OSTERIA, BETTOLA, TRATTORIA & DINTORNI
Questa volta su suggerimento/richiesta dell’amico E. V. amico di cui, al solito, (per questione di privatezza) mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome, prendo in esame le voci italiane in epigrafe altre omologhe, e le corrispondenti del napoletano con una parte di quelle collegate. Cominciamo con
Osteria s.vo f.le 1 locale pubblico dove si servono vino e altre bevande e, spesso, anche pasti alla buona;
2 (ant.) locanda, albergo; è un locale gestito da un oste o una ostessa ed etimologicamente la voce a margine deriva appunto dal fr. ant. oste (mod. hôte), che continua il lat. (h)os(pi)te(m) 'chi dà o riceve ospitalità'; a margine della voce osteria mi piace ricordare l’espressione Fare i cónti senza l’oste espressione di cui ò già detto ad abundatiam
Al suo proposito mi son sempre chiesto perché mai nell'immaginario comune si mettano in relazione ipotetici cónti con un ancóra piú ipotetico oste (titolare cioè di una mescita di vini o di un’osteria/trattoria); la mia idea è che in realtà l'oste richiamato non sia esattamente un padrone di taverna, ma con ogni probabilità la parola oste richiamata nell’espressione altro non sia che la corruzione e volgarizzazione non di hospitem, ma del latino hostis (nemico) per cui l'espressione risulterebbe piú acconciamente recitare: fare i conti senza il nemico! e significherebbe che quale che siano i cónti o quale che sia un ipotetico nemico da esso non si possa o debba prescindere e bisognerebbe tenerlo in piú alta considerazione nella valutazione delle possibilità di riuscita di un accadimento cui ci si dedicasse, risultando sciocco ed erroneo prescindere dall'attiva presenza d'un probabile nemico.
Reputo che lètta cosí l'espressione sia o possa essere un po' piú valida di quella che fa riferimento ad un ipotetico taverniere. Proseguiamo e passiamo ad altre voci:
trattoria s.vo f. locale pubblico, di scarsa eleganza, dove si consumano pasti a pagamento: mangiare in trattoria; una trattoria rustica: è un locale gestito da un trattore (dal fr. traiteur, deriv. di traiter 'trattare') donde etimologicamente la voce a margine;
béttola, s.vo f. osteria di infimo ordine; taverna: linguaggio, discorsi da béttola, volgari. etimologicamente la voce a margine vien collegata (D.E.I.) al participio passato bibitus del verbo bibere oppure ad una forma piú elaborata del s.vo bàita=capanna, piccola costruzione di sassi o di legno, usata come ricovero in alta montagna.(quanto all’etimo questa bàita è forse voce connessa con l'ant. alto ted. Wahta 'guardia'); ora per quanto si possa arzigogolare,e metterci buona volontà non mi riesce in alcun modo di cogliere il nesso semantico tra una capanna, piccola costruzione di sassi o di legno, usata come ricovero in alta montagna ed un locale, sia pure di infimo ordine, destinato alla mescita di vini o alla consumazione di pasti alla buona; no, no; etimologicamente mi appare decisamente migliore la strada che parte da bibitus→bibtus→bittus + ola (suff. diminutivo)e perviene a bittola→ bettola;
locanda. s.vo f. ; taverna ed albergo economico, di modesto livello; trattoria con alloggio. Quanto all’etimo si tratta di voce derivata dalla locuzione latina(sunt) locanda (ci)(sono) (stanze) da affittare' (gerundivo f. di locare 'affittare'), scritta un tempo sui muri delle case da affittare; il neutro plurale locanda fu poi inteso femminile sg.
Esaminate le voci dell’italiano, passiamo a quelle del napoletano, cominciando con una voce passata anche nel lessico della lingua ufficiale:
Taverna s. f.
1 (ant.) bottega,
2 osteria, béttola di infimo ordine,
3 trattoria popolare. Quanto all’etimo si tratta di voce derivata dal lat. taberna(m) 'osteria, magazzino';
A proposito della voce a margine rammento i seguenti versi di un’ iscrizione posta sulla porta della taverna del Cerriglio(sec.XVII-XVIII):
: Magnammo, amice mieje, e ppo vevimmo
nfino ca nce sta ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
(Mangiamo, amici miei e beviamo
finchè c’è olio nella lampada (id est: finchè siamo in vita)
chissà se all’altro mondo ci vedremo, chissà se all’altro mondo esisterà una bettola (dove sbevazzare…).
La taverna del Cerriglio fu la piú famosa osteria, béttola di infimo ordine napoletana ubicata in zona porto nei secc. XVII – XVIII e s’ebbe il nome di Cerriglio perché nella zona dove si trovava la suddetta taverna esisteva un folto gruppo di querce (in napoletano la quercia è détta: cerriglio dal lat. cerrum→cerrillu(m)→cerriglio ) e con tale spiegazione (cfr. I.Doria) ci si libera per sempre anche delle fantasiose postulazioni del Basile (cerriglio= apportatrice di gioia (???n.d.r.)), del Celano (cerriglio= soprannome(???n.d.r.) dell’oste gestore della taverna , del D’Ambra (cerriglio= ciuffo dei bravi(???n.d.r.) idea derivata dalla pretesa che détta taverna fosse frequentata da gente di malaffare e non da onesti lavoratori portuali ), e del Croce che si inventò gratuitamente un corrillerus→cerriglio = furfanti che frequentavano la taverna.
Cantina s. f.
1 stanza o insieme di stanze, di solito interrate o seminterrate, dove si produce o si conserva il vino; per estens., locale nello scantinato di un edificio | cantina sociale, cooperativa che cura la vinificazione delle uve di diversi produttori (soci) | scennere dint’ â cantina, nel gergo teatrale, calare di tono nel recitare o nel cantare.
2 (fig.) luogo umido e buio,
3 bottega o locale in cui si vende o si consuma vino al minuto e talvolta frugali pasti da cucina familiare. Quanto all’etimo si tratta di voce derivata dal lat. canthus=angolo appartato + il suff. ina da inus;
Lucanna s.vo f. locanda, albergo economico, di modesto livello; trattoria con alloggio, alloggio di fortuna; etimologicamente come per l’italiano dalla locuzione lat. (sunt) locanda '(ci)(sono) (stanze) da affittare' (gerundivo f. di lŏcare 'affittare'), scritta presente un tempo sui muri delle case da affittare; il neutro plurale locanda fu poi inteso femminile sg. ; normale, nel napoletano l’assimilazione progressiva nd→nn; è invece un’eccezione il passaggio della ŏ ad u.Una delle piú note espressioni usate a Napoli per indicare una trattoria con alloggio di modestissimo livello fu ‘a lucanna ‘e capo e ccora (la locanda di testa e coda) che non indicò una determinata ben precisa locanda, ma fu espressione usata per indicare ogni albergo economico, di modestissimo livello; una trattoria di scarsissimo tenore con alloggio di fortuna tanto rabberciato che i clienti erano o fossero costretti iperbolicamente a dormire in due per ogni lettuccio (non matrimoniale) sistemandosi l’uno accanto all’altro, ma in posizione inversa con la testa dell’uno quasi a contatto con i piedi dell’altro;
strazzúllo/strazzulíllo s.vo m.
1 in primis lo strazzúllo è una cella carceraria per l’isolamento dei carcerati pericolosi e poi, per ampliamento semantico, anche un’abitazione piccola, malmessa,sporca e disordinata.
2 il diminutivo strazzulíllo è usato per indicare un generico piccolo e malmesso locale, generalmente periferico,posto su strade di campagna o fuori mano usato come bettola , o talvolta come albergo economico, di modestissimo livello; o come trattoria dove si servono frugali, ma spesso gustosi pasti da cucina economica/familiare; etimologicamente sia strazzúllo, che ovviamente il diminutivo strazzulíllo sono, per adattamento, continuazione del lat. statio nom., 'sosta, fermata', deriv. di stare 'stare'; nel caso di strazzúllo si è partiti da statio ampliato poi attraverso l’epentesi della r + il suff. diminutivo tonico úllo: statio→strazzo→strazzúllo;
per giungere a strazzulillo alla voce strazzúllo si è aggiunto un secondo suff. diminutivo tonico íllo rendendo scempia la geminata ll di ullo.
Rammento ora alcune voci napoletane relative a quelle fin qui trattate; abbiamo:
- bancone accrescitivo di banco mobile spesso a forma di sedile, generalmente in legno, di varia foggia e con vari complementi a seconda degli usi a cui è destinato; ( etimologicamente dal tedesco bank) tali mobili, spessissimo alti e con ripiani marmorei sono usati nei negozî (osterie, cantine, taverne etc.) ,e/o altri negozî in ispecie di generi alimentari per servir le merci agli avventori, ed un tempo furono usati al medesimo scopo anche nei mercati rionali ed ivi erano collocati non in un negozio, ma sulla pubblica strada, offrendo di notte un comodo riparo a chi non avesse dove piú acconciamente alloggiare;
- taffiatorio di per sé lauta e sontuosa mangiata e bevuta, ma anche restrittivamente lunga ed eccessiva bevuta; la voce etimologicamente risulta essere un deverbale di taffià/are verbo che fu anche nell’antico italiano con probabile origine o da una non meglio chiarita o attestata voce espressiva *taf (cosí il D.E.I.) ma a mio avviso, sulle orme del Pianigiani, reputo che si possa pensare con molta probabilità al latino tabula attraverso un verbo*tabulare→tablare→taflare→taffiare =mangiare o bere ingordamente ed abbondantemente; oltre la voce a margine il verbo taffià generò anche il sostantivo taffio= pasto;
- lampa di per sé fiamma, ma anche estensivamente lampada, lume ed altrove pure quantità di vino ingollata in un’unica bevuta; spesso è usata figuratamente per significare la vita ed il suo durare; etimologicamente dal nom. sing. del latino lamp(s)-lampa(dis);
- lucerna di per sé lucerna, lampada, ma anche estensivamente generico lume ed altrove (usato impropriamente al posto di lampa) pure quantità di vino ingollata in un’unica bevuta; spesso, come nel caso dell’iscrizione menzionata sta figuratamente per significare la vita ed il suo durare; etimologicamente dal lat. tardo lucerna(m), derivata di lux- lucis 'luce';
- cisto/scisto letteralmente petrolio, ma usato nell’ambito del béttole etc. per traslato furbesco vale vino; etimologicamente la voce cisto che alcuni, ma non so se piú acconciamente, usano scrivere scisto ipotizzando buona una derivazione etimologica dal latino schistu(m) che è dal greco skhistós del verbo skìzein = dividere, ma (se si eccettua un tenue legame con la voce toscana scisto di uguale etimo e che identifica una roccia metamorfica che contiene minerali lamellari o fibrosi disposti in piani paralleli e che perciò si sfalda, si divide facilmente e dalla quale, forse scaturisce il petrolio),francamente non riesco a cogliere il nesso semantico tra il petrolio ed il verbo dividere! per cui penso che sia piú percorribile, quanto all’etimo, la strada che unisce cisto, ( scritto perciò senza alcuna s d’avvio) , all’aggettivo croato cist = netto, pulito atteso che un tempo il petrolio fu usato ed ancora talvolta lo è, oltre che quale fonte d’illuminazione, anche come liquido smacchiante e/o detergente.
- carsèlla o talvolta, con assimilazione espressiva popolare cassella letteralmente lume a petrolio, ma usato nell’ambito del béttole, taverne etc. per traslato furbesco, messo in relazione a cisto vale stomaco ed estensivamente testa, persona; voce derivata dal nome di Bertrand-Guillaume Carcel - orologiaio francese (ca. 1750-1812), inventore di un tipico lume ad olio di colza poi a petrolio usata normalmente per illuminazione domestica tra la fine del 1700 e la prima metà del 1800.
Ordunque nelle béttole, taverne e/o cantine accanto a votte, varrile, carratielle e damigiane sistemati in terra lungo le pareti limitrofe dei locali, sui tavoli ad uso degli avventori si incontravano butteglie, bicchiere, fiasche, carrafe,chiacchiaresse e perette.
Esaminiamo le singoli voci:
- vótta s.vo f. (pl. /e)= botte s. f. recipiente di legno (di gran capacità: ca 200 litri) fatto di doghe arcuate e piú strette alle estremità, tenute unite da cerchi di ferro, chiuso con due fondi (tumpagne dal lat.tympanium marcato sul greco tympànion) per cui à forma simile a quella di un cilindro ma... panciuta; serve per la conservazione e il trasporto di liquidi (specialmente vino), o anche di pesci salati, olive e prodotti simili; l’etimo è dal tardo lat. butte(m);
- varrile s.vo m. = barile recipiente di legno (di media capacità: ca 45,5 litri) fatto di doghe arcuate e piú strette alle estremità, tenute unite da cerchi di ferro, chiuso con due piccoli fondi (tumpagnelle diminutivo di tumpagno che è dal lat.tympanium marcato sul greco tympànion) per cui à forma simile a quella di un cilindro leggermente panciuto; serve per la conservazione e il trasporto di liquidi (specialmente vino), o anche di pesci salati, olive e prodotti simili; l’etimo è un adattamento metaplasmatico dello spagnolo barral se non del fr. barrique;
carratiello s.vo m. = piccola botte piú lunga che larga, recipiente di legno (di media- bassa capacità: ca 35 litri) fatto di doghe arcuate e piú strette alle estremità, tenute unite da cerchi di ferro, chiuso con due piccoli fondi (tumpagnelle diminutivo di tumpagno che è dal lat.tympanium marcato sul greco tympànion) per cui à forma simile a quella del barile, ma meno lunga e leggermente piú panciuta; serve per la conservazione e il trasporto di vino (e spesso vino squisito o liquori) etimologicamente è voce diminutiva del b. lat carrata 'botte che si trasporta col carro';
damiggiana s. f. recipiente di vetro di contenuta capacità: (ca 25 litri) per contenere liquidi (spec. olio e vino), a forma di grosso fiasco, con collo corto e stretto e corpo molto largo rivestito di vimini, plastica o altro materiale. Etimologicamente si sospetta una derivazione dal fr. dame-jeanne, probabilmente da una voce provenzale interpretata come composta di dame 'signora' e Jeanne 'Giovanna'; ma a mio avviso questa riportata appare piú una paretimologia a carattere popolare che un’etimologia scientificamente attestata; è certamente migliore l’idea che fa risalire la voce all’arabo damagan = recipiente (quantunque ddi creta) in uso nella città persiana Damagan nel Tabaristan.
Esauriti i recipienti posti in terra passiamo a quelli posti sui tavoli ad uso degli avventori; abbiamo:
- butteglia = bottiglia : dal latino bu(t)ticula diminutivo di buttis= vaso, botte ma attraverso un francese bouteille, piú che da uno spagnolo botilla
bbicchiere : s. m.
1 piccolo recipiente di svariate forme e dimensioni usato per bere: bicchiere da acqua, da vino, a calice; bicchiere di vetro, di cristallo, di plastica, di carta, d'alluminio, di terracotta; levare il bicchiere, brindare; il bicchiere della staffa, quello che si prende prima di congedarsi (si beveva, una volta, nel salire a cavallo) | bere un bicchiere di troppo, ubriacarsi | come bere un bicchiere d'acqua, facilissimo | affogare in un bicchiere d'acqua, (fig.) arrestarsi al primo ostacolo, perdersi per un nonnulla | tempesta in un bicchiere d'acqua, (fig.) evento che è risultato molto meno grave del previsto | fondo di bicchiere, (fig.) diamante falso
2 (estens.) la quantità di liquido contenuta in un bicchiere: bere un bicchiere (di vino). etimologicamente da un latino: bicarium che è da un greco bíkos= piccolo vaso per bere;
fiasche plurale di fiasco s. m. [pl. -schi]
1 recipiente di vetro rivestito di paglia o di plastica, panciuto in basso e sottile al collo: ll’aglianeco se venneva dint’ô fiasco (l’aglianico si vendeva nel fiasco) | (estens.) il liquido che esso contiene: bere un fiasco di vino.
2 (fig.) esito negativo, insuccesso: lo spettacolo, il romanzo è stato un fiasco; fare fiasco, non riuscire, fallire in qualcosa. che etimologicamente è da un basso latino: vasculum diminutivo di vas passando per vasc’lo→ vlasco→ flasco→ fiasco; l’accezione sub 2 della voce fiasco si fa risalire ad una disavventura occorsa verso la fine del 1600 ad un celebre attore bolognese, tale Domenico Biancolelli detto Dominique (Bologna, 1636 †Parigi, 1688) attore italiano che recitava come Arlecchino; Biancolelli esibendosi in quel di Firenze, una sera si cimentò in un monologo con versi improvvisati rivolgendosi ad un fiasco che teneva in mano.I versi però non piacquero ed il pubblico sommerse di fischi il povero Arlecchino. Partendo da tale grosso insuccesso, da quella volta si adottò nel linguaggio comune l'espressione " fare fiasco" che dapprima fu limitata ai soli spettacoli teatrali e poi allargata anche ad ogni altro tipo d'insuccesso.
chiacchiaressa s.vo f. recipiente di vetro di modesta capacità: (ca 10 litri) per contenere liquidi (specialmente vino),di forma sferica, ma a fondo piatto, provvisto di piccola impugnatura ad anello insistente sul corto collo, provvisto di larga bocca dalla quale il vino viene fuori quasi gorgogliando, producendo,cioè , quel tipico rumore (chià-chià) simile ad un borbottío donde se ne è ricavato il nome, quantunque aggiungendo allo chiacchiar onomatopeico uno strano, non chiarito né spiegabile suffisso dispregiativo femminile essa che continua al femminile il maschile asso corrispondente allo accio dell’italiano (cfr. Michelasso del napoletano ed il corrispondente Michelaccio dell’italiano);
peretto ed il plurale’e perette: caraffe vitree senza manico di varia capacità (dai 2 litri al quarto di litro) in cui si versava e talvolta ancóra si versa il vino per servirlo in tavola : etimologicamente per alcuni da ricollegarsi a pera di cui ricalcherebbe vagamente la forma; la cosa poco mi convince, e non prendo per buono quella che piú che una etimologia, mi appare una frettolosa paretimologia, ed atteso che a mia memoria ‘e perette ch’io conobbi non somigliarono, né ancóra somigliano ad una pera, né dritta, né capovolta, risultando invece essere dei cilindrici vasi vitrei (e solamente vitrei) che per tutta la loro altezza mantenevano il medesimo passo e solo verso l’alto presentavano e presentano una contenuta strozzatura che costringeva e costringe il vaso a slargarsi in una imboccatura svasata,ecco che quanto all’etimologia, penso che piú che alla forma ci si debba riferire al materiale ed al modo d’apparire d’essi perette che essendo (come ò detto) di terso e scintillante vetro (non esistono, né esistettero perette in coccio o porcellana…) penso ch’essi trassero il loro nome dall’antico alto tedesco perhat= chiaro, splendente, trasparente cosí come i perette furono e sono;
carrafe : piú ampie – rispetto ai perette – caraffe usate solitamente per servire in tavola l’acqua da bere e talora il vino : etimologicamente dall’arabo garafa=vaso per attingere;
giarre : vasi vitrei bassi e panciuti, provvisti di manico, vasi usati per bere birra o altre bevande fermentate, etimologicamente dall’arabo djarrah attraverso lo spagnolo jarra.
Tutti i recipienti usati nelle bettole e/o osteri, cantine etc, per servire a gli avventori il vino o altre bevande furono détti onnicomprensivamente
‘o bbrito letteralmente il vetro ma per metonimia bicchieri, caraffe,ed ogni altro contenitore usato per la mescita; la voce brito etimologicamente è una lettura metatetica con tipica alternanza partenopea v/b (cfr. bocca/vocca- varca/barca etc.) del lat.vitru(m)→vritu(m)→britu(m)→brito.
In coda a quanto détto rammento due tipiche locuzioni partenopee che chiamano in causa gli argomenti trattati:
1) Levàte ‘o bbrito.
Ad litteram: Togliete il vetro id est: Raccogliete e mettete via i bicchieri, le caraffe, i peretti, le giarre etc. usati dai clienti in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e lavassero i contenitori usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere che il tempo corre e ci si approssima alla fine della giornata lavorativa oppure alla fine del lasso di tempo concesso per dar corso ad una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi se la si vuole completare adeguatamente. Raffaele Petra, marchese di Caccavone (Napoli 1798 - † ivi 1873) usò nell’espressione in esame in un breve, ma denso epigramma/ sorta di testamento spirituale per indicare che ormai era presso alla fine dei suoi giorni: I lumi omai son spenti,
lo sciacquitto è finito.
Salute ai rimanenti!
Guagliú, levate 'o bbrito!
2) Fà dint’ â capa ‘e morte.
Ad litteram: Fare nel teschio. Id est: bere vino copiosamente, attingendone ad un vitreo sferico recipiente, detto popolarmente capa ‘e morte ( teschio ) o anche chiacchiaressa (colei che parlotta); la prima accezione risale probabilmente alla leggenda di Rosmunda costretta da suo marito Alboino ( Verona 526, † ivi 572) a bere nel teschio del padre Cunimondo ucciso dallo stesso Alboino; la seconda accezione si riferisce, come ò già chiarito, al fatto che il recipiente di vetro è provvisto di larga bocca dalla quale il vino viene fuori gorgogliando, producendo,cioè , quel tipico rumore simile ad un borbottio.
Giunti a questo punto evito di porre altra carne al fuoco con il dire ad es. di altre voci concernenenti cantine, locande trattorie etc. e mi fermo sperando di aver contentato l’amico E.V. qualcuno dei miei ventiquattro lettori o chi, per caso, dovesse leggere queste paginette.
Satis est.
Raffaele Bracale
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