lunedì 28 febbraio 2011

VERMICELLONI ALLA NERANO

VERMICELLONI ALLA NERANO

Eccovi una mia rivisitazione, con variante, arricchita di un’antica ricetta della costiera.
Ingredienti e dosi per 6 persone.
6 etti di vermicelloni (non spaghetti!),
6 uova freschissime,
1kg di zucchine piccole verdi e sode,
3 bustine di polvere di zafferano o (a preferenza) 3 cucchiaini di pistilli di zafferano,
1 cipolla bianca affettata sottilmente,
1 spicchio d’aglio in camicia schiacciato,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
1 cucchiaio di sugna,
sale grosso alle erbette un pugno e mezzo,
150 gr. di caciocavallo podalico campano al caglio di capretto grattugiato a scaglie sottili,
sale fino e pepe bianco q.s.
per la variante
6 etti di vermicelloni (non spaghetti!),
6 uova freschissime,
1kg di zucchine piccole verdi e sode,
3 bustine di polvere di zafferano o (a preferenza) 3 cucchiaini di pistilli di zafferano,
2 cipolle bianche affettate sottilmente,
1 spicchio d’aglio in camicia schiacciato,
2 bicchieri d’olio d’oliva e.v.,
4 etti di pomidoro freschi, sbollentati, pelati e passati ad un passaverdure a buchi fitti; in aternativa una bottiglia da mezzo litro di passata di pomodoro,
2 cucchiai di sugna,
sale grosso alle erbette un pugno e mezzo,
150 gr. di caciocavallo podalico campano al caglio di capretto grattugiato a scaglie sottili,
sale fino e pepe bianco q.s.


procedimento generale
Si comincia col grattugiare a scaglie sottili il caciocavallo podalico, mettendolo poi a parte in un piatto in luogo fresco; si lavano, si asciugano, si spuntano le zucchine e si tagliano a fettine ovali di ½ cm. di spessore; si versa tutto l’olio in un’ampia padella antiaderente ed a fuoco basso si fa colorire la cipolla e l’aglio schiacciato; si elimina l’aglio e si versano le fettine di zucchine facendole stufare a padella coperta in circa 20’; alla fine si salano con una generosa presa di sale doppio alle erbette e si tengono in caldo, mentre in moltissima acqua (circa 8 litri) salata ( un pugno di sale grosso alle erbe) si lessano al dente i vermicelloni che poi vanno prelevati con un forchettone, sgrondati e messi nella padella con il fondo di zucchine stufate; si rimestano aggiungendo una mezza mamaiolata dell’acqua di cottura della pasta in cui si è sciolto o le tre bustine o i tre cucchiaini di zafferano; si alzano i fuochi e si rimesta ancòra dopo aver cosparso i vermicelloni con tutto il caciocavallo grattugiato a scaglie sottili; si mette tutto al caldo nel mentre nell’acqua in cui si è lessata la pasta, si fa sciogliere a fuoco sostenuto il cucchiaio di sugna e vi si apre un uovo per volta girando vorticosamente in senso orario con una schiumarola per modo che la chiara dell’ uovo si rapprenda a palla intorno al tuorlo che dovrà restare morbido e cremoso, se non fluido.
A questo punto si dà un’ultima veloce rimestata ai vermicelloni con il loro sugo di zucchine, zafferano e caciocavallo e si impiattano le singole porzioni arrotolando a nido i vermicelloni con un forchettone ed aiutandosi con un mestolo cavo; impiattati i singoli nidi, si spolverizzano generosamente di pepe bianco ed in ogni nido si pone un uovo in camicia spruzzato con un pizzichino di sale fino, avendo cura di forar l’uovo con i rebbi di una forchetta affinché il tuorlo fluido venga fuori e macchi la pasta.
Il procedimento, per la variante, prevede che dopo aver stufato le zucchine, si appronti in un altro tegame un veloce sugo di pomidoro con olio, trito di cipolla, passata di pomidoro fresca o di bottiglia, sale grosso alle erbette. Approntato il sugo si procede normalmente fino a quando i vermicelloni vengono ripassati nel sugo di zucchine addizionate di zafferano e caciocavallo; indi si sbattono a spuma le uova in una ciotola con un pizzico di sale fino e due di pepe bianco e se ne ricava in una teglia (possibilmente rettangolare) in cui si è fatto sciogliere i due cucchiai di sugna , una frittata sottile che una volta che sia raffreddata va tagliata a lunghe listarelle spesse come un indice, listarelle che una volta impiattati vanno poste nei nidi di vermicelloni ed irrorate con alcune cucchiaiate di sugo di pomidoro.
Servire caldissimo.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Ricetta gustosissima resa – a mio avviso – ancòra piú saporita dall’aggiunta delle uova che si sposano perfettamente con il gusto piccante del caciocavallo podalico campano al caglio di capretto.
Facitene salute!
raffaele bracale.

MEZZEMANICHE ALLA ZINGARA

MEZZEMANICHE ALLA ZINGARA
Questa volta vi suggerisco un gustosissimo piatto di pasta,il preferito di Ursula Andress, che fu ritenuta (e non a torto) la piú bella architettura svizzera dopo le Alpi.
Eccovi la ricetta:

ingredienti e dosi per 6 persone:
600 gr. di mezzemaniche rigate
100 gr. di pancetta affumicata tesa a cubetti
1 cipolla bianca affettata grossolanamente
1 polputa falda di peperone giallo,
1 falda di peperone rosso,
1 falda di peperone verde,
2 grossi funghi porcini freschi o surgelati affettati sottilmente alla francese in senso longitudinale,
1 etto di olive verdi di Spagna denocciolate,
1 etto di olive nere di Gaeta denocciolate,
4 pomidoro freschi e maturi tipo Roma o Sanmarzano, lavati, sbollentati, pelati e tagliati a grossi pezzi,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
1 etto di pecorino grattugiato,
sale grosso un pugno,
sale fino e pepe nero q.s.

procedimento.
Riducete a piccoli pezzi le falde di peperoni ed affettate accuratamente i funghi; ponete tutto l’olio in un’ ampia padella e fate soffriggere la cipolla con i cubetti di pancetta; versate dapprima i pezzi di peperoni e fateli intenerire con mezza ramaiolata d’acqua bollente; unite poi i funghi a fettine e le olive e fate sobbollire per circa 10’; aggiungete infine i pezzi di pomidoro schiacciandoli con una forchetta, salate e lasciate cuocere per altri 10’; rimestate delicatamente ed a fine cottura spolverizzate con il prezzemolo tritato a fresco; tenere in caldo mentre lessate in abbondante acqua (8 litri) salata (sale grosso) le mezzemaniche; scolatele al dente e versatele nella padella col sugo zingaresco; rimestate ed impiattate cospargendo le portate di pecorino ed abbondante pepe nero.
Buon appetito!

Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo

raffaele bracale.

TAGLIATELLE IN SALSA ROSATA

TAGLIATELLE IN SALSA ROSATA

dosi per 6 persone
tagliatelle secche di grano duro 600 g.
pomodoro passato 400 g
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.
1 confezione da 200 gr. di panna vegetale da cucina
1 cipolla tritata grossolanamente,
sale doppio un pugno
sale fino, pepe bianco e noce moscata q.s.
1 etto di pecorino grattugiato
Esecuzione:
Far imbiondire la cipolla tritata nell'olio, unire il pomodoro, il sale, il pepe e lasciare cuocere per circa 15'. Frattanto lessare al dente la pasta in molta (circa 8 litri) acqua salata (sale grosso). Scolare le tagliatelle e rimetterle nella pentola privata dell’acqua;aggiungere la panna; rimestare,ed aggiungere il sugo di pomodoro; infine unire il pecorino, il pepe ed una grattugiata di noce moscata; mantecare a mezza fiamma ed impiattare ben caldo.

Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.

raffaele bracale

TUBBETTIELLE ALLA LIBERO BOVIO

TUBBETTIELLE ALLA LIBERO BOVIO


È uno dei piatti preferiti da Libero Bovio, il notissimo amato poeta napoletano,vissuto tra la fine del 18° sec. e la metà del 19°, commediografo, giornalista dall’ironia sferzante, e dalla battuta tagliente, oratore forbito, famosissimo autore di canzoni sia in vernacolo ( Guapparia -Chiove – Lacreme napulitane – Zappatore – Reginella – Silenzio cantatore) che in lingua (Signorinella – Amor di Pastorello – Cara piccina) e cento altre… La vastissima produzione di Bovio fatta di poesie, canzoni, drammi, aforismi ed altro è stata raccolta in tre splendidi volumi dall’ editore Morano di Napoli e tale raccolta non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca domestica di chi si senta autenticamente napoletano!
E passiamo alla ricetta.
Dosi per 6 persone:
6 etti di pasta formato tubetti piccoli (‘e tubbettielle detti pure avemarie)
1 bicchiere d’olio d’oliva extra vergine
1 spicchio d’aglio, privo di camicia, finemente tritato
7 – 8 etti di pomidoro tipo san Marzano sbollentati, spellati e privati dei semi o, in alternativa una buatta da un kg. di pomidoro pelati sgrondati del liquido di conserva
½ etto di pecorino possibilmente laticauda grattugiato
1 ciuffo di basilico spezzettato a mano
Sale fino e pepe nero macinato al momento q.s.
PROCEDIMENTO:
In una larga padella antiaderente soffriggere l’aglio nell’olio; aggiungere i pomidoro spezzettati o il contenuto della buatta ben sgrondato, aggiustare di sale ed in ca 15 minuti portare a cottura la salsa.
In molta acqua salata lessare i tubetti fino a mezza cottura; raccoglierli dalla pentola con una schiumarola forata e metterli nella padella con il sugo aggiungendo un mestolino dell’acqua in cui lessavano e portarne a termine la cottura rimestando continuamente e cospargendo infine ‘e tubbettielle con tutto il pecorino e del pepe macinato al momento.
Impiattare spezzettando a mano qualche foglia di basilico fresco e profumato
E FACITENE SALUTE!
Raffaele Bracale

VERMICIELLE D’’O CASADDUOGLIO

VERMICIELLE D’’O CASADDUOGLIO
Vermicelli del salumiere

DOSI PER 6 PERSONE

6 etti di vermicelli
1 bicchiere di olio d’oliva e.v.
1 grossa cipolla vecchia mondata ed affettata grossolanamente,
1 peperoncino piccante lavato, privato di picciolo e corona asciugato e tritato finemente,
6 uova freschissime,
1 ciuffo di prezzemolo tritato finemente,
1 tazzina di cognac o brandy,
1 bicchiere di latte intero,
2 etti di pecorino grattugiato,
3 etti di pancetta tesa affettata sottilmente a macchina,
sale fino e pepe nero q.s.

PROCEDIMENTO

In una capace terrina battere a spuma tutte le uova con il prezzemolo, un pizzico di sale ed un paio di cucchiai di pecorino e tenere da parte il tutto;
in un’ampia padella versare l’olio e rosolare accuratamente la cipolla ed il peperoncino tritato fino a che la cipolla arsicci ma non bruci; bagnare con la tazzina di cognac e fare evaporare.
Lessare al dente i vermicelli in abbondante (8 litri) acqua salata e nel frattempo in un’altra padella antiaderente senza olio, fatta riscaldare a temperatura altissima far tostar leggermente le fettine di pancetta, tenendole poi in caldo; scolare il vermicelli e versarli nella padella con le cipolle, bagnare con il latte e rimestare; aggiungere le uova sbattute ed alzare la fiamma per farle rapprendere un poco; rimestare ancòra, aggiustare di sale e pepe ed impiattare spolverizzando col pecorino ed altro pepe nero; sistemare su ogni porzione un paio di fette di pancetta tostata e servire ben caldo.

Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.

ATTENZIONE: la pancetta deve essere quella tesa, non quella coppata arrotolata!
Brak

domenica 27 febbraio 2011

SALSA RUSTICA DORATA

SALSA RUSTICA DORATA
Questo gustoso intingolo gradevolissimo si presta quale condimento di paste incaciate o di carni scottate.

ingredienti e dosi per 6 persone
1 bicchiere di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
3 grosse patate vecchie,
3 grosse carote,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 etto di pancetta tesa in cubetti da 1 cm. di spigolo,
una tazzina di cognac,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.,
sale grosso 1 pugno
1 bicchiere di latte intero caldo,
2 bustine di zafferano,
1 etto di pecorino grattugiato.


Procedimento
Lavare, lessare in acqua salata (un pugno di sale grosso),sbucciare e passare allo schiacciapatate le tre grosse patate vecchie a pasta gialla ed a seguire lavare, grattare, dividere in tocchi, lessare nella medesima acqua salata usata per le patate e passare allo schiacciapatate anche le tre carote grattate,raccogliendo ambedue i triti di patate e carote irrorati con un filo d’olio, in una ciotolina; nel frattempo in un tegame antiaderente versare tutto l’olio residuo ed a temperatura sostenuta farvi dorare il trito di cipolla; abbassare i fuochi, aggiungere i cubetti di pancetta affumicata, e farli rosolare;bagnare con il cognac e farlo evaporare; indi aggiungere le patate e le carote schiacciate, regolare di sale e pepe e lasciare amalgamare i sapori mantecando per qualche minuto aggiungendo il formaggio pecorino e bagnando il tutto con un bicchiere di latte caldo in cui sia disciolto lo zafferano.
R.Bracale

TORTINO DI CREPÊS CON CAVOLO

TORTINO DI CREPÊS CON CAVOLO

ingredienti e dosi per 6 persone
1 kg. di cimette di cavolo napoletano,
1 etto di olive verdi denocciolate e tritate,
3 etti di fettine da ½ cm. di spessore di mozzarella tenute in frigo per 12 ore,
½ etto di filetti d’acciughe sott’olio,
6 uova,
un bicchiere di latte intero,
3 etti di farina,
2 spicchi d’aglio mondato e tritato finemente,
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
3 cucchiai di strutto,
sale grosso un pugno,
sale fino q.s.,
peperoncino piccante in polvere q.s.

procedimento
In una capace ciotola aprire le uova,aggiungere sale q.s. e sbatterle a spuma aggiungendo la farina a pioggia ed il latte a filo; far riposare per trenta minuti la pastella ottenuta. Verniciare di strutto una padella da 15 cm.di diametro, mandarlo a temperatura e versarvi tanta pastella da coprire il fondo, cuocere da ambedue le facce la crêpe risultante e ripetere l’operazione fino ad esaurimento della pastella, tenendo da parte tutte le crêpes ottenute. Lavare e scolare le cimette di cavolfiore e lessarle brevemente in acqua bollente salata (sale grosso). Mandare a temperatura il mezzo bicchiere d’olio in un capace tegame facendovi dorare l’aglio tritato e rosolarvi le cimette lessate e strizzate aggiungendo i filetti di acciughe spezzettati, le olive tritate e profumando il tutto con il peperoncino piccante in polvere.
Approntare un tegame cilindrico da forno, verniciarlo di strutto ed impilarvi le crêpes distribuendo su ognuna un paio di cucchiai di cavolo stufato. Mandarlo in forno preriscaldato a 160° per venti minuti. Servire tiepido. Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
TRIDUO PASQUALE: il nenú e le ricette
Sabato santo:
alle ore 14.00
tòrtano
insalata incappucciata condita all’agro con olio d’oliva e.v. p. s. a f., sale,pepe, aceto o limone;
finocchi;
A pranzo serale
vermicielle ‘e scammaro
carciofi mammole lessi con pinzimonio,

Pasqua di Resurrezione
A mezza mattinata
Affettati misti
Uova sode,
soufflé pasquale.
A pranzo
1) Antipasto: piatto santo;
2) Sformato ricco di tagliatelle,oppure 2 bis)Pasta pasqualina, oppure 2 ter) Fettuccine alla maestosa;
3) Agnello o capretto alla cacciatora o al forno (vedi Capretto BELLA NAPOLI) con contorno di patate al forno;
4) Carciofi lessi con pinzimonio,oppure
4)bis carciofi dorati e fritti
5) Finocchi e Frutta fresca di stagione,
6) Pastiera.
Lunedí in albis
È il tradizionale giorno della gita fuori porta per cui pranzo al sacco!
Porzioni anche pletoriche di frittate di maccheroni oppure fette di Tòrtano oppure di Pizza rustica, formaggi ed affettati misti; pastiera
Per chi invece restasse in casa pranzo sontuoso con
Antipasto di formaggi ed affettati misti;
tagliatelle al ragú d’agnello;
coratella di agnello alla francese;
parmigiana di carciofi;
Finocchi e Frutta fresca di stagione;
Pastiera.
A seguire tutte le ricette.
Cominciamo con il sacramentale
TÒRTANO NAPOLETANO
Questa ciambella rustica, è in uso a Napoli tradizionalmente nel tempo pasquale, ricordando con la sua caratteristica forma a corona circolare, la corona di spine imposta a Cristo durante la sua passione; poiché però gli ingredienti di questa ricetta sono reperibili durante tutto l’anno e non solo nel tempo primaverile (tempo pasquale) nulla vieta che la si prepari in altre occasioni, come le festività natalizie o quando piú aggradi: è sempre un asciolvere fantastico!
ingredienti e dosi per 6 – 8 persone
per la pasta
farina, 1 kg.
lievito di birra 2 cubetti,
sugna gr. 100
poco sale fino , molto pepe nero
per il ripieno
:
400 gr. di formaggi misti (provolone dolce e piccante, caciocavallo,svizzero, pecorino ecc.) tagliati a cubetti di circa ½ cm. di spigolo,
300 gr. di salame napoletano (a grana grossa) tagliato a cubetti di circa ½ cm. di spigolo,
250 gr. di mortadella con pepe e pistacchio in un’unica spessa fetta poi tagliata a cubetti di circa ½ cm. di spigolo,
formaggio pecorino grattugiato, gr 100


2 etti di ciccioli** casarecci,
4 uova sode,o anche di piú ad libitum,
sale fino e pepe nero q.s.

procedimento
Stemperate il lievito in acqua tiepida (che non sia troppo calda), impastatelo con un pochino di farina, fatene un panetto e lasciatelo crescere per una mezz'ora, coperto.
Disponete la farina a fontana, ponetevi al centro lo strutto, il sale, il pepe, il panetto cresciuto, il formaggio pecorino grattugiato e, aiutandovi con acqua tiepida, mescolate tutto fino a ottenere una pasta morbida che lavorerete con forza per circa una diecina di minuti battendola sul tavolo.
Fatela poi crescere in una terrina coperta, in luogo tiepido, per un paio d'ore o fin quando la pasta non avrà raddoppiato di volume.
Tagliate tutti i formaggi ed i salumi a dadini e le uova in sei spicchi ognuno. Mescolate tutto meno le uova.
Quando la pasta sarà cresciuta, sgonfiatela battendola con le mani e stendetela allo spessore di un centimetro. Disponete su tutta la superficie, uniformemente, dapprima il pecorino grattugiato e poi tutto il ripieno, e disponete anche le 4 o piú uova sode tagliate a spicchi a distanza regolare ed arrotolate con delicatezza la pasta, il piú strettamente possibile fino ad ottenere un tronfio rotolo di pasta farcita.
Ungete di strutto uno stampo largo provvisto di un tronco di cono centrale, per modo che disponendovi intorno il rotolo suddetto se ne ottenga una ciambella con buco centrale ; disposto, come ò detto, il rotolo di pasta a ciambella, unitene bene le estremità e rimettetelo a crescere in luogo tiepido coprendolo con un panno.
Quando il tòrtano avrà lievitato (accorreranno almeno due ore) infornatelo a forno moderato (170°) per settantacinque/ottanta minuti e sformatelo quando sarà freddo, servendolo porzionato a spicchi.
Questo tòrtano è comunque ottimo sia caldo che freddo.

Osservazioni:
a) una delle presenze caratteristiche del tòrtano napoletano è la sugna o strutto, ingrediente che non può assolutamente essere sostituito con altri grassi (olio o burro); un/una napoletano/a che lo facesse ( come purtroppo ò visto fare da taluna inesperta massaia piú attenta ai falsi tabú del colesterolo e della linea, che ai dettami della sana tradizionale cucina partenopea...) incorrerebbe nella scomunica latae sententiae e meriterebbe di essere scacciato/a con abominio dalla comunità napoletana !
b) quando nella pasta ci sono grassi e ripieno, talvolta la lievitatura tarda a verificarsi; sarebbe quindi opportuno, per non avere sorprese, preparare la pasta il giorno precedente a quello in cui verrà consumato il tortano.
c)*tòrtano = ciambella rustica (dal lat.tort(ilis)tòrto, ritòrto+suff.tonico di pertinenza anus(ano)→tortàno diventato poi nell’uso comune tòrtano).

d)**ciccioli= plur. di cicciolo (s. m. ciò che resta a seguito di pressatura dei tocchi di grasso del maiale dopo che siano stati fusi ad alta temperatura per ricavarne lo strutto); la voce è un derivato di ciccia; la parola a margine in napoletano diventa ciculo e al plur. ciculi ma l'etimologia è molto piú complessa in quanto ciculo/i deriva da un latino volgare *insiciculu(m) da un classico insiciu(m)=carne tritata attraverso un'assimilazione s-c→c-c, aplologia (caduta di una sillaba all'interno di una parola che dovrebbe presentare, in base alla sua etimologia, due sillabe consecutive identiche o simili) ed aferesi della sillaba d'avvio in.
VERMICIELLE ‘E SCAMMARO
(vermicelli di magro)
Dosi per 6 persone
600 grammi di vermicelli,
1 bicchiere di olio d'oliva e.v.p. s. a f.,
due spicchi d'aglio (senza camicia, tritati finissimi)
un ciuffo di aneto lavato, asciugato e tritato finissimo,
1 etto di olive nere di gaeta denocciolate e tritate,
12 acciughe dissalate e diliscate o pari peso di filetti di acciughe sott’olio,
1 cucchiaio di capperi di Pantelleria dissalati,
6 cucchiai di pan grattato abbrustolito a fuoco vivace, oppure (e meglio!) pari peso di mollica di pane casareccio bruscata al forno (240°) e passata ad un mixer con lame da aridi,
50 gr. di pinoli abbrustoliti al forno (220°),
50 gr. di uvetta ammollata in acqua bollente.
Sale grosso (un pugno).
Pepe nero macinato a fresco q.s.

Procedimento
In un'ampia padella versare l'olio e l'aglio tritato sottilmente; fare imbiondire l'aglio a fuoco vivace;aggiungere al soffritto le olive denocciolate e tritate grossolanamente, poi aggiungere i capperi ed infine le acciughe, schiacciandole con la punta di un cucchiaio e badando bene che si disfino completamente fino a sciogliersi nell'olio; nel frattempo in una grossa pentola lessare in abbondantissima acqua salata (circa 8 litri con il pugno di sale doppio) la pasta tenendola molto al dente; a cottura avvenuta versare la pasta nella padella con il sugo, aggiungere un mestolino di acqua di cottura, alzare la fiamma, aggiungere l’uvetta ammollata ed i pinoli tostati precedentemente (al forno o in pochissimo olio bollente) e rimestare velocemente, infine spargere sulla pasta il pan grattato, precedentemente abbrustolito come i pinoli in pochissimo olio bollente oppure la mollica bruscata e tritata , rimestare e versare il tutto in una capace zuppiera di portata; aggiungere abbondante pepe nero macinato al momento ed una spruzzata di aneto crudo tritato finemente; servire con un vino bianco (Ischia, Capri, Fiano, Falanghina) ben fresco di frigo, se è piatto unico o – se accompagnato da un secondo di carne - con un Corposo vino rosso campano (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
NOTA
Questo gustosissimo, ma semplice, economico asciolvere viene usato spesso come pasto dei giorni di magro (quaresima) o in alternativa ai costosi vermicelli a vongole nei giorni di vigilia;
‘e scammaro = di magro (detto però solo del cibo); la voce scammaro è un deverbale derivato attraverso una protesi di una s distrattiva dal verbo latino *cammarare=mangiar di grasso; posto che *cammarare è mangiar di grasso, ne deriva che *scammarare (donde scammaro) vale mangiar di magro. –
CARCIOFI LESSI ( “BACIO E METTO QUI”)
Il protagonista di questa ricetta è il carciofo mammola (a Napoli mammarella); questo tipo di preparazione è una delle portate tradizionali del pranzo pasquale napoletano,ma va da sé che può esser approntato durante tutto il periodo primaverile. Veniamo alla ricetta precisando che il numero di carciofi da servire pro capite è variabile: dipende dalla grandezza delle mammole o mammarelle; se abbastanza grosse ci si può contentare di un solo carciofo a testa, se piccoli, ne occorrono almeno due!
Ingredienti e dosi per 6 persone
Da 6 a 12 mammole o mammarelle senza spine,
3 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente,
sale doppio un pugno,
un gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente assieme ad un ciuffo di menta,
2 bicchieri di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
sale fino e pepe decorticato q.s.


procedimento
Togliere ai carciofi le estreme foglie esterne piú dure e mondare il gambo, accorciato a non piú di sei centimetri, della parte esterna, infine troncare i gambi a filo della base dei carciofi,dividere i gambi in due lungo l’asse minore ed affinarli a chiodo, per modo che possano facilmente entrare nella cavità che si ricaverà al centro d’ogni carciofo, allargando le brattee centrali; risciacquare i carciofi sotto l'acqua corrente ed inserire nella cavità ricavata al centro dei carciofi un pezzetto di gambo, un po’ di trito d’aglio, prezzemolo e menta; premere decisamente con l’indice affinché il trito penetri a fondo. Munirsi di una o due pentole con ampio fondo circolare e pareti non molto alte; sistemare i carciofi uno accanto all’altro riempiendo tutto il fondo della pentola, coprire a filo con acqua fredda aggiungere il sale grosso, incoperchiare e porre a fuoco moderato per circa quaranta minuti fino a che i carciofi risultino lessati ed inteneriti; per accertarsi della cosa, staccare da un carciofo una delle brattee inferiori e controllare se la polpa del margine inferiore della brattea staccata sia convenientemente morbida tanto da poter essere facilmente portata via strappandola per scorrimento addendantola tra gli incisivi superiori e quelli inferiori.In caso positivo significa che i carciofi sono lessati al punto giusto e si possono servire in tavola; si porzionano quando sono ancóra caldi e ad ogni commensale viene fornito in accompagnamento del o dei carciofo/i, un piattino in cui ci sarà del pinzimonio preparato precedentemente sbattendo a fondo olio, sale fino e pepe; il commensale staccherà volta a volta le singole brattee, ne intingerà il margine polputo nel pinzimonio e deglutirà la polpa strappata via per scorrimento addentata tra gli incisivi; giunto al cuore del carciofo il commensale eleminerà la barba,frazionerà calice e gambuccio e li intriderà nel pinzimonio residuo prima di mangiarli.
Poiché di questo carciofo si mangia solo una piccolissima zona delle brattee, mia madre diede alla delicata operazione che ò descritto precedentemente il nome di bacio mentre il metto qui seguente si riferisce al fatto che una volta prelevata la minuscola parte di polpa la brattea viene posta via ed accantonata per essere poi buttata!
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo, quantunque rammento che i carciofi ànno – ma ignoro il perché – la capacità di rendere dolce, anzi dolcissima l’acqua che uno dovesse assumere dopo averli mangiati. SOUFFLÉ PASQUALE

Eccovi una gustosa preparazione primaverile da consumare fredda come antipasto o rompi-digiuno.
Dosi per 6 persone
8 uova freschissime
2 mazzi di asparagi bianchi
6 etti di fave fresche, sbaccellate e private della prima scorza
3 etti di pisellini freschi o anche surgelati
3 etti di provolone dolce tagliato a cubetti di circa 2 cm. di lato
1 piccola cipolla bianca mondata ed affettata a velo
1 bicchiere e 1/2 d’olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
1 ciuffo di prezzemolo tritato finissimo,
3 cucchiai di pangrattato,
sale e pepe q.s.
Procedimento
Con un pelapate mondare gli asparagi tagliando poi a pezzetti di circa 1,5 cm. i gambi inferendo il taglio diagonalmente lungo l’asse maggiore; sbaccellare le fave eliminando dai singoli semi la buccia esterna; sgranare i piselli freschi o usare quelli surgelati senza farli scongelare precedentemente; lessare contemporaneamente, per pochi minuti in acqua bollente salata sia asparagi che fave che piselli; sgrondare il tutto e farli subito rosolare in padella con olio e cipolla, salando e pepando ad libitum; frattanto in un’ ampia terrina aprire tutte le uova con il ciuffo di prezzemolo e sbatterle a spuma salando e pepando; unire alle uova tutte le verdure rosolate assieme al fondo di cottura, ed aggiungere i cubetti di provolone; ungere una capace tortiera cospargendola di pangrattato; versare tutto il composto nella tortiera, badando di non superare la metà dell’altezza del bordo (il sufflé in forno si alzerà di molto…) ed infornare in forno caldo (180°) per circa30 minuti. Sfornare, far raffreddare lentamente a temperatura ambiente e servire tagliato a spicchi come antipasto con affettati misti e pezzetti di ricotta salata, accompagnato da vino bianco (Falanghina, Fiano, Capri o Ischia) freddo di frigo!
SFORMATO RICCO DI TAGLIATELLE
Qui di sèguito vi segnalo la ricetta di un gustosissimo sformato ricco di tagliatelle, sformato che può essere usato come importante prima portata nei pranzi di festa e segnatamente nel pranzo pasquale, pranzo che si comincia con il tipico antipasto costituito dalla fellata ( cioè affettato misto di salumi di maiale assortiti (salame napoletano, capicollo, coppa di testa, lonza, salsiccia piccante al finocchietto), spicchi di provolone del monaco piccante e dolce, fettine di caciocavallo silano, fettine di ricotta salata, uova sode; tale antipasto oltre il classico nome di fellata= affettato (part. pass. femm. del verbo fellare= affettare; fellare è un denominale del lat. offella(m) diminutivo di offa(m)= focaccia ) tale antipasto dicevo, oltre che fellata è anche detto beneditto(benedetto) o anche piatto santo e semanticamente la faccenda si spiega con il fatto che tale antipasto non viene servito monoporzionato, ma approntato ordinato in bell’ordine a seconda dei tipi di salumi o formaggi, in due ampi piatti (l’uno pei salumi, l’altro per formaggi ed uova sode) da cui ogni commensale attinge secondo il proprio bisogno o desiderio; tali piatti vengon posti all’incirca al centro del tavolo da pranzo per modo che i commensali se ne possano servire ad libitum in attesa della prima portata e poiché tradizionalmente nel dí di Pasqua il capofamiglia è solito benedire, aspergendo con acqua lustrale (che viene attinta con un ramoscello d’ulivo benedetto a sua volta durante i riti della Domenica delle Palme) sia il desco che i componenti la famiglia assisi al desco, ecco che i piatti colmi di affettati misti vengono pur essi benedetti e quasi santificati, e da alcuni anni a Napoli è invalso l’uso di chiamare questo antipasto beneditto(benedetto) o anche piatto santo in luogo di fellata. Per ciò che riguarda la ricotta salata rammento che quella usata è una tipica ricotta da latte ovino détta ricotta ‘e fuscella ; questa ricotta appena lavorata ed opportunamente addizionata di sale, perché si conservi piú a lungo viene posta (meglio veniva posta quando ancóra la produzione era artigianale e non industriale come è oggi),veniva posta per mano dei pastori che la lavoravano in tipici cestini di vimini di forma troncoconica: questo cestino era detto in latino fiscella donde la fuscella napoletana Ciò precisato, passiamo alla ricetta dello sformato a margine.
ingredienti e dosi per 6 persone
6 – 7 etti di tagliatelle all’uovo fresche o secche,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f. ,
1 cipolla dorata mondata e tritata finemente,
1 tazzina di cognac o brandy,
3 etti ricotta salata di pecora,
la mollica macinata di 2 grosse fette di pane casareccio private della scorza e bruscate lungamente al forno (220°),
3 etti di salame napoletano in cubetti di cm. 0,5 di spigolo,
6 uova sode sgusciate ed affettate in rondelle di mezzo centimetro di spessore,
1 etto di pecorino grattugiato di cui la metà addizionata alla mollica di pane macinata,
sale grosso un pugno,
pepe decorticato macinato q.s.
procedimento

Questa preparazione si avvale per la gratinatura in forno della presenza di mollica di pane casareccio opportunamente bruscata al forno poi macinata ed addizionata con la metà del pecorino grattugiato; qualcuno in luogo della mollica di pane casareccio bruscata e macinata, usa del pangrattato di produzione industriale, ma vi assicuro che il risultato non è soddisfacente: il pangrattato industriale spesso non viene prodotto macinando pane, ma biscotti o altri prodotti secchi da forno che però contengono zucchero aggiunto che conferisce al pangrattato un incongruo gusto dolciastro.
Rassodare le sei uova ponendole in una marmitta alta con acqua profonda salata e tenervele in cottura per sette minuti dal momento del primo bollore.Al termine, prelevare le uova lasciarle raffreddare e sgusciarle sotto un getto di acqua corrente fredda, asciugarle, ed affettarle in rondelle regolari dallo spessore di ½ cm.
Privare della scorza le fette di pane e bruscare queste fette di sola mollica a lungo in forno caldo (220°), indi una volta raffreddate, spezzettarle e passarle in mixer con lame da aridi fino ad ottenerne una fine macinatura; versare la mollica cosí macinata in un piatto ed addizionarvi la metà del pecorino grattugiato.
In una ampia teglia adatta anche al forno, mandare a temperatura l’olio e rosolarvi in 5 minuti il trito di cipolla fino a che arsicci ma non bruci e mantenere in caldo; frattanto porre a lessare in otto litri d’acqua salata (pugno di sale doppio) le tagliatelle che, se fresche, vanno lessate per tre minuti dal momento del bollore dell’acqua, se secche vanno lessate per sette primi. Sgrondarle accuratamente dell’acqua e rimestarle nella teglia con olio e cipolla per non piú di quattro minuti a fuoco vivo; nel frattempo in una zuppiera calda stemperare la ricotta salata con una tazzina di cognac o brandy e mezza ramaiolata di acqua di cottura della pasta; trasferire dalla teglia alla zuppiera le tagliatelle e rimestarle delicatamente assieme alla metà del pecorino, al pepe macinato a fresco ed alla dadolata di salame; quando si saranno ben intrise di ricotta, trasferirle nuovamente nella teglia ben unta del fondo di cottura, formando due strati di pasta; su quello inferiore distribuire le rondelle d’uova sode, sullo strato superiore cospargere il trito di mollica addizionato con la metà di pecorino e mandare in forno preriscaldato a 180° per circa 15 minuti o fino a che lo sformato non risulti ben gratinato.
Lasciare leggermente intiepidire e servire questo sformato ricco tagliato in spesse mattonelle quadrate.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.

PASTA PASQUALINA

Sta per approssimarsi la primavera e voglio segnalarvi questa gustosissima minestra di pasta, piselli e carciofi, minestra che un tempo fu quasi esclusiva della stagione primaverile allorché si raccoglievano, quale primizia, i frutti e segnatamente i semi eduli, i veri e propri piselli (dal lat. volg. *pisellu(m), dim. di pisum, che è dal gr. píson 'pisello') di questa pianta erbacea rampicante con fiori bianchi o colorati, foglie composte e baccelli contenenti semi verdi sferici (fam. Leguminose);da un po’ di tempo a questa parte, fortunatamente, soprattutto per merito della surgelazione industriale, i piccoli piselli primaverili si trovano durante tutto l’anno e tali prodotti conservati non ànno nulla da invidiare a quelli freschi di campo e talvolta sono addirittura migliori (a sentire le nostre accorte massaie) di talché è possibile durante tutte le stagioni l’anno approntare la appetitosa, salutare, gustosa minestra in epigrafe.

ingredienti e dosi per 6 persone

6 carciofi spinosi verdi-violetti di Napoli o di Palermo,
1 kg. di pisellini freschi (peso lordo) oppure
5 etti (peso netto) di pisellini sgranati o surgelati,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 carota grattata e tritata,
½ costa di sedano grattata e tritata,
½ bicchiere di olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
1 cucchiaio di strutto,
il succo d’un limone,
2 etti di pancetta tesa tagliata a listelli cm 5 x 1 x 1,
6 uova,
farina q.b.
abbondante olio di semi per friggere,
1 litro e mezzo di brodo vegetale da verdure fresche o anche di dado ,
sale fino e pepe bianco q.s.,
6 etti di vermicelli spezzati (3 cm.) o di tubetti piccoli (avemarie),
1 etto di Pecorino laticauda grattugiato .
sale doppio un pugno.
procedimento
Mondare i carciofi accorciandone i gambi in modo da tener questi alti non piú di tre centimetri dal fondo del carciofo, indi spuntare i carciofi delle spine e togliere le brattee piú dure, tagliarli longitudinalmente in due, eliminare il fieno ed affettarli sottilmente (mezzo cm.) longitudinalmente e metterli in acqua acidulata con il succo del limone per non farli annerire. Battere a spuma tre delle sei uova addizionate con due cucchiai di pecorino, un pizzico di sale fino e due di pepe. Mandare a temperatura in un tegame alto l’olio di semi, sgrondare le fettine di carciofo, infarinarle, intingerle nelle uova e friggerle fino a che siano ben dorate,prelevarle con una schiumarola e porle su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto, salare ad libitum e tenere in caldo. Súbito dopo sgranare i piselli.
Approntare il trito fine di cipolla, carota e sedano e farlo soffriggere in una pentola per minestra con l’olio ed il cucchiaio di sugna a fiamma media.
Riscaldare il brodo.
Quando il trito sarà dorato aggiungere la pancetta e dopo cinque minuti i piselli (quelli surgelati non occorre scongelarli), allungare con una ramaiolata di brodo bollente e farli cuocere a fuoco vivo per 10 minuti dalla ripresa del bollore.

Aggiungere 4-5 mestoli di brodo, portarlo ad ebollizione, regolare eventualmente di sale ed aggiungere la pasta; a Napoli si usano, per questa minestra o i tubetti piccoli (avemarie) o i vermicelli spezzati:dipende dai gusti o dalle tradizioni familiari; personalmente preferisco le avemarie, ma non mi disdignerebbero i vermicelli spezzati. Cuocer la pasta a pentola scoperta,per modo che alla fine la minestra non risulti troppo liquida, a seconda del gusto o del tempo di cottura consigliato sulla confezione della pasta scelta. Battere a spuma le altre tre uova anche queste addizionate di due cucchiai di pecorino,pochissimo sale e due pizzichi di pepe. Versare queste uova sulla pasta e rimestare a fuoco medio fino a che siano ben rapprese.
A fine cottura unire il pecorino finemente grattugiato, mescolare bene e lasciare riposare un paio di minuti prima di impiattare spolverizzando con una generosa grattugiata di pepe bianco e guarnendo ogni porzione con delle fettine di carciofi dorati e fritti. Servire questa pasta pasqualina ben calda di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.

FETTUCCINE ALLA MAESTOSA
Dosi per 6 persone:
700 gr. di fettuccine all’uovo o in alternativa 700gr.
di mafaldine di grano duro.
500 gr. di pomidoro sbollentati e pelati o 1 scatola da 500 gr. di pomidoro pelati.
300 gr. di gambetto di prosciutto crudo tagliato in cubetti piccolissimi.
2 buste di funghi secchi ammollati
2 cucchiai di pisellini freschi o surgelati sbollentati
1 cipolla affettata sottilmente
1 cucchiaio di basilico spezzettato finemente a mano senza coltello.
1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v.
1 confezione da 200 gr. di panna vegetale da cucina.
½ etto di grana grattugiato,
sale fino e pepe q.s.
sale doppio un pugno.

Procedimento
In un’ampia padella soffriggere la cipolla nell’olio, aggiungere il prosciutto ed i funghi ammollati, ½ mestolo di acqua bollente e far cuocere aggiustando di sale fino; aggiungere i due cucchiai di pisellini precedentemente sbollentati e rimestare velocemente; alla fine raccogliere il soffritto con una schiumarola e tenerlo da parte al caldo in una ciotolina;
nella stessa padella aggiungere ancora un po’ d’olio e un po’ di cipolla, far soffriggere, versare i pomidoro, sale fino, pepe e basilico e preparare una veloce salsa, nella quale alla fine versare tutto il soffritto tenuto da parte nella ciotolina; rimestare, abbassare la fiamma e tenere il tutto al caldo.
Frattanto lessate molto al dente le tagliatelle all’uovo o le mafaldine in abbondantissima acqua salata (pugno sale doppio), sgrondatele bene e versatele nella padella con il sugo; rimestate, spolverizzate di grana grattugiato e coprite il tutto con il contenuto della confezione di panna da cucina; amalgamate rimestando sapientemente e poi passate la teglia in forno caldo (180°) per alcuni minuti; servite ben calde queste tagliatelle o mafaldine seguite da un secondo di carni in umido o di formaggi freschi.
Poiché è un piatto da passare al forno prima di servirlo, si presta ad una preparazione anticipata che va poi completata con il passaggio in forno appena prima di mettere in tavola.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
CAPRETTO ALLA CACCIATORA
ingredienti e dosi per 6 persone:
- 2 kg di groppa di capretto a pezzi di cm. 5 x 4 x3
- 100 gr di lardo di pancia pestato e ripestato,
- 500 gr di pomidoro freschi sbollentati e pelati
o in alternativa una scatola da 5 etti di pomidoro pelati,
- 1 cipolla dorata mondata e tritata,
- 2 spicchi d'aglio mondati e schiacciati,
- 2 cucchiai di prezzemolo lavato, asciugato e finemente tritato
- 1 bicchiere di vino rosso,
- 50 gr di strutto,
- ½ bicchiere di olio di oliva e.v.p.s. a f.,
- sale fino e pepe nero q.s.

In un’ampia casseruola,provvista di coperchio, nell'olio e nello strutto fate soffriggere i due spicchi d’ aglio interi, ma schiacciati; dopo cinque minuti, unitevi il lardo pestato e ripestato con la cipolla; fate soffriggere ancòra per altri cinque minuti ed infine unite i pezzi di carne e lasciateli rosolare per bene su tutti i lati.
Poi bagnate con il vino e lasciate evaporare; unite i pelati schiacciati con una forchetta, salate e pepate ad libitum. Mescolate, incoperchiate e cuocete per 1 ora su fiamma bassa, aggiungendo – ove necessario - una tazza d’acqua bollente. A fine cottura, cospargete con tutto il trito di prezzemolo e servite in tavola caldo di fornello. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambie
CAPRETTO BELLA NAPOLI

Dosi per 6 persone
2, 5 kg di capretto con l’osso tagliato in pezzi di ca cm 5 x 5 x 3,
8 etti di piselli (freschi o surgelati) lessati,
4 uova,
una grossa cipolla dorata ,
100 g di pecorino grattugiato,
2 bicchieri di olio e.v.p. s. a f. ,
sale fino e pepe bianco q.s.
1 limone.


Procedimento
In un capace tegame fate appassire (senza che bruci o arsicci) la cipolla affettata in grossi pezzi, con tutto l'olio e unite il capretto a pezzi, lavato e ben sgocciolato (meglio se asciugato). Rosolate delicatamente, abbassate la fiamma ed aggiungete un mestolo o due di acqua calda e sale.
A metà cottura unite i piselli già lessati e fateli insaporire.
In una terrina battete le uova con il formaggio (2 cucchiai), sale ed un pizzico di pepe, versate il tutto nel tegame e mescolate rapidamente perché l'uovo si rapprenda in modo uniforme. Aggiustate di sale. Spruzzate di limone e servite.
Volendo con il sugo residuo, si posson condire 6 etti di rigatoni o mezze maniche lessati al dente in molta (8 litri) acqua salata (pugno di sale doppio) e saltati nella padella con il sugo residuo, a fuoco vivo, spolverizzati con abbondante pecorino e pepe bianco.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.

TAGLIATELLE CON RAGÚ D'AGNELLO
Ingredienti e dosi per 6 persone
Tagliatelle secche o fresche 6 etti,
pomidoro pelati,6 etti,
polpa di manzo, 2,5 etti,
polpa di agnello, 3 etti,
salsiccia, 3 etti,
1 grossa cipolla dorata mondata e tritata grossolanamente,
pisellini,1 etto,
sedano una costa mondata e tritata
1 carota, mondata e tritata,
pancetta tesa a cubetti , 100 gr.
pecorino grattugiato 1 etto,
strutto 2 cucchiai,
1 dado da brodo classico,
olio d'oliva e.v.p.s.a f. 1,5 bicchiere,
vino bianco secco, 1 bicchiere
farina, 2 cucchiai
Prezzemolo lavato asciugato e tritato, q.s.
rosmarino fresco 1 rametto lavato asciugato e sbriciolato ,
aglio, 2 spicchi mondati e tritati,
sale doppio un pugno,
sale fino e pepe decorticato, q.s.



Preparazione:
Mondare e tritare la cipolla.
Farla rosolare con un bicchiere d’olio,lo strutto e gli agli tritati.
Unire rosmarino, sedano e carota.
Ridurre a cubetti la pancetta e passarla al tritacarne assieme al manzo, all’agnello ed alla salsiccia.

Versare il tutto nel tegame con il soffritto di verdure.
Fare insaporire.
Bagnare con il bicchiere di vino.
Fare sfumare.
Cospargere il raguncino con la farina.
Rimestare accuratamente ed aggiungere i pomidoro scottati, pelati e cubettati.
Versate 400 ml. di acqua e sbriciolarvi il dado.
Regolare di sale e di pepe; mescolare.
Fare sobbollire per circa due ore; unire i piselli quindici minuti prima del termine della cottura.
Lessare in abbondante acqua salata (sale doppio) le tagliatelle per 4 minuti se fresche, per otto se secche.Sgrondarle e versarle in una zuppiera calda dove andranno condite dapprima con mezzo bicchiere d’olio e poi con il ragú. Cospargere di prezzemolo, pecorino e pepe, impiattare e mandare in tavola calde di fornello queste gustosissime tagliatelle pasquali.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
CORATELLA D’AGNELLO ALLA FRANCESE

Ingredienti e dosi per 6 persone
Misto di Cuore, fegato,milza e polmone di agnello 1 kg
Lardo di fianco o di gola, 250 g
Vino rosso secco (a preferenza Piedirosso), 1 bottiglia
Farina, 5 cucchiai
4 Spicchi d'aglio mondati e tritati,
6 patate medie mondate e tagliate in quarti
1 grande cipolla dorata mondata e tritata,
Concentrato di pomidoro, 5 cucchiai
Alloro, q.s.
Timo/piperna, q.s.
Sale fino q.s.
Pepe nero macinato a fresco , q.s.
1 Peperoncino piccante, lavato, asciugato, privato di picciolo e corona ed aperto, ma non diviso longitudinalmente ,
Strutto, 2 cucchiai.

Preparazione:
Tagliate la carne a pezzetti piccoli (cubetti da 1 cm. di spigolo). Fate fondere in una grande pentola, a fuoco dolce, il lardo tagliato a dadini, quindi unite tutta la coratella lavata e sgrondata. Aggiungete i cucchiai di farina e lasciate che prendano colore.

Versate il vino, il concentrato di pomodoro, un po' d'acqua, il timo/piperna, l'alloro, l'aglio, il peperoncino piccante, lavato, asciugato, privato di picciolo e corona ed aperto, ma non diviso longitudinalmente e metà della cipolla tritata. Alzate i fuochi e cuocete per circa un'ora.

Nel frattempo, scaldate lo strutto in una padella e quando è ben caldo aggiungete tutta la cipolla residua tritata e fatela imbiondire, quindi unite le patate, bagnatele con una tazza da tè di acqua bollente.

Cuocete per un'ora, quindi mescolate le patate e la cipolla alla coratella, scaldate a fiamma bassa per circa mezz'ora, regolate di sale e di pepe e servite.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Alla stessa maniera si può preparare e gustare la coratella di maiale che normalmente a Napoli si usa per preparare ‘o zuffritto. Questo ricetta, meno pletorica del ns. zuffritto, me l’à suggerita un mio amico francese, ma è saporitissima, soprattutto se si avrà l’accortezza di scegliere un ottimo vino rosso e si adatta magnificamente al pranzo del lunedí in albis qualora si pranzasse in casa e non si andasse in gita fuori porta !
Facítene salute!

CARCIOFI DORATI E FRITTI
E/O PARMIGIANA DI CARCIOFI


Le due ricette che qui di sèguito illustro sono due dei piú gustosi modi napoletani di preparare i carciofi da servire come antipasto o come contorno;delle due la prima è quella base, mentre la seconda è un ampliamento piú goloso della prima.
1° CARCIOFI DORATI E FRITTI

Ingredienti e dosi per 6 persone:
12 carciofi verde-violetto napoletani,

6 uova,
1 etto di pecorino grattugiato,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
farina q.s.,
abbondante olio per friggere (semi varii,arachidi,girasole, mais),
sale fino e pepe bianco q.s..

procedimento

Togliere ai carciofi le foglie esterne piú dure e troncare via la parte superiore spinosa. mondare il calice ed il gambo della parte esterna, infine troncare i carciofi dell’eccesso di gambi,dividerle i carciofi in due lungo l’asse maggiore eliminando con uno scavino o un coltellino affilatissimo la barba; indi affettare i carciofi longitudinalmente in fettine dello spessore di ½ cm. rsciacquare i carciofi sotto l'acqua corrente e scolarli bene; a questo punto sbattere in una ciotola tutte le uova con il pecorino, sale e pepe e trito di prezzemolo; in un tegame a bordi alti mandare a temperatura a fiamma viva abbondante olio per friggere e nel frattempo infarinare abbondantemente le fettine di carciofi, intingerle nelle uove e friggerle poche per volta prelevandole con una schiumarola appena saranno ben dorate ed adagiandole su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto. Aggiustare di sale e servire, quale contorno o parte d’antipasto questi carciofi caldi di fornello.
2° PARMIGIANA DI CARCIOFI
Questa seconda ricetta altro non è che un goloso ampliamento dlla prima, per cui oltre gli ingredienti della prima occorreranno anche i seguenti:
½ litro di passata (fresca o in bottiglia) di pomidoro,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
1 cipolla dorata mondata ed affettata sottilmente,
sale fino e pepe nero q.s.,
alcune foglie di basilico,
3 etti di provola affumicata affettata sottilmente (1/2 cm. di spessore) e tenuta in frigo per 12 ore,
1 etto di pecorino grattugiato.
Procedimento
Una volta dorati e fritti i carciofi cosí come indicato nella prima ricetta, tenerli da parte in caldo; nel frattempo in un tegame a bordi alti approntare a fiamma moderata con l’olio d’oliva e.v. p. s. a f.,la cipolla mondata ed affettata sottilmente, sale fino e pepe nero uno spesso sugo di pomidoro in circa 15 minuti; al termine prelevare con un mestolino quasi tutto il sugo, lasciandone poco meno di un centimetro sul fondo del tegame, su questo letto di salsa adagiare uno strato di carciofi dorati e fritti, sullo strato di carciofi sistemare delle fettine di provola, del formaggio, del basilico ed altro sugo e continuare con un altro strato fino ad esaurimento degli ingredienti: lo strato superiore dovrà risultare di carciofi e salsa; incoperchiare e passare il tegame a mezza fiamma di fornello, per circa 10 minuti prima di impiatare e servire questa parmigiana come contorno o sostanziosa pietanza.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
PIZZA RUSTICA NAPOLETANA
Dosi per 6 – 8 persone
Per la pasta:
• 500 gr di farina
• 150 gr di strutto o – in mancanza, (ma è preferibile non farlo mancare!) - 200 gr di burro,
• quattro tuorli
• 100 gr di zucchero
• sale fino q. s.
• la buccia grattugiata di un limone non trattato.

Per il ripieno:
6 uova,
150 g di prosciutto cotto in un’unica spessa fetta da tagliare in cubetti di 1 cm. di spigolo,
500 g di ricotta,
300 g di provola affumicata tagliata a cubetti di 1 cm. di spigolo,
200 g di salame napoli (a grana grossa) tagliato a listarelle di cm. 5 x 1 x 1,
100 g di pecorino grattugiato,
1 bicchiere di latte intero,
sale fino, noce moscata, cannella in polvere e pepe bianco q.s..
sugna per ungere q.s.

procedimento
Cominciamo col preparare un’ottima pasta frolla, nel modo seguente:
Fare la fontana con la farina e lo zucchero, porre al centro le uova, il limone ed il burro a temperatura ambiente, a pezzetti o, meglio!, lo strutto. Amalgamare dapprima con una forchetta, poi con le mani, fino ad ottenere una pasta mobida, compatta ed omogenea. L'impasto non va lavorato molto con le mani. Lasciarlo riposare 30 minuti in frigo. Divider la pasta in due parti, l’una doppia dell’altra e con la parte maggiore, tirata a sfoglia spessa ½ centimetro, foderare una capace tortiera (25 cm. di diametro) unta a bordi alti. Frattanto in una terrina stemperare la ricotta con le uova intere e battere il composto con una forchetta aggiungendo il latte, il pecorino, un pizzico di sale, uno di cannella e due di pepe, nonché una grattugiata di noce moscata. Mescolare a questa crema densa i cubi di fiordilatte, il prosciutto tagliati a dadini ed il salame a listellini e versare il tutto nella teglia foderata di pasta.
Coprire con una sfoglia ricavata dalla parte minore della pasta, fate combaciare bene i bordi marcondoli con i rebbi d’una forchetta da tavola ed infornare a 180° per circa un'ora. Evitare di servir caldissima questa torta rustica, ma a cottura ultimata, lasciarla riposare e raffreddare un po’ fuori del forno prima di porzionarla per servirla.
Ottimo, gustosissimo piatto unico, anche da asporto.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo. PASTIERA NAPOLETANA*
È l’incontrasto dolce principe della pasticceria napoletana, dolce tipico del periodo pasquale (primavera), ma buono e consigliato in ogni altro periodo dell’anno!

Ingredienti
Per Sei Persone
Grano cotto - 1 lattina 450 gr,
Aroma millefiori per dolci - 15 ml,
Latte - 250 gr,
Strutto - 180 gr,
Arancia e/o limone - scorza grattugiata,
Ricotta - 550 gr,
Uova - 9
Zucchero - 600 gr,
Vaniglia - 1 baccello
Cannella in polvere – 1 cucchiaino da tè
Farina - 350 gr,
Sale fino una presa
Zucchero a velo per guarnire 4 cucchiai
Canditi sminuzzati - 100 gr.

attenzione
Per arricchire il composto della pastiera è d'uso e consigliato aggiungere alcune cucchiaiate di una crema pasticciera preparata con:
un bicchiere di latte,
1 etto di zucchero,
50 gr. di farina doppio zero,
4 rossi d'uovo,
la scorza di un limone,
un baccello o una bustina di vaniglia (vanillina)
Per preparare la crema procedere nel seguente modo:
Versate i tuorli direttamente in un pentolino antiaderente con il fondo arrotondato. Tenete gli albumi per un altra preparazione. Scaldate a fondo il latte in un pentolino e unite le scorzette di limone oppure la bustina di vaniglia o il baccello spaccato in due per il lungo. Nel caso della vaniglia in baccello, grattate con la punta di un coltellino i semini neri direttamente nel latte. Unite lo zucchero ai tuorli e mescolate bene con una frusta a mano. Lavorate per alcuni minuti fino a ottenere una spuma di colore chiaro. Unite la farina e mescolate bene con la frusta. Se l'impasto diventasse troppo denso, allungatelo con 2 cucchiai di latte freddo e mescolate fino a che la farina sia ben incorporata.
Togliete dal latte la stecca o le scorzette e versatelo nel pentolino coi tuorli. Mescolate súbito con la frusta per evitare che il latte bollente cuocia i tuorli e formi dei grumi. Quando si sarà ottenuto un impasto omogeneo, ponete il pentolino su fuoco bassissimo e continuate a mescolare fino a che la crema si addensi. Attenzione, è importante che il fuoco sia davvero basso.
Versare súbito la crema in un setaccio a trama fitta poggiato su di una ciotola. Rimestare ben bene con un cucchiaio, o meglio ancóra con una stecca, nel setaccio per facilitare il passaggio della crema. Coprite la ciotola con pellicola trasparente e lasciatela raffreddare alquanto prima di aggiungerla a gli altri ingredienti.
Prepariamo adesso la pastiera.

Procedimento
Preparate la pasta frolla: sulla spianatoia lavorate la farina con 2 uova, un pizzico di sale, 140 g di strutto e 140 g di zucchero. Come tutte le paste frolle bisogna impastare rapidamente. Ottenuto un panetto sodo ed elastico tenetelo a riposo, coperto, mentre preparate il ripieno.
Versate il contenuto del barattolo di grano cotto in una casseruola; amalgamatelo sulla fiamma bassa con il latte e la scorza grattugiata di un'arancia o di un limone a vostra scelta. Cuocere a lungo ed a mezza fiamma, mescolando attentamente perché non si attacchi, fino ad ottenere un composto cremoso.
Frullate la ricotta con 500 gr. di zucchero, 5 uova intere piú due rossi, una bustina di vaniglia, un cucchiaino da tè di cannella in polvere ed 1 fiala di aroma millefiori. Questo aroma può essere sostituito anche da una fiala di fiori d'arancio, piú facilmente reperibile sul mercato. La vera essenza da usare, però, nella pastiera è la prima. Amalgamate il frullato con il composto a base di grano e aggiungetevi la crema pasticciera ed i canditi tagliati a dadini, girando molto bene.
Accendete il forno e portatelo a 180°. Ungete di strutto o rivestite con carta da forno una tortiera adeguata (ca 25 cm. di diametro), a bordi alti sei cm. di quelle apribili. Foderate lo stampo con la pasta frolla in modo da arrivare fino ai bordi e avendo cura di conservare un po' di pasta frolla per decorare la superficie del dolce. Versate il composto e decoratene la superficie con strisce strette 1,5 cm. di pasta frolla, formando come un graticcio
Infornare per ca 180 minuti.
Lasciar raffreddare bene nello stampo e prima di servire cospargere di zucchero a velo.
Accompagnare la preparazione con rosolii dolci al gusto di arancia o limone.

*Questo dolce è tipico della zona napoletana e viene preparato in occasione della festività primaverile della santa Pasqua e la sua ricetta è molto antica. Da qualcuno, ma non so quanto veridicamente, si afferma che la pastiera, , accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente, mentre il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbero derivare dal ricordo del pane di farro delle nozze romane, dette appunto confarreatio= confarreazione, una delle forme legali del matrimonio romano, la piú solenne (tanto che un matrimonio celebrato in questa forma non poteva esser mai sciolto!) che prendeva il nome dalla focaccia di farro farcita di ricotta offerta agli sposi e a Giove.
Un'altra ipotesi circa l’origine della pastiera la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale. Per il vero la versione originale della pastiera napoletana, versione nata nel contado partenopeo, consistette ed in taluni paesi ancóra consiste ( sia pure con il nome di pizza doce ‘e tagliuline) in una sorta di frittata di pasta, frittata però dolce fatta mescolando uova, zucchero, ricotta ed aromi con la pasta lessa (spaghetti o vermicelli o tagliolini) scondita, eccedente il fabbisogno dei commensali; dalla parola pasta addizionata del suffisso femm. di pertinenza iera deriva il nome di pastiera.È solo una divertente, fuorviante coincidenza, ma con nessun attendibile sostrato semantico-etimologico che il suffisso iera (suffisso di pertinenza derivato (cfr. Rohlfs) dal francese ière) di past-iera derivi dal sostantivo ieri!
Nell'attuale versione, si pensa che la pastiera sia stata inventata probabilmente nella pace segreta di uno sconosciuto, dimenticato monastero napoletano dove un'ignota suora addetta alla cucina volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse agli ingredienti della cucina quotidiana, il profumo dei fiori d'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano bollito,quel grano che, sepolto nella scura terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.Non vi sono certezze circa il nome del monastero, mentre è certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno furono reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia, o per offrirne (in cambio di una piccola elemosina da destinare ai poveri) ai visitatori del convento.
Oggi ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, ed ovviamente migliore, ricetta della pastiera. Ci sono,per intenderci , due scuole di pensiero : la piú antica insegna a mescolare alla ricotta, al grano cotto ed agli altri ingredienti delle semplici uova sbattute, e prevede che il dolce risulti alto non piú di due dita; la seconda(decisamente innovatrice) alla quale aderí anche mia madre dalla quale ò appreso la ricetta del dolce piú buono in assoluto, raccomanda di confezionare un dolce alto tre dita almeno e di mescolare a tutti gli ingredienti (uova sbattute comprese) una densa crema pasticciera che se non la rende piú leggera, la fa certamente morbida ed appetitosa ; tale innovazione fu dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio, bottega ora non piú esistente.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedí o il Venerdí Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amaIgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.
Personalmente lo ritengo il dolce piú saporito che si possa preparare, superiore ad ogni altra leccornia.
Tradizionalmente viene fatto per festeggiare il ritorno della bella stagione e quindi è associato alla Pasqua ma in realtà, come ò detto all’inizio, si può fare in ogni momento visto che gli ingredienti son reperibili
tutto l’anno e sarebbe un peccato non approfittarne!
* Leggenda e mitologia
Leggenda e mitologia si sposano nel narrare la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio,pare avesse fissato lí(al fondo del mare di Napoli) la sua dimora. Ogni primavera però la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu cosí melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un cosí grande diletto, decisero di offrirle quanto di piú prezioso avessero.
Sette fra le piú belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina (forza e ricchezza della campagna), la ricotta (omaggio di pastori che la producevano con il latte delle loro pecorelle); le uova (simbolo della vita che sempre si rinnova) il grano tenero, bollito nel latte (a prova dei due regni della natura), l'acqua di fiori d'arancio (perché anche i profumi della terra rendessero omaggio alla sirena ), le spezie (come omaggio dei popoli piú lontani del mondo) ed infine lo zucchero (per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo).
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
Senza scomodare la mitologia si racconta, a vanto della pastiera, che Maria Teresa D'Austria (Vienna 31.07.1816 † Albano Laziale 08.08.1867) , consorte in seconde nozze del re Ferdinando 2° di Borbone (Palermo 1810 † Caserta 1859), soprannominata dai soldati la Regina che non sorride mai, cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di pastiera e non poté far a meno di sorridere, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".

Concludendo dirò che sia che si tratti di un dono degli dei ghiottoni, sia che sia un antico dolce d’epoca romana, o una trovata di una solerte capa ‘e pezza o piú modestamente un’ideazione di una contadina economa e parsimoniosa, a noi non resta che plaudire all’indirizzo di chi ci à donato quest’insuperabile dolce, metterci in cucina, scorciarci le maniche, prepararlo e poi mangiarlo appena sia raffreddato, in barba al diabete, trigliceridi, colesterolo memori ca una vota se campa e tutt’’o llassato è perduto!
Alla pastiera ò dedicato i seguenti sonetti, pubblicati nel mio volume di poesie napoletane :
‘E CCODE D’’O PPASSATO (ed. Graus 2006)



’A PASTIERA


I

Simmo arrivate a Ppasca e pure st’ anno
t’ hê miso ’ncapo ca m’ hê ’a fa ’a pastiera…
Tu me saje cannaruto ’e che manera
pe chistu dolce lloco e staje ’nciarmanno

cu zuccaro e ricotta, ca… nun sanno
qua’ fine aspetta… ggià da ajeressera
’mmiez’ ô revuoto ’e cinche, seje turtiere
ca o songo piccerelle o troppo ’ranne…;

ògne anno ’a stessa storia puntualmente
e ògne anno ’o risultato è ttale e cquale…
J’ ’o ssaccio: me vulisse fà cuntento,

ma ’o fatto è cchisto – nun l’averlo a mmale –
quanno s’ arape ’o furno, ch’ esce fora?
’Na ddia ’e pantosca tosta e senz’ addore!

E me se stregne ’o core!
E m’ arricordo, ahimmé, cu nustalgia
d’ ati pastiere… Chelle ’e mamma mia!

II

Quanno era viva mamma, eh gioja mia…,
ê juorne ’e Pasca, ’a casa, chien’ ’addore
sapeva tutta d’ acqua ’e millefiore
e te metteva ’ncore n’ alleria…

Ma che ne faje ’e ’na pasticceria!?
Pastiere tante, oj ne’, chiene ’e sapore
cotte a mestiere, ca ’un vedive ll’ora
e n’ assaggià ’na fella, comme sia

senza aspettà ca se fosse freddata,
pecché, ’ncopp’ ô buffè d’ ’a stanza ’e pranzo –
guardannole zucose e prelibbate –

pareva ca dicesse’: Fatte ’nnanze!
Ch’ aspiette? Taglia e dicce: Bellavita
’e ffa cchiú mmeglio, ’e ffa cchiú sapurite?…

Nun resistevo ô ’mmito
e ne facevo tale e tante assagge
ca finché campo nun m’ ’e scurdarraggio!

III

E pure tu ’assaggiaste e te piacette
talmente tanto d’alliccarte ’e ddete…
Dicive: Sta ricotta è comme â seta,
’sta pastafrolla è propeto allicchetto!…

Ragion per cui, teté, cu ogni rispetto,
nun t’ ’a piglià si j’ mo, ’nnante a ’sta… preta,
cu ’a scusa ’e tené ’o ppoco ’e diabbete,
j’ me ricuso… Nun è ppe dispietto

ma proprio nun ce ’a faccio… Tiene mente:
se sente ’o ggrano, è vvascia, s’ è arruscata
è scarza ’e cetro e ’a crema n un va niente…

e aje voglia ’e ’mpupazzarla: ’sta… crostata
secca e ’ntaccuta e cu ’na faccia nera
nun m’ ’a puó fa passà pe ’na pastiera!

Pirciò cagna penziero:
nun è arta toja! E si è pe… devuzzione
pígliala bbella e ffatta… e statte bbona!


Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale
A questo punto non mi resta che il consueto
facítene salute e buona e santa Pasqua!
Raffaele Bracale

SINFUNIA ‘E ZEPPULELLE

SINFUNIA ‘E ZEPPULELLE
(fritto di ortaggi)


ingredienti e dosi per 6 persone

-1 cavolfiore napoletano di ca 7 etti, mondato del torsolo, lavato e diviso in cimette,
6 etti di cimette di broccoli baresi già mondati e lavati
-3 zucchine verdi piccole e sode, lavate, asciugate e tagliate a fiammifero
18 fiori di zucca lavati, asciugati e privati del pistillo,
4 carote mondate, lavate e tagliate a rondelle spesse 1/2 cm.
-4 carciofi, mondati e e tagliati longitudinalmente in fettine da ½ cm di spessore.

-3 cipolle dorate, mondate e ed affettate a rondelle spesse 1/2 cm.
per la pastella
-5etti di farina,
-3 cucchiai di lievito chimico,
-sale fino e pepe decorticato q.s.
-4 cucchiai di olio d'oliva e.v. p. s. a f.,
un uovo intero,
abbondante olio per friggere.
Preparazione:
.
Lessare in acqua salata (pugno di sale doppio) separatamente per 7 minuti dapprima le cimette di cavolfiore, a seguire quelle di broccoli ed infine le rondelle di carote, scolandole ed asciugandole su carta da cucina.
Eliminare le brattee piú dure dei carciofi,spuntare le restanti delle spine; dividere longitudinalmente in due parti i carciofi, eleminare il fieno e tagliarli sempre longitudinalmente in fettine da ½ cm di spessore.
Tagliare a fiammifero le zucchine e a rondelle le cipolle.
Versare la farina in una terrina, unire il lievito, i cucchiai d’olio, l’uovo intero,un pizzico di sale ed uno di pepe; impastare con un bicchiere di acqua tiepida fino ad ottenere un impasto colloso. Portare a temperatura abbondante olio per frittura. Impastellare le verdure e, aiutandosi con un cucchiaio, deporle, a poco a poco, nell'olio bollente.
Quando le verdure saranno dorate, scolarle e adagiarle su carta assorbente. Salare leggermente e servirle calde di fornello.
Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale

CREMA PICCANTE DI PIPERI

CREMA PICCANTE DI PIPERI

Nota:Questa gustosissima salsa di peperoni è ottimo condimento sia di pasta doppia che di fettine (piccatine di manzo) scottate in padella.
Con la voce pipere plurale di pipero nella parlata napoletana si identifica un tipo particolare di gustoso peperone,di vario colore (rosso, giallo, verde chiaro), non quadrilobato, ma di pizzuta forma conica allungata e di sapore piuttosto forte come dal nome che con derivazione dall’ acc.vo neutro tardo latino piper indica appunto un peperone dal sapore intenso, quasi pepato.
Ingredienti e dosi per 6 persone:
8 peperoni conici (pípere) di varî colori,
1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato,
1 bicchiere di olio d’oliva e.v.p. s. a f. ,
3 peperoncini rossi piccanti,
un ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato grossolanamente,
sale fino e pepe bianco decorticato q.s.
procedimento
Lavare ed asciugare i peperoni (pipere), scapitozzarli del picciolo, aprirli longitudinalmente per eliminare i semi ed eventuali costoline interne e tagliarli i piccoli pezzi quadrati di circa 2 cm. di lato; versare la metà dell’olio in una padella di ferro nero, portarlo a temperatura, dorarvi l’aglio schiacciato assieme ai tre peperoncini piccanti, lavati asciugati, privati di picciolo e corona ed aperti longitudinalmente; eliminare l’aglio dorato e friggervi i pezzetti di peperone bagnandoli con mezza ramaiolata d’acqua bollente, salarli parsimoniosamente, pepare ad libitum e trasferirli con il fondo di cottura in un mixer con lame da umido dove vanno frullati aggiungendo l’olio residuo fino ad ottenere una crema morbida e spumosa, da rimettere in padella per mantenerla al caldo sino al suo utilizzo per condire pasta doppia o piccatine di manzo; prima dell’utilizzo aggiungere il prezzemolo tritato.
R.Bracale

sabato 26 febbraio 2011

PIZZA RUSTICA NAPOLETANA

PIZZA RUSTICA NAPOLETANA

NOTA INTRODUTTIVA
Questa gustosissima preparazione è una tòrta (pizza) farcita che a Napoli si è soliti preparare durante il tempo primaverile in occasione delle festività pasquali in alternativa ad altra tòrta rustica (pizza di scaròle), ma trattandosi di una tòrta i cui ingredienti son reperibili facilmente durante tutto l’anno, nulla vieta che la si prepari in occasioni di altre festività o quando piú aggradi: è sempre un asciolvere squisito!
pizza s.vo f.le focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni, capricciosa etc.; questa che ci occupa è una focaccia rustica, salata farcita di ricotta uova ed altri ingredienti: salumi e latticini; la voce pizza piú che dal longob. bizzo 'morso, focaccia', penso sia un deverbale del latino pinsere= pestare, schiacciare: il part. pass. pinsa à dato pinza donde pizza;
rustica agg.vo f.le al m.le ico 1 di campagna: fondo rustico | stile rustico, che arieggia quello campagnolo | pizza rustica, pasticcio ripieno di formaggi, carne, salumi e aromi vari
2 (fig.) riferito a persona, poco socievole, scontrosa, rozza: donna dal carattere rustico; avere modi rustici | (estens.) semplice, alla buona: una cena rustica
3 detto di cose, grezza, non rifinita: facciata rustica, senza intonaco
come s.vo m.le rustico vale
1 (lett.) contadino
2 costruzione annessa a una villa o a una fattoria, usata come deposito per attrezzi agricoli o come alloggio per i contadini
3 (edil.) edificio in costruzione e non ancora rifinito;
4 pl. (gastr.) pasticcini salati di pasta sfoglia farcita
E veniamo alla ricetta:
Dosi per 6 – 8 persone
Per la pasta:
500 gr di farina
150 gr di strutto o – in mancanza, (ma è preferibile non farlo mancare, sarebbe un delitto!) - 200 gr di burro,
quattro tuorli
100 gr di zucchero
sale fino q. s.
la buccia grattugiata di un limone non trattato.

Per il ripieno:
6 uova,
150 g di prosciutto cotto in un’unica spessa fetta da tagliare in cubetti di 1 cm. di spigolo,
500 g di ricotta,
300 g di provola affumicata tagliata a cubetti di 1 cm. di spigolo,
200 g di salame napoli (a grana grossa) tagliato a listarelle di cm. 5 x 1 x 1,
100 g di pecorino grattugiato,
1 bicchiere di latte intero,
sale fino, noce moscata, cannella in polvere e pepe bianco q.s..
sugna per ungere q.s.

procedimento
Cominciamo col preparare un’ottima pasta frolla, nel modo seguente:
Facciamo la fontana con la farina e lo zucchero, ponendo al centro le uova, il limone e lo strutto o – se malauguratamente dovesse mancare - il burro a temperatura ambiente, a pezzetti. Amalgamiamo dapprima con una forchetta, poi con le mani, fino ad ottenere una pasta mobida, compatta ed omogenea. L'impasto non va lavorato molto con le mani. Lasciamolo riposare 30 minuti in frigo. Dividiamo la pasta in due parti, l’una doppia dell’altra e con la parte maggiore, tirata a sfoglia spessa ½ centimetro, foderiamo una capace e ben unta tortiera (25 cm. di diametro)a bordi alti. Frattanto in una terrina stemperiamo la ricotta con le uova intere e battiamo il composto con una forchetta aggiungendo il latte, il pecorino, un pizzico di sale, uno di cannella e due di pepe, nonché una grattugiata di noce moscata.Uniamo a questa crema densa i cubetti di provola affumicata, il prosciutto tagliato a dadini ed il salame a listellini e versiamo il tutto nella teglia foderata di pasta.
Copriamo con una seconda sfoglia spessa ½ cm. ricavata dalla parte minore della pasta, facciamo combaciare bene i bordi marcondoli con i rebbi d’una forchetta da tavola e mandiamo in forno preriscaldato a 180° per circa un'ora. Evitiamo di servir caldissima questa torta rustica, ma a cottura ultimata, lasciamola riposare e raffreddare un po’ fuori del forno prima di porzionarla, per servirla, in grossi spicchi triangolari.
Ottimo, gustosissimo piatto unico, anche da asporto.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo
Mangia Napoli, bbona salute e scialàteve!
raffaele bracale

PIZZA DI SCARÒLE

PIZZA DI SCARÒLE

Questa preparazione in uso nella cucina napoletana è tipica delle feste natalizie e di fine anno; infatti tale pizza viene consumata nei giorni del 24 e 31 dicembre quale desinare di mezzodí in attesa del luculliano pasto (quantunque di magro) serale di vigilia, ma trattandosi di un asciolvere squisito,ed i cui ingredienti son reperibili anche in ogni stagione, nulla vieta di prepararlo anche a Pasqua in alternativa alla pizza rustica, oppure quando lo si voglia!
pizza s.vo f.le focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni,capricciosa etc.; questa che ci occupa è una focaccia rustica, salata farcita di scarole condite; la voce pizza piú che dal longob. bizzo 'morso, focaccia', penso sia un deverbale del latino pinsere= pestare, schiacciare: il part. pass. pinsa à dato pinza donde pizza (vedi ultra).
*scarola o scariola,( dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo, esca') (s. f.) è una varietà di indivia; ed anche, in alcune regioni, una varietà di lattuga o cicoria; a Napoli ed in Campania esistono due speci di scarola-indivia: la riccia e la liscia; la prima è usata essenzialmente da cruda in insalata da sola o con altri ortaggi: cavolo bianco lesso etc. condita all’agro con olio aglio e limone o aceto, mentre la scarola-indivia liscia viene usata da cotta dapprima lessata in acqua salata e poi saltata in padella con olio, aglio, acciughe, capperi ed olive nere di Gaeta; è appunto quest’ultimo tipo che dev’essere usata per preparare la pizza di scarole; tale pizza può essere cotta al forno in una teglia ampia e poi divisa in fette triangolari e servita, oppure può esser fritta già monoporzionata in forma di calzoncelli semicircolari; in ambedue i casi gli ingredienti sono i medesimi.
ingredienti e dosi per 6 – 8 persone
per l’involucro:
9 etti di pasta da pane già lievitata
+ una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f.
oppure : farina gr. 600 - una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f. -sale gr. 15 - un cucchiaino di zucchero - lievito di birra (un cubetto) - 350 cl. di acqua.
per il ripieno:
scarole lisce mondate e lavate Kg. 1,5 –
3 spicchi di aglio, mondati e tritati –
1 bicchiere di olio di oliva e.v.p.s. a f. –
2 etti di olive di Gaeta denocciolate –
1 etto di capperini di Pantelleria dissalati –
due cucchiai colmi di pinoli tostati al forno (220°) o in padella con un filo d’olio –
1 etto di uvetta ammollata in acqua calda
sale doppio una presa
pepe bianco q.s.
10 – 12 filetti di acciughe sott’olio.

procedimento
Cominciamo con la versione a forno.

L'impasto occorrente è essenzialmente quello del pane; se non lo si compra già pronto dal fornaio occorre procedere in questo modo: mettere su di un ripiano la farina a "fontana", aggiungere l'olio, l'acqua, il cubetto di lievito, lo zucchero ed il sale sulla corona ed amalgamare bene il tutto e porre la pasta a lievitare al caldo, in una terrina coperta con un canevaccio.
Mondare e lavare le scarole, metterle in una pentola con poca acqua salata (sale grosso) e lessarle (15 min. circa), infine metterle a scolare, dopo d’averle un po’ strizzate.
In un ampio tegame, provvisto di coperchio, versare tutto l’olio con i tre spicchi d’aglio schiacciati e farli soffriggere a fuoco vivace; eliminare gli spicchi d’aglio, aggiungere i filetti d’accighe e, aiutandosi con la punta d’un cucchiaio di legno, farli sciogliere nell’olio caldo, indi aggiungere le olive denocciolate e i capperi; a seguire dopo due minuti unire i pinoli e le uvette ed infine le scarole ben strizzate, condire con sale e pepe,incoperchiare, abbassare i fuochi ed ultimare la cottura mescolando di tanto in tanto (**). Lasciar freddare e preparare la tortiera alta di bordo e di circa 25 cm. di diametro per la cottura della pizza, oliandone la superficie. Dividere in due parti diseguali l’impasto ormai lievitato e usarne una parte (la maggiore) per la base,foderando accuratamente fondo e bordo della tortiera, aggiungere le scarole pressandole alquanto con il cucchiaio di legno e completare l’operazione coprendo le scarole con un "coperchio di pasta avanzata"; lasciar lievitare ancóra per circa un'ora in un luogo caldo ed asciutto ed infornare a 200°per 30 minuti.(*) Una volta che la pizza sarà cotta, estrarla dal forno farla intiepidire prima di porzionarla e servire.




Note
Attenzione! (*) Qualora si usasse la pasta di pane del fornaio, prima di usarla occorrerà intriderla bene con una tazza d’olio d’oliva. e.v.p.s. a f. stracciandola e riammassandola.
(**)La cottura sarà ultimata quando la scarola non rilascerà piú acqua e l'olio incomincerà a friggere nuovamente.



VERSIONE FRITTA
Come ò già detto sia che si tratti di pizza di scarole al forno, che di pizze di scarole fritte gli ingredienti e le dosi sono i medesimi. Avremo dunque:

per l’involucro:
9 etti di pasta di pane già lievitata, intrisa con una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
oppure : farina gr. 600 - una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f., -sale gr. 15 - un cucchiaino di zucchero - lievito di birra (un cubetto) - 350 cl. di acqua.
per il ripieno:
scarole mondate e lavate Kg. 1,5 –
2 spicchi di aglio –
1 bicchiere di olio di oliva –
1 etto di olive di Gaeta denocciolate gr. –
½ etto di capperini di Pantelleria dissalati –
due cucchiai colmi di pinoli tostati al forno (220°) o in padella con un filo d’olio –
1 etto di uvetta ammollata in acqua calda,
10 – 12 filetti di acciughe sott’olio,
sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.
per la frittura
abbondante olio per friggere (arachidi, semi vari, mais, girasole).
procedimento
Si procede cosí come nella versione al forno
fino a quando le scarole siano stufate; indi (*) si divide l’impasto in pezzi grossi come un mandarino e con l’aiuto di un matterello e di una rotellina dentellata se ne ricavano delle sfoglie spesse ½ cm. della grandezza e forma di un piattino da frutta, si dispongono tutte queste sfoglie sul tagliere infarinato l’una accanto all’altra e lungo l’ideale diametro di ognuna si pongono uno accanto all’altro due cucchiai di scarole stufate, si ripiega un lembo poggiandolo sull’altro, serrando il ripieno, si inumidisce d’acqua leggermente un bordo e si sigilla pressando con i rebbi di una forchetta ed ottenendo dei calzoncelli semicircolari che vanno fritti fino a doratura in olio bollente e profondo.
Si servono caldi di fornello.
(*)Attenzione! Qualora si usasse la pasta di pane del fornaio, prima di usarla non bisogna dimenticare di intriderla con una tazza d’olio d’oliva e.v. p.s. a f.
NOTA LINGUISTICA
Lavoce pizza è usata (come ò accennato), nel napoletano innanzitutto per indicare una tipica schiacciata tonda o rettangolare di pasta lievitata, condita in molti modi (ad es. salsa di pomidoro, aglio trito, origano, sale ed olio: pizza alla marinara o napoletana classica; salsa di pomidoro,mozzarella, formaggio grattugiato, basilico, sale ed olio: pizza margherita; divisa in quattro sezioni con una sottile croce di pasta sovrapposta alla schiacciata tonda; ognuna delle sezioni è condita diversamente: 1) pomidoro, aglio trito, origano, sale ed olio – 2) pomidoro,carciofini o funghi sott’olio, sale ed olio - 3) pomidoro, aglio trito,alici fresche, origano, sale ed olio – 4) ricotta, formaggio grattugiato,ciccioli di maiale, basilico, sale ed olio: quattro stagioni ; sugna e formaggio: pizza puverella, sugna pomidoro e formaggio : pizza guappa ;questi ultimi due tipi di pizza non si riscontrano quasi piú nei menú delle pizzerie napoletane specialmente da quando, seguendo i cervellotici dettami dei dietisti del tubo… catodico si è quasi del tutto abolita dall’elenco dei condimenti, la gustosa sugna; altre preparazioni che oggi si posson trovare in tantissime pizzerie napoletane e non, sono fantasiose variazioni ad libitum operate da i pizzaiuoli che si sbizzarriscono ad inventare nuovi condimenti). A margine della pizza guappa, rammento che dal suo tipo di condimento sugna e pomodoro si trasse l’espressione fà a uno ‘nzogna e pummarola (letteralmente fare uno sugna e pomodoro, cioè percuoterlo tanto (come richiede la pizza/schiacciata di riferimento) da vederlo rosseggiare di sangue (pummarola) e costringerlo a far ricorso a pomate o linimenti (‘nzogna). La pizza condita in uno dei modi rammentati, viene cotta piú o meno brevemente ad una temperatura di circa 400° in tipici forni a legna di mattoni refrattari.
Con la voce pizza però a Napoli si indica, addizionandola di un aggettivo o uno specificativo, anche qualsiasi torta o preparazioni di paste rustiche o dolci variamente farcite e si ànno quindi: pizza ‘e scarole (torta con le scarole) pizza rustica (torta farcita di latticini, uova,salumi etc.) pizza doce (torta di pan di spagna farcita di creme) ed altre; una tipica pizza doce che però si è conquistato un suo nome specifico è il gattò mariaggio (torta di pan di spagna farcita di creme e ricoperta di naspro usata in occasione di sponsali: trae il suo nome dal francese gateau (torta) du mariage (del matrimonio;). Altra preparazione rustica è la cosiddetta pizza ‘e patane nota anche e meglio con il nome di gattò ‘e patane Il gattò di patate napoletano è una torta rustica, salata o meglio uno sformato di patate tipico della cucina partenopea dove fu introdotto dai cuochi francesi chiamati nel Reame di Napoli in occasione delle proprie nozze(1768) dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, ma non è piatto derivante dalla cucina francese, ma inventato qui nel Reame, con tutti gli ingredienti usati nella cucina napoletana, con la sola eccezione del burro (ingrediente per solito …nordico) questa volta usato in luogo dell’olio d’oliva e.v. tipico della cucina meridionale e con l’eccezione del pomodoro mancante del tutto in questa preparazione il cui nome è gattò, evidente corruzione del lemma francese gateau (torta); al proposito ripeto che la parola gattò entrò anche, dopo la discesa dei cuochi francesi detti dai napoletani monzù,corrompendo il francese monsieur, nelle pasticceria napoletana dove con il nome di gattò mariaggio con evidente corruzione di gateau du mariage si indicò la dolce torta nuziale. Un’altra pizza doce (regina della pasticceria napoletana) che si è conquistato un suo nome ad hoc è la pastiera, per la cui trattazione rimando alibi.
Pizza s f (gastr.) focaccia di pasta di farina lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale; per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni etc. Etimo incerto: qualcuno opta forse per un’origine germ., dal longob. bizzo 'morso, focaccia';altri piú fantasiosamente da un non attestato *apicia (pàtina) preparazione culinaria attribuita (ma non è dato sapere in base a quali risultanze o reperti) al cuoco romano Marco Gavio Apicio( nato intorno al 25 a.C. e morto verso la fine del regno di Tiberio). A mio avviso, essendo la pizza una focaccia, una schiacciata di pasta di farina lievitata, lavorata e spianata, si può quanto alla semantica tranquillamente far riferimento al p. p. sostantivato pinsa del verbo latino pinsere=pigiare, schiacciare; e morfologicamente partendo da pinsa con un tranquillo, consueto passaggio di ns ad nz e successiva assimilazione regressiva nz→zz si può approdare a pizza evitando di scomodare i morsi longobardi o pretese e non comprovate preparazioni culinarie attribuite a Marco Gavio Apicio.
Scarola s.f. varietà di indivia; ed in alcune regioni, varietà di lattuga o cicoria. voce napoletana pervenuta poi all’italiano, con derivazione dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo, esca').
‘nzogna s.vof.le= sugna, strutto

Precisiamo súbito che la voce napoletana a margine che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
Naspro s.vo neutro glassa zuccherina; la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà= ricoprir di naspro una torta o altro(a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro come ò fatto con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali ma con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convinse ed ancóra poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche, né d’altro canto non è attestato da nessuna parte che – fatta eccezione per la glassa della torta nunziale rigorosamente bianca(o almeno un tempo fu cosí: oggi assistiamo a tutto…) - dicevo non è attestato da alcuna parte che il naspro debba essere bianco ; penso di poter a proporre una mia ipotesi sia pure non supportata ancóra (ma non dispero!) da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)n-asperum→nasperum→naspru(m)→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros. Spero di non essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non convincimento, sono in ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non è soddisfatto dell'ipotesi Cortelazzo/Marcato e trova (ma spero non lo faccia per mera amicizia...) piú perseguibile la mia idea.


Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

MONETE & MISURE

MONETE & MISURE

A margine di quanto (alibi) sotto la voce Paparelle scrissi sui termini che nella parlata napoletana si usano per significare il danaro, trovo qui interessante indicare le principali monete in uso nel reame di napoli tra il 1750 ed 1865;abbiamo:
GLIUOMMERO (436500 lire it.) = rotolo di 100 DUCATI –
DUCATO(= 436,5 lire it.) = 100 GRANI/GRANA; ogni grana era corrispondente a 4,365 lire italiane –
TARí = 20 GRANI = 87,30 lire italiane
PEZZA o SCUDO = 120 GRANI cioè 12 CARLINI = 523,8 lire italiane
CAVALLO O CALLO: Coniata in rame in piú valori (uno, due, tre, quattro, cinque, nove) dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal tornese), era la dodicesima parte di un grano napoletano. Dal 1814 passò, invece, a rappresentare la decima parte di un grano napoletano.
PREVETINA = 13 GRANI = 56,745 lire italiane
CARLINO = 10 GRANI = 43,650 lire italiane
TORNESE = 2 GRANI = 8,73 lire italiane

PENNA = 1/2 poi 1/20 GRANO. = 2,1825→02,18 lire italiane

E trovandomi in tema elenco qui di sèguito i principali pesi e misure di ardi e liquidi in uso nel reame di napoli tra il 1750 ed 1865 quantunque esulino dal discorso sulle monete; abbiamo:
TOMOLO/TUMOLO (misura per aridi) = litri 55,32 divisi in 24 MISURE –
MISURA (misura per aridi o liquidi) = litri 2,31 –
BARILE(misura per liquidi) = litri 43,62 diviso in 60 caraffe
CARAFFA(misura per liquidi) = litri 0,727
STAIO (misura per olio) = litri 10,081 pari a 96 misurelle
MISURELLA o MESURIELLO = litri 0,105
CANTÀRO(misura per aridi ) = kg. 89,1 pari a 100 rotoli
ROTOLO /RUOTOLO = 890 grammi (a Napoli e nel napoletano, mentre in Sicilia corrispondeva a 793 grammi) pari a 33,35 once a Napoli e 29,70 once in Sicilia -
ONCIA = 26,7 grammi pari a 30 trappesi
TRAPPESE = 0,89 grammi.
Ed a questo punto penso se non d’essere stato completo d’averne détto abbastanza , d’aver contentato la curiosità di qualche amico ed avere altresí interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori e penso poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale

SQUATTRINATO, MISERO, POVERO

SQUATTRINATO, MISERO, POVERO
Ancóra una volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico: P.G.del quale per problemi di privatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa a due desuete parole napoletane usate per solito di conserva:liscio e sbriscio un tempo usate addirittura agglutinate: liscesbriscio ; prendo spunto dicevoper parlare delle voci italiane in epigrafe ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano e sono molto contento della richiesta perché mi darà modo di illustrare alcune parole napoletane antiche e disusate, ma grandemente icastiche. Cominciamo ordunque con le voci dell’italiano dove accanto a squattrinato, povero, misero, troviamoindigente, bisognoso, meschino, micragnoso, nullatenente; esaminiamole singolarmente:
squattrinato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
che, chi non à quattrini; spiantato; etimologicamente è il part. pass. di squattrinare/arsi verbo disusato = privare/privarsi di quattrini( verbo denominale di quattrino( der. di quattro; propr. «moneta di quattro denari») con il prefisso distrattivo s);
povero/a, agg.vo e talvolta s.vo m.le o f.le
1. a. Riferito a persona, che non dispone a sufficienza di quanto è essenziale per vivere, per sostentarsi, che à scarsi mezzi economici, che manca del denaro necessario e di tutto quanto il denaro può procurare (si contrappone a ricco, ed è sempre posposto, in questa accezione, al sost. cui si riferisce): à sposato una ragazza p.; è gente p.; le famiglie piú p. della città; in posizione predicativa: essere p.; sono molto poveri; diventare p.; è nato, è vissuto, è morto p.; mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo (Manzoni); rafforzato con valore superl.: esser povero povero; essere povero come Giobbe; essere povero in canna, poverissimo. Con uso sostantivato: elenco dei p. del comune; ospizio per i p.; prima di morire distribuí ai p. tutti i suoi averi; sfruttare i p.; aiutare i p.; nell’uso comune, mendicante, accattone: vicino al portone c’è un p. che chiede l’elemosina. Analogam., di collettività prive di mezzi o scarse di risorse economiche: un istituto, un convento p.; villaggi molto p.; una nazione p.; i paesi p. del terzo mondo. b. Che indica o manifesta povertà, miseria, triste condizione (può essere anteposto o posposto al sost. cui si riferisce; nel primo caso esprime una maggior partecipazione del parlante): vivere in p. stato; ognuno à fatto la sua p. offerta; i bambini del paese ànno portato i loro p. doni; dopo una p. cena (o una cena p.) andarono a dormire; essere vestito di p. panni; giacere in un p. giaciglio. Che è abitato da gente povera, e quindi appare estremamente umile e modesto nell’aspetto: un paese formato di p. case; abitano in p. capanne; quartieri p.; questa è una casa p., ma onesta; Nel suo p. tetto educò un lauro Con lungo amore (Foscolo); che appartiene a gente povera: sedevano su p. panche; tirò fuori le sue p. cose. c. Arte p., nel linguaggio delle arti figurative, tendenza di ricerca artistica manifestatasi verso la fine degli anni ’60 del Novecento, che, rifiutando lo spirito formalista della pop art, in partic. l’attenzione posta ai valori iconografici, e opponendosi a forme di manipolazione o sofisticazione, mira al recupero del contingente come sola possibilità d’arte, facendo ricorso a materiali non nobili o addirittura banali (quali carta, pietra, stoffe, vegetali, ecc.), e si pone come presa di coscienza delle possibilità espressive insite nella materia; con altro sign., nel linguaggio degli antiquarî, metodo economico (detto anche lacca dei poveri) di decorare mobili e altri oggetti d’arredamento con applicazioni di stampe ritagliate o mediante decalcomanie. Architettura p., locuz. con la quale ci si riferisce a piccole costruzioni in genere realizzate dalle stesse persone che le abiteranno, senza un progetto, spesso su terreno demaniale e con materiali riciclati e di risulta, a volte utilizzate come seconda casa; negli anni ’70 specialmente negli Stati Uniti, opere di questo genere sono state realizzate nell’ambito di movimenti giovanili tendenti al rifiuto delle convenzioni e particolarmente attenti alle problematiche ecologiche. Cucina p., modello alimentare entrato nell’uso dagli anni ’70 in poi, che, come reazione agli errori di un’alimentazione troppo ricca e raffinata, sostiene la necessità di recuperare cibi e ingredienti che, in passato, erano tipici delle classi povere, quali, per es., la polenta, i legumi, certi tipi di pesce, ecc. Moda p., modo di vestire in auge spec. negli anni ’70, soprattutto tra i giovani, che si avvaleva di materiali e tessuti semplici e poco costosi, come espressione di anticonformismo e atteggiamento di rifiuto del consumismo in ogni suo aspetto. d. Al plur., entra nella denominazione di varî ordini religiosi cattolici, maschili e femminili, che hanno fatto voto di povertà: P. ancelle di Gesú Cristo; P. figlie delle sacre stimmate di s. Francesco; P. figlie di s. Antonio di Padova; P. suore di Nazaret; P. eremiti di Celestino, P. eremiti di s. Girolamo, ecc.; e anche di comunità e sette religiose non cattoliche che aderivano allo spirito di povertà evangelica: P. cattolici; P. di Lione, denominazione dei valdesi di Francia spec. dopo la scissione (inizio sec. 13°) dai loro confratelli italiani (che, a loro volta, si dissero P. lombardi). 2. a. Seguito da un compl. di privazione, che scarseggia, che difetta di qualcosa che, invece, dovrebbe avere: un’impresa p. di capitali; fiume p. d’acqua; zona p. di vegetazione; sangue p. di globuli rossi; una vita, un lavoro p. di soddisfazioni; tema p. di idee; un uomo p. di spirito, dotato di poco spirito, ingenuo, semplice o addirittura semplicione (per il sign. originario dell’espressione, nella frase evangelica beati i poveri di spirito, v. beato). b. Con il compl. di privazione sottinteso (e sempre posposto al sost. cui si riferisce): terreno, concime p., che contengono scarse quantità di principî nutritivi per le piante; vino p., a bassa gradazione alcolica; una facciata p., disadorna, priva di ornamenti; campagna p., con poca vegetazione. Con partic. riferimento all’ambito espressivo, stile p., banale, privo di movimento e di vivacità; componimento p., con poche idee e concetti; lingua p., scarsa di vocaboli; molto com. l’espressione in parole p. (piú raram. in lingua p.), senza ornamenti o perifrasi, quindi in termini chiari e precisi, anche se talvolta un po’ crudi: in parole p., questa è una bella vigliaccheria! Con riferimento a qualità intellettuali, poco dotato, limitato, insufficiente: cervello p.; fantasia, immaginazione p.; ingegno p.; o ineffabile sapienza che così ordinasti, c. In usi tecnici: gas p., miscela gassosa combustibile ottenuta dalla reazione di aria con uno strato sufficientemente spesso di coke incandescente; nei motori a combustione interna, miscela p., la miscela in cui l’aria è in eccesso rispetto alla quantità teorica ideale per ottenere la combustione completa del combustibile. 3. Anteposto al sost. cui si riferisce: a. Esprime commiserazione, pietà, partecipazione affettiva per qualcuno o qualcosa, con implicita l’idea non tanto della povertà quanto della triste condizione: le piccole gioie della p. gente; sono soltanto un p. impiegatuccio; à trovato un p. lavoro; non riesce a campare con i suoi p. guadagni; che cosa vuoi che faccia con le sue p. forze?; mi fa pena con quelle sue p. braccine, esili e magre; con altro senso, sono p. scuse, misere, meschine. Sempre in tono di commiserazione, è frequente in esclamazioni: p. donna!; p. ragazzo!; p. vecchietto!; p. orfani!; p. innocente!; p. bestia!; va, va, p. untorello, ... non sarai tu quello che spianti Milano (Manzoni); anche per commiserare sé stessi: p. me!, p. noi! (pop. anche pover’a me!, pover’a noi!). Nell’uso fam., un p. Cristo, persona che, per il suo aspetto fisico e per le sventure che l’affliggono, ispira pietà; un p. diavolo, chi è privo di mezzi economici e, anche, in vario modo, perseguitato dalla sorte. Inserito in frasi che spiegano il motivo della compassione: p. ragazzo, come s’è ridotto!; com’erano trattati quei p. malati!; di animali e cose: p. bestia, quanto soffre!; che cosa fai a quel p. gattino?; p. soprabito, guarda come l’hai conciato!; dovresti tenere meglio quei p. libri!; e con tono di rimpianto per cose che appaiono sprecate o perdute: p. i miei soldi!; p. le mie fatiche! In altri casi, soprattutto con pron. personali, esprime la previsione, l’annuncio o la minaccia di qualcosa di spiacevole: se non fai come ti dico, p. te!; p. me, se mi trova qui!; se lo pesco un’altra volta, p. lui!; se non superiamo l’esame, p. noi! b. In altri contesti, al compatimento si unisce il disprezzo o l’ironia: p. te!; p. illuso!, p. ingenua!, p. imbecille!, p. deficiente!; e lui, p. scemo, c’è cascato!; p. martire!, p. vittima!, rivolgendosi o riferendosi a chi si atteggia a martire o a vittima degli altri o delle circostanze. c. Sempre ispirata a compatimento, ma con varie connotazioni, l’espressione pover’uomo (o pover uomo; anche poveruomo): e ora, chi glielo dice a quel pover’uomo? tanto il pover’uomo era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo! (Manzoni); Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’ (Carducci); il povero Niccolai, invece, poveruomo, era uno dei nostri anche come idee (Pratolini); può anche significare, talora, uomo ingenuo e sciocco, oppure dappoco e meschino: era proprio un poveruomo ... d. Assume tono di compianto e rimpianto come attributo di persone defunte: preghiamo per i nostri p. morti; il mio p. babbo; come diceva la p. nonna ...; 4. Locuzioni avv. alla povera, alla maniera dei poveri, secondo le abitudini o le possibilità della gente povera: un trattamento, una festicciola alla povera. ◆ Frequenti i dim. poverino, poverétto, poverèllo (v. le singole voci); poco com. poverúccio; raro l’accr. poveróne, spreg. e iron.; il pegg. poveràccio (v.), anch’esso molto comune, à solo la forma, non la connotazione, peggiorativa. ◆ avv. poveraménte, da povero, in povertà: vestire, vivere poveramente; è morto poveramente com’era vissuto; la casa è arredata poveramente; in modo elementare, rudimentale: concetti articolati poveramente; un tema svolto troppo poveramente; etimologicamente è voce dal lat. parlato pauper -a -um per il lat. class. pauper -ĕris, comp. di paucus «poco» e parĕre «procacciare, produrre»: propr. «che produce poco» (détto in origine, della terra)].


misero/a, agg.voe s.vo m.le o f.le agg. [superl.corretto misèrrimo; scorretto, ma usato miserissimo]
1 povero, afflitto da miseria: condurre un'esistenza misera; una casa misera. DIM. miserello, miserino
2 infelice, disgraziato, miserevole: i miseri mortali; le misere vittime della strage | usato in escl. di commiserazione: o misero!; misero me, te!
3 abietto, spregevole, meschino: tentare miseri raggiri; fare una figura misera
4 scarso, insufficiente, da poco: un misero compenso; guadagnare quattro misere lire; fare un pranzo misero
5 (ant.) avaro, taccagno: un ricco fiorentino... piú misero e piú avaro che Mida (SACCHETTI)
come s. m. [f. -a] persona misera;
etimologicamente è dal lat. miseru(m)
indigente, agg.vo e s.vo m.le e f.le agg.
si dice di persona che manca dell'indispensabile, che vive in miseria: aiutare, soccorrere gli indigenti.
etimologicamente è dal lat. indigente(m), part. pres. di indigíre 'avere bisogno';

bisognoso/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 che, chi à bisogno di qualcosa: bisognoso di cure
2 che, chi vive nel bisogno; povero: aiutare i bisognosi
§ bisognosamente avv. nel bisogno: vivere bisognoso;
etimologicamente è un aggettivo/sostantivo formato quale deverbale aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a alla radice di bisogn-are
(dal lat. mediev. bisoniare, che è di orig. germ.);

meschino/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 (voce d’uso region.) infelice, sventurato; che è in povertà o in miseria, che si trova in condizioni assai disagiate;
2 che è troppo scarso; insufficiente, inadeguato: dono, compenso meschino | aspetto meschino, gracile, debole; miserando
3 che à idee e sentimenti gretti, limitati: un uomo meschino; gente meschina | che rivela povertà di spirito, ristrettezza mentale: sentimenti meschini; idee meschine | fare una figura meschina, brutta e ridicola
come s. m. [f. -a]
1 (d’uso region.) persona disgraziata e infelice
2 persona gretta
3 (ant.) schiavo, servo| Guerin Meschino, titolo di un romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino (Barberino di Valdelsa 1370 ca -† ivi dopo il 1431)
etimologicamente è dall'ar. miskin `povero, misero';

micragnoso, o migragnoso agg.vo e s.vo m.le o f.le
(voce d’uso region.)
1 che si trova in miseria
2 taccagno, tirchio
etimologicamente è un aggettivo/sostantivo formato quale denominale aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a alla radice del s.vo micragna (derivato dal
lat. hemicrani°a(m)→(he)micrania(m)→micragna 'emicrania', con allusione scherzosa al dolore provocato dalla indigenza;


nullatenente, agg.vo e s.vo m.le e f.le che, chi non è proprietario di alcun bene immobile e non percepisce alcun reddito oltre quello derivante dal proprio lavoro: un impiegato nullatenente; che non à beni di fortuna, e, in partic., che non possiede beni immobili, per cui non è soggetto a imposte fondiarie e sui fabbricati: essere n.; le classi n.; come sost.: essere un n.; quella birbonata di dividere fra i n. i fondi del comune (Verga). à sposato una nullatenente.
etimologicamente è voce formata dall’agglutinazione di nulla (dal lat. nulla, neutro pl. di nullus 'nessuno')
e di tenente part. pr. di tenere (dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere').
E veniamo ora al napoletano dove troviamo numerosissime voci i cui significati spesso variano leggermente tra di essi avendo ogni vocabolo una sua particolare nuance o sfumatura, dalle quali è bene non prescindere; abbiamo ordunque le voci che seguono che eviterò di indicare in ordine alfabetico, ma riporterò nell’ordine crescente della intensità espressiva:
liscio/a agg.vo e s.vo m.le o f.le
1) in primis sta per liso= consunto, logoro 2) vale poi, come nel caso che ci occupa meschino, ridotto male; etimologicamente è derivato dal lat. volg. (e)lisu(m), part. pass. di elidere 'rompere' malandato; normale il passaggio in napoletano di s seguita da vocale a sci+ vocale.
disperato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 che non lascia sperare in una soluzione positiva; che non dà speranze: ‘nu caso disperato(un caso disperato);
2 che rivela disperazione, che è provocato dalla disperazione: ‘nu chianto, ‘nu ggesto disperato (un pianto, un gesto disperato);
3 che à perso ogni speranza; che è in preda alla disperazione: campà disperato(vivere disperato); essere disperato p’ ‘a morte ‘e n’amico (essere disperato per la morte di un amico | â disperata(alla disperata), (fam.) in qualsiasi modo, alla meno peggio, in gran fretta
come s. m. [f. -a]
1 chi è in preda alla disperazione | comme a ‘nu disperato(come un disperato), (fam.) con grande impegno, con tutte le forze: faticà, correre comme a ‘nu disperato(lavorare, correre come un disperato);
2 (fam. ed è l’accezione che ci occupa)) chi non à mestiere né denaro; chi vive alla meno peggio;
etimologicamente è il part. pass. di disperare(dal lat. desperare, comp. del prefisso distrattivo dí- 'de-' e sperare 'sperare');

pezzente, agg.vo e s.vo m.le o f.le mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di grande miseria: jí vestuto comme a ‘nu pezzente(andare vestito come un pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il pezzente). Si tratta di unavoce di orig. merid., pervenuta anche nell’italiano, ed etimologicamente è propriamente il part. pres. del napol. pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. pètere 'chiedere';
arrepezzato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 in primis rattoppato, aggiustato con toppe;
2 (fig.) accomodato alla meglio, rimediato in qualche modo;
3(per traslato) malmesso, indigente vergognoso etimologicamente è un part. pass. marcato su di un tardo latino ad+repetiatu(m)→arrepetiatu(m)→arrepezzato; repetiatus è attestato nel Du Cange e lascia presupporre un repiare/ttiare= rattoppare;
scajente/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 in primis sfortunato, disgraziato, misero, mancante;
2(per traslato)
malridotto, malconcio, malandato, cadente,etimologicamente è un part. pres. di scajenzà = rovinare, cadere in disgrazia, verbo denominale di scajenza = sfortuna, disgrazia etc. (dal lat. ex-cadentĭa);
sfessato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.leletteralmente stanco/a, debole,svigorito/a e per ampliamento semantico molto rovinato, povero, squattrinato, spiantato etimologicamente la voce a margine risulta essere il p.p. del verbo sfessà= bastonare, ridurre male, fiaccare, indebolire che va connesso all’acc.vo fessu(m)= stanco part. pass. di fatisci= 1 aprirsi, fendersi, sgretolarsi, dissolversi;
sbriscio/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le che sta per sbricio= 1 meschino, ridotto male;
2 grandemente malandato, ma pure infelice, sventurato, disgraziato, misero, tapino; etimologicamente è aggettivo deverbale del lat. volg. *brisare 'rompere'; da notare morfologicamente l’assimilazione di c con la s che produsse da sbricio→ sbrisio donde sbriscio con normale passaggio (come per il pregresso liscio) in napoletano della s seguita da vocale a sci+ vocale;

liscesbriscio/a agg.vo e s.vo m.le o f.le agglutinazione espressiva degli aggettivi liscio e sbriscio ai quali rimando per l’etimologia. per il significato occorre quasi sommare i due significati sino a giungere a povero, scarso, miserabile, misero, logoro, meschino, malmesso ;
paccariato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le misero, estremamente spiantato;etimologicamente è il part. pass. di paccarià =schiaffeggiare con riferimento semantico a gli schiaffi che la sorte si diverte a dare ai poveri, ai miserabili; paccarià a sua volta è un denominale di paccaro = sberla, schiaffo; rammento al proposito che pàccaro o pàcchero è lo schiaffo a mano aperta e tesa indirizzato al volto, colpo che quando sia cosí violento da lasciare il segno è detto pàccaro a ‘ntorzafaccia; percossa violenta in tutto simile al mascone esaminato alibi; da non confondere con la pacca della lingua toscana che è un colpo amichevole assestato solitamente sulle spalle, colpo che – contrariamente al pàccaro – non connota intenzioni proditorie e/o aggressive; va da sé che il pàccaro napoletano non possa etimologicamente derivare dalla suddetta pacca toscana attesa la gran diversità delle funzioni e scopi dei due colpi; infatti mentre la pacca toscana à una derivazione probabilmente onomatopeica, il pàccaro napoletano è da collegarsi al termine pacca (natica) addizionato del suffisso di pertinenza arius→aro: la pacca di riferimento non è ovviamente quella onomatopeica toscana, bensí quella che viene da un basso latino pacca(m) forgiato su di un longobardo pakka che indica appunto la natica, ma pure la quarta parte ricavata in senso longitudinale di una mela o pera; con ogni probabilità, originariamente il pàccaro/pàcchero fu la sberla con cui si colpivano le natiche, una sorta di sculacciata cioè e da ciò ne derivò il nome che fu mantenuto, accanto ad altri, quando il colpo, lo schiaffo mutò destinazione; una gran copia di pàccare/i assestati in veloce combinazione prende il nome di paccariàta che oltre a sostanziare un’offesa è da intendersi anche quale forma di dileggio;
sfasulato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le estremamente indigente, povero in canna, sprovvisto quasicompletamente di danaro e/o mezzi di sostentamento; etimologicamente è voce costruita usando il suffisso aggettivale del participio pass. dei verbi in are: ato/a aggiunto al s.vo fasule= danari con protesi di una s distrattiva; fasule= fagioli son dal lat. phaseolu(m), dim. di phasílus, dal gr. phásílos e furono
usati, temporibus illis a mo’ di moneta o merce di scambio al pari ad es. dei ciceri ricordati alibi sub ‘e paparelle= i soldi;

smagliato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le sinonimo del precedente: estremamente indigente, povero in canna, sprovvisto completamente di danaro e/o mezzi di sostentamento; etimologicamente è voce costruita usando il suffisso aggettivale del participio pass. dei verbi in are: ato/a aggiunto al s.vo maglie= danari con protesi di una s distrattiva; maglie è dritto per dritto dal francese: maille=moneta, rammentado che chi è irrimediabilmente sprovvisto di danaro è indicato alternativamente o con, come ò détto, sfasulato (con riferimento ai fasule= monete) o – giustappunto: smagliato;
spullecone agg.vo e s.vo m.le e solo m.le non è attestata, sebbene morfologicamente possibile una spullecona; uomo sprovisto cronicamente di danaro, estremamente spiantato, poverissimo, aduso a rosicchiare, a spolpare sino all’osso pur di sopravvivere; etimologicamente è voce deverbale di spulecà/spullecà = rosicchiare, spolpare, spulciare che letteralmente è levar le pulci, quindi cercare minutamente ed a fondo (dal lat. s+ pulicare con raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (l);
sfrantummato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le in pretto napoletano l’aggettivo sfrantummato letteralmente (con derivazione quale participio passato dal verbo sfrantummà che è dall’agglutinazione di una esse intensiva + il verbo frantummà denominale di frantume ( derivato da franto p.p. di frangere + il suff.collettivo ume che nel napoletano comporta il raddoppiamento espressivo della labiale m), dicevo che letteralmente l’aggettivo sfrantummato vale
1 frantumato,smantellato, diroccato, spianato;devastato (détto di case, muri etc.) e
(per traslato,détto di persona)
2 del tutto rovinato, completamente squattrinato,assolutamentespiantato ma mai attestato nel senso di incapace, smidollato etc. come invece capitò erroneamente di intendere al sindaco di Napoli sig.ra Rosa Russo Jervolino, (anzi piú correttamente Rosa Iervolino in Russo) in riferimento a taluni assessori della giunta comunale napoletana.(cfr. alibi sub sfrantummato). E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico P.G. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale