SCARDA & DINTORNI
Sollecitato dall’amico L.P. (al solito, motivi di privatezza mi impongono di non riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) mi occuperò della voce in epigrafe, per segnalarne la doppia valenza (positiva o negativa) determinata da un eventuale specificativo che accompagnasse il sostantivo scarda; di per sé la voce scarda, che è pari pari anche nel siciliano, nel pugliese ed in altri linguaggi meridionali, considerata da sola e senza aggiunte specificative vale: pezzo, scheggia frammento, scaglia (di legno, di vetro o di altro); per ciò che attiene l’etimo, il D.E.I. si trincera dietro un pilatesco etimo incerto una scuola di pensiero (C. Iandolo) propone una culla tedesca sarda= spaccatura, qualche altro (Marcato) opta per una non spiegabile, a mio avviso, derivazione da cardo che dal lat. cardu(m) indica quale s. m.
1 pianta erbacea con foglie lunghe, carnose, di colore biancastro, commestibili (fam. Composite) | cardo mariano, pianta erbacea con foglie grandi e infiorescenze globose a capolino (fam. Composite) | cardo dei lanaioli, pianta erbacea con foglie fortemente incise e infiorescenze a capolino, di colore azzurro, con brattee uncinate, usate per cardare la lana e pettinare le stoffe (fam. Dipsacacee)
2 il riccio della castagna
ed ognuno vede che non v’à alcun collegamento semantico possibile tra questa pianta ed un pezzo, scheggia frammento, scaglia (di un qualcosa).
A mio modo di vedere è molto piú opportuno chiedere soccorso etimologico al francese écharde: scheggia.
Sistemata cosí la questione etimologica, affrontiamo quella semantica ricordando che in napoletano con l’accrescitivo femminile scardona la voce in epigrafe assume un significato del tutto positivo valendo gran bel pezzo di ragazza,di donna; con la voce scardona viene infatti indicata una donna giovane, bella, alta, formosa fino ad esser procace; al contrario una valenza affatto negativa la voce in epigrafe l’assume nell’espressione sî‘na scarda ‘e ruagno che ad litteram è: sei un coccio di vaso da notte Cosí con gran disprezzo si usa definire chi sia sozzo, spregevole ed abietto al punto da poter essere paragonato ad un lercio coccio di un vaso da notte infranto, vaso che è piú piccolo e basso di quello detto càntaro o càntero.
Per ciò che attiene alla etimologia della parola ruagno, dirò che essendo solitamente questo vaso di comodo ubicato nei pressi del letto per essere prontamente reperito in caso di impellente necessità, scartata l’ipotesi fantasiosa che ne fa derivare il nome da un troppo generico greco organon (strumento), penso si possa aderire all’ipotesi che fa derivare il ruagno da altro termine greco, quel ruas che indica lo scorrere, atteso che il ruagno era ed in alcune vecchie case dell’entroterra campano ancóra è destinato ad accogliere improvvisi scorrimenti viscerali o derivanti da cattiva ritenzione idrica.
Rammento a mo’ di completamento le voci
càntaro o càntero alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, vaso deputato a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntaro o càntero è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea
cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
E qui mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento.
Raffaele Bracale
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