mercoledì 17 settembre 2014
ARZIGOGOLO e dintorni
ARZIGOGOLO e dintorni
L’amico N.C. (i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome) mi chiese di parlare della voce in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. L’accontento qui di sèguito con il dire che con la voce in epigrafe arzigogolo ( con etimo derivato da girigogolo allungamento di girigoro secondo un percorso morfologico comportante la trasposizione di lettere nel primo elemento e cioè: argi→arzi per giri) la lingua ufficiale nazionale intende volta a volta un discorso o un ragionamento astruso e lambiccato, una fantasticheria, un cavillo, un espediente dialettico, una trovata spesso truffaldina, ma ingegnosa, un giro di parole ingegnoso e bizzarro, un raggiro fuorviante, un pretesto etc.
Il napoletano per tali necessità à parecchie voci ed ognuna piú circostanziata ed esattamente coniata per indicare con maggior precisione ognuna delle suaccennate occorrenze; tento qui di sèguito di elencare tali voci partenopee dandone, ove possibile, l’etimo ed il preciso campo d’applicazione; cominciamo:
allefrecaglia/arrefrecaglia che nel significato di giro di parole ingegnoso e bizzarro, sono ambedue ampliamento di lefrecaglia deverbale del basso latino *refragare = cavillare, sminuzzare etc.;
ciaranfa che nel significato di discorso astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo trova il suo etimo nell’adattamento popolare della voce ciaraffa che di per sé (con provenienza dall’arabo giarif) indica una moneta sonante, ma di poco valore e semanticamente la cosa si spiega col fatto che come la moneta ciaraffa è sonante,sí ma in realtà di poco valore, cosí la ciaranfa quale discorso astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo, produce solo rumore, ma non significante e quindi senza valore;
‘mbròglia s.vo f.le è una fantasticheria intrisa di parole eccedenti, un pretesto lungamente... diluito di chiacchiere tendenti al raggiro ed è quanto all’etimo un deverbale di ‘mbruglià= imbrogliare che a sua volta è dal fr. ant. brouiller 'mescolare, confondere', deriv. di brou 'brodo' e semanticamente si spiega essendo – come ò detto – la ‘mbroglia null’altro che una sequela di parole eccedenti, un pretesto di chiacchiere diluite tali quale un brodo;
peléa/peleja s.vo f.le con due differenti morfologie leggermente diverse, di cui la seconda ottenuta dalla prima con epentesi eufonica d’ un suono di transizione (j) immesso nello iato ea ; il s.vo in esame vale 1 futile pretesto (per attaccar briga) e piú generalmente insignificante
spunto , fatuo appiglio, pretestuoso espediente;2 in senso traslato con riferimento alla irrisorietà della natura della peléa/peleja vale anche piccolezza, quisquilia, bazzecola, minuzia, bagattella, sciocchezza.
etimologicamente è voce deverbale dello spagnolo pelear = litigare, brigare, bisticciare etc.
nzànzera /nzànzanzera
s.vo f.le dalla doppia morfologia: nella seconda c’è l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba; sinonimo del precedente in quanto sciocchezza profferita in modo chiassoso, fandonia eclatante tendente al raggiro, frottola mistificatrice in uso tra compagni di baldoria, menzogna, panzana, balla propalata al fine di far ricadere su altri componenti la mala brigata le spese per il divertimento da sostenere o sostenute o le respensabilità di azioni comuni; etimologicamente è voce costruita nella prima morfologia ponendo in posizione protetica una n eufonica (che non derivando dall’aferesi di un in→’n non necessita di alcun segno diacritico (‘)) al s.vo del basso lat.zingiber→zanz(ib)er→zanzera→nzanzera (che diede anche zenzero = radice dall’aroma piccante) semanticamente da accostarsi per il gusto pepato, caustico che connota sia la radice che figuratamente la sciocchezza profferita in modo chiassoso, la fandonia eclatante, la frottola mistificatrice mistificatrice; per ciò che riguarda l’etimo della morfologia di nzànzanzera ò già détto e qui ribadisco che l’etimo è il medesimo di nzànzera con l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba;
pagliettaría s.vo f.le è precisamente il cavillo, l’ espediente dialettico, la trovata quasi sempre truffaldina, ma ingegnosa, azioni che di per sé son tutte riconducibili al modo di agire dei cosiddetti paglietta voce singolare maschile che indica un avvocatucolo,un leguleio cavilloso, ma inesperto e spesso truffaldino; letteralmente la voce a margine parrebbe essere un diminutivo vezzeggiativo di paglia e come tale femminile, mentre in realtà è – come ò detto- voce singolare maschile (‘o paglietta) nei significati detti ed è voce che al plurale va scritta correttamente ‘e pagliette, mentre scritta con la geminazione iniziale: ‘e ppagliette torna ad esser femminile indicando i tipici cappelli di paglia, solitamente usati dagli uomini) e va letta con la geminazione iniziale della p; scritta però, come ò detto, con la iniziale p scempia: ‘e pagliette, la medesima voce plurale di paglietta è maschile e per chiaro traslato o sineddoche indica appunto avvocatucoli, legulei cavillosi, ma inesperti quegli stessi cioè che ad inizio del 1900 usavano indossare a mo’ di divisa comune una paglietta (cappello di paglia (donde il nome, partendo da un lat. palea(m)) da uomo, con cupolino alto, in foggia di tamburo, bordato di nastro di seta, ampia e piatta tesa rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti gli altri uomini che erano soliti indossare, in ispecie nella bella stagione, pagliette di color chiaro; e con questa spiegazione penso d’aver fatto giustizia sommaria del parere di qualcuno (ma non ne ricordo il nome…né meriterebbe d’esser rammentato ) che fantasiosamente fa risalire il termine paglietta inteso, come riportato, quale avvocatucolo, leguleio cavilloso, ma inesperto e truffaldino all’ampia gorgiera rigida indossata sulle toghe dagli avvocati d’antan; ora atteso che la gorgiera fu colletto plissettato ed inamidato indossato da talune categorie di notabili in epoca cinquecentesca e seicentesca,e poi definitivamente dismesso, mentre il tipo paglietta inteso avvocatucolo etc. è figura del tardo ‘800 – principî ‘900, non vedo dove (se non presso un costumista tearale) un avvocatucolo del tardo ‘800 o dei primi del ‘900 avrebbe potuto reperire una gorgiera inamidata e plissettata da indossare sulla toga...
da paglietta con aggiunta del suffisso di pertinenza ria si è giunto a pagliettaría voce che per sua fortuna è rimasta nell’àmbito della parlata napoletana e non è pervