giovedì 31 dicembre 2009

FASTIDIOSO – NOIOSO – ROMPISCATOLE

FASTIDIOSO – NOIOSO – ROMPISCATOLE
Questa volta, anche su sollecitazione di un caro amico che mi à chiesto di parlarne, mi occupo delle parole, nonché qua e là della fraseologia che rendono in napoletano i concetti espressi dai sostantivi in epigrafe; partiamo proprio da questi:
fastidioso : chi reca o provoca fastidio dal latino: fastidiosu(m) derivato di fastidiu(m);
noioso : chi arreca noia, fastidio dal provenzale: enojos derivato da un latino volgare: inodiosu(m) da odiu(m) odio; rompiscatole : agg. e s. m. e f. invar. (fam.) si dice di persona molesta e importuna; etimologicamente composto dal verbo rompere e dal sostantivo scatole usato eufemisticamente in luogo di altra parola becera o oscena;
Ciò rapidamente premesso passiamo alle parole d’uso napoletano:
- ammusciatore o ammusciante che è propriamente il tediante, l’annoiatore; ambedue i termini di cui il secondo è addirittura il participio presente denota nte perciò un’azione in… corso d’opera, sono forgiati sul verbo ammuscià: che propriamente, tal quale il toscano ammosciare è il render vizzo, floscio, moscio ed estensivamente appunto l’annoiare, l’infastidire; il verbo ammuscià è un denominale di muscio (moscio dal latino mucidu(m)→ muc’dus→mustius→muscius e muscio);
- abbuffatore e abbuttante che, a tutta prima, identificando chi gonfi qualcuno a mo’ di buffo o di butto (parole che, o per adattamento o per corruzione vengono ambedue dal latino bufo ed indicano ambedue il rospo, parrebbero quasi porsi agli antipodi dei precedenti, esprimono in realtà un medesimo tedio sia che esso derivi dall’essere enfiato, sia che derivi dall’essere resi mosci o flosci; ambedue le parole sono dei deverbali: la prima di abbuffà: enfiare come un buffo = rospo; la seconda participio presente del verbo abbuttà che è l’enfiare come un butto (idem che buffo=rospo); ma si può anche pensare ad un basso latino: *ad-bottare= riempire come una botte.
- Con riferimento all’abbuffà, riporto qui quanto già espressi al proposito di un’icastica locuzione partenopea becera fin che si vuole, ma indubbiamente icastica ed espressiva : abbuffà ‘a guallera nella locuzione me staje abbuffanno 'a guallera. Ad litteram: enfiare l'ernia nella locuzione mi stai gonfiando l'ernia id est: mi stai tediando, mi stai oltremodo infastidendo, procurandomi una figurata enfiagione dell'ernia; locuzione che si ritrova con gran risentimento sulla bocca di chi, già tediato di suo, veda aumentare a dismisura il proprio fastidio, per l'azione di un rompiscatole che insista nel suo disdicevole atteggiamento. Ricorderò che il termine guallera (ernia) è mutuato dall'arabo wadara di pari significato e con esso termine il napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma anche per traslato, il sacco scrotale ed è a quest'ultimo che con ogni probabilità si riferisce la locuzione, prestandosi, data la sua presunta sfericità, ad essere sia pure figuratamente gonfiato. Segnalo ora, qui di sèguito altre icastiche locuzioni di medesima portata di quella in epigrafe, locuzioni che vengono usate secondo il grado del tedio che si prova; la prima, mutuata dall'àmbito culinario, proclama: me staje facenno oppure m’ hê fatto ‘a guallera â pezzaiuola (mi stai facendo oppure mi ài fatto l'ernia alla pizzaiola) quasi che l'ernia fosse possibile cucinarla con olio, pomodoro, aglio ed origano a mo' di una fettina di carne o fette formaggi freschi o pesci; altra locuzione usata è quella che mutuata dal linguaggio del lavoro d'ebanisteria, proclama: me staje scartavetranno 'a guallera ( mi stai levigando l'ernia con la carta vetrata) infine esiste una locuzione che - mutuata dall'ambito sartoriale - nella sua espressività barocca, se non rococò, afferma: me staje facenno 'a guallera a plissé (mi stai facendo l'ernia plissettata) quasi che fosse possibile trattare l'ernia come una gonna, pieghettandola longitudinalmente in modo minutissimo.
- abbesechiante o abbesechiatore ambedue le parole, come le precedenti abbuffante – abbuffatore attengono al rigonfiare nel senso di tediare; queste a margine, come le rammentate, sono un deverbale qui di abbesechià che sta per gonfiare a mo’ di vessecchia/ bessecchia = vescica da un tardo latino vesica, atteso che il paragone è fatto qui con la vescica del maiale (che gonfiata è usata per contenere e conservar la sugna in consistenza di pomata) e lí con il bufo→buffo=rospo;
- afflittivo che è propriamente colui che affligge, tormenta, importuna, deverbale di affliggere che è dal latino ad-fligere composto dalla particella ad che indica direzione e fligere che à originariamente il senso di battere, percuotere; e non si può negare che chi è importuno, tormentatore, afflittivo non percuota sia pure figuratamente e moralmente chi sia importunato, tormentato etc;
- apprettatore termine che connota il molestatore, il tormentatore continuo ed assiduo, aduso a molestare alla maniera di chi (come visto precedentemente) sia capace con la sua molesta condotta di addirittura plissettare (sia pure figuratamente) lí la sola ernia, qui un’intera persona; il termine apprettatore, infatti etimologicamente è un deverbale del latino adplictare → applictare → applittare → apprittare donde apprettare e apprettatore; l’originario adplictare(=pieghettare) è da collegarsi al sostantivo plecta =piega che ci riporta al plissé di plissettare; rammenterò che la voce apprettatore fu usata, come aggettivo riferito ad un noioso merlo canterino, dal poeta Salvatore Di Giacomo (Napoli 12/3/1860 – † ivi 5/4/1934) in una sua canzone, musicata da E.A.Mario (Napoli 5/5/1884 - †ivi 24/6/1961) dal titolo Mierolo affurtunato;
- fittivo che indica il molestatore, il fastidioso soggetto che pone nella sua azione malevola anche una buona dose di cattiveria mirante ad arrecar oltre che molestia anche danno al soggetto fatto segno delle sue noiose e pericolose molestie, in linea con il verbo latino figere cui è etimologicamente da collegarsi, verbo che diede il termine fictilia da cui il napoletano fettiglie= noie, molestie, portate quasi di lontano a mo’ di strali; alle medesime fettiglie già alibi dissi ma qui ribadisco sia da collegarsi il verbo napoletano fettiare verbo che un tempo serví ad identificare un’azione ben precisa: quella di sogguardare insistentemente una persona o anche solo un quid, in maniera però concupiscente fino a determinare fastidio nella persona guardata; in particolare i giovanotti che si fossero messi sulle piste di un’avvenente ragazza insistentemente, negli anni tra il 1950 ed il 1960, se la fettiavano fino a che la ragazza infastidita, o non cedeva alle non dichiarate, ma chiaramente sottintese avances o non chiamasse a propria difesa un fratello, un cugino, un fidato amico che convinceva con le buone o le tristi il disturbatore esortato a fettiare altrove. Il verbo veniva usato anche nei riguardi di cose desiderate, ma – per mancanza di soldi – mai conquistate; a mo’ d’es. diremo che in quegli anni se fettiavano un abito, un paio di scarpe, una cravatta, o anche l’intera vetrina di una pasticceria o trattoria;
- frusciatore il molestatore che con la sua petulante opera, può addirittura fare in pezzi la mente ed il cuore della sua vittima molestata, quasi in ottemperanza del suo etimo che è un deverbale del latino: frustiare= dissipare riducendo in pezzi;
- scucciatore che è il frastornatore, il molestatore, quello che figuratamente rompe la coccia=testa etimologicamente deverbale di scuccià che in origine sta per rompere, tirar via la coccia, il guscio delle uova e per traslato figurato rompere, tirar via la testa;
- scassacazzo eccoci a trattar di una parola, becera ma enormemente icastica con la quale si connota un molestatore, cosí fastidioso, noioso da indurre in chi è fatto segno delle sue molestie, noie e fastidi, addirittura la sbreccatura se non la rottura della piú intima e sacra parte anatomica; etimologicamente la parola viene dalla somma della voce verbale scassa (3° pers.sg. pres. ind.) del verbo scassà (dal latino ex-quassare=scuotere fino alla rottura) + il termine cazzo (voce del gergo marinaresco dal greco akàtion = albero della nave); alcune volte il termine a margine, ritenuto troppo volgare, è addolcito nel meno becero scassacacchio o nell’eufemistico scassambrello ma la sostanza, non cambia;
- sustàtore o assustatore, che sono ad un dipresso la medesima parola, risultando essere la seconda un accrescimento della prima operata attraverso un prefisso ad→as e connotano ugualmente il/i molestatore/i inveterato/i ed assiduo/i tale/i da spingere ad una reazione, anche violenta, il/i molestato/i. ambedue le parole sono un deverbale del latino suscitare= eccitare;
- zucatore id est il molestatore che assale il molestato quasi con la riprovevole foga di chi intenda suggergli l’anima o i succhi vitali; deverbale di zucà =succhiare che è dal latino sucus; il piú noioso di tali zucature fu il cosiddétto zucafistole (succhiapiaghe) personaggio, peraltro veramente esistente in antichi ospedali napoletani dove si assumeva il compito di depurare, mediante suzione/aspirazione, del pus esistente, le piaghe di taluni malati, operazione necessaria, ma pur sempre fastidiosa!Figurarsi poi quando il fastidio non porti almeno il beneficio della depurazione!
- In chiusura dirò che di tutti gli elencati molestatori a Napoli si soleva ed ancóra si suole dire che rompono o scassano ‘o curdino che ad litteram è il cordino e cioè il frustino, il nerbo; va da sé che tale curdino è usato eufemisticamente come il pregresso ‘mbrello, per significare il greco akàtion.
Raffaele Bracale

GUAINELLA, PETRÏATA & dintorni

GUAINELLA, PETRÏATA & dintorni
L’idea della ricerca che svolgo in queste paginette prese le mosse dalla precisa richiesta fattami sere or sono dall’amico N.C. (i consueti problemi di privatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome), uno dei miei piú assidui ed attenti fruitori delle cose che scrivo, amico che mi chiese per l’appunto notizie delle voci in epigrafe e segnatamente della prima che è voce antichissima e del tutto desueta. Entro súbito in medias res dicendo che il termine
Guainella (s.vo f.le) in origine fu un grido di battaglia ( guainella, guainé, brié, ahó!) in uso quale voce d’incitamento tra gli scugnizzi impegnati in pericolosi e spesso cruenti scontri a colpi di pietra; in prosieguo di tempo il grido, o meglio la sola parola d’avvio: guainella (per metonimia) passò ad indicare la vera e propria tenzone.Successivamente poi, caduta in disuso, in luogo di guainella si adottò la voce petrïata (sassaiuola). Non di facile soluzione il problema etimologico di questa voce assente nella magna pars dei vocabolarii dell’idioma napoletano o dei calepini etimologici del napoletano e d’altronde quei pochi che la prendono in considerazione ( D’Ambra, Altamura,Salzano, D’Ascoli, de Falco) o sorvolano sull’etimo o non ànno identità di vedute, pur convenendo sul fatto che la voce in primis indicasse un grido di incitamento allo scontro e successivamente la vera e propria tenzone; D’Ambra, Altamura,Salzano son fra quelli che non azzardano ipotesi etimologiche D’Ascoli e de Falco ànno idee diverse: il D’Ascoli, lasciandosi probabilmente fuorviare dall’idea sposata da due noti dizionarii etimologici (il D.E.I. di Battisti ed Alessio ed il D.E.D.D.I. di Cortelazzo/Marcato) fece un erroneo riferimento all’omonimo, omografo guainella (=carruba) del dialetto abruzzese, mentre l’amico de Falco dopo avere indicato, scartandole però, sia la strada del francese gain (guadagno) che quelle di alcune greche gualos (= pietra),guios (azzoppamento) dal verbo guioo ( storpiare, ledere), fa un ragionamento semantico singolare che potrebbe indurre in tentazione ma che poco mi convince per ciò che riguarda la morfologia alla medesima stregua che penso siano da escludere sia semanticamente che morfologicamente le voci francesi e/o greche indicate dall’amico de Falco che alla fine premettendo che la voce guainella vale per metonimia: tenzone, sfida reputa di poter approdare ad un’idea etimologica che chiami in causa la voce duello. Questa volta non mi sento di aderire all’idea dell’amico de Falco per due ordini di motivi: 1) il duello è voce dal lat. duellu(m), forma ant. di bellum 'guerra',ma poi accostata a duo 'due' e quindi interpretata e ripresa nel lat. mediev. come 'battaglia, scontro di due persone' e la guainella non è uno scontro a due individui, ma una tenzone fra piú persone sia pure schierate in due fazioni;
2) m’appare altresí azzardato affermare che in napoletano sia consueto il metaplasmo della dentale d nella g occlusiva velare sonora davanti ad u; talvolta può sí capitare:sedia→seggia, suddito→suggeco ma non è cosa consueta ed è troppo arrischiato e non comprovabile ipotizzare che duellu(m) diventi dapprima (in base a quale criterio?...) vuella e poi guainella.
No caro amico Renato questa volta non m’avete convinto, come non mi può convincere l’accostamento della guainella (sassaiuola) napoletana con la guainella (carruba) presente qui e là come riportato sia nel D.E.I. ( diminutivo di guaina(lat. vagina) voce del XVIII sec.; denominazione volgare d’area it. sett. e centr. della carruba, introdotto, sembra, nella lingua italiana da Antonio Vallisnieri, medico, scienziato, naturalista e biologo italiano (Trassilico, 3 maggio 1661 –† Padova, 18 gennaio 1730)) sia nel D.E.D.D.I. sotto la voce vaíne con un supposto diminutivo *vaginella donde l’umbro cajinelle, il romanesco guainella, l’abruzzese vainelle/fainelle/guainelle ed altre voci che valgon tutte carruba con l’eccezione del romanesco dove oltre che carruba guainella, vale pure spada, daga (forse per la forma schiacciata ed appuntita del baccello della pianta di carrubo. Non ci siamo proprio! Mi chiedo cosa mai semanticamente abbia a che spartire il frutto del carrubo con la tenzone a colpi di pietra che i napoletani nomano guainella! Non ci siamo proprio, nessuna delle idee semantico-etimologiche riferite puó soddifarmi! Ò un’altra opinione che è la seguente. Occorre rammentare che in origine la lotta, la tenzone, lo scontro tra due fazioni di scugnizzi, spesso rappresentanti di rioni limitrofi e rivali, non fu operata con il lancio di pietre, ma a colpi di elastici e flessibili bastoni e/o pertiche ricavati dai rami piú alti di piante quali i salici o piante consimili come il vetrice; orbene tali bastoni e/o pertiche prendevano il nome di ainella/e (dal greco agnos letto come hagnos = casto e puro; si trattava infatti di una pianta il cui succo delle foglie si riteneva conferisse castità e purezza. Ipotizzo dunque che in origine il grido di incitamento allo scontro, lanciato dai capifazione non fosse guainella, guainé, brié, ahó! bensí ainella, ainé, brié, ahó! e valesse: “suvvia, armatevi di bastoni, alle pertiche!”
Successivamente l’originaria (‘a) ainella fu letta (‘a) uainella ed ancór piú sempre per motivi eufonici (‘a) guainella che fu dapprima un grido d’incitamento e poi identificò lo scontro una volta a colpi di bastoni e poi, dismessi quelli per mancanza di alberi da cui procurarseli, a colpi di sassi e pietre abbondanti in taluni luoghi della città bassa dove avvenivano gli scontri.
Tutto ciò senza dimenticare poi che nel parlato popolare il frutto del carrubo non fu mai (se non in qualche opera letteraria, mai nel parlato comune) guainella ma sempre sciuscella.Questa voce femminile (plur. sciuscelle) traduce in napoletano ciò che in italiano è (con derivazione dall’arabo harruba ) carruba cioè il frutto del carrubo (albero sempreverde con fiori rossi in grappoli e foglie paripennate; i frutti, grosse silique bruno-nere, appuntite ricche di sostanze zuccherine, si usano come foraggio per cavalli e buoi (fam. Leguminose) ed un tempo vennero usati come passatempo goloso per bambini ; mentre come termine gergale la voce carruba vale carabiniere (per il colore nero della divisa, che richiama appunto quello bruno-nero della carruba). Il frutto del carrubo viene usato però non solo come foraggio per cavalli e buoi, o – un tempo - come passatempo dolcissimo per bambini, ma è usato altresí (per l’alto contenuto di sostanze zuccherine) nella preparazione di confetture e per l’estrazione di liquidi da usarsi in distelleria (rosolî) o quali bevande medicinali.
Nell’idioma napoletano la voce femminile sciuscella conserva tutti i significati dell’italiano carruba, ma è usata anche per indicare qualsiasi oggetto che sia di poca consistenza e/o resistenza con riferimento semantico alla cedevolezza del frutto del carrubo, frutto che è privo di dura scorza, risultando morbido e facilmente masticabile da parte dei bambini sprovvisti di dentature aggressive; infatti ad esempio di un mobile che non sia di stagionato legno pregiato (noce, palissandro etc.), ma di cedevoli fogli di compensato assemblati a caldo con collanti chimici s’usa dire: È ‘na sciuscella! che vale: È inconsistente! Alla medesima maniera ci si esprime nei riguardi di ogni altro oggetto privo di consistenza e/o resistenza.
Rammento, prima di affrontare la questione etimologica, che in lingua napoletana vi fu un tempo una voce maschile (o neutra) ora del tutto desueta che suonò sciusciello voce che ripeteva all’incirca il siculo ed il calabrese sciuscieddu, il salentino sciusciille ed addirittura il genovese giuscello, tutte voci che rendono, nelle rammentate lingue regionali, l’italiano brodetto, uova cotte in fricassea brodosa etc.
E veniamo all’etimologia della voce a margine.
Dico súbito che questa volta non posso addivenire,circa la voce sciuscella , a ciò che nel suo conciso, pur se curato, Dizionario Etimologico Napoletano dice l’amico prof. Carlo Jandolo che elimina del tutto la voce sciusciello ed accoglie solo sciuscella in ordine alla quale però sceglie pilatescamente di trincerarsi dietro un etimo sconosciuto.né – stranamente per il suo temperamento – azzarda ipotesi propositive!
Mi pare invece che sia correttamente perseguibile l’idea sposata da Cortelazzo, D’Ascoli ed altri i quali per la voce sciusciello rimandano ad un lat. iuscellum = brodetto Partendo da tale iuscellum→sciusciello congetturo che per sciuscella si possa correttemente pensare ad un derivato neutro plur. iuscella→sciuscella=cose molli, cedevoli, lente come brodi, neutro poi inteso femminile.
Semanticamente forse la faccenda si spiega (a mio avviso) con il fatto (come ò già accennato) che dalla carruba (sciuscella) si traggono liquidi e bevande medicinali che posson far forse pensare a dei brodini.
Facciamo ora un passo indietro e torniamo alla seconda delle voci in epigrafe riportando un’ icastica maledizione che suona: - Puozz'avé mez'ora 'e petrïata dinto a 'nu viculo astritto e ca nun sponta, farmacíe nchiuse e mierece guallaruse!
Imprecazione divertente, ma malevola, se non cattiva, rivolta contro un inveterato nemico cui, con spirito esacerbato, si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subìta in un vicolo stretto e cieco, (che non offra cioè possibilità di fuga) e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte e di imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti a prestar soccorso.
puozz’ avé = possa avere id est: possa subire; puozze= possa voce verbale (2° pers. sing. cong. pres.) dell’infinito puté =potere, avere la forza, la facoltà, la capacità, la possibilità, la libertà di fare qualcosa, mancando ostacoli di ordine materiale o non materiale che lo impediscano; nell’espressione a margine puozze vale ti auguro; l’etimo di puté/potere è dal lat. volg. *potìre (accanto al lat. class. posse), formato su potens -entis; avé= avere e molti altri significati positivi come: conseguire, ottenere; ricevere; entrare in possesso o negativi come: subire; per l’etimo vedi sopra;
petrïata/petrata sost.vi femm diversi l’uno dall’altro: letteralmente la voce petrata è la sassata,il tiro e il colpo di una singola pietra, mentre con la voce petrïata si intende una prolungata gragnuola di colpi di pietra, quasi una lapidazione; anticamente a far tempo dalla fine del ‘500, a Napoli soprattutto in talune zone della città quali Arenaccia, Arena alla Sanità, San Carlo Arena,san Giovanni a Carbonara ricche di detriti sassosi, residuali di piogge che trasportavano a valle terriccio e sassi provenienti dalle alture di Capodimonte, Fontanelle etc. o, nelle stagioni secche, residui di fiumiciattoli (es. Sebéto) in secca si svolgevano, tra opposte bande di scugnizzi e/o bassa plebaglia, delle autentiche battaglie(petrïate o guainelle) un tempo a colpi di bastoni, poi a colpi di pietre e sassi con feriti spesso gravi; ai primi del ‘600 tali battaglie divennero cosí cruente che i viceré dell’epoca furono costretti ad emanar prammatiche, nel (peraltro) vano tentativo di limitare il fenomeno… Si ricorda una divertente espressione in uso tra i contendenti di tali petrïate: Menàte ‘e grosse, pecché ‘e piccerelle vanno dint’ a ll’uocchie! (Tirate le (pietre) grandi, giacché quelle piccole vanno negli occhi!).
Etimologicamente sia petrata che petrïata sono un derivato metatetico di preta metatesi del lat. . petra(m), che è dal gr. pétra; nella voce petrïata generata dopo petrata si è avuta l’anaptissi (inserzione di una vocale in un gruppo consonantico o tra una consonante ed una vocale; epentesi vocalica) di una i durativa allo scopo di espander nel tempo il senso della parola d’origine;l’anaptissi di questa i à determinato altresí la ritrazione dell’accento tonico e si è avuto petrïata→petríata in luogo di petriàta;
dinto (a) = dentro (ad) avverbio e prep. impropria dal basso lat. de intus; da notare che in napoletano, come prep. impropria, dinto debba sempre essere accompagnata dalla prep. semplice a o dalle sue articolate â = a + ‘a (alla ) ô= a + lo ( al/allo) ê= a + i/a + le (ai/alle) per modo che si abbia ad es. dint’ ô treno (dentro al treno ) di contro il corrispondente italiano dentro il treno. La medesima cosa càpita come alibi dissi per ‘ncoppa (sopra) ,sotto (sotto), ‘mmiezo (in mezzo) fora (fuori) ed ogni altro avverbio e/o preposizione impropria;
viculo = vicolo, vico via molto stretta e di secondaria importanza, in un centro urbano ; l’etimo è dal lat. viculu(m), dim. di vicus;
astritto o astrinto agg. qual. masch. stretto, poco sviluppato nel senso della larghezza; non largo, non ampio; angusto; l’etimo è dal lat. *a(d)strictus part. pass. di un *a(d)stringere, rafforzativo di stringere;
ca nun sponta letteralmente: che non sfocia in altra strada cioè: vicolo (stretto e) cieco; sponta =sfocia voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito spuntà= sbottonare, spuntare,
comparire all’improvviso,sfociare; in primis spuntare con etimo dal latino *ex-punctare vale toglier la punta, metter fuori la punta ed il senso di spuntare, comparire all’improvviso,sfociare deriva dal fatto che chi spunta (appare), compare all’improvviso o sfocia in qualche luogo proveniente da un altro, non lo fa di colpo, ma paulatim et gradatim quasi mettendo fuori innanzi tutto la propria punta e poi il resto del corpo; ugualmente il senso di sbottonare è dato dal fatto che il bottone vien fuori dall’asola prima per la parte limitrofa(punta.) poi tutt’intero;
farmacíe sost. femm. plurale di farmacía che in napoletano, piú restrettivamente del corrispondente italiano,( dove con derivazione dal greco pharmakéia 'medicina, rimedio', da phármakon 'farmaco'si intende l'insieme degli studi e delle pratiche che ànno per oggetto le proprietà, l'uso terapeutico e la preparazione dei medicinali) si intende, derivato dal francese pharmacie esclusivamente il locale destinato alla vendita e, soprattutto nel passato, anche alla preparazione dei medicinali;
nchiuse agg. plur. femm. = chiuse, serrate, strette etimologicamente trattasi del part. pass. aggettivato femm. del verbo nchiurere= chiudere, ostruire, sbarrare, impedire un accesso; bloccare un passaggio con etimo dal basso latino cludere, per il class. claudere; faccio notare come nel verbo napoletano nchiurere si è avuta la consueta trasformazione di cl→chi come altrove ad es.: chiesia←(ec)clesia, chiuovo←clavus etc, la tipica rotacizzazione mediterranea d→r e la protesi di una n eufonica che non va marcata con alcun segno diacritico (‘n) in quanto essa n non è l’aferesi di in, ma solo una consonante eufonica come nel caso di nc’è= c’è, ragion per cui erra chi dovesse scrivere la voce a margine ‘nchiuse da un inesatto ‘nchiurere atteso che , come ò detto, nchiurere deriva da n(eufonica)+ cludere non da in(illativo)→’n+cludere;
mierece sost. masch. plurale di miedeco/miereco= medico, chi professa la medicina avendo conseguito il titolo accademico e l'abilitazione all'esercizio della professione; l’etimo è dal lat.medicu(m), deriv. di medìri 'curare, soccorrere'con dittongazione nella sillaba d’avvio intesa breve ie←e, e rotacizzazione mediterranea d/r;
guallaruse agg. masch. plur. di guallaruso= affetto da ernia probabilmente inguinale tale da limitare il movimento deambulatorio; la voce a margine (che è maschile, come dal suff. use plurale di uso, il femminile avrebbe avuto il metafonetico suff. ose pl. di osa) è un derivato del sostantivo guallera(= ernia) che è dall’arabo wadara.

E cosí penso d’avere accontentato l’amico N.C. e qualche altro dei miei 24 lettori e penso di poter porre un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale

PAPOSCIA E DINTORNI

PAPOSCIA E DINTORNI

Si dura fatica a credervi, eppure è cosí: quella noiosa affezione, fuoruscita di un viscere o di un organo dalla cavità in cui è normalmente contenuto: ernia addominale, inguinale, ombelicale, del disco; ernia strozzata etc. che in italiano si rende con la sola voce ernia (voce che, etimologicamente, piú che al lat. hira= budella, penso si possa acconciamente collegare al greco ernòs= ramo, pollone in quanto simulante a prima vista, una proliferazione o germinazione) addizionata, come visto, con degli specificativi inguinale, scrotale etc., nella parlata napoletana è resa con numerosissimi sostantivi ad hoc; li illustro qui di seguito cominciando con
1 - guallera/guallara segnatamente ernia scrotale con etimo dall’arabo wadara di identico significato;
2- ‘ntoscia che è propriamente l’ernia addominale con derivazione dal greco enthostídia= intestini;
3- burzone altra voce usata per indicare l’ernia scrotale o quella ombelicale s. m. accrescitivo (vedi suff. one) di borza derivato del lat. tardo bursa(m), dal gr. byrsa 'pelle, otre di pelle'ed in effetti di per sé la voce a margine indicò dapprima lo scroto ossia la borsa che contiene i testicoli, e solo successivamente un’ernia scrotale ;
4- paposcia voce usata per indicare l’ernia inguinale quel noioso rigonfiamento che talvolta afflige gli anziani inducendoli ad un’andatura circospetta e lenta; la voce a margine è un derivato del lat. parlato *papus (rigonfiamento) addizionato del suff. modale osa femm. di uso;
5- mellunciello letteralmente piccolo melone con il quale torniamo all’ ernia scrotale; la voce a margine è un diminutivo (vedi suffisso ciello) di mellone che è dall’ acc. tardo lat. melone(m), da mìlo/onis, forma abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mìlopépon -onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépon 'popone; la voce napoletana mellone comporta il raddoppiamento popolare della liquida rispetto all’acc. lat. melone(m);
6 - contrappiso letteralmente contrappeso che è voce (derivata come l’taliano dall’addizione di contra (contro) + piso (peso)) usata per indicare un’ernia inguinale o addominale che insista su di un solo lato del corpo facendo quasi da contrappeso all’opposto lato;
7 - quaglia letteralmente quaglia voce usata indifferentemente per indicare un’ernia addominale, inguinale, o ombelicale, che abbia la tipica forma ad uovo dell’uccello colto nella posizione di riposo con le alucce chiuse e raccolte su se stesso; la voce nap. quaglia è dall'ant. fr. quaille, che è forse dal lat. volg. *coàcula(m), di probabile orig. onomat. se non, piú acconciamente, da un latino parlato *quà(r)uala che richiamava il verso dell’uccello;
8 - potra voce antica e desueta usata per indicare essenzialmente un’ernia addominale situata, senza alcun riferimemento alla forma, piuttosto in alto verso la regione dell’epigastrio; l’etimo della voce è dallo spagnolo potra di identico significato; rammento in coda che la voce a margine purtroppo da molti compilatori di dizionarî è ignorata (manca persino nel fornitissimo D’Ambra) o, in taluni è impropriamente riportata nel significato di petto forse perché maldestramente fuorviati dalla posizione dell’ernia detta pòtra che è adiacente la gabbia toracica.
9 - zeppula letteralmente zeppola voce che con derivazione dal latino serpula indica innanzi tutto un caratteristico dolce partenopeo, in uso per la festività di san Giuseppe(19 marzo) , di pasta bigné disposta, con un sac a poche, a mo’ di ciambella, poi fritta o (meno spesso) cotta al forno, spolverata di zucchero e variamente guarnita con crema ed amarene; il dolce à origini antichissime quando intorno al 500 a.C. si celebravano a Roma le Liberalia, le feste delle divinità dispensatrici del 'vino e del grano nel giorno del 17 marzo. In onore di Sileno, compagno di bagordi e precettore di Bacco, si bevevano fiumi di vino addizionato di miele e spezie e si friggevano profumate frittelle di frumento; le origini del dolce dicevo furono antichissime , anche se pare che la ricetta attuale delle napoletane zeppole di san Giuseppe sia opera di quel tal P. Pintauro che fu anche, come vedemmo alibi, l’ideatore della sfogliatella, e rivisitando le antichissime frittelle romane di semplice fior di frumento, diede vita alle attuali zeppole arricchendo l’impasto di uova, burro ed aromi varî e procedendo poi ad una doppia frittura prima in olio profondo e poi nello strutto; la tipica forma a ciambella della zeppola rammenta la forma di un serpentello (serpula) quando si attorciglia su se stesso da ciò è probabile sia derivato il nome di zeppola (è normale il passaggio di s a z e l’assimilazione regressiva rp→pp) ; d’altro canto l’esser détto dolce gonfio e paffutello ben può richiamare il rigonfiamento tipico di un’ ernia inguinale, addominale o ombelicale;
e siamo infine a
10 - pallèra voce con la quale si torna ad indicare estensivamente l’ernia scrotale; di per sé infatti la voce pallèra (con etimo da palla che è dal longob. *palla, che à la stessa radice di balla (dal fr. ant. balle, che è dal francone balla sfera) + il suff. di pertinenza èra) indica in primis segnatamente lo scroto quale contenitore delle palle( cosí volgarmente vengon detti in napoletano i testicoli intesi sbrigativamente sferici, anzi che ovoidali ); normale estendere il significato di pallèra da scroto ad ernia scrotale: lo scroto è pur sempre un rigonfiamento tal quale un’ ernia.
Giunti qui consentitemi una curiosità; nella parlata napoletana esiste un vocabolo papuscio di cui la precedente paposcia a tutta prima potrebbe erroneamente sembrare il suo femminile metafonetico; in realtà non vi è alcun nesso, se non una fuorviante assonanza…, tra paposcia e papuscio; la paposcia abbiamo vista cosa è e ne abbiamo indicato l’etimologia; il papuscio invece non indica alcuna affezione; è solo (con derivazione dall’arabo ba- bús- 'copripiedi'ricavato con tutta evidenza dall’indiano pa-push, di identico significato ) è solo il modo napoletano di render l’italiano babbuccia (che è mutuata dal franc. babouche).
Et de hoc satis.
Raffaele Bracale

mercoledì 30 dicembre 2009

CURNUTO E MAZZIATO

CURNUTO E MAZZIATO
Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú icastica e cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse.
curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta
1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni
2 (lett.) che à forma di corno o di corna.
3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge;
quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno'
mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastone, randello;
sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto o del tono con cui venga détta l’espressione). etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo;
piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora
etimologicamente da un lat. volg. *pĕcoru(m)→piecoro;
nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci;

murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori
scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola;
voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva.
Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la piú cruda curnuto e scannato.
Raffaele Bracale

AVVENTATO & dintorni

AVVENTATO & dintorni
La quotidianeità e l’osservazione del comportamento di chi mi sta intorno, mi induce questa volta ad esaminare la voce in epigrafe ed i suoi sinonimi dapprima per ciò che riguarda l’italiano ed a seguire i vocaboli corrispondenti nella parlata napoletana. Cominciamo con l’italiano dove abbiamo:
avventato/a, agg.vo m.le o f.le 1 che agisce o parla senza riflettere: un ragazzo avventato
2 che è fatto o détto senza riflettere: gesto, giudizio avventato; etimologicamente si tratta del p.p. dell’infinito avventare = 1 (lett.) scagliare, gettare con violenza
2 (fig.) esprimere senza la dovuta ponderazione: avventare giudizi ||| v. intr. [aus. avere] (non com.) essere appariscente, colpire ||| avventarsi v. rifl. gettarsi con impeto contro qualcuno o qualcosa; il verbo avventare propriamente varrebbe: lanciare al vento ed è un denominale del s.vo vento con protesi di un ad→av;
disordinato/a, agg.vo m.le o f.le 1 che non è in ordine: una casa disordinata | (fig.) confuso: discorso, racconto disordinato
2 che non tiene in ordine le sue cose; che lavora con poca precisione: un ragazzo disordinato, un’ impiegata disordinata
3 sregolato, privo di misura: un comportamento disordinato etimologicamente si tratta del p.p. dell’infinito disordinare=
v. tr.: mettere in disordine, scompigliare: disordinare le carte | (fig.) confondere: disordinare le idee ||| v. intr. [aus. avere] (ant.) essere sregolato, eccedere: Caro figliuolo, governatevi, non disordinate. Ieri sera avete mangiato un poco troppo (GOLDONI) ||| disordinarsi v. intr. pron.
1 (non com.) confondersi; 2 (ant.) subire un danno, spec. Economico; disordinare è un denominale di disordine =1 mancanza di ordine; confusione (anche fig.): regnava ovunque un gran disordine; disordine mentale ' in disordine, in scompiglio, in stato di confusione: mettere, lasciare tutto in disordine; avere le vesti, i capelli in disordine, scomposti
2 per estens.) disservizio, cattivo funzionamento; cattiva amministrazione: il disordine del servizio postale; il disordine degli affari pubblici
3 sregolatezza, mancanza di misura: disordine nel bere, nel mangiare
4 spec. pl. fatto che turba l'ordine pubblico; sommossa, tumulto. Etimologicamente disordine è dal lat. ordine(m) con protesi di un dis distrattivo.
Inconsiderato/a, agg.vo m.le o f.le 1 (non com.) che non considera, che agisce in modo avventato: un ragazzo inconsiderato
2 che è detto o fatto senza riflessione, in modo sconsiderato: risposta inconsiderata; quanto all’etimo è dal lat. inconsideratu(m), comp. di in- 'in= non' e consideratus 'prudente', propr. part. pass. di considerare 'considerare= 1 esaminare con attenzione; tenere presente: considerare il pro e il contro di una proposta; tutto considerato, tenuto conto di tutto, valutando tutti gli aspetti della cosa; considerato che, visto che, dal momento che | (assol.) riflettere, ponderare: è un impulsivo e non considera mai abbastanza
2 reputare, ritenere; giudicare: considerare qualcuno come un fratello
3 apprezzare, avere stima di qualcuno: il professore lo considera molto
4 (dir.) prevedere, contemplare ';
precipitoso/a, agg.vo m.le o f.le
1 che scende a precipizio; per estens., che si verifica o si muove con grande rapidità: torrente precipitoso; corsa, fuga precipitosa; attraversò precipitoso la strada
2 di persona, che agisce affrettatamente, senza riflettere; di cosa, che è detta o fatta con precipitazione, con fretta eccessiva: non essere precipitoso nel giudicare!; una decisione precipitosa
3 (lett.) detto di monte, che scende a precipizio; di pendio, assai scosceso; la voce precipitoso etimologicamente è derivata dall’agg.vo precipite( che è dal lat. praecipite(m) 'a testa in giù', comp. di prae- 'pre-' e caput -pitis 'testa') con l’aggiunta del suff. d’abbondanza oso←osus;
sconsiderato/a, agg.vo e talvolta s.vo m.le o f.le
1 che agisce senza riflettere, senza discernimento: una ragazza sconsiderata
2 fatto o detto senza riflettere, senza prudenza: un atto, un gesto sconsiderato; parole, frasi sconsiderate
¶ s. m. [f. -a] persona sconsiderata, avventata: comportarsi da sconsiderata;
la voce sconsiderato etimologicamente è derivata quale p. p. dall’infinito s (distrattiva) + considerare (dal lat. considerare, comp. di cum 'con' e un deriv. di sidus -eris 'astro'; propr. 'esaminare gli astri per trarne auspici' per cui sconsiderare varrebbe ' non esaminare gli astri etc.'.
squinternato/a agg.vo e talvolta s.vo m.le o f.le 1 scompaginato, slegato: libro, fascicolo squinternato | (estens.) sconnesso: una vecchia baracca squinternata
2 (fig.) si dice di persona poco equilibrata, dalla vita e dal comportamento disordinati una donna squinternata;
come s. m. [f. -a] persona squinternata;
la voce squinternato etimologicamente è derivata quale p. p. dall’infinito squinternare = slegare,scombussolare, turbare formato da una s (distrattiva) + un derivato di quinterno = s. m. insieme di cinque fogli doppi di carta inseriti l'uno nell'altro, cosí da formare dieci carte o venti pagine; deriv. di quinto, sul modello di quaderno che è dal lat. quaterni, nom. pl., 'a quattro a quattro' (con allusione alla legatura dei fogli), deriv. di quattuor 'quattro'.
Esaurite ad un dipresso tutte le voci sinonime di quella in epigrafe, passiamo a lle voci napoletane che rendono quelle dell’intaliano. Abbiamo:
abbentato, agg.vo m.le o f.le corrisponde e per significato e per etimologia all’ avventato dell’italiano con la sola differenza dell’alternanza b/v v/b tipiche del napoletano(cfr. bocca→vocca – barca→varca – avvincere→abbencere etc.);
ammorrone/a oppure ammurrone/a, agg.vi m.li o f.li aggettivi che corrispondono ad un dipresso a gli italiani precipitoso/a, imprudente, avventato/a, impulsivo/a, frettoloso/a, affrettato/a , ma che in realtà trovano il migliore corrispondente in abborracciatore/trice, impreciso/a, vago/a, approssimativo/a, superficiale, nessuno dei quali però ripete l’aggancio semantico della voce napoletana che, molto icasticamente collega un comportamento precipitoso, imprudente, avventato, impulsivo, frettoloso, affrettato, abborracciato, raffazzonato, sciatto, approssimativo, trasandato a quello tenuto dalle bestie di media o piccola taglia (bovini ed ovini) allorché raccolte in mandrie (mmorre) si muovono in maniera disordinata, scomposta, caotica; quanto all’etimo, come già accennato parlando dell’ l’aggancio semantico, gli aggettivi a margine son dei denominali del s.vo mmorra (che è dal greco myríos= gran moltitudine.
pazzuoteco/pazzoteca, agg.vo m.le o f.le f in primis bizzarro/a, cervellotico/a, bislacco/a, strano/a ma per estensione disordinato, abborracciato, raffazzonato, sciatto, approssimativo; per l’etimo è voce derivata dal sost. pazzo con il suff. otico→uoteco/oteca risalente al lat. (idi)òticus; pazzo a sua volta è riconducibile al greco pàthos=infermità dell’animo o del corpo, senza dimenticare che il s.vo greco patheía (da leggere pathîa) porta dritto per dritto a pazzía.

sciaddeo/a,oppure sciardeo/a agg.vi m.li o f.li esattamente l’inetto l’incapace buono a nulla, il precipitoso, l’imprudente, l’avventato, l’impulsivo, ed estensivamente anche lo sciocco generico ; rammenterò qui che sciaddeo/sciardeo son la medesima parola: nella seconda si è verificato il fenomeno del parlato popolare della rotacizzazione osco – mediterranea che riguarda la prima d(cfr. ad es.: dito/rito – dinto – rinto – Madonna – Maronna etc.) , ma la parola è la stessa; per quanto riguarda l’ etimologia di sciaddeo escludo a priori che la si debba riferire al nome dell’apostolo Giuda Taddeo che con sciaddeo à solo una tenua assonanza, non risultando da nessuna sacra scrittura (vangeli – atti degli apostoli – lettere etc.) che il suddetto Giuda Taddeo fosse uno sprovveduto o un incapace, e propendo per il verbo greco skedao= comportarsi da sbandato e/o sprovveduto;
sciardella, agg.vo o s.vo f.le e soltanto femminile; à il circoscritto significato di donna inetta, inidonea, inadatta, disadatta, inabile, inadeguata, colpevolmente incapace, incompetente, inesperta; si usa ad esempio per identificare una casalinga incapace di fare i donneschi lavori di casa con attenzione e secondo i crismi dovuti; a Napoli è 'na sciardella la casalinga che lavi le stoviglie, facendosele scappare di mano e rompendole, che lavi i pavimenti con poca acqua, che spolveri superficialmente, che riponga gli abiti in modo raffazzonato, cosí che riprendendoli uno li trovi stazzonati e gualciti al punto di non poterli indossare, una donna insomma inetta ed inaffidabile, una sbadata patentata che colpevolmente (e non per involontarie carenze fisiche o mentali) non pone attenzione o buona volontà in tutto ciò che fa.

sciambrato/a, agg.vo m.le o f.le in primis riferito a gli abiti vale (con derivazione da un lat. reg. (e)xamplare= render ampio))vale: largo, ampio, comodo, in un significato secondario, riferito alle persone vale disordinato sregolato, privo di misura
sciàscio/a agg.vo m.le o f.le = trasandato,disordinato, approssimativo, ma piú spesso, se non sempre, riferito ad una donna, quasi sinonimo della pregressa sciardella nei significati di donna precipitosa,incapace imprudente,avventata, impulsiva, inetta, inabile, dappoco, maldestra, pasticciona, disadatta, inesperta; quanto all’etimo è un deverbale dell’infinito sciascïà v. intr.=godersi a fondo qlcs, bearsi con gusto e pieno abbandono tutte cose che semanticamente giustificano la precipitosità, l’impulsività e l’avventatezza comportamentale: chi si bea o si gode qlcs. a fondo, con gusto e/o pieno abbandono, non può mettere attenzione o misura in quel che fa; a sua volta il verbo sciascïà appare derivare dal lat. iacére=giacere in riposo attraverso un frequentativo *iaciare che diede *ciacïà→ sciascïà.
Sciazza/sciuazza agg.vi o s.vi f.li e soltanto femminili = maldestra, pasticciona, incapace, goffa, inetta, sprovveduta, inabile, buona a nulla, incompetente, inesperta
agg.vi peggiorativi del termine sciardella; in realtà la voce sciuazza è un addolcimento – attraverso l’epentesi di una efelchistica u – di un’originaria sciazza (che è dal latino ex-apta=inadatta)inteso troppo duro o volgare.
E penso d’avere esaurito l’argomento.Satis est.
Raffaele Bracale

GUAGLIONE

GUAGLIONE
– Significato ed etimologia.
La parola in epigrafe, pur se accolta in tutti i dizionarii della lingua toscana, nasce a Napoli e poi di qui trasmigra, come tante altre parole quali camorra e suoi derivati, guappo e consimili, scugnizzo, vongola, scarola etc. e con il termine guaglione viene indicato l’adolescente, il ragazzo poco piú che decenne che abbia eletto per proprio regno la strada nel cui
rutilante chiasso, si diverti, giochi e magari presti la sua piccola opera servizievole nell’intento di lucrare piccolo guadagno: ‘o guaglione d’’e servizie oppure ‘o guaglione ‘e puteca quando si tratti di ragazzo avviato ad un lavoro piú o meno stabilmente retribuito.
Pertanto con il termine guaglione a Napoli non si indica il bambino, che è détto propriamente: criaturo o anche ninno o nennillo ed addirittura – quando si tratti di piccolissimo -anche anema ‘e Ddio.
Per ciò che riguarda l’etimologia, la questione è di non poca cosa,
avendo il vocabolo scatenato la fantasia di addetti ai lavori o filologi della domenica e sono state avanzate le ipotesi le piú disparate ed è molto difficile bordeggiandole attingere un sicuro approdo.
Ecco perché mi limiterò a dare un sommario elenco di dette ipotesi, e a suggerire alla fine, l’ipotesi che ritengo piú perseguibile.
A – si cominciò, temporibus illis, a scomodare il greco kallos, kallion: bellino, grazioso, nella pretesa forse che il guaglione dovesse essere per forza grazioso, ma chiunque si può render conto che si trattava di una pretesa non supportata da alcuna documentata prova, per cui escluderei senz’altro l’ipotesi.
B –Si congetturò pure che guaglione potesse derivare sempre dal greco, ma dal lemma GALA= latte, ma non si vede cosa possa mettere in rapporto il latte con il ragazzo di strada che non è certamente un poppante; l’ipotesi è pertanto – a mio avviso - da scartare.
Come è da scartare l’ipotesi C che fa derivare la parola di cui ci occupiamo dal latino gàneone(m) che sta ad indicare il frequentatore di bettole, l’ubriacone, o peggio! il frequentatore di postriboli: personaggi che non posson certo, a mio avviso, configurare il guaglione. Non nego che, talvolta, il guaglione possa aver alzato il gomito o frequentato bordelli, ma da ciò a ritenerle sue precipue attività (tanto da farne derivare il nome...)mi pare ce ne corra, con buona pace dei ch.mi professori Emidio De Felice (e Giovanni Alessio) che cfr. D.E.I. sposarono l’idea qui riferita;
D –Da scartare anche le ipotesi che tirano dentro le parole latine : qualus= cesto e qualis= quale, termini che semanticamente oltre che morfologicamente sono chiaramente inconferenti rispetto la sostanza del nostro guaglione;
E – Si è cercato, da qualcuno di coinvolgere il francese con la parola garçon, che –è vero – indica il ragazzo di bottega, ma da esso lemma in napoletano è derivato guarzone,non guaglione per cui scarto l’ipotesi
come scarto altre pretestuose derivazioni dal francese gaillard, omologa del nostro gagliardo, giacché non è scritto da nessuna parte che ‘o guaglione debba essere forte e muscoloso.
F - Sempre nell’ambito della lingua francese riporto quanto ebbe a dire il giornalista A. Fratta scrivendo sul Mattino di Napoli allorché affermò di avere udito in quel di Marsiglia apostrofare i ragazzi di strada con il termine vuaiú (voyou) stranamente simile al suono del nostro guagliú; si tratta di una tentazione, ma se si esclude il tenue legame del francese voie = strada con il guaglione partenopeo troppe sono le discrepanze semantiche che ostano a che si possa accettare simile discendenza, tenendo oltretutto presente che in francese la voce voyou vale mascalzone, canaglia, delinquentello che non sono da appaiare con il probo, onesto, lavoratore guaglione napoletano.
Per concludere mi pare si possa invece far discendere dal sempre vivo latino galio/onis(giovane mozzo,servo sulle galee)il guaglione, soprattutto tenendo presente quel ragazzo dei servizi o guaglione ‘e puteca di cui sopra.
A margine di tutto, confesso che sottoposi la mia ipotesi etimologica ai soloni del vocabolario TRECCANI e me la respinsero adducendo che la parola latina da me chiamata in causa ed esistente peraltro nel famoso congruo Glossario dell’infimo latino del DU CANGE, non trovava riscontro in non so bene quale testo da loro consultato e con protervia – a mio avviso – malevola e non circostanziata mi ribadirono l’idea che la parola guaglione deriva dal latino ganeo(frequentatore di bettole e/o postibroli).Non sono aduso ad accettare le idee altrui soprattutto quando mancano di incontrovertibili dimostrazioni pratiche e non le accetto solo perché provengono da padreterni in sedicesimi; posso talora recedere dalle mie convinzioni, ma solo quando mi si forniscano certe e documentate prove contrarie, non quando qualcuno si impanchi a giudice delle mie idee e senza averne autorità o carisma pontifichi ad libitum.
Raffaele Bracale

FIGLIO ‘E ‘NTROCCHIA

FIGLIO ‘E ‘NTROCCHIA

L’espressione napoletana: Figlio ‘E ‘Ntrocchia – significato ed etimologia.
Con l’espressione figlio ‘e ‘ntrocchia nella parlata napoletana si suole indicare il giovanetto sveglio, furbo, pronto di mente e d’azione, capace di destare e l’ammirazione per la prontezza della sua mente, e – per contro - la preoccupazione per l’immediatezza delle sue azioni capaci di procurar danno. Ad ogni buon conto l’espressione, pur offensiva, à una sua valenza positiva anche se è usato eufemisticamente a significare figlio di zoccola, seu di puttana
partendo dall’assunto che un figlio generato da donna di malaffare, e perciò cresciuto in un ambiente malfamato , che costringe però ad esser furbi, desti e pronti di mano e di mente, debba necessariamente esser tutto ciò. È comunque offensivo dar del figlio ‘e ‘ntrocchia a qualcuno stante il significato della parola ‘ntrocchia.
E veniamo all’etimologia della parola ‘ntrocchia, perché per figlio, nulla quaestio.
Ò sentito dire e addirittura letto,con raccapriccio che l’espressione deriverebbe da un latino : intra oculos(?)nella pretesa che ‘o figlio ‘e ‘ntrocchia è quello capace di farti qualcosa negli occhi, senza che tu te ne possa accogere. Orbene, anche ammettendo che ‘o figlio ‘e ‘ntrocchia possa agire in tal guisa, ciò che non regge è il mettere in rapporto la parola ‘ntrocchia con l’espressione intra oculos e per un chiaro motivo logico: è il figlio della ‘ntrocchia che – seconfdo la pretesa etimologia - dovrebbe agire con repentina destrezza, non la ‘ntrocchia e a noi interessa invece sapere da dove derivi la parola ‘ntrocchia, per cui penso che debba scartarsi tale ipotesi , parecchio fantasiosa, e non supportata da alcun puntello piú o meno scientifico.Ugualmente penso sia da scartare quanto proposto dall’ amico avv.to Renato de Falco che congettura per figlio ‘e ‘ntrocchia un figlio concepito ‘int’â rocchia cioè un figlio concepito in una combriccola (senza saper bene con chi…). No, mi spiace, ma non ci siamo! Il problema è sempre il medesimo:a noi non interessa cosa faccia o come e da chi sia stato generato il figlio ‘e ‘ntrocchia, bensí chi sia la ‘ntrocchia.
Posto dunque che ‘ntrocchia sta per zoccola seu puttana, occorre verificare se vi siano seri aggangi ad altri lemmi che abbiano simile significato e perché l’uno sia ricondicibile all’altro.
Reputo che la strada piú plausibile per giungere a ‘ntrocchia nel significato di puttana sia quella che prende l’avvio da un antico latino:antorca(m) (fiaccola) ed il suo dimunitivo antorcula(m) plasmato a sua volta su di un in torculum (in giro) ed in effetti la meretrice svolgeva e svolge il suo mestiere in giro, magari illuminando il suo posto di lavoro, temporibus illis con fiaccole, oggi con falò; da antorcula per metatesi interna si ottiene antrocla; normale poi il passaggio di cl a cchi – come macula(m) divenuto macchia etc. da antorcchia per aferesi e metatesi interna si va a ‘ntrocchia .Ed il gioco è fatto. A mio avviso: chesta è ‘a zita e se chiamma Sabbella.
Raffaele Bracale

Il termine napoletano FETECCHIA: significato ed etimologia.

Il termine napoletano FETECCHIA: significato ed etimologia.
I l termine in epigrafe ha un variegato ventaglio di significati nella lingua napoletana, ma tutti riconducibili al primario significato di vescia, scorreggia non rumorosa, scoppio silenzioso simile a quello del fungo che giunto a maturazione esplode silenziosamente emettendo le spore; col termine fetecchia , restando nell’ambito della silenziosità,viene indicato altresì lo scppio non riuscito di un fuoco d’artificio, e più in generale un qualsiasi fallimento o fiasco di un’operazione non giunta a buon fine
Pèer ciò che attiene l’etimologia, tutti concordemente la fanno risalire al latino foetere nel suo significato di puzzare – tenendo prersente il primario significato di fetecchia, ma anche negli altri significati c’è una sorta di non olezzo che pervade la parola.e la riconduce al foetere latino.
BRAK

VARIE 500

1.'Amice e vino ànno 'a essere viecchie!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
2.'A meglia vita è cchella d''e vaccarepecché, tutta 'a jurnata, manejano zizze e denare.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
3.'O turco fatto crestiano, vo' 'mpalà tutte chille ca ghiastemmano.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.

4.'O Pataterno addó vede 'a culata, llà spanne 'o sole
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorre.
5.'O galantomo appezzentúto, addiventa 'nu chiaveco.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
6.'E fravecature, cacano 'nu poco pe parte e nun pulezzano maje a nisciunu pizzo.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
7. 'E vruoccole so' bbuone dint’ô lietto.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
8. Statte bbuono ê sante: è zumpata 'a vacca 'ncuollo ô vojo!
Letteralmente: buonanotte!la vacca ha montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni così contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
9.Quanno 'o vino è ddoce, se fa cchiú forte acìto.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, più aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
10. 'O dulore è de chi 'o sente, no 'e chi passa e tène mente.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! - affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
11. 'O fatto d''e quatte surde.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
12. A 'nu cetrangolo spremmuto, chiavece 'nu caucio 'a coppa.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
13.Chi va pe chisti mare, chisti pisce piglia.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce. Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi risultati diversi o migliori.
14. Ammore, tosse e rogna nun se ponno annasconnere.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
15.'Mparate a parlà, no a faticà.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ma ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere la disistima tenuta dai napoletani per tutti coloro che non si guadagnano da vivere con un serio e duro lavoro, ma fondono la prapria esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro (FATICA)in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo.

16. 'A sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' più colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi erigere un palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ).
17. A 'stu nunno sulo 'o cantero è nicessario.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla buona riuascita dell'esistenza la sola cosa che conta è nutrirsi bene e digerire meglio. In effetti con la parola cantero - oggetto destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che la parola cantero non à l'esatto corrispettivo in italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il cantaro era destinato ad accogliere quelli solidi.
18.Sparterse 'a cammisa 'e Cristo.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí a Napoli si dice di chi, esoso al massimo,profitti di una situazione e si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato il Cristo sul Golgota , ne divisero, per appropriarsene, in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
19. Essere aurio 'e chiazza e tribbulo 'e casa.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Così a Napoli si suole dire - specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
brak

VARIE 499

1 Jirsene a cascetta(te ne vaie a cascetta!.
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone: il posto piú alto, ma anche il piú scomodoe il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
2 Â casa d' 'o ferraro, 'o spito 'e lignammo...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata professionalità ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
3 Pigliatella bbella e coccate pe tterra.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie comporta danno e sofferenze.
4 Abbaccà cu chi vence.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
5 Quanno 'a cunnimma è ppoca, se ne va p' 'a tiella.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
6 A lu frijere siente 'addore, allu cagno,siente 'o chianto.
Letteralmente: al momento di friggere sentirai l'odore, al momento del cambio, piangerai. Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete un pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per le rime dicendo che il truffaldino pescivendolo al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata sarcasticamente nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non intende di esser stato ripagato d’una medesima moneta...
7 Voca fora ca 'o mare è maretta...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere
8- Mettere ll'uoglio 'a copp' ô peretto.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.

9 Quanno jesce 'a strazziona, ogne ffesso è prufessore...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
10 'A moneca 'e Chianura:muscio nun 'o vuleva ma tuosto le faceva paura...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane.) La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...

11 Hê vippeto vino a una recchia.
Ài bevuto vino a una orecchia - cioè vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che faccia reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi abbia agito incongruamente, come dopo di aver bevuto del vino scadente.
12 Purtà'e fierre a sant' Aloja.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
13 'O Pataterno 'nzerra 'na porta e arape 'nu purtone.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un potoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
14 Nun tené pile 'nfaccia e sfottere 'o barbiere
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che, mancando degli elementi essenziali per far alcunchè, ci si erga ad ipercritico e spaccone.
15 È gghiuto 'o caso 'a sotto e 'e maccarune 'a coppa.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
16 À fatto marenna a sarachielle.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
17'O cane mozzeca 'o stracciato.
Il cane assale chi veste dimesso - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
18 Tre songo 'e putiente:'o papa, 'o rre e chi nun tène niente...
Tre sono i potenti della terra:il papa, il re e chi non possiede nulla: Il papa è il capo indiscusso della comunità ecclesiale e quando parla ex cathedra è addirittura infallibile;il re è il capo indiscusso della comunità nazionale che gli presta onore ed ubbidienza; chi manca di tutto non à timore né d’esser richiesto d’alcunché, né d’essere defraudato di ciò che non à!
19 Ė gghiuta ‘a fessa 'mmano ê criature, 'a carta 'e musica 'mmano ê barbiere, 'a lanterna 'mmano ê cecate...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
20 S' a' dda jí add' 'o patuto, no add' 'o miedeco.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi à patito una malattia, non dal medico - Cioè:la pratica val piú della grammatica.
21 Aúrio senza canisto, fa' vedé ca nun l'hê visto.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre sempre accompagnare i fatti.
22 Ô pirchio pare ca 'o culo ll'arrobba 'a pettula...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
23 Chi fatica'na saraca, chi nun fatica, 'na saraca e mmeza.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
24 'A mamma d''e fesse è sempe incinta.
LA mamma degli sciocchi è sempre incinta - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
25 Dicette 'o pappice vicino â noce: Damme 'o tiempo ca te spertoso!
L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince!


26 A ghiennere e nepute, chello ca faje è tutto perduto.
A generi e nipoti quel che fai, è tutto perso - Cioè:stante la generale diffusissima irriconoscenza umana, va perduto anche il bene fatto ai parenti prossimi
27 'O figlio muto, 'a mamma 'o 'ntenne.
Il figlio muto è compreso dalla madre - Lo si dice di due persone che abbiano un'intesa perfetta.
28 San Luca nce s'è spassato...
San Luca ci si è divertito...- Lo si dice di una donna cosí bella che sembra dipinta dal pennello di San Luca, che la tradizione vuole pittore. Ma anche in senso antifrastico quando ci si imbatte in una donna decisamente brutta.

29 Quanno siente 'o llatino d' 'e fesse, sta venenno 'a fine d' 'o munno...
Quando senti i fessi parlare in latino, s'approssima la fine del mondo. Cioè: quando gli sciocchi prendono il comando a parole e con i fatti, si preparono tempi grami.
30 Quanno dduje se vònno, ciento nun ce pònno...
Quando due si vogliono, cento non possono contrastarli... Cioè: È inutile opporsi all'unione di due persone che si amano
31 Me staje abbuffanno 'e zifere 'e viento.
Mi stai riempiendo di refoli di vento. - Cioè: mi stai riempiendo la testa di fandonie
32 Passa 'a vacca...
Transita la vacca. - Cioè: è poverissimo. L'espressione dialettale è una derivazione d’un espressione del basso latino: transit o passat vacuus, usata nelle dogane latine per indicare i carri transitanti senza merce, quindi non soggetti a balzelli.
33 Ògne capa è 'nu tribbunale
Ogni testa è un tribunale - Cioè:ognuno decide secondo il proprio metro valutativo.
34 'O pesce fète d''a capa.
Il pesce puzza dalla testa. Cioè: il cattivo esempio parte dall'alto.
35 Pare 'a varca 'e mastu tTore:a poppa cumbattevano e nun 'o sapevano a propra...
Sembra la barca di mastro Salvatore: a poppa combattevano e lo ignoravano a prua - Cioè:il massimo della disorganizzazione!...
36 Mazze e panelle, fanno 'e figlie bbelle...,panelle senza mazze, fanno 'e figlie pazze!
Botte e cibo saporito, fanno i figli belli, cibo senza percosse fanno i figli matti! - Cioè: nell'educazione dei figli occorre contemperare le maniere forti con quelle dolci.
37 Chi s'annammora d''e capille e d''e diente, s'annammora 'e niente...
Chi si lascia conquistare dai capelli e dai denti, s'innamora di niente, perché capelli e denti sono beni che sfioriscono presto..
38 Chiagnere cu 'a zizza 'mmocca...
Piangere con la tetta in bocca - Cioè: piangere ingiustificatamente
39Guàllere e ppazze, venono 'e razza...
Ernie e pazzia sono ereditarie(non si possono eludere).
40 'E fesse so' sempe 'e primme a se fà sèntere...
I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi sono sempre i primi ad esprimere un parere...
41 Dicette Pulicenella:'A meglia mmedicina? Vino 'e cantina e purpette 'e cucina...
Disse Pulcinella:la miglior medicina? vino vecchio e polpette fatte in casa...
42 stanno cazza e cucchiara.
stanno secchio della calcina e cucchiaia. - Cioè:vanno di pari passo, stanno sempre insieme.
Erroneamente qualcuno riferisce il modo di dire con l’espressione: Stanno tazza e cucchiaro, espressione inesatta innanzi tutto perché la posata che accompagna la tazza, a Napoli è esclusivamente riportata come diminutivo: ‘o cucchiarino ed invece la locuzione, sulle labbra dei vecchi napoletani comporta la presenza della cucchiara arnese tipico dei muratori .
43 Stammo asseccanno 'o mare cu 'a cucciulella...
Stiamo prosciugando il mare con la conchiglia - Cioè: ci siamo imbarcati in un'impresa impossibile...
44 arrostere 'o ccaso cu 'o fummo d''a cannela.
arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati.
45 'A mala nuttata e 'a figlia femmena.
La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole.
46 Nun tené manco 'a capa 'e zi' Vicienzo.
Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'a capa 'e zi' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona senza alcun reddito, persona che pertanto non pagava tasse.
47 Dicette munsignore a 'o cucchiere:"Va' chiano , ca vaco 'e pressa!"
Disse il monsignore al suo cocchiere:"Va' piano, ché ò premura!" Ossia:la fretta è una cattiva consigliera
48 Chi d’austo nn’è vestuto ‘nu malanno ll’è venuto
chi alla fine dell' estate non si copre bene, incorrera' in qualche malattia...cioè:occorre sempre esser previdenti

49 Senza denare nun se cantano messe.
Senza denaro non si celebrano messe cantate. Cioé: tutto à il suo prezzo.

50 A cuoppo cupo poco pepe cape.
Nel cartoccetto conico pieno entra poco pepe. Cioè: chi è sazio non può riempirsi di piú(in tutti i sensi)
51 Giacchino mettette 'a legge e Giacchino fuie 'mpiso.
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso: Con riferimento a Gioacchino Murat ucciso a Pizzocalabro in attuazione di una norma da lui stesso dettata
52 A aldare sgarrupato nun s'appicciano cannele.
Ad altare druto nn portar ceri accesi. - Figuratamente: Non corteggiare donne anziane.
53 Si ll'aucielle canuscessero 'o ggrano, nun ne lassassero manco n' aceno!
Se gli uccelli conoscessero il grano, non ne lascerebbero un chicco! - Cioè: se gli uomini fossero a conoscenza di tutti i benefici che la vita offre, ne approfitterebbero sempre.
54Dicette Pulicenella: pe mare nun ce stanno taverne.
Disse Pulcinella: in mare (aperto) non vi sono ripari.
55 Scarte fruscio e piglie primera.
Cader dalla padella nella brace.
56 Va' dinto ê chiesie granne ca truove segge e scanne...
Va' nelle chiese grandi dove troverai sedie e scranni - Cioè: Chi vuol qualcosa lo deve cercare nei negozi piú grandi che sono i piú forniti.
57 Femmene, ciucce e crape tenono tutte una capa.
Donne, asini e capre ànno tutti una testa.
58 Ll'ommo cu 'a parola e 'o vojo cu 'e ccorne.
L'uomo si conquista con la parola, il bue per le corna.
59'Ntiempo'e tempesta, ogne pertuso è ppuorto!
In caso di necessità, qualunque buco può servire da porto!
60Tengo ‘e lappese a quadriglie’ ca m’abballano ‘ncapa
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus poi corrotto in quadrellatus,donde quadrigliè antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno,ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra , per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, aveva l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo e mal di testa e malumore
61 M’hê dato ‘o llardo‘int’ â fijura
Letteralmente:Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant' Antonio Abate a Napoli che gestivano in piazza Carlo III un ospedale per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi. Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate
.Pur se benedetto la quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna

62.
62 Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
63 Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murí addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
64E' gghiuta 'a mosca dint' a 'o Viscuvato...
Letteralmente: E' finita la mosca nella Cattedrale. E' l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
65 Cu 'nu sí te 'mpicce e cu 'nu no te spicce.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
66 Tené'a salute d' 'a carrafa d’’a zecca.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.

67 Lasseme stà ca stongo'nquartato!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
68 Se fruscia Pintauro, d''e sfugliatelle jute 'acito.
Si vanta PINTAURO delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo detto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
69 Carcere, malatia e necissità, se scanaglia 'o core 'e ll'amice.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.

70 AJE VOGLIA ‘E METTERE RUMMA, ‘NU STRUNZO NUN ADDEVENTA MAJE BABBà.
Letteralmente:Puoi anche esagerare nell’irrorarlo di rum, uno stronzo non potrà mai diventare babà...E’ l’icastica e piú divertente trasposizione dell’asettico adagio italiano:Chi nasce quadro non muore tondo
71 Nisciuno te dice: Lavate 'a faccia ca pare cchiú bbello 'e me.
Nessuno ti dice: Lavati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
72 Quann' uno s'à dda 'mbriancà, è mmeglio ca 'o ffa cu 'o vino bbuono.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
73 Sciorta e cauce 'nculo, viato a cchi 'e ttène!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
74 Ancappa pe primmo, fossero pure mazzate!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
75 A pavà e a murí, quanno cchiú ttarde se pò.
A pagare e morire, quando piú tardio sia possibile! E' la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
76 'Na vota è prena, 'na vota allatta, nun 'a pozzo maje vatte'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.

77 Lèvate 'a miezo, famme fà 'o spezziale.
Letteralmente: togliti di torno, lasciami fare lo speziale...Id est:lasciami lavorare in pace - Lo speziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie. Sia l'erborista che il farmacista erano soliti approntare specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
78 Articolo quinto:chi tène 'mmano à vinto!
La locuzione traduce quasi in forma di brocardo scherzoso il principio civilistico per cui il possesso vale titoloInfatti chi tène 'mmano, possiede e non è tenuto a dimostrare il fondamento del titolo di proprietà.In nessuna pandetta giuridica esiste un siffatto articolo quinto, ma il popolo à trovato nel termine quinto una perfetta rima al participio vinto.
79 Cu muonece, prievete e ccane, he 'a stà sempe cu 'a mazza 'mmano.
Con monaci, preti e cani devi tener sempre un bastone fra le mani. Id est: ti devi sempre difendere.

80 Chi fraveca e sfraveca, nun perde maje tiempo.
Chi fa e disfa, non perde mai tempo. La locuzione da intendersi in senso antifrastico, si usa a commento delle inutili opere di taluni, che non portano mai a compimento le cose che cominciano, di talché il loro comportamento si traduce in una perdita di tempo non finalizzata a nulla.
81 'A sciorta d' 'o piecoro: nascette curnuto e murette scannato...
Letteralmente: la cattiva fortuna del becco: nacque con le corna e morí squartato. La locuzione è usata quando si voglia sottolineare l'estrema malasorte di qualcuno che viene paragonato al maschio della pecora che oltre ad esser destinato alla fine tragica della sgozzatura deve portare anche il peso fisico e/o morale delle corna.
82 E' fernuta 'a zezzenella!
Letteralmente: è terminata - cioè s'è svuotata - la mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
83 E' mmuorto 'alifante!
Letteralmente: E' morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussieguo, della tua importanza, non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussieguo , si ricollega ad un fatto accaduto sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era piú tempo di darsi arie...
84 Chi se fa puntone, 'o cane 'o piscia 'ncuollo...
Letteralmente: chi si fa spigolo di palazzo o angolo di strada, il cane gli minge addosso. E'l'icastica e piú viva trasposizione dell'italiano: "Chi si fa pecora, il lupo se la mangia" e la locuzione è usata per sottolineare i troppo arrendevoli comportamenti di coloro che o per codardia o per ingenuità, non riescono a farsi valere
85Tròvate chiuso e piérdete chist' accunto...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente.
86 E' mmeglio a essere parente a 'o fazzuletto ca a 'a coppola.
Conviene esser parente della donna piuttosto che dell' uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è tenuta maggiormente in considerazione la famiglia d'origine della sposa che quella dello sposo.
87 Ogne strunzo tene 'o fummo suio.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo. Id est:ogni sciocco à modo di farsi notare
88 Cunsiglio 'e vorpe, rammaggio 'e galline.
Lett.:consiglio di volpi, danno di galline. Id est: Quando confabulano furbi o maleintenzionati, ne deriva certamente un danno per i piú sciocchi o piú buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze.
89 Chiacchiere e tabbacchere 'e lignammo, 'o bbanco nun ne 'mpegna.
Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non sono prese in pegno dal banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel 1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino. La locuzione proclama la necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate azioni, improbabili e vacue promesse.

90 Femmene e gravune: stutate tégnono e appicciate còceno.
Letteralmente: donne e carboni: spenti tingono e accesi bruciano. Id est: quale che sia il loro stato, donne e carboni sono ugulmente deleterii.
91 Vení armato 'e pietra pommece, cuglie cugli e fierre 'e cazette.
Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi sottili e ferri(piú doppi)da calze ossia di tutto il necessario ed occorrente per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto in quanto armati degli strumenti adatti.
92 Jí stocco e turnà baccalà.
Letteralmente: andare stoccafisso e ritornare baccalà. La locuzione viene usata quando si voglia commentare negativamente un'azione compiuta senza che abbia prodotto risultati apprezzabiliIn effetti sia che lo si secchi-stoccafisso-, sia che lo si sali-baccalà- il merluzzo rimane la povera cosa che è.
93 Essere ll'urdemu lampione 'e Forerotta.
Letteralmente:essere l'ultimo fanale di Fuorigrotta. Id est: Non contare nulla, non servire a niente. La locuzione prese piede verso la fine dell' '800 quando l'illuminazione stradale napoletana era fornita da fanali a gas in numero di 666; l'ultimo lampione (fanale) contraddistinto appunto col numero 666 era situato nel quartiere di Fuorigrotta, zona limitrofa di Napoli, per cui il fanale veniva acceso per ultimo, quando già splendevano le prime luci dell' alba e la di lui utilità veniva ad essere molto limitata.
94 Jí truvanno a Cristo dinto a la pina.
Letteralmente: cercare Cristo nella pigna. Id est:impegnarsi in una azione difficoltosa,lunga e faticosa destinata a non aver sempre successo. Anticamente il piccolo ciuffetto a cinque punte che si trova sui pinoli freschi era detto manina di Cristo, andarne alla ricerca comportava un lungo lavorio consistente in primis nell'arrostimento della pigna per poi cavarne gli involucri contenenti i pinoli, procedere alla loro frantumazione e giungere infine all'estrazione dei pinoli contenuti;spesso però i singoli contenitori risultavano vuoti e di conseguenza la fatica sprecata.
95 Quanno te miette 'ncopp' a ddoje selle, primma o poie vaje cu 'o culo 'nterra.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio
96 'E fatte d' 'a tiana 'e ssape 'a cucchiara.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza.
97Senza 'e fesse nun caparriano 'e deritte
Senza gli sciocchi, non vivrebbero i dritti. Id est: i furbi prosperano perché c'è chi glielo permette, non per loro forza intrinseca.
98Nun fà pírete a chi tene culo...
Non fare scorregge contro chi à sedere. Id est: Non metterti contro chi à mezzi adeguati e sufficienti per risponderti per le rime...

99 Quanno 'o piro è ammaturo, cade senza turceturo.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone. IL turceturo è un bastone uncinato atto a pigare il ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id Est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere.
100 Jirsene a cascetta(te ne vaie a cascetta!.
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone: il posto piú alto, ma anche il piú scomodoe il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
101 A' casa d' 'o ferraro, 'o spito 'e lignamme...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata professionalità ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
102 Pigliatella bbella e coccate pe tterra.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie comporta danno e sofferenze.
103 Abbaccà cu chi vence.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
104 Quanno 'a cunnimma è ppoca, se ne va p' 'a tiella.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
105 Jammo, ca mo s'aiza!
Muoviamoci ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per un avviso generico sull'imminenza di una qualsiasi attività.
106 Voca fora ca 'o mare è maretta...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere
107 Mettere ll'uoglio 'a copp' a 'o peretto.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
108 Quanno jesce 'a strazziona, ogne ffesso è prufessore...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
109 'A moneca 'e Chianura:muscio nun 'o vuleva ma tuosto le faceva paura...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane. La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...


110 Fà 'e scarpe a uno e coserle 'nu vestito.
Letteralmente:confezionare scarpe ad uno e cucirgli un vestito.Id est: far grave danno a qualcuno o augurargli di decedere.Un tempo alla morte di qualcuno gli si metteva indosso un abito nuovo e gli si facevano calzare scarpe approntate a bella posta.
111 Tiene 'a casa a ddoje porte.
Letteralmente: Ài la casa con due porte d'ingresso.Locuzione ingiuriosa in cui si adombra l'infedeltà della moglie di colui cui la frase viene rivolta.In effetti la casa con due usci d'ingresso consentirebbe l'entrata e l'uscita del marito e dell'amante senza che i due venissero a contatto.
112 Fà acqua 'a pippa.
Letteralmente:La pipa versa acqua. Id est: la miseria è grande. la locuzione è usata a commento del grave stadio di indigenza di qualcuno.. La pipa in questione non è l'attrezzo per fumare, bensí la botticella spagnola oblunga chiamata pipa nella quale si usa conservare vino o liquore,qualora invece versasse acqua ivi contenuta indicherebbe che il prprietario è in uno stato di cosí grave miseria da non poter conservare né vino, né liquore, ma solo acqua...
113 Sant'Antuono, sant' Antuono teccote 'o viecchio e damme 'o nuovo e dammillo forte forte, comme 'a varra 'e areto a' porta...
Sant' Antonio, sant' Antonio eccoti il vecchio e dammi il nuovo, e dammelo forte, forte come la stanga di dietro la porta. La filastrocca veniva recitata dai bambini alla caduta di un dente, anche se non si capisce perché si invochi sant' Antonio, che poi non è il santo da Padova, ma è il santo anacoreta egizio.
114 Facesse 'na culata e ascesse 'o sole!
Letteralmente: Facessi un bucato e spuntasse il sole!Id est: avessi un po' di fortuna...La frase viene profferita con amarezza da chi veda il proprio agire vanificato o per concomitanti contrari avvenimenti o per una imprecisata sfortuna che ponga il bastone tra le ruote, come avverrebbe nel caso ci si sia dedicati a fare il bucato e al momento di sciorinarlo ci si trovi a doversi adattare ad una giornata umida e senza sole ,cosa che impedisce l'ascigatura dei panni lavati. 'a culata è appunto il bucato ed è detto colata per indicare il momento della colatura ossia del versamento sui panni, sistemanti in un grosso capace contenitore,dell'acqua bollente fatta colare sui panni attraverso un telo sul quale , temporibus illis, era sistemata la cenere ricca di per sé di soda(in sostituzione di chimici detergenti), e pezzi di arbusti profumati(per conferire al bucato un buon odore di pulito)...
115 Carta vène e giucatore s'avanta...
La sorte lo soccorre fornendoglii carte buone che gli permettono di vincere, ed il giocatore se ne vanta, come se il merito della vittoria fosse da attribuire alla sua abilità e non alla fortuna di aver avuto un buon corredo di carte vincenti. La locuzione è usata per commentare l'eccessiva autoesaltazione di taluni che voglion far credere di essere esperti e capaci, laddove son solo fortunati!
116 'A femmena è 'nu vrasiere, ca s'ausa sulo a' sera.
La donna è un braciere che si usa solo di sera. Locuzione violentemente antifemminista che riduce la donna ad un dispensatore di calore da usare però parsimoniosamente solo a sera, nel letto
117 Ammore, tosse e rogna nun se ponno annasconnere.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare:ànno manifestazioni troppo palesi.
118 Parono 'o serveziale e 'o pignatiello.
Sembrano il clistere e il pentolino. La locuzione viene usata per indicare due persone che difficilmente si separano, come accadeva un tempo quando i barbieri che erano un po' anche cerusici,chiamati per praticare un clistere si presentavano recando in mano l'ampolla di vetro atta alla bisogna ed un pentolino per riscaldarvi l'acqua occorrente...
119 Quanno chiovono passe e ficusecche.
Letteralmente: quando piovono uva passita e fichi secchi - Id est: mai. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare l'impossibilità di un accadimento che si pensa possa avverarsi solo quando dal cielo piovano leccornie, cosa che avvenne una sola volta quando il popolo ebraico ricevette il dono celeste della manna...

120 Chi ato nun tène, se cocca cu 'a mugliera...
Chi non à altre occasioni, si accontenta di sua moglie, id est:far di necessità virtú.
121 Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna!
Non sputare verso il cielo, perché ti ricadrebbe in volto! Id est: le azioni malevole fatte contro la divinità, ti si ritorcono contro.
122 Chijarsela a libbretta.
Letteralmente:piegarsela a libretto. E' il modo piú comodo dper consumare una pizza, quando non si può farlo comodamente seduti al tavolo e si è costretti a farlo in piedi. Si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento. Id est: obtorto collo, per necessità far buon viso a cattivo gioco.
123 Vennere 'a scafarea pe sicchietiello.
Letteralmente:Vendere una grossa insalatiera presentandola come un secchiello.Figuratamente,la locuzione la si adopera nei confronti di chi decanta la nettezza dei costumi di una donna, notoriamente invece è stata conosciuta biblicamente da parecchi.
124 S'è arreccuto (o arrennuto) Cristo cu 'nu paternostro.
Illudersi di cavarsela con poca fatica e piccolo impegno, come chi volesse ingraziarsi Iddio e trarlo dalla propria parte con la semplice recita di un solo pater.
125 'E sàbbato, 'e súbbeto e senza prevete!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
126 A pesielle ne parlammo.
Letteralmente: Parliamone al tempo dei piselli -(quando cioè avremo incassato i proventi della raccolta e potremo permetterci nuove spese...) Id est: Rimandiamo tutto a tempi migliori.
127 Jí cercanno ova 'e lupo e piettene 'e quinnice.
Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose introvabili o impossibili; nulla quaestio per le uova di lupo che è un mammifero per ciò che concerne i pettini bisogna sapere che un tempo i piú conosciuti nel popolo erano i pettini dei cardalana e tali attrezzi non contavano mai piú di tredici denti...
128 Chi tène mali ccerevelle, tène bboni ccosce...
Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli conseguenti del proprio cattivo intendere.
129 Mettere 'o ppepe 'nculo a' zòccola.
Letteralmente:introdurre pepe nel deretano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora si navigava, capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci solcassero i mari grossi topi, che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie, poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa, gode ad attizzare il fuoco della discussione...

130 Pure 'e pulice tenono 'a tosse...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere.
131 Dice bbuono 'o ditto 'e vascio quanno parla della donna: una bbona ce ne steva e 'a facettero Madonna...
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'MPARAVISO del grande poeta Ferdinando Russo
132 Dicere 'a messa cu 'o tezzone.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi.
133
134Chello è bbello 'o prutusino, va 'a gatta e ce piscia a coppa...
Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...
135 Quanno vide 'o ffuoco a' casa 'e ll'ate, curre cu ll'acqua a' casa toja...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura.
136 Giorgio se ne vò jí e 'o vescovo n' 'o vò caccià.
Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
137 Fa mmiria a 'o tre 'e bastone.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio.
138 Si 'a fatica fosse bbona, 'a facessero 'e prievete.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente. Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
139 Avimmo cassato n' atu rigo 'a sott' a 'o sunetto.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni di per sè non abbondanti...

140 He vippeto vino a una recchia.
Ài bevuto vino a una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che fa reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi à agito dopo di aver bevuto vino scadente.
141 Purtà'e fierre a sant' Aloja.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
142 'O Pataterno 'nzerra 'na porta e arape 'nu purtone.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
143Nun tené pile 'nfaccia e sfottere 'o barbiere
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si erge ad ipercritico e spaccone.
144 E' gghiuto 'o caso 'a sotto e 'e maccarune 'a coppa.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
145À fatto marenna a sarachielle.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
146 Fà ll'arte 'e Michelasso: magnà, vevere e gghí a spasso.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
147 So' ghiute 'e prievete 'ncopp''o campo
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:i preti erano costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...
148 Nun vulè nè tirà, nè scurtecà...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità, come certi operai conciatori di pelle quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla scuoiatura.
149 Accunciarse quatt' ove dinto a 'nu piatto.
Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...).

150 Farse 'nu purpetiello.
Bagnarsi fino alle ossa come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
151 Jí a ppère 'e chiummo.
Andare con i piedi di piombo - Cioè: con attenzione e cautela.
152 Tené'a sciorta 'e Maria Vrenna.
Avere la sorte di Maria DI Brienne - Cioè:perder tutti propri beni ed autorità come accadde a Maria di Brienne sfortunata consorte di Ladislao di Durazzo, ridotta alla miseria alla sua morte (1414) dalla di lui sorella Giovanna II succedutagli sul trono.
153Jí a 'o battesimo, senza criatura.
Recarsi a battezzare un bimbo senza portarlo... - Cioè comportarsi in maniera decisamente errata, mettendosi nella situazione massimamente avversa all'opera che si vorrebbe intraprendere.
154 Pare ca s''o zucano 'e scarrafune...
Sembra che se lo succhino gli scarafaggi.- E' detto di persona cosí smunta e rinsecchita da sembrar che abbia perduto la propria linfa vitale preda degli scarafaggi, notoriamente avidi di liquidi.
155Abbruscià 'o paglione...
Incendiare il pagliericcio - Cioè darsi alla fuga, alla latitanza, lasciando dietro di sé terra bruciata, come facevano le truppe sconfitte che incendiavano i propri accampamenti, dandosi alla fuga.(procurare un danno definitivo)
156Ogne scarrafone è bbello a mmamma soja...
Ogni blatta(per schifosa che sia)è bella per la sua genitrice - Ossia: per ogni autore la sua opera è bella e meritevole di considerazione.
157S’è aunito, ‘a funicella corta e ‘o strummolo a tiriteppole…
Si sono uniti lo spago corto e la trottolina scentrata - Cioè si è verificata l'unione di elementi negativi che compromettono la riuscita di un'azione...
158Chi saglie ‘ncopp’ê ccorna ‘e chillo, pô dà ‘a mano ô Pataterno.
Chi si inerpica sulle corna di quello, può stringer la mano al Signore -(tanto sono alte...)- Iperbole per indicare un uomo molto tradito dalla moglie.
159Quanno 'o diavulo tuoio jeva a' scola, 'o mio era maestro.
Quando il tuo diavolo era scolaro, il mio era maestro - Cioè: non credere di essermi superiore in intelligenza e perspicacia.

160'O CANE MOZZECA 'O STRACCIATO.
IL CANE ASSALE CHI VESTE DIMESSO - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
161Tre songo 'e putiente:'o papa, 'o rre e chi nun tène niente...
TRE SONO I POTENTI DELLA TERRA:IL PAPA, IL RE E CHI NON POSSIEDE NULLA
162E’ ghiuta ‘a fessa 'mmano a 'e criature, 'a carta 'e musica 'mmano a 'e barbiere, 'a lanterna 'mmano a 'e cecate...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.

163 A 'o pirchio pare ca 'o culo ll'arrobba 'a pettula...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
164 Chi fatica'na saraca, chi nun fatica, 'na saraca e mmeza.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
165 'A MAMMA D''E FESSE è SEMPE INCINTA.
LA MAMMA DEGLI SCIOCCHI è SEMPRE INCINTA - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
166 Dicette 'o pappice vicino a' noce: Damme 'o tiempo ca te spertoso!
L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince!
167 A ghiennere e nepute, chello ca faje è tutto perduto.
A generi e nipoti quel che fai, è tutto perso - Cioè: va perduto il bene fatto ai parenti prossimi

168 'O figlio muto, 'a mamma 'o 'ntenne.
Il figlio muto è compreso dalla madre - Lo si dice di due persone che abbiano un'intesa perfetta.
169 San Luca nce s'è spassato...
San Luca ci si è divertito...- Lo si dice di una donna cosí bella che sembra dipinta dal pennello di San Luca, che la tradizione vuole pittore. Ma anche in senso antifrastico quando ci si imbatte in una donna decisamente brutta.
170 Quanno siente 'o llatino d' 'e fesse, sta venenno 'a fine d' 'o munno...
Quando senti i fessi parlare in latino, s'approssima la fine del mondo. Cioè: quando gli sciocchi prendono il comando a parole e con i fatti, si preparono tempi grami.
171 Quanno dduje se vònno, ciento nun ce pònno...
Quando due si vogliono, cento non possono contrastarli... Cioè: E' inutile opporsi all'amore di due persone che si amano
172 Me staje abbuffanno 'e zifere 'e viento.
Mi stai riempiendo di refoli di vento. - Cioè: mi stai riempiendo la testa di fandonie
173 Passa 'a vacca...
Transita la vacca. - Cioè: è poverissimo. L'espressione dialettale è una derivazione dal latino: transit vacuus, usata nelle dogane latine per indicare i carri transitanti senza merce, quindi non soggetti a balzelli.
174Ògne capa è 'nu tribbunale
Ogni testa è un tribunale - Cioè:ognuno decide secondo il proprio metro valutativo.
175'O pesce fète d''a capa.
Il pesce puzza dalla testa. Cioè: il cattivo esempio parte dall'alto.
176 Pare 'a varca 'e mastu tTore:a poppa cumbattevano e nun 'o sapevano a propra...
Sembra la barca di mastro Salvatore: a poppa combattevano e lo ignoravano a prua - Cioè:il massimo della disorganizzazione!...
177 Mazze e panelle, fanno 'e figlie bbelle...,panelle senza mazze, fanno 'e figlie pazze!
Botte e cibo saporito, fanno i figli belli, cibo senza percosse fanno i figli matti! - Cioè: nell'educazione dei figli occorre contemperare le maniere forti con quelle dolci.

178 Chi s'annammora d''e capille e d''e diente, s'annammora 'e niente...
Chi si lascia conquistare dai capelli e dai denti, s'innamora di niente, perché capelli e denti sono beni che sfioriscono presto..
179Chiagnere cu 'a zizza 'mmocca...
Piangere con la tetta in bocca - Cioè: piangere ingiustificatamente
180 Guàllere e ppazze, venono 'e razza...
Ernie e pazzia sono ereditarie(non si possono eludere).
181 'e fesse so' sempe 'e primme a se fà sèntere...
I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi sono sempre i primi ad esprimere un parere...
182 Dicette Pulicenella:'A MEGLIA MMEDICINA? VINO 'E CANTINA E PURPETTE 'E CUCINA...
Disse Pulcinella:LA MIGLIOR MEDICINA? VINO STAGIONATO E POLPETTE FATTE IN CASA...
183 STANNO CAZZA E CUCCHIARA.
STANNO SECCHIO DELLA CALCINA E CUCCHIAIA. - Cioè:vanno di pari passo, stanno sempre insieme.
184 Stammo asseccanno 'o mare cu 'a cucciulella...
Stiamo prosciug ando il mare con la conchiglia - Cioè: ci siamo imbarcati in un'impresa impossibile...
185 arrostere 'o ccaso cu 'o fummo d''a cannela.
arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati.
186 'A mala nuttata e 'a figlia femmena.
La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole


187 Nun tené manco 'a capa 'e zi' Vicienzo.
Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'a capa 'e zi' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona senza alcun reddito, persona che pertanto non pagava tasse.

188 Va' dinto 'e chiesie granne ca truove segge e scanne...
Va' nelle chiese grandi dove troverai sedie e scranni - Cioè: Chi vuol qualcosa lo deve cercare nei negozi piú grandi che sono i piú forniti.
189 Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
190 Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
191 'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
192 'A gatta, pe gghí 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
193 Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
194 Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murí addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
195 E' gghiuta 'a mosca dint' a 'o Viscuvato...
Letteralmente: E' finita la mosca nella Cattedrale. E' l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...

196 Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
197 Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
198 'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
199 'A gatta, pe gghí 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
200 Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
201 Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murí addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
202 E' gghiuta 'a mosca dint' a 'o Viscuvato...
Letteralmente: E' finita la mosca nella Cattedrale. E' l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...

brak