pericolosi, ma non essere attrezzati alla bisogna. L’espressione richiama ciò che accadeva al tempo dei Borbone allorché le truppe, durante le esercitazioni, erano fornite di armi da fuoco con munizioni che in luogo del piombo erano appunto caricate con crusca per evitare accidentali ferimenti o uccisioni fra i soldati.
sciuscelle s.vo f.le pl. di sciuscella = carruba La voce femminile sciuscella (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che in lingua napoletana vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in epigrafe.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscella , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi, neutro poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscella) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare a dei brodini.
E cosí penso proprio d’avere contentato l’amico N.C. ed interessato anche qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e di poter concludere con il consueto
satis est.
R.Bracale
Anche questa volta raccolgo un invito del mio caro amico N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che mi à sollecitato a parlare dell’espressione in epigrafe còlta sulle labbra d’un tifodo napoletano d’antan all’indomani di una sonora sconfitta rimediata dalla squara di calcio del Napoli nello stadio Meazza di Milano.
L’espressione che ad litteram è :(la faccenda) è terminata a crusca e carrube è usata come dolente commento di ogni situazione che si sperà evolvesse positivamente ed invece si risolse nel modo peggiore. Si tratta di icastica espressione che in origine registrò ciò che accadeva in talune povere rimesse o stalle dove ogni vetturino da nolo spesso a corto di mezzi,per risparmiare, a fine giornata di lavoro dava in pasto al suo unico ronzino un sacchetto di economica crusca e qualche carruba in luogo del costoso e piú salutare fieno di talché il cavallo avrebbe potuto commentare dolendosene :”(la giornata) è terminata(male!) a crusca e carrube!”
è ffernuta = è terminata voce verbale (3ª pers. sg. pass. prossimo) dell’infinito ferní= finire, terminare,evolvere, risolvere etimologicamente dal lat. finire→firnire→ferní con epentesi espressiva della consonante liquida vibrante erre.
vrenna s.vo f.le rende in napoletano quello che in italiano è il termine crusca cioè il residuo della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; usato soprattutto come alimento per il bestiame; vrenna è da un lat. med. brinna, mentre la voce italiana crusca è dal germanico *kruska. A margine di questa voce rammento l’espressione carrecà a vvrenna (caricare con crusca) nel senso di operare alcunché facendo solo le viste di voler essere minacciosi o pericolosi, ma non essere attrezzati alla bisogna. L’espressione richiama ciò che accadeva al tempo dei Borbone allorché le truppe, durante le esercitazioni, erano fornite di armi da fuoco con munizioni che in luogo del piombo erano appunto caricate con crusca per evitare accidentali ferimenti o uccisioni fra i soldati.
sciuscelle s.vo f.le pl. di sciuscella = carruba La voce femminile sciuscella (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che in lingua napoletana vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce in epigrafe.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscella , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi, neutro poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscella) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare a dei brodini.
E cosí penso proprio d’avere contentato l’amico N.C. ed interessato anche qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e di poter concludere con il consueto
satis est.
R.Bracale
‘E CUNTE SE FANNO SOTT’Ô LAMPIONE!
‘E CUNTE SE FANNO SOTT’Ô LAMPIONE!
Letteralmente: I conteggi si fanno alla fine sotto (il chiarore) del lampione.
Id est: Il pagamento avviene solo alla fine della prestazione e lo si effettua sotto la luce di un fanale (affinché chi deve pagare possa rendersi ben conto di quanto stia sborsando, e chi deve incassare possa rendersi ben conto di ricevere quanto pattuito ed in moneta buona e non falsa). Per ampliamento semantico l’espressione (in origine in uso nelle contrattazioni tra clienti e meretrici, aduse a cercare il buio per soddisfare il cliente,ma a richiedere il pagamento alla luce di un fanale) è usata ogni volta che un contraente intenda mettere sull’avviso il suo contrattante di non essere intenzionato ad addivenire a patti che non siano chiarissimi, nè d’esser disposto a pagare in anticipo una prestazione.
cunte s.vo m.le pl. di cunto conto, conteggio, calcolo, computo, voce dal lat. tardo computu(m)
sott’ô = sotto al al proposito rammento che nel napoletano, cosí come nell’italiano, le locuzioni articolate formate con avverbi o preposizioni improprie (come nel caso in esame sotto (dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto')) ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle avv./preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire all’avv./ preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere all’avv./ preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano). Tanto premesso annoto altresí che mentre in italiano la gran parte delle preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli sg. e pl. con le preposizioni semplici, ànno una forma agglutinata, nel napoletano ciò non avviene che per una o due preposizioni semplici, tutte le altre si rendono con la forma scissa mantenendo cioè separati gli articoli dalle preposizioni.Nella fattispecie con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le, agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a,ma esistono nel napoletano due distinte morfologie delle preposizioni articolate formate con la preposizione semplice a e gli articoli determinativi; la prima morfologia è quella che fa ricorso alla crasi /unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le) da usarsi davanti a parole comincianti per consonanti, mentre davanti a parole comincianti per vocali si fa ricorso ad una morfologia rigorosamente scissa e si usano a ll’ (= alla/allo/al/alle/a gli) ess.: â casa = alla casa, ô puorto = al porto, ê scieme, ê sceme= a gli scemi/ alle sceme, ma a ll’ommo = all’ uomo, a ll’anema = all’ anima a ll’uommene = a gli uomini, a ll’ alimentare = alle (scuole) elementari.
lampione s.vo m.le = lampione, fanale, lanterna, lume contenuto in un involucro di vetro e sostenuto da una colonna o sospeso, per l'illuminazione di strade, piazze, cortili; voce accrescitiva di lampa che è dal fr. lampe, derivata dal lat. lampa(da).
Brak
Letteralmente: I conteggi si fanno alla fine sotto (il chiarore) del lampione.
Id est: Il pagamento avviene solo alla fine della prestazione e lo si effettua sotto la luce di un fanale (affinché chi deve pagare possa rendersi ben conto di quanto stia sborsando, e chi deve incassare possa rendersi ben conto di ricevere quanto pattuito ed in moneta buona e non falsa). Per ampliamento semantico l’espressione (in origine in uso nelle contrattazioni tra clienti e meretrici, aduse a cercare il buio per soddisfare il cliente,ma a richiedere il pagamento alla luce di un fanale) è usata ogni volta che un contraente intenda mettere sull’avviso il suo contrattante di non essere intenzionato ad addivenire a patti che non siano chiarissimi, nè d’esser disposto a pagare in anticipo una prestazione.
cunte s.vo m.le pl. di cunto conto, conteggio, calcolo, computo, voce dal lat. tardo computu(m)
sott’ô = sotto al al proposito rammento che nel napoletano, cosí come nell’italiano, le locuzioni articolate formate con avverbi o preposizioni improprie (come nel caso in esame sotto (dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto')) ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle avv./preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire all’avv./ preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere all’avv./ preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano). Tanto premesso annoto altresí che mentre in italiano la gran parte delle preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli sg. e pl. con le preposizioni semplici, ànno una forma agglutinata, nel napoletano ciò non avviene che per una o due preposizioni semplici, tutte le altre si rendono con la forma scissa mantenendo cioè separati gli articoli dalle preposizioni.Nella fattispecie con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le, agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a,ma esistono nel napoletano due distinte morfologie delle preposizioni articolate formate con la preposizione semplice a e gli articoli determinativi; la prima morfologia è quella che fa ricorso alla crasi /unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le) da usarsi davanti a parole comincianti per consonanti, mentre davanti a parole comincianti per vocali si fa ricorso ad una morfologia rigorosamente scissa e si usano a ll’ (= alla/allo/al/alle/a gli) ess.: â casa = alla casa, ô puorto = al porto, ê scieme, ê sceme= a gli scemi/ alle sceme, ma a ll’ommo = all’ uomo, a ll’anema = all’ anima a ll’uommene = a gli uomini, a ll’ alimentare = alle (scuole) elementari.
lampione s.vo m.le = lampione, fanale, lanterna, lume contenuto in un involucro di vetro e sostenuto da una colonna o sospeso, per l'illuminazione di strade, piazze, cortili; voce accrescitiva di lampa che è dal fr. lampe, derivata dal lat. lampa(da).
Brak
ESPRESSIONI IPERBOLICHE NAPOLETANE
ESPRESSIONI IPERBOLICHE NAPOLETANE
Sollecitato dalla richiesta fattami da un caro amico; P.G.,del quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e là, sollecitato da una sua richiesta mi soffermo ad illustrare valenza e portata di alcune icastiche iperboli tipiche dell’idioma napoletano iperboli che si colgono sulle labbra d’ogni autentico napoletano e che non sostanziano (lo dico súbito!...) mai una bestemmia, mancando in chi usi quelle iperboli la volontà di offendere la divinità o altri soggetti celesti chiamati in causa solo per sottolineare il dire dando forza e sostanza al discorso con il prendere a riferimento per l’appunto la divinità o altri soggetti celesti come il massimo ipotizzabile di un quid qualsivoglia.
