domenica 17 agosto 2014

PURTÀ O PUSÀ ‘E FIERRE A SANT’ALOJA

PURTÀ O PUSÀ ‘E FIERRE A SANT’ALOJA Letteralmente l’espressione è: portare o posare i ferri a sant’ Aloa o Aloja (Eligio). Con il nome di sant’Aloa/Aloja (corruzioni partenopee del francese Eloi (Eligio)ci si intende riferire all’omonima chiesa edificata in forme gotiche intorno al 1270 per volere di Carlo d’Angiò(Parigi? 21 marzo 1226 –† Foggia, 7 gennaio 1285) in piazza Mercato a Napoli sul lato opposto a quello su cui sorge la basilica del Carmine Maggiore e si tratta probabilmente della prima chiesa gotica napoletana voluta dalla casa d’Anjou; san Lorenzo maggiore (in piazza san Gaetano) è posteriore,fu infatti iniziata nel 1274; alla chiesa dedicata a sant’Eligio fu annesso un piccolo ospedale e tra il 1300 e 1400 anche un piccolo banco di Pegni per le necessità dei poveri della zona, da sempre molto depressa; la chiesa fu abbellita nel suo interno con numerose cappelle volute dai maggiorenti delle varie associazioni di lavoratori, tra cui cuoiai, maniscalchi etc.Abbiamo detto che la chiesa è dedicata a sant’ Eligio o Aloa; egli nacque a Chaptelat (presso Limoges in Francia) intorno al 590. Una leggenda racconta che gli si presentò il diavolo vestito da donna: e lui, Eligio, rapido lo agguantò per il naso con le tenaglie. Questa colorita leggenda è raffigurata in due cattedrali francesi (Angers e Le Mans) e nel duomo di Milano, con la vetrata di Niccolò da Varallo, dono degli orefici milanesi nel Quattrocento. Questo Eligio di cui dico, fu figlio di gente modesta,ma dovette aver ricevuto tuttavia un'istruzione, perché venne assunto come apprendista dall'orefice lionese Abbone, che dirigeva pure la zecca reale. Sotto Clotario, Eligio, fatti molti progressi, andò a dirigere la zecca di Marsiglia e intanto continuava a fare l'orefice. Col nuovo re Dagoberto I (623-639) venne chiamato a corte e cambiò mestiere: il sovrano ne fece un suo ambasciatore, per missioni di fiducia. Altri incarichi se li prese da solo: per esempio, riscattare a sue spese i prigionieri di guerra, fondare monasteri maschili e femminili. Morto il re, scelse la vita religiosa, e il 13 maggio 641 venne consacrato vescovo di Noyon-Tournai dove s'impegnò nella campagna di evangelizzazione (e ri-evangelizzazione) nel Nord della Gallia, nelle regioni della Mosa e della Scelda, nelle terre dei Frisoni. Morí nel 660. È patrono dei Fabbri, Gioiellieri, Maniscalchi e Garagisti. Etimologia: Eligio = eletto, dal latino, nobile guida, dall'ebraico. Chiarito tutto ciò, ricorderò che (tenendo presente che sant’Eligio è patrono dei maniscalchi) le espressioni in epigrafe nacquero e furono usate per significare che i vetturini di nolo, quando (per raggiunti limiti d’età del proprio cavallo dismettevano l’attività, erano soliti, prelevati i ferri con cui erano ferrata la bestia, portarli in sant’Eligio e depositarli a mo’ di ringraziamento nella medesima cappella edificata dall’associazione de’ i maniscalchi, la stessa dove ad inizio di attività s’erano fatti benedire i quattro ferri; per cui l’espressione in epigrafe significò: dismettere l’attività di vetturino ed estensivamente: dismettere qualsiasi tipo di attività; esistette poi un terzo significato di sapore giocoso e furbesco: essere incapace, per raggiunti limiti di età o per sopravvenuta malattia di avere un rapporto sessuale, essendo intervenuta la dismissione dei ferri(incapacità erettiva ). Sempre con riferimento a questo terzo significato furbesco, a Napoli s’usò dire: Sant’Aloja t’aiuta! volendo significare che chi domandasse aiuto a sant’Eligio, forse poteva ottenere la grazia di poter ancora per una volta, combattere una battaglia d’amore, sebbene avesse già dismesso i ferri. Penso però che originariamente l’esclamazione Sant’Aloja t’aiuta! fosse usata in riferimento al concreto aiuto che un povero di piazza mercato avrebbe potuto ottenere rivolgendosi al piccolo banco de’ Pegni di pertinenza della Chiesa di sant’Eligio, e fosse solo successivo il furbesco significato ricordato. In chiusura, a proposito della parola fierre, ricorderò un’altra icastica espressione partenopea che è: Arricettà ‘e fierre. Chiariamo sùbito che qui con la voce fierre non si intendono quelli usati per ferrare un cavallo, ma – in maniera molto piú generica ed onnicomprensiva – tutti gli attrezzi del proprio mestiere usati da un artiere per lavorare: ‘e fierre d’’a fatica. Arricettà ‘e fierre sta per raccogliere e conservare gli attrezzi di lavoro ed è espressione che in maniera imperativa (Arricetta ‘e fierre e ghiammuncenno!) viene rivolta da un artiere al proprio garzone affinché raccolti tutti i ferri usati per portare a termine un lavoro, li sistemi in una borsa d’asporto e ci si possa allontare dal luogo dove si sia portato a termine un lavoro. Etimologie: fierro singolare di fierre è dal latino ferrum : in origine: ferro, spada e poi attrezzo con originaria e aperta che dittonga. Arricettà = 1)dar pace, ordine;2)usato senza complemento oggetto e coniugato come riflessivo = morire, decedere, darsi l’eterna pace. il verbo derivato quale denominale di un lat. receptu(m) 'rifugio, ricovero',morfologicamente è da un ad-recepctare→arrecepctare→arricettare frequentativo di recipere; in effetti, nel caso che ci occupa, sistemare con ordine in una borsa gli attrezzi usati per il lavoro è quasi un dar loro pace dopo che siano stati usati continuatamente durante il lavoro, come il morire, ildecedere è quasi darsi l’eterna pace con rifugio, ricovero sicuro e continuo. Ghiammuncenno = andiamocene voce verbale di jí/ghí = andare apocope del latino ire con consueta alternanza j→ ghi. Raffaele Bracale - Napoli

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