venerdì 18 febbraio 2011

BUZZURRO MALEDUCATO ROZZO etc.

BUZZURRO MALEDUCATO ROZZO etc.


Anche questa volta,come feci alibi parlando di anticchia, lenticchia etc., prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, amica di cui, per questioni di riservatezza, mi limiterò ad indicare le sole iniziali di nome e cognome: N.C. e mi soffermo parlare delle voci italiane in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. Cominciamo dicendo che in italiano per indicare un soggetto proclive alla villania e/o a comportamenti ineducati si usano una o piú delle seguenti voci:
buzzurro s. m. [f. -a] 1 nome che si dava in Toscana ai montanari svizzeri che d'inverno scendevano a vendere caldarroste, castagnaccio e/o polenta oppure ad esercitare il mestiere di spazzacamino;
2 soprannome affibbiato a Roma, dopo il 1870, ai piemontesi e agli altri invasori settentrionali trasferitisi nella capitale;
3 (estens.) persona rozza, villana, zotica.
Per ciò che riguarda l’etimo, checché ne dica il D.E.I. che pilatescamente si trincera dietro uno sconfortante etimo sconosciuto, penso che ben si possa seguire l’idea di Ottorino Pianigiani che postulò una derivazione dal tedesco putzer→buzzer= che netta, che pulisce, azioni semanticamente vicinissime a quelle dello spazzacamino;
maleducato agg. e s. m. [f. -a] generica voce usata per indicare che, chi non à avuto una buona educazione; screanzato, villano: una persona maleducata; è un bel maleducato! Per ciò che attiene all’etimo è voce formata dall’addizione di male (avv. derivato dal lat. male, avv., deriv. dell'agg. malus 'cattivo' nel significato di 1 in modo non buono, non equo, non giusto; 2 in modo non soddisfacente, non conveniente, non rispondente alle aspettative: non in conformità con le leggi morali o le convenzioni sociali)unito ad educato in funzione di agg.: che à ricevuto una buona educazione; cortese, garbato, gentile; educato è il p. p. del verbo educare (= formare con l'insegnamento e con l'esempio il carattere e la personalità di qualcuno, spec. dei giovani, sviluppandone le facoltà intellettuali e le qualità morali secondo determinati principi; verbo che è dal lat. educare, intensivo di educere 'trarre fuori, allevare', comp. di ex- 'fuori' e ducere 'trarre';
rozzo : agg.vo 1 si dice di cosa ancora ruvida, non ben levigata o rifinita: pietra rozza; lana rozza, grezza; muro rozzo, non intonacato | (estens.) non finito di lavorare, ancora in abbozzo: mobile, disegno rozzo
2 (fig.) non ingentilito, non raffinato, non dirozzato: un uomo rozzo; parole rozze; una civiltà ancora rozza
3 sgarbato, maleducato: avere modi molto rozzi
è voce derivata dal lat. volg. *rudius, compar. neutro di rudis; cfr. rude;
grossolano : agg.vo 1 poco fine, di esecuzione poco accurata; ordinario, dozzinale: una stoffa grossolana; un lavoro grossolano
2 approssimativo, non preciso: un conto grossolano
3 di modi volgari e poco raffinati, di scarsa educazione: gente grossolana; un uomo grossolano; tenere un comportamento grossolano ' scherzi grossolani, volgari, di cattivo gusto | errore grossolano, enorme, marchiano;
derivato dal lat. tardo grossu(m) + il suff. di pertinenza aneus→ano ed epentesi eufonica del suono consonantico;
rustico: agg.vo 1 di campagna: fondo rustico | stile rustico, che arieggia quello campagnolo | pizza rustica: pasticcio ripieno di formaggi, carne, salumi e aromi vari
2 (fig.) riferito a persona, poco socievole, scontroso, rozzo: un uomo dal carattere rustico; avere modi rustici, villani | (estens.) semplice, alla buona: una cena rustica
3 detto di cose, grezzo, non rifinito: facciata rustica, senza intonaco;
deriva dal lat. rusticu(m), che è da rus ruris 'campagna';
sgarbato/a agg. e s. m.e f. [f. -a]
1 che non à garbo, sgraziato: una risata sgarbata
2 che si comporta in modo poco garbato, poco cortese: un impiegato molto sgarbato | che denota scortesia: risposta sgarbata; contegno sgarbato | persona sgarbata. Per ciò che attiene all’etimo, è voce formata da una s distrattiva + l’agg.vo garbato (derivato di garbo 1 che à compitezza nel comportarsi e nel trattare con gli altri; amabilità, cortesia 2 chi à modo aggraziato di eseguire una cosa: scrivere, dipingere con garbo | a garbo, come si deve, per bene, a modo: un lavoro fatto a garbo
3 che à esattezza, finitezza di forme; linea armoniosa che si conferisce a un oggetto mediante un accurato lavoro di modellatura e rifinitura; quanto all’etimo l’aggettivo garbato è un denominale di garbo che è forse (quest’ ipotesi è infatti morfologicamente poco convincente…) garbo e conseguentemente garbato è dall’ a. a. tedesco garwî= ornamento, forma ma piú probabilmente dall’arabo qalib= modello, sagoma passato nel francese med. come galbe donde il ns. garbo;
tànghero/a
s.vo m.le o f.le
1 uomo o donna grossolano/a, rozzo/a, maleducato/a,ma ostinato/a ed avido/a;
2 Persona grossolana, rustica, goffa o villana;
è parola usata soprattutto come epiteto offensivo: non voglio discutere con quel t. (o, specificando, con quella t. di tua cugina, ecc.); se per caso, quel t. temerario vi desse nell’unghie questa sera, non sarà male che gli sia dato anticipatamente un buon ricordo sulle spalle (Manzoni); avete visto quel tanghero? Sembra quasi un mendicante, ed è ricco sfondato! (Capuana); problematico il risalire all’etimo della voce; la maggior parte dei vocabolaristi si trincerano dietro il solito etimo incerto (cosa che mi procura attacchi d’orticaria...); per fortuna esiste la strada tracciata dal Pianegiani e poi dal D.E.I. che optano (a mio avviso giustamente) per un collegamento all’ ant. fr. tangre da far risalire al lat. tànganum= ostinato;
villano/a agg.vo e s.vo m.le o f.le

1 (ant. , lett.) abitante della campagna: però giri Fortuna la sua rota / come le piace, e 'l villan la sua marra (DANTE Inf. XV, 95-96) | cfr. il proverbio : carta canta, villan dorme, quando si à in mano qualcosa di scritto, si può stare piú tranquilli che i patti vengano rispettati
2 (spreg.) persona rozza, priva di garbo e cortesia: comportarsi da villano; non fare il villano! | villano rifatto, rivestito, ripulito, si dice di chi è diventato ricco o è salito socialmente, ma à conservato animo e modi rozzi | cfr. il proverbio : scherzi di mano, scherzi da villano. anche agg.vo 1 rozzo, scortese, maleducato: un atto, un modo villano; un ragazzo villano; 2 (ant.) crudele, spietato: Morte villana, di pietà nemica, / di dolor madre antica; quanto all’etimo la voce villano è dal lat. tardo villanu(m), deriv. di villa;

zotico/a agg.vo m. e f. [pl. m. –ci pl. f. che] villano/a, rozzo/a, incivile: un uomo zotico; maniere, espressioni zotiche
anche s. m. e f. persona zotica. quanto all’etimo la voce zotico è con ogni probabilità dal lat. (i)dioticu(m) agg.vo di idiota= che è chi conduce vita privata, persona rozza, incolta,ignorante, uomo privato', che come tale fu considerato 'incompetente, inesperto' rispetto a chi rivestisse incarichi pubblici; altra ipotesi è che zotico sia dal gr. zotikós 'pieno di vita' e tale ipotesi si spiegherebbe semanticamente col fatto che chi è pieno di vita e/o vitalità è esuberante fino ad essere scostumato per eccessiva vitalità; altra opinione, infine cui mi sento di potere aderire è che zotico derivi dal lat. ex-òticus= forestiero e dunque ignaro delle regole, costumanze e corretti usi del paese in cui ci si trovi con conseguenti comportamenti rozzi, villani o addirittura incivili. Quest’ultima ipotesi, per il vero, appare un po’ forzata quanto alla morfologia perché è rarissimo il passaggio della x latina a z.

Esaurite cosí ad un dipresso le voci dell’italiano, veniamo al napoletano dove troviamo:
banchiéro s.m. uomo maleducato e plebeo e per estensione, monello, bricconcello; per quanto riguarda l’etimo,una scuola di pensiero fantasiosamente ipotizzò fosse parola derivata dai comportamenti non del tutto signorili, quando non truffaldini, tenuti dagli addetti (banchieri) fiorentini ai banchi di cambiavalute ed affini, addetti fiorentini che nell’epoca medioevale operarono nella città di Napoli; è idea però che non convince assolutamente, non essendo né accertati, né attestati comportamenti poco signorili se non truffaldini di quei tal fiorentini, ed alla luce del sostantivo banchèra (donna ciana, cialtrona, spregevole e plebea) corrispettivo al femminile della voce a margine, penso che ambedue le voci banchiéro e banchèra siano da collegarsi alla voce banco (mobile a forma di tavolo allungato che negli esercizi commerciali o nei mercatini popolari separa i venditori dai compratori, a volte con vetrine per l'esposizione della merce, voce derivata dal tedesco *bank 'sedile di legno') e semanticamente il collegamento tra banco e comportamento rozzo, villano, spregevole è da cercarsi nel fatto che chi avesse, specialmente nei mercatini rionali, un banco per la vendita al minuto di merci e/o vettovaglie agiva in maniera non signorile anzi piuttosto rozza e villana, essendo spesso tali venditori ( e lo vedremo qui di seguito) degli ineducati contadini o montanari che offrivano direttamente i prodotti che avevano loro stessi coltivato in campagna o in altura. A margine di tutto ciò sottolineo che in napoletano il suffisso maschile iéro(dal francese ier cfr. G. Rohlfs) al femminile perde il dittongo diventando èra come ad es. alibi salumiero ma salumèra;
calandriéllo s.m.ed esclusivamente maschile : un’eventuale femminile calandrella e lo vedremo qui di sèguito è voce di diverso significato ed etimologia. Il termine calandriello indica in primis un calzare da montanaro, ciocia e per traslato villano, rozzo, scortese, maleducato come è inteso comunemente chi provenga dal monte; rammento che la voce a margine – con piccoli adattamenti morfologici – è presente in un po’ tutti i linguaggi regionali del ns. meridione e dell’area mediterranea; per quanto riguarda l’etimo si tratta di un diminutivo (cfr. il suff. iello) di un’originaria calandra che il D.E.I. dice voce derivata da una base mediterranea cal- donde calo/calonis e caliga che indicavano appunto calzature di tipo rustico; il nome della calzatura passò poi ai montanari che la usavano; ricordo ancóra che il napoletano oltre la voce calandriello à anche la voce calandrella che a tutta prima a gli sprovveduti potrebbe apparire essere il femminile di calandriello ma non è cosí essendo calandrella voce affatto originaria di diverso etimo e significato: ora del primo pomeriggio allorché il sole scotta maggiormente ; l’etimo di calandrella è dallo spagnolo calenturilla diminutivo di calentura= calore febbrile;
cafone s. ed agg.vo m. villano,zotico, contadino, montanaro villanzone, rozzo, scortese, maleducato proveniente dalla provincia napoletana;quando si tratti di villano,zotico, contadino, montanaro proveniente da province diverse da quella napoletana, occorrerà parlare in napoletano di cafone ‘e fora ; E su ciò non v’à questione; si è d’accordo un po’ tutti. Il problema sorge quando si comincia a congetturare intorno all’etimologia della parola..Ci sono numorose opinioni : in primis quella che, partendo da scritti di Cicerone(Filippiche ed altro), riallaccia la voce cafone ad un nome personale di origine osca: Cafo riferito con tono spregiativo ad un uomo incolto e villano; altra opinione è quella che riallaccia il termine cafone al verbo osco(la cui esistenza, peraltro, non è provata) *kafare= zappare.Segnalo infine la proposta (che mi pare migliore di altre) dell’amico prof. Carlo Jandolo, proposta, ripresa peraltro da quella di G.Alessio, che collega la parola cafone al greco: skaphèus, collaterale di skapaneus= contadino, zappatore.
Escludo altresí, in quanto da ritenersi leggende metropolitane, le idee che cafone possa derivare dal fatto che gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia onnicomprensivamente detti cafune, giungendo in città,vi camminassero legati gli un gli altri con una fune, o l’altra idea che fossero detti cafune gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia che venissero in città ad acquistare bestiame e vi giungessero armati di fune per legare e tirar via le bestie comprate.
Ciò annotato passo ad indicare quella che per un periodo fu la mia diversa opinione fondata sul fatto che, storicamente, nel tardo ‘800 ed ai principi del ‘900 eran definiti, nel parlar comune,cafoni non solo gli zappatori, i villani e consimili, ma estensivamente un po’ tutti gli abitanti o i nativi dei paesini dell’entroterra campano, paesini arroccati sui monti ,-come quelli del sannio- beneventano, del casertano o dell’ alta Irpinia - difficili da raggiungere e chi li raggiungeva con carretti o altro aveva bisogno di aiuto per ascendere fino al paese propriamente detto. A tale bisogna provvedevano nerboruti paesani che scendevano incontro ai visitatori , ed erano armati di robuste funi con le quali aiutavano nell’ascensione le persone bisognose d’aiuto.Tali paesani erano indicati con la locuzione “chille cu ‘a fune o chille c’’a fune “ id est: quelli con la fune. Da c’’a fune a cafune il passo è breve e d è ipotizzabile che con esso termine si indicassero tutti gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia. cafune è comunque un plurale. Il singolare cafone pensai si era potuto formare successivamente tenendo presente i consueti fenomeni metafonetici della parlata napoletana alla stregua di guaglione che al plurale fa guagliune. Trascorso del tempo ad una piú attenta lettura ò dovuto tuttavia convenire che la mia non fosse ipotesi propriamente scientifica e che anzi potesse giustamente apparire un’ipotesi paretimologica percorribile sí, ma poco convincente.
Ed è perciò che una volta segnalata, faccio un passo indietro, ed atteso che solo gli stupidi non cambiano mai idea soprattutto quando sia erronea,mi accodo ben volentieri alla proposta (che mi pare migliore di altre) dell’amico prof. Carlo Jandolo, proposta, ripresa per il vero da quella di G.Alessio (ma assente peraltro nel D.E.I.), che collega la parola cafone al greco: skaphèus, collaterale di skapaneus= contadino, zappatore
Cazzeo/a/cazzero/era a.vo e s.vo m. e f. tànghero/a, villano/a, zoticone/a, grossolano/a, rozzo/a, maleducato/a. Etimologicamente è voce derivata dall’addizione del s.vo cazzo e del suffisso di pertinenza ero→eo/era→ea; la voce cazzo(membro virile, pene, voce derivata dal greco akation= albero della nave e fu voce del linguaggio gergale dei marinai) è spesso e qui usata figuratamente in senso spregevole per indicare una persona sciocca, minchiona cosí come ad es. in cazzone= scioccone, babbeo;
chiòchiaro/chiòchiero: sost. ed agg.vo m. voce ancóra viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare (come ampliamento semantico) il villano, lo scostumato rozzo individuo proclive al comportamento ineducato, ma usata in primis per indicare il melenso, lo sciocco, il babbeo di zucca vuota,ed in tale accezione la voce è accompagnata per solito da un gesto offensivo consistente nel far muovere velocemente ed alternativamente l’inalberato avambraccio a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice , tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (termini ambedue di àmbito laziale usati per indicare un particolare tipo di calzatura indossata dai contadini ed il cui etimo si ritiene dai piú ignoto, ma che io penso, con il D.E.I. debba farsi risalire al lat. socculus=sandalo leggero, attraverso il seguente percorso socculu(m)→ cocculu(m)→*coccla(m)→cloccla(m)*chiocchia→chiochia→ciocia con consueti aggiustamenti per successive assimilazioni progressive o regressive ) alla voce chiochia unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero si arriva ai nostri chiòchiaro/chiòchiero;
ciamàrro/tamàrro s.m. letteralmente in primis bestia da macellare e per traslato zoticone, villano, rozzo, incivile; etimologicamente sia nella forma ciamàrro che in quella di tamàrro son da collegarsi allo spagnolo zamàrro= fiacco, zotico;
ciampruósco/zampruósco e ciambruósco/zambruósco s.m. letteralmente in primis grossa scarpa, scarpone, scarpaccia e per traslato zoticone, villanzone,tànghero,screanzato; voce esclusivamente maschile (non appare attestata un femminile ciamprosca/zamprosca); è voce che etimologicamente pare derivare da una base zampra/ciampra (dal francese chambre) addizionata del suffisso uósco forse adattamento del suffisso dispregiativo, diminutivo del lat. cl. usculus; la base zampra/ciampra è la medesima presente anche in zambracca (1 cameriera sudicia e sciatta, 2 (estens.) prostituta 3 serva di infimo conio, fantesca addetta alla pulizia dei cessi); la voce zambracca origina dall’addizione del suffisso dispregiativo acca (accia) con la parola zambra (che è dal francese chambre) in francese la voce chambre indicò dapprima una generica camera, poi uno stanzino ed infine il gabinetto di decenza.Semanticamente essendo la voce chambre nell’ultima accezione di natura spregiativa si presta sia alla formazione del s.vo dispregiativo zambracca, sia alla formazione dell’ugualmente dispregiativo s.vo zampra/ciampra→ zampruósco/ciampruósco = scarpone, scarpaccia;da notare la doppia morfologia di ciampruósco/ciambruósco o zampruósco/ zambruósco
una volta con la consonante occlusiva bilabiale sorda (P), ed una volta con la corrispondente consonante occlusiva bilabiale sonora (B) usata a mo’ di addolcimento dell’originario lemma con la sorda. Ugualmente interessante nella doppia morfologia il passaggio di cia a za che si ritrova ad es. anche in cianfa→zampa etc.;
cutecóne s.m. ad litteram: coticone e cioè sordido, taccagno, untuoso spilorcio; e per ampiamento semantico anche zotico, villano; parola accrescitivo di cotica dal b.latino cutica(m)=cotenna;

furetano/a sost.m. e femm.le = campagnolo/a, contadino/a voce derivata dal b. lat. foritanus/a tratto da foris= fuori (il contadino, il campagnolo vengono ovviamente da fuori città e sono accreditati di essere carenti di educazione e perciò villani, rozzi villanzoni,tangheri);
‘gnurante a.vo m. e f.1 che non sa, non conosce, non è informato; che è privo del tutto o in parte di determinate nozioni: essere ignorante di musica, in matematica | (assol.) non sufficientemente preparato nello studio o nella professione, nel mestiere che fa: uno scolaro, un giornalista, un tecnico ignorante.
2 che non ha istruzione, che è senza cultura: una persona ignorante
3 (fam.) privo di buona educazione e dunque zotico, villano, rozzo; etimologicamente la voce a margine risulta essere un adattamento dialettale del particio presente ignorante del verbo ignorare (dal lat. ignorare, deriv. di ignarus 'ignaro’); il verbo ignorare è comunque estraneo al napoletano;
‘ndurrone/a a.vo e s.vo m. e f.zoticone/a, villano/a,incivile; etimologicamente è voce ricavata dall’addizione di un in (illativo) + l’agg.vo lat. duru(m) nel significato di sgraziato, rozzo, impudente, spiacevole, con raddoppiamento espressivo della liquida r ed aggiunta di un suffisso accrescitivo (one/a);
Pacchiano/a questa volta, ci troviamo difronte ad una parola (sost. ed agg.vo m. o f.) oramai pressoché desueta , ma che fu molto usata negli anni tra il ’40 ed il ’50 dello scorso secolo e fu usata per indicare i contadini, i provinciali ed estensivamente gli zoticoni ed i rozzi provinciali provenienti dai paesi (nei quali per altro si rifugiarono parecchi napoletani per sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale) della campagna partenopea (da non confondere dunque con i cafoni per solito provinciali di montagna).
Ancora piú estensivamente con il termine pacchiano si identificò il villano, il rozzo provinciale fisicamente ben pasciuto, e con il corrispettivo pacchiana la contadinotta di generose forme, quella contadina, detta affettuosamente ‘a pacchianella ‘e ll’ova, che ogni giorno era solita rifornire le case dei cittadini sfollati id est:fuggiti dalla città, di generi alimentari freschi (uova, formaggi,insaccati, latte, burro nonché verdure ed altri prodotti dell’orto).
Chiarito ad un dipresso il concetto di pacchiano/a, passiamo a parlare brevemente della sua etimologia.
Sgombriamo súbito il campo da quella che – a mio avviso – è solo una graziosa, ma pretestuosa paretimologia e cioè che con la parola pacchiana e poi il corrispondente maschile si indicasse, contrariamente al cafone che è montanaro, la contadina, la villana e poi il contadino, il villano che giungessero in città p’’a chiana attraverso cioè la pianeggiante campagna. È altresí da escludere una pretesa derivazione onomatopeica da un ipotizzato, ma non spiegato suono pacchio.
Cosa mai produrrebbe nel pacchiano il suddetto suono? Non è dato sapere!...
Un’altra tentazione è che il termine pacchiano/a possa collegarsi al sostantivo italiano pacchia =gran mangiata e per estensione: vita beata e tranquilla, gioiosa ed allegra (dal latino: patulum→pat’lum→pac’lum→pacchio e pacchia = cibo,pasto),oppure che il termine pacchiano/a possa essere un deverbale di pacchiare: vivere beatamente, satollandosi di cibo e/o altro, senza quasi fatica; a me non pare però che, per quanto ben nutriti e satolli, i contadini durino una vita che sia solo una pacchia; ugualmente penso sia da scartare l’ipotesi che pacchiano/a possan derivare da un tardo latino regionale pachylus →pachilós derivato da un pachýs greco ="grassoccio"; il latino regionale pachylus aveva già dato il nap. pachialone= uomo basso grasso e d’indole bonaria.
Non resta dunque che aderire, per l’etimologia di pacchiano, a quanto proposto dal grandissimo prof. Rohlfs che ne congettura una derivazione per metatesi dal sostantivo chiappa (forgiato su di una radice indoeuropea klapp) nel significato però non di sasso sporgente, ma di natica, elemento sporgente del corpo umano, tenendo presente la morfologia fisica del pacchiano o piú spesso della pacchiana, dotati quasi sempre di sostanziose natiche sporgenti.
ruónto sost. ed agg.vo solamente m.le, non è attestato, né codificato un ipotetico femminile ronta; è antica parola (cfr. D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe etc.) ormai desueta che valse plebeo, villano, volgare; di non tranquilla lettura l’etimo; scartata (per patente differenza di significati) a mio avviso una derivazione dal lat.ro(tu)ndu(m)→rondu→ruondu→ruontu non resta che pensare ad una derivazione dal lat. rudis= rozzo, inesperto, ignorante, incapace quantunque morfologicamente passare da rudis a ruonto comporta un cammino non chiaro e difficilmente perseguibile;
scrianzato/a agg. e s. m.e f. ineducato/a, scortese, che, chi è senza creanza; maleducato/a;
chiarissimo l’etimo in quanto la voce a margine è formata sulla voce crianza (creanza,compitezza, gentilezza dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare') con la protesi di una s distrattiva;
scurbutéco/a agg. e s. m.e f. di per sé in primis indica chi è affetto da scorbuto e solo figuratamente che, chi à un carattere scontroso, aspro, rozzo, volgare e scostante;
tranquillo l’etimo derivando la parola dall’unione del suffisso aggettivale eco/eca →ico/ica con il sostantivo scurbuto (scorbuto che è dal lat. scient. mediev. scorbutus, derivato dall'ant. scandinavo skyr-bjugr, nome di una malattia (bjugr) causata dal latte cagliato;
tàmmaro/tamarro agg.vo e s. maschile e solo maschile: non è né attestato, né né codificato un ipotetico femminile tàmmara; è un antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino e pure per ampiamento semantico sbirro; oggi è parola ancóra vivanel linguaggio popolare e vale ( epperò ormai solo come aggettivo) rozzo, volgare, ignorante , zotico e scostante; quanto all’etimo le parola nella doppia morfologia derivata dall’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri; la voce napoletana è stata altresí influenzata dall’ omonimo ebraico tammar = pianta da datteri; semanticamente l’accostamento tra l’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri e la voce napoletana tàmmaro è da ricercarsi nel fatto che nell’inteso comune il colono, il contadino e pure lo sbirro oltre che il mercante sono individui carenti di educazione e buone maniere e dunque rozzi, volgari, ignoranti, zotici e scostanti;
terrazzano sost.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né né codificato un ipotetico femminile terrazzana; è altro antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino, nonché nativo ed abitante di un sobborgo rurale; per ampliamento semantico persona rozza, incolta, volgare quali normalmente sono intesi coloro che si dedicano al duro lavoro dei campi. Etimologicamente è parola derivata dal lat. mediev. terrazanu(m), deriv. del class. terra 'terra'; normale nel napoletano il raddoppiamento espressivo della z;
zampàmpero o in una forma contratta zàmpero; la forma a margine zampàmpero è un sost.vo ed agg.vo maschile e solo maschile:infatti non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile zampàmpera, mentre la forma contratta zàmpero è anche usata al femminile zàmpera; quella a margine è voce nata intorno al 1830 nel significato originario di guitto, attore miserabile, persona che vive in modo misero, squallido, attore comico che recita in piccole compagnie girovaghe, attore da strapazzo passato poi a significare cafone, tanghero, zotico, villanzone quale normalmente fu inteso chi si dedicava al duro, oscuro lavoro di saltimbanco. Etimologicamente è parola derivata dal nome proprio d’un tal Luigi Anzampàber (mancano precisi dati anagrafici, ma il nome è riportarto nell’Enciclopedia dello Spettacolo di P. Gelli 1977, nonché nell’ Almanacco italiano pubblicato da Marzocco nel1960)
che appunto intorno al 1830 sosteneva le parti di Stenterello nella compagnia girovaga d’un tal Filippo Perini (anche di costui mancano precisi dati anagrafici); il cognome di Luigi Anzampàber venne nel corso del tempo variamente storpiato in Azempàmber, Azempambèr fino a Zampàmber donde i napoletani trassero il loro zampàmbero= guitto, attore miserabile, persona che vive in modo misero, squallido attore da strapazzo, attore comico che recita in piccole compagnie girovaghe, e poi cafone, tanghero, zotico, villanzone.
E veniamo alle ultime due voci per le quali ci troviamo in presenza di due parole usate in primis per indicare un oggetto e poi ,come accaduto per altre parole già esaminate (cfr. ciampruosco, calandriello etc.), passate ad indicare, per traslato, il villano, il rozzo, lo scortese, il maleducato come è inteso comunemente chi usi l’oggetto di cui qui di seguito:
zampitto s.m. ma nel traslato aggettivale anche femminile zampitta. In origine la voce a margine (s.vo maschile) indica un particolare tipo di calzatura rustica usata da contadini e/o montanari; nel traslato vale villano/a, villanzone/a, rozzo/a; etimologicamente il s.vo è legato alla parola zampa (di per sé
1)ciascuno degli arti degli animali; in partic., la parte dell'arto che tocca terra: le zampe del cavallo, del cane, della gallina, della mosca; le zampe anteriori, posteriori dei quadrupedi; animale a due, a quattro zampe; alzare, allungare le zampe | in cucina, la parte inferiore dell'arto, dal ginocchio in giù: una zampa di maiale arrosto | zampe di gallina, (fig.) rughe sottili che si formano intorno agli occhi | a zampa di gallina, (fig.) si dice di scrittura brutta e illeggibile.
2) spec. pl. (scherz.) gamba dell'uomo: camminare a quattro zampe, carponi; andare a zampe all'aria, cadere rovinosamente; (fig.) fallire | mano dell'uomo: qua la zampa!; giù le zampe!, si dice in tono minaccioso a chi cerca di mettere le mani su qualcosa
3) (non com.) gamba, piede di un mobile: le zampe della sedia, dell'armadio
4) struttura o dispositivo che per forma o funzione ricorda l'arto di un animale; quanto all ‘etimo si ritiene un incrocio di zanca con gamba di cui zanca è sinonimo.);
zappiéllo sost.vo e poi agg.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile zappélla; come s.vo indica una piccola zappa; la zappa è un attrezzo originariamente agricolo manuale usato nei lavori dei campi (ma poi (specialmente nella forma ridotta di zappetta) è oggetto usato anche da altri artieri: giardinieri, muratori ecc.); esso oggetto consiste in una lama, per lo piú di forma trapezoidale o rettangolare leggermente incurvata, infilata perpendicolarmente in un manico di legno; serve a rompere le zolle, fare solchi ecc. in napoletano la voce femminile zappetta (diminutivo di zappa che è dal lat. tardo sappa(m)) è diventata il maschile zappiello secondo il noto criterio che passim ò illustrato, per il quale gli oggetti maschili sono intesi piú piccoli ( anche ovviamente attraverso il diminutivo) dei corrispondenti femminili intesi piú grandi (cfr. ad es. alibi ‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo) ‘a carretta (piú grande rispetto a carretto piú piccolo )unica eccezione: ‘o tiano (piú grande rispetto a tiana piú piccola )etc. ; l’oggetto a margine passò poi nel traslato aggettivale, ad indicare il villano, il villanzone il rozzo cosí come pensato, nell’inteso comune, l’artiere che usi l’oggetto a margine.
A questo punto, prima di chiudere mi piace aggiungere poche altre voci del napoletano che, quasi sempre per traslato, rendono quelle dell’epigrafe; e sono:catarchio, cozzale, racchio, scuonceco, scamuso zabbarrone zaffio zurlo esaminiamole singolarmente:
catarchio s.m. vale in primis babbeo, sciocco, sempliciotto, tonto e quindi per traslato rozzo, villano grossolano, rustico, selvaggio; sgarbato, maleducato, come sono intese le persone poco intelligenti, poco accorte; quanto all’etimo escluse le non convincenti lat. cathàrteum (=da purificare) e cathartum (=mota,fango,sudiciume) che semanticamente appaiono troppo lontane sia dal sigfnificato primo che da quello traslato, faccio mia l’opinione del Rohlfs che in catarchio lesse il greco katàrchaios (= decrepito, molto vecchio) che semanticamente si può piú facilmente accostare al sempliciotto, tonto e quindi per traslato rozzo, villano grossolano;
cozzale s.m. vale in primis nuca, collottola rasa ,tipica di certi ordini monastici ed in particolare dei frati conversi addetti alle mansioni piú umili ,quindi per traslato persona sciocca, sempliciotta, rozza, grossolana, rustica, come sono intese le persone umili battezzate per stolte, deficienti, imbecilli, scimunite; quanto all’etimo la voce appare un denominale del lat. reg. cotja collaterale di cocja( nuca, collottola) con il tipico passaggio del gruppo tj a –zz -
racchio/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le letteralmente in primis piccolo grappolo stentato che resta sulla vite dopo la vendemmia; per traslato poi che, chi è rozzo/a, grossolano/a, brutto/a, sgraziato/a, avvizzito/a. La voce è molto usata al femminile. D’ etimo incerto, ma appare probabile una derivazione da un lat. parlato *rac(u)lu(m)→raclu(m)→racchio quale diminutivo di una forma latina marcata sul greco rax=acino d’uva;
scuonceco/sconceca agg.vo m.le o f.le ( voce deverbale formata attraverso la protesi di una esse (distrattiva) al verbo conciare= sciupare, rovinare che diede dapprima il termine scuoncio= sciupato, rovinato e poi con ampliamento di suffisso il termine a margine scuonceco=
1deforme, storpio ma anche
2 arrogante, prepotente, insolente, impudente, sfrontato
3 smagrito, deperito, smunto,sformato etc.e quindi inteso per estensione rozzo/a, grossolano/a, brutto/a, sgraziato/a; il collegamento semantico tra le accezioni sub 1 e 3 è intuitivo; piú complicato, ma non impossibile cogliere quello tra le accezioni 1 e 3 e quella sub 2; tale collegamento è da ricercarsi per il tramite dell’estensione in quanto chi sia arrogante, prepotente, si dimostra rozzo/a, grossolano/a, brutto/a, sgraziato/a;

scamuso/scamosa Antico, icastico aggettivo napoletano presente in tutti i dizionari d’antan dal D’Ambra al P.P.Volpe all’Andreoli e negli scritti di autori dal ‘600 alla fine dell’ ‘800 e poi non piú riscontrato negli autori piú moderni, sebbene ancóra vivo nel parlato soprattutto del popolo della città bassa, aggettivo riferito con piccole differenze sia a soggetti animati che inanimati;
riferito a soggetti animati e piú precisamente a persone significa in italiano: rozzo, grossolano, rustico,grezzo e per ampiamento semantico si disse di persona magra ed allampanata;
riferito a cose inanimate(stoffe e/o oggetti ) vale nell’italiano: ruvido,squamoso,irto; riferito infine a negozio o bottega indica un locale rustico,malmesso,trasandato. Parlando dell’etimologia di scamuso, escludiamo súbito la facile ma fallace tentazione di un collegamento alla voce scamunéa/éja/era s.f. che con derivazione dal lat. *scammonia/scammonea che furono dal greco skammonía indicò in primis un’erba dal cui estratto si ricavava un purgante ed indicò poi (forse per un traslato espressivo) gente vile, bordaglia, unione di monelli e, piú genericamente, plebaglia, ma ognuno vede che semanticamente è difficile trovare il collegamento tra un’erba purgativa ed un vocabolo che vale malandato, messo male, mal ridotto, malsano; ugualmente non mi sento di poter accettare l’idea di chi propone per scamuso un collegamento etimologico con squamoso (cfr. antea); è vero che il significato di squamoso nell’accezione di ruvido, irto può – all’incirca – valere il napoletano scamuso come è pure vero che il nesso latino qua dà spesso il napoletano ca (cfr. ad es. exquassare→scassare) pur tuttavia non mi sento di accogliere la proposta che presupporrebbe un transito di accostamento ad un vocabolo della lingua italiana, accostamenti che ò sempre bandito e non per un colpevole provincialismo o sciovinismo, ma in nome di un’originaria derivazione di tutte le voci partenopee dagli antichi idiomi (latino, greco ed altro); d’altro canto nemmeno mi convice l’etimologia proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che lègge in scamuso una s intensiva che precede l’avverbio greco kamái = a terra ottenendo da skamái→scamuso; questa proposta, semanticamente mi appare troppo debole e morfomogicamente, alquanto forzata con quell’unione di greco (skamái) con un suff. latino (osus→oso→uso).
A questo punto non rimane che prender per buona l’antica idea che vede in scamuso un adattamento metaplasmatico dello spagnolo (e)scamocho che accanto al significato di avanzo e resto à pure quelli di persona magra, allampanata; d’altro canto nello spagnolo è anche vivo il verbo escamochar (guastare, sciupare) che à fornito altresí il verbo napoletano scamuscià/are nei significati di afflosciare, diventar floscio e/o senza forze.
zabbarrone s.vo m.le e solo m.le non appare attestata, quantunque sia ipotizzabile una zabbarrona ; vale in primis arruffone, acciabattatore, raffazzonatore e quindi per traslato rozzo, grossolano, rustico, selvaggio; sgarbato, maleducato, villano come è chi tenti di aggiustare, in modo approssimativo e frettoloso, una cosa mal fatta; la voce à un etimo iberico: zaborrero (residuo, cosa incompiuta, rabberciata);
zaffio o zaffo s.vo m.le e solo m.le; è voce che (con derivazione dall’iberico zafio ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro)) vale in primis uomo violento, sbirro, e quindi anche esso per traslato rozzo, grossolano, rustico, selvaggio; sgarbato, maleducato, villano come è inteso chi usi mezzi violenti;
zurro/zurlo s.vo ed agg.vo m.le e solo m.le non appare attestata, quantunque sia ipotizzabile una zurra/zurla; si tratta di un’ unica voce dalla doppia morfologia: la seconda è solo un addolcimento della prima adottando la morbida consonante liquida laterale alveolare elle in luogo della piú dura consonante liquida vibrante erre; si tratta di voce pressoché desueta usata un tempo nel significato di rozzo, grossolano, rustico, villano (in linea con il suo etimo dall’iberico zurro(n)= rozzo); per ampiamento semantico valse anche furbo, scaltro semanticamente vicini a chi sia sgarbato, maleducato.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento e soddisfatto l’amico N.C. ed almeno interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori o chi dovesse leggere queste paginette.
Satis est.
Raffaele Bracale

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