domenica 20 luglio 2014
LASSÀ ‘O MUORZO D’ ‘A CRIANZA.
LASSÀ ‘O MUORZO D’ ‘A CRIANZA.
Anche questa volta prenderò spunto da una richiesta fattami da un caro amico: P.G.,del quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa all’espressione napoletana in epigrafe, sulla quale mi soffermo ben volentieri dicendo che si tratta di un’antichissima espressione che tradotta ad litteram vale: lasciare (nel piatto) il boccone della buona educazione, cioè che sia indice della propria buona educazione. In realtà si tratta d’un’espressione /consiglio che in principio venne usato con la morfologia della voce imperativa: Lassa ‘o muorzo d’ ‘a crianza! E tale fu l’imperativo rivolto, da genitori piccolo-borghesi, ai propri figliuoli affinché, se invitati a desinare in casa di amici e/o parenti, evitassero di divorare tutto ciò che fosse loro ammannito e ne lasciassero nel piatto un sia pure solo boccone, mascherato come boccone di una buona educazione, boccone che in realtà dovesse servire a salvaguardare il buon nome della famiglia di provenienza ed a dimostrare a gli ospiti che l’invitato non era cosí affamato in quanto non era povero e/o bisognoso, e si poteva perciò permettere il lusso di lasciare nel piatto una piccola parte della porzione ricevuta. Successivamente quando questo amaro sotterfugio fu nascosto, l’espressione venne coniugata all’infinito ed il boccone lasciato nel piatto fu détto muorzo d’ ‘a crianza cioè boccone della buona educazione, cosa che in realtà non è contemplata in nessun galateo.
Lassare/lassà v. tr.
1 smettere di tenere, di sostenere, di stringere: lassà ‘a fune, ‘e rétene, ‘o sterzo (lasciare la fune, le briglie, il volante)
2 non prendere con sé; far rimanere in un luogo, per dimenticanza o volontariamente: lassà ‘e piccerille â casa (lasciare i bambini a casa);lassà ‘nu pacco pe quaccheduno (lasciare un pacco per qualcuno); lassà ‘e llente dint’ â machina(lasciare gli occhiali in macchina) |lassarse arrete quaccheduno (lasciarsi dietro qualcuno), sopravanzarlo, passargli davanti (anche fig.) lassarce ‘e ppenne (lasciarci le penne) (fig. fam.) morire; anche, essere battuto in un confronto, in una prova | lassarce ‘na jamma, ‘nu vraccio (lasciarci una gamba, un braccio), perderli in guerra, in un incidente o sim. | o piglià o lassà ((o) prendere o lasciare), si dice nel fare un'offerta che dev'essere accettata o respinta súbito e definitivamente
3 separarsi da qualcuno, allontanarsi da qualcosa; in partic., abbandonare qualcuno dopo un sodalizio, una convivenza, un legame amoroso:lassà ‘o ‘mpiego,’o paese;lassà mugliera e ffiglie; (lasciare l'impiego, il paese natale; lasciare moglie e figli); lassà ‘o munno (lasciare il mondo), (fig.) morire; anche, farsi religioso; chi lassa ‘a via vecchia p’ ‘a nova, sape chello ca lassa, ma no chello ca trova prov. : chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova.
4 far restare qualcuno o qualcosa in un particolare stato: lassà dint’ ê guaje, lassà ‘mbarazzato(lasciare nei guai, nell'imbarazzo);’o lassajeno libbero (lo lasciarono libero;) lassà ‘a casa urdinata, ‘a fenesta aperta(lasciare la casa in ordine, la finestra aperta);lassà ‘mpace (lasciare in pace), non disturbare; | lassà ditto, scritto (lasciare détto, scritto,) comunicare a qualcuno assente
5 non togliere; dare, consegnare, affidare: lassà ‘na ‘nferta ô cammariere (lasciare una mancia al cameriere);’o tribbunale à lassato ‘e figlie â mamma (il tribunale à lasciato i figli alla madre); | trasmettere per testamento: ll’ à lassato tutto cosa ô primmo figlio (à lasciato tutto il patrimonio al primo figlio)
6 permettere (seguito da un inf. o da che e il congiunt.): lassa passà(lasciar passare)lassa correre! (lascia correre!); disinteressarsi di qualcosa, non intervenire per modificarla; sorvolare lassa ca te racconto; lassaje ca ce penzasse(lascia che ti racconti; lasciò che ci pensasse) | lassà assaje a desiderà(lasciare (molto) a desiderare), non soddisfare affatto o appieno; lassarse jí(lasciarsi andare), abbandonarsi: | lassarse piglià dâ nervatura(lasciarsi prendere dall'ira), , cedere ad essa
7 in alcuni giochi di carte, non prendere o non partecipare al gioco, anche avendone la possibilità.
Etimologicamente è un verbo derivato dal lat. laxare 'allargare, sciogliere', deriv. di laxus 'largo, allentato';
muorzo s.vo m.le = morso, boccone sostantivo derivato da un acc. lat. morsu(m) part. pass. sostantivato di mordere dal lat. mordíre, con cambio di coniugazione.
crianza s.vo f.le = il complesso delle maniere di una persona ben educata; compitezza, gentilezza:bbona, mala crianza: senza crianza (buona, mala creanza; senza creanza) voce derivata dritto per dritto dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare'.
Interessanti icastiche espressioni che chiamano in causa la voce a margine sono: 1)parlanno cu crianza ((pur) parlando con compitezza e gentilezza, garbo, urbanità) usata introduttivamente o quale chiosa a mo’ di scusante allorché si sia o sia stati costretti a parlare o a toccare argomenti scabrosi o disdicevoli: è gghiuto dint’ô cesso, parlanno cu crianza(è andato nel cesso, parlandone con urbanità) ;2) fà ‘na ‘mparata ‘e crianza (impartire a qualcuno (a parole o pure ricorrendo alle maniere forti) una severa lezione per insegnargli a tenere un comportamento da persona ben educata, garbata, gentile, civile, compita). ; il termine ‘mparata è una voce partenopea, usata peraltro solo nell’espressione indicata nel senso di lezione, insegnamento, monito, ammonimento, castigo, richiamo; voce che è la sostantivazione al femminile del p. pass. del verbo ‘mparà ; di per sé il verbo napoletano ‘mparare/’mparà (con derivazione dal latino volg. imparare, comp. di in→’m davanti alla esplosiva consonante occlusiva bilabiale sorda(p) o a quella sonora (b) illativo e parare 'procurare'; propr. procurarsi cognizioni,) varrebbe il toscano imparare, ma spesso – come ad es. nel caso di una notissima poesia di Raffaele Viviani: “Guaglione”, o nel caso che ci occupa - esso vale: insegnare, rendere edotto; per cui l’ espressione usata dal poeta stabiese: tu, pate ll’hê ‘a ‘mparà sta per: tu, padre, devi insegnargli (a vivere, a comportarsi nella maniera piú giusta etc.) e la voce ‘mparata sta per – come ò détto - lezione, insegnamento, monito, ammonimento, castigo, richiamo;
Esaminando da presso questa stramberia, reputo che probabilmente il verbo toscano insegnare fosse totalmente sconosciuto nella parlata meridionale sia sulla penna dei letterati che sulla bocca del popolino (che è poi quello che fa l’idioma) e si fosse preferito attribuirne il significato al già noto imparare (‘mparà) piuttosto che tentare di coniare un nuovo verbo marcandolo su insegnare;in effetti nel napoletano di per sé non esiste,né esistette, né si usò o usa un generico vebo insegnare che valga:fare apprendere con metodo, teorico o pratico, una disciplina o un'arte e si preferisce usare di volta in volta accanto al generico ‘mparà che à tutta l’aria quasi d’essere un ossimoro nei significati opposti di insegnare ed apprendere si preferisce usare di volta in volta verbi che valgono sí insegnare ma che ànno particolari nuances e sfumature,e per i quali rimando tra le cose che ò scritto alibi; in coda alla voce crianza rammento che il napoletano ne conserva il diminutivo crianzella che però non vale piccola buona maniera, contenuta educazione, limitata civiltà, cortesia etc. né piccola lezione di vita, scarso, esiguo, sparuto monito, ammonimento, castigo, richiamo;ma vale modesto donativo, contenuto regalino, modica mancia,misurato presente fatto per disobbligarsi, o per onorare una persona; donativo,regalino,presente ritenuti necessarî e dovuti; non è semplice cogliere il rapporto semantico che corre tra le buone maniere di crianza e la modica mancia, il misurato presente fatto per disobbligarsi di crianzella; non è semplice, ma non è impossibile se si pensa che dal verbo criar 'allevare, educare' che è alla base di crianza lo spagnolo e poi il napoletano ricavarono altresí il s.vo criado donde il napoletano criato = domestico allevato in caso, educato alle costumanze familiari, ai comportamenti amicali, confidenziali, intimi quelli che sono alla base delle norme di buona maniera(crianza) ed altresí delle azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona (crianzelle). E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico P.G. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
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