Esemplifico.
Quando si coglie sulle labbra d’un autentico napoletano l’espressione offensiva rivolta a qualcuno:
“Tu sî ‘nu ddio ‘e strunzo!” è chiaro che quel napoletano non vuole essere blasfemo, non intende mostrarsi empio, sacrilego, irriverente chiamando in causa Iddio Signore, ma vuole semplicemente trovare, magari contravvenendo al secondo comandamento, il massimo ipotizzabile termine di paragone per infamare al massimo il destinatario della sua offesa, giudicandolo il piú grosso, il piú importante, rilevante, notevole autorevole pezzo di merda, tanto grosso da non tenerne l’uguale, come non à l’uguale Iddio Signore.
Ugualmente, sempre a mo’ d’esempio, nella minaccia:
“Te faccio ‘na ddia ‘e paccheriata che vale: “Ti schiaffeggerò lungamente e pesantemente” non si deve cogliere alcuna intenzione blasfema, empia, sacrilega, irriverente in quanto la divinità è chiamata in causa solo per trovare il massimo ipotizzabile termine di paragone con cui misurare la quantità e forza delle percosse ed avvertirne il destinatario della minaccia; il fatto che non si tratti di una bestemmia si può già cogliere osservando che il sostantivo maschile ddio (per altro vergato in minusculo) è stato aggettivato (nel significato di grandissimo importante, rilevante, notevole autorevole) e reso femminile per accordarsi con il s.vo f.le successivo, proprio per evitare un irriverente riferimento all’unico Dio e seguendo il famoso criterio che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie se con il s.vo aggettivato ddio si intende qualcosa di grandissimo importante, rilevante, notevole autorevole ancóra piú grande importante, rilevante, notevole autorevole risulta essere qualcosa gratificata con il s.vo aggettivato al femminile ddia.
Discorso analogo è da farsi per l’espressioni che chiamano in causa la Madonna o altri santi che son tutte espressioni da cui esulano intenzioni irriverenti o blasfeme essendo locuzioni usate solo nell’intento di trovare il massimo ipotizzabile termine di paragone per indicare qualcosa di cosí grosso, importante, rilevante, notevole da non tenerne l’uguale; in tali locuzioni si preferisce far ricorso ai termini Madonna o altri santi aggettivandoli e declinandoli al maschile o al femminile a seconda del s.vo di riferimento, evitando di chiamare in causa Dio ed accontentandosi di chi nella scala dei valori, pur elevati è certamente al di sotto di Lui. Esemplifico:
Fa ‘nu maronno ‘e cauro, oppure Fa ‘nu maronno ‘e friddo da rendersi rispettivamente: Fa un caldo eccessivo, asfissiante oppure Fa un freddo esagerato,incredibile.
Esemplifico ancóra : “Tengo ‘na maronna ‘e famma” oppure
“’O vuó caccià ‘stu sant’anna ‘e portafoglio?”, “Addó sta chella sant’anna ‘e tianella?” da rendersi rispettivamente: “Ò una fame smodata, enorme” oppure “Ti decidi a metter fuori questo benedetto portafogli?”, ”Dove è reperibile quel benedetto tegame?”
Ribadisco che anche nei casi or ora esemplificati, tali locuzioni che chiamano in causa la Madonna o i santi ed a volta come nel caso di ‘stu sant’anna, ‘sta sant’anna
son semplici intercalari rafforzativi, anche in tali casi non ci troviamo ad avere a che fare con espressioni blasfeme, sacrileghe, o empie mancandone in chi le profferisce le intenzioni, ma si à a che fare solo con espressione colorite che possono far torcere il naso a qualche beghina o bigotto
ed a tutti coloro che non apprezzano le iperboli espressive; ma costoro non son napoletani o (se lo sono all’anagrafe) non vanno considerati tali: peggio per loro!
E faccio punto qui augurandomi d’avere accontentato l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale
Sollecitato dalla richiesta fattami da un caro amico; P.G.,del quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e là, sollecitato da una sua richiesta mi soffermo ad illustrare valenza e portata di alcune icastiche iperboli tipiche dell’idioma napoletano iperboli che si colgono sulle labbra d’ogni autentico napoletano e che non sostanziano (lo dico súbito!...) mai una bestemmia, mancando in chi usi quelle iperboli la volontà di offendere la divinità o altri soggetti celesti chiamati in causa solo per sottolineare il dire dando forza e sostanza al discorso con il prendere a riferimento per l’appunto la divinità o altri soggetti celesti come il massimo ipotizzabile di un quid qualsivoglia.
Esemplifico.
Quando si coglie sulle labbra d’un autentico napoletano l’espressione offensiva rivolta a qualcuno:
“Tu sî ‘nu ddio ‘e strunzo!” è chiaro che quel napoletano non vuole essere blasfemo, non intende mostrarsi empio, sacrilego, irriverente chiamando in causa Iddio Signore, ma vuole semplicemente trovare, magari contravvenendo al secondo comandamento, il massimo ipotizzabile termine di paragone per infamare al massimo il destinatario della sua offesa, giudicandolo il piú grosso, il piú importante, rilevante, notevole autorevole pezzo di merda, tanto grosso da non tenerne l’uguale, come non à l’uguale Iddio Signore.
Ugualmente, sempre a mo’ d’esempio, nella minaccia:
“Te faccio ‘na ddia ‘e paccheriata che vale: “Ti schiaffeggerò lungamente e pesantemente” non si deve cogliere alcuna intenzione blasfema, empia, sacrilega, irriverente in quanto la divinità è chiamata in causa solo per trovare il massimo ipotizzabile termine di paragone con cui misurare la quantità e forza delle percosse ed avvertirne il destinatario della minaccia; il fatto che non si tratti di una bestemmia si può già cogliere osservando che il sostantivo maschile ddio (per altro vergato in minusculo) è stato aggettivato (nel significato di grandissimo importante, rilevante, notevole autorevole) e reso femminile per accordarsi con il s.vo f.le successivo, proprio per evitare un irriverente riferimento all’unico Dio e seguendo il famoso criterio che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie se con il s.vo aggettivato ddio si intende qualcosa di grandissimo importante, rilevante, notevole autorevole ancóra piú grande importante, rilevante, notevole autorevole risulta essere qualcosa gratificata con il s.vo aggettivato al femminile ddia.
Discorso analogo è da farsi per l’espressioni che chiamano in causa la Madonna o altri santi che son tutte espressioni da cui esulano intenzioni irriverenti o blasfeme essendo locuzioni usate solo nell’intento di trovare il massimo ipotizzabile termine di paragone per indicare qualcosa di cosí grosso, importante, rilevante, notevole da non tenerne l’uguale; in tali locuzioni si preferisce far ricorso ai termini Madonna o altri santi aggettivandoli e declinandoli al maschile o al femminile a seconda del s.vo di riferimento, evitando di chiamare in causa Dio ed accontentandosi di chi nella scala dei valori, pur elevati è certamente al di sotto di Lui. Esemplifico:
Fa ‘nu maronno ‘e cauro, oppure Fa ‘nu maronno ‘e friddo da rendersi rispettivamente: Fa un caldo eccessivo, asfissiante oppure Fa un freddo esagerato,incredibile.
Esemplifico ancóra : “Tengo ‘na maronna ‘e famma” oppure
“’O vuó caccià ‘stu sant’anna ‘e portafoglio?”, “Addó sta chella sant’anna ‘e tianella?” da rendersi rispettivamente: “Ò una fame smodata, enorme” oppure “Ti decidi a metter fuori questo benedetto portafogli?”, ”Dove è reperibile quel benedetto tegame?”
Ribadisco che anche nei casi or ora esemplificati, tali locuzioni che chiamano in causa la Madonna o i santi ed a volta come nel caso di ‘stu sant’anna, ‘sta sant’anna
son semplici intercalari rafforzativi, anche in tali casi non ci troviamo ad avere a che fare con espressioni blasfeme, sacrileghe, o empie mancandone in chi le profferisce le intenzioni, ma si à a che fare solo con espressione colorite che possono far torcere il naso a qualche beghina o bigotto
ed a tutti coloro che non apprezzano le iperboli espressive; ma costoro non son napoletani o (se lo sono all’anagrafe) non vanno considerati tali: peggio per loro!
E faccio punto qui augurandomi d’avere accontentato l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale
‘NTUPPUSO & DINTORNI
‘NTUPPUSO & DINTORNI
Anche questa volta faccio sèguito ad una richiesta fattami dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi delle voce napoletana in epigrafe, di altri eventuali sinonimi, espressioni collegate e delle corrispondenti voci dell’ italiano.Rispondo con molto piacere alla richiesta che riguarda un termine assente su tutti i lessici del napoletano in mio possesso (e non son pochi...), ma ben vivo e presente nel parlato del popolo.
Chiarisco súbito che con l’icastico aggettivo m.le in epigrafe ‘ntuppuso e con il corrispondente f.le ‘ntuppósa
si indicano quegli inetti soggetti che si sentano infastiditi da ogni piú piccolo ostacolo che incontrassero sul loro precedere, nel loro agire; questi soggetti che mancano di spirito di adattamento e di capacità operativa son persone aduse al lamento (anche in mancanza di acclarate e cogenti cause...) che si sentono infastiditi e quasi vilipesi da ogni piú tenue e risibile intralcio che non son capaci di superare o di aggirare per mancanza di senso pratico o perché non son disposti ad affrontare irrisori sacrifici e per converso, qualunque cosa facciano, fan le viste di fare immani fatiche quando non quella medesima grave fatica che fu tipica di san Cristoforo: sorreggere il mondo; ed in effetti d’un soggetto siffatto s’usa dire in maniera ironica: pare Cristoforo cu 'o munno 'ncuollo.
Letteralmente: Sembra (san) Cristoforo con il mondo addosso.In quest’ultima locuzione c'è la commistione della figura di san Cristoforo, che nell'iconografia ufficiale è rappresentato nell' atto di portare sulle spalle il Redentore bambino, e quella di ATLANTE (personaggio della mitologia greca:uno dei Giganti; figlio di Giapeto e di Climene.secondo un’altra versione sarebbe un figlio di Zeus e di Climene mentre secondo Platone sarebbe figlio di Poseidone e di Clito;secondo Esiodo, Zeus per punirlo di essersi alleato col padre di Zeus, Crono, che guidò la rivolta contro gli dei dell'Olimpo, lo costrinse a tenere sulle spalle l'intera volta celeste (anche se in altre versioni regge il globo terrestre)raffigurato, come dicevo, con sulle spalle il globo terrestre. Il popolo nella sua locuzione à unito le due figure ed à riferito a CRISTOFORO l'incombenza di sorreggere il mondo (in effetti, san Cristoforo, martire in Licia nel 250, durante la persecuzione dell'imperatore Decio (Gaio Messio Quinto Traiano Decio: Budalia, 201 –† Abrittus, 1 luglio 251) imperatore romano dal 249 fino alla morte, avvenuta durante la battaglia di Abrittus); san Cristoforo fu uno dei «quattordici santi ausiliatori(gruppo di quattordici santi invocati dal popolo cristiano in casi di particolari necessità, generalmente per guarire da particolari malattie; secondo un’antica tradizione i quattordici santi furono: Sant'Acacio (o Agazio), invocato contro l'emicrania
Santa Barbara, contro i fulmini, la febbre e la morte improvvisa
San Biagio, contro il male alla gola
Santa Caterina d'Alessandria, contro le malattie della lingua
San Ciriaco di Roma, contro le tentazioni e le ossessioni diaboliche
San Cristoforo, contro la peste e gli uragani
San Dionigi, contro i dolori alla testa
Sant'Egidio, contro il panico e la pazzia
Sant'Erasmo, contro i dolori addominali
Sant'Eustachio, contro i pericoli del fuoco
San Giorgio, contro le infezioni della pelle
Santa Margherita di Antiochia, contro i problemi del parto
San Pantaleone, contro le infermità di consunzione
San Vito, contro la corea, l'idrofobia, la letargia e l'epilessia.)»; San Cristoforo in particolare fu colui che avrebbe portato sulle spalle un bambino, che poi si rivelò essere Gesú. Il testo piú antico dei suoi Atti risale all'VIII secolo. In un'iscrizione del 452 si cita una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia. Cristoforo fu tra i santi piú venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto in Austria, in Dalmazia ed in Spagna. Chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente). La locuzione in esame viene usata sarcasticamente per bollare di inettitudine fisica e morale tutti coloro che, chiamati ad un risibile lavoro comportante un piccolissimo impegno fisico e/o morale, fanno invece le viste di sopportare grandi e gravi fatiche, lamentandosi a sproposito di ciò che stanno facendo, magari bofonchiando, sbuffando, quasi portassero veramente il mondo sulle spalle.
Analogamente, sempre in maniera sarcastica di un soggetto inetto che sia altresí lamentoso ed infastidito da ogni piú tenue e risibile intralcio che non sia capace di superare o di aggirare s’usa affermare: aeh, à tirato ‘a sciaveca! oppure aeh, sta tiranno ‘a sciaveca!
che letteralmente valgono le esclamazioni : À tirato la sciabica! oppure Sta tirando la sciabica!
Ambedue le espressioni sono usate o posteriormente o nel mentre ad ironico ed antifrastico commento delle azioni di chi o reduce da o operante un leggero e/o inconferente lavoro, faccia invece cialtronescamente le viste di aver condotto a termine o di star facendo una faticosa incombenza;
la sciaveca è la grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dint’ a ll’acqua id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia mai abbastanza remunerativo. Infine sempre in riferimento ad un soggetto, soprattutto femminile, che sia inetto e lamentoso (anche in mancanza di acclarate e cogenti cause) s’usa nomarlo mammacíccomitocca agglutinando in un’unica parola un’icastica espressione che suona: mamma Cicco me tocca!... (Mamma, Francesco mi tocca, mi importuna!) attribuendo alla donna inetta, lamentosa ed infastidita per un nonnulla il medesimo incongruo falso atteggiamento di talune giovani donne aduse ad accusare qualche giovanotto di averle infastidite, dopo di averli provocati allettandoli con moine ed altro.
Prima di indicare i tre sinonimi in uso nel parlato della voce in epigrafe, soffermiamoci a chiarire gli etimi delle voci incontrate cominciando con ‘ntuppuso/’ntupposa agg.vo e s.vo m.le o f.le denominale del s.vo m.le ‘ntuppo = intralcio,impedimento, ciò che ostacola materialmente o moralmente un'azione; voce dal francone top→toppo→tuppo con prostesi di un in→(i)n→’n illativo; a ‘ntuppo per ottenere la voce in esame è stato aggiunto il suffisso uso/ósa suffisso di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità ecc.. Etimologicamente la parola sciaveca pervenuta nel toscano come sciabica è derivata al napoletano (attraverso lo spagnolo xabeca) dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga.
Pacche s. f. pl. di pacca= natica e per traslato ognuna delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente una mela o una pera; etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka.
Cicco è l’ipocoristico del nome personale Francisco che ottiene da Cisco, Cicco con assimilazione regressiva sc→cc, come in italiano da Francesco si ottiene Cesco→Cecco con analogo procedimento di assimilazione.
E veniamo ai tre soli sinonimi della voce in epigrafe attestati nel parlato popolare; essi sono nell’ordine ‘ntruppecuso/cósa – ‘mpedecuso/cósa – ‘mpacciuso/ósa.Esaminiamoli singolarmente: ‘ntruppecuso/cósa agg.vo e s.vo m.le o f.le che à i medesimi significati della voce in epigrafe di cui rappresenta un allungamento espressivo attraverso l’adozione di una doppia epentesi popolare, la prima consistente in una erre infissa nella prima sillaba, la seconda (sillabica: ec) donde ‘ntuppuso→’ntruppuso→’ntruppecuso;
‘mpedecuso/cósa agg.vo e s.vo m.le o f.le chi in ogni cosa trovi ostacolo, inciampo, ingombro; voce deverbale del lat. parlato impedicare→’mpedecà = porre pastoie; per pervenire a ‘mpedecuso/cósa a ’mpedecà è stato aggiunto il suffisso uso/ósa suffisso, come ò già détto di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità ecc.
‘mpacciuso/ósa attestato anche come ‘mpicciuso/ósa agg.vo e s.vo m.le o f.le doppia morfologia per una sola voce che indichi chi/che abbia ogni avvenimento per impedimento, impaccio, intralcio.la prima voce è stata marcata addizionato del suff. uso/ósa suffisso, mi ripeto di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità ecc., è stata marcata sul s.vo ‘mpaccio (deverbale del provenz. empachar, che è dal fr. ant. empeechier= ciò che impaccia; ostacolo, intralcio; la seconda voce, con analogo procedimento è è stata marcata sul s.vo ‘mpiccio
(deverbale del fr. ant. empeechier (mod. empêcher), che è dal lat. tardo impedicare 'inceppare, intrappolare', deriv. del class. pedica 'laccio del piede, ceppo' (da pìs pe°dis 'piede'))= 1 qualunque cosa che costituisca un fastidio, un ostacolo,
2 affare imbrogliato, guaio, seccatura.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
Anche questa volta faccio sèguito ad una richiesta fattami dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi delle voce napoletana in epigrafe, di altri eventuali sinonimi, espressioni collegate e delle corrispondenti voci dell’ italiano.Rispondo con molto piacere alla richiesta che riguarda un termine assente su tutti i lessici del napoletano in mio possesso (e non son pochi...), ma ben vivo e presente nel parlato del popolo.
Chiarisco súbito che con l’icastico aggettivo m.le in epigrafe ‘ntuppuso e con il corrispondente f.le ‘ntuppósa
si indicano quegli inetti soggetti che si sentano infastiditi da ogni piú piccolo ostacolo che incontrassero sul loro precedere, nel loro agire; questi soggetti che mancano di spirito di adattamento e di capacità operativa son persone aduse al lamento (anche in mancanza di acclarate e cogenti cause...) che si sentono infastiditi e quasi vilipesi da ogni piú tenue e risibile intralcio che non son capaci di superare o di aggirare per mancanza di senso pratico o perché non son disposti ad affrontare irrisori sacrifici e per converso, qualunque cosa facciano, fan le viste di fare immani fatiche quando non quella medesima grave fatica che fu tipica di san Cristoforo: sorreggere il mondo; ed in effetti d’un soggetto siffatto s’usa dire in maniera ironica: pare Cristoforo cu 'o munno 'ncuollo.
Letteralmente: Sembra (san) Cristoforo con il mondo addosso.In quest’ultima locuzione c'è la commistione della figura di san Cristoforo, che nell'iconografia ufficiale è rappresentato nell' atto di portare sulle spalle il Redentore bambino, e quella di ATLANTE (personaggio della mitologia greca:uno dei Giganti; figlio di Giapeto e di Climene.secondo un’altra versione sarebbe un figlio di Zeus e di Climene mentre secondo Platone sarebbe figlio di Poseidone e di Clito;secondo Esiodo, Zeus per punirlo di essersi alleato col padre di Zeus, Crono, che guidò la rivolta contro gli dei dell'Olimpo, lo costrinse a tenere sulle spalle l'intera volta celeste (anche se in altre versioni regge il globo terrestre)raffigurato, come dicevo, con sulle spalle il globo terrestre. Il popolo nella sua locuzione à unito le due figure ed à riferito a CRISTOFORO l'incombenza di sorreggere il mondo (in effetti, san Cristoforo, martire in Licia nel 250, durante la persecuzione dell'imperatore Decio (Gaio Messio Quinto Traiano Decio: Budalia, 201 –† Abrittus, 1 luglio 251) imperatore romano dal 249 fino alla morte, avvenuta durante la battaglia di Abrittus); san Cristoforo fu uno dei «quattordici santi ausiliatori(gruppo di quattordici santi invocati dal popolo cristiano in casi di particolari necessità, generalmente per guarire da particolari malattie; secondo un’antica tradizione i quattordici santi furono: Sant'Acacio (o Agazio), invocato contro l'emicrania
Santa Barbara, contro i fulmini, la febbre e la morte improvvisa
San Biagio, contro il male alla gola
Santa Caterina d'Alessandria, contro le malattie della lingua
San Ciriaco di Roma, contro le tentazioni e le ossessioni diaboliche
San Cristoforo, contro la peste e gli uragani
San Dionigi, contro i dolori alla testa
Sant'Egidio, contro il panico e la pazzia
Sant'Erasmo, contro i dolori addominali
Sant'Eustachio, contro i pericoli del fuoco
San Giorgio, contro le infezioni della pelle
Santa Margherita di Antiochia, contro i problemi del parto
San Pantaleone, contro le infermità di consunzione
San Vito, contro la corea, l'idrofobia, la letargia e l'epilessia.)»; San Cristoforo in particolare fu colui che avrebbe portato sulle spalle un bambino, che poi si rivelò essere Gesú. Il testo piú antico dei suoi Atti risale all'VIII secolo. In un'iscrizione del 452 si cita una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia. Cristoforo fu tra i santi piú venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto in Austria, in Dalmazia ed in Spagna. Chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente). La locuzione in esame viene usata sarcasticamente per bollare di inettitudine fisica e morale tutti coloro che, chiamati ad un risibile lavoro comportante un piccolissimo impegno fisico e/o morale, fanno invece le viste di sopportare grandi e gravi fatiche, lamentandosi a sproposito di ciò che stanno facendo, magari bofonchiando, sbuffando, quasi portassero veramente il mondo sulle spalle.
Analogamente, sempre in maniera sarcastica di un soggetto inetto che sia altresí lamentoso ed infastidito da ogni piú tenue e risibile intralcio che non sia capace di superare o di aggirare s’usa affermare: aeh, à tirato ‘a sciaveca! oppure aeh, sta tiranno ‘a sciaveca!
che letteralmente valgono le esclamazioni : À tirato la sciabica! oppure Sta tirando la sciabica!
Ambedue le espressioni sono usate o posteriormente o nel mentre ad ironico ed antifrastico commento delle azioni di chi o reduce da o operante un leggero e/o inconferente lavoro, faccia invece cialtronescamente le viste di aver condotto a termine o di star facendo una faticosa incombenza;
la sciaveca è la grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dint’ a ll’acqua id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia mai abbastanza remunerativo. Infine sempre in riferimento ad un soggetto, soprattutto femminile, che sia inetto e lamentoso (anche in mancanza di acclarate e cogenti cause) s’usa nomarlo mammacíccomitocca agglutinando in un’unica parola un’icastica espressione che suona: mamma Cicco me tocca!... (Mamma, Francesco mi tocca, mi importuna!) attribuendo alla donna inetta, lamentosa ed infastidita per un nonnulla il medesimo incongruo falso atteggiamento di talune giovani donne aduse ad accusare qualche giovanotto di averle infastidite, dopo di averli provocati allettandoli con moine ed altro.
Prima di indicare i tre sinonimi in uso nel parlato della voce in epigrafe, soffermiamoci a chiarire gli etimi delle voci incontrate cominciando con ‘ntuppuso/’ntupposa agg.vo e s.vo m.le o f.le denominale del s.vo m.le ‘ntuppo = intralcio,impedimento, ciò che ostacola materialmente o moralmente un'azione; voce dal francone top→toppo→tuppo con prostesi di un in→(i)n→’n illativo; a ‘ntuppo per ottenere la voce in esame è stato aggiunto il suffisso uso/ósa suffisso di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità ecc.. Etimologicamente la parola sciaveca pervenuta nel toscano come sciabica è derivata al napoletano (attraverso lo spagnolo xabeca) dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga.
Pacche s. f. pl. di pacca= natica e per traslato ognuna delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente una mela o una pera; etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka.
Cicco è l’ipocoristico del nome personale Francisco che ottiene da Cisco, Cicco con assimilazione regressiva sc→cc, come in italiano da Francesco si ottiene Cesco→Cecco con analogo procedimento di assimilazione.
E veniamo ai tre soli sinonimi della voce in epigrafe attestati nel parlato popolare; essi sono nell’ordine ‘ntruppecuso/cósa – ‘mpedecuso/cósa – ‘mpacciuso/ósa.Esaminiamoli singolarmente: ‘ntruppecuso/cósa agg.vo e s.vo m.le o f.le che à i medesimi significati della voce in epigrafe di cui rappresenta un allungamento espressivo attraverso l’adozione di una doppia epentesi popolare, la prima consistente in una erre infissa nella prima sillaba, la seconda (sillabica: ec) donde ‘ntuppuso→’ntruppuso→’ntruppecuso;
‘mpedecuso/cósa agg.vo e s.vo m.le o f.le chi in ogni cosa trovi ostacolo, inciampo, ingombro; voce deverbale del lat. parlato impedicare→’mpedecà = porre pastoie; per pervenire a ‘mpedecuso/cósa a ’mpedecà è stato aggiunto il suffisso uso/ósa suffisso, come ò già détto di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità ecc.
‘mpacciuso/ósa attestato anche come ‘mpicciuso/ósa agg.vo e s.vo m.le o f.le doppia morfologia per una sola voce che indichi chi/che abbia ogni avvenimento per impedimento, impaccio, intralcio.la prima voce è stata marcata addizionato del suff. uso/ósa suffisso, mi ripeto di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità ecc., è stata marcata sul s.vo ‘mpaccio (deverbale del provenz. empachar, che è dal fr. ant. empeechier= ciò che impaccia; ostacolo, intralcio; la seconda voce, con analogo procedimento è è stata marcata sul s.vo ‘mpiccio
(deverbale del fr. ant. empeechier (mod. empêcher), che è dal lat. tardo impedicare 'inceppare, intrappolare', deriv. del class. pedica 'laccio del piede, ceppo' (da pìs pe°dis 'piede'))= 1 qualunque cosa che costituisca un fastidio, un ostacolo,
2 affare imbrogliato, guaio, seccatura.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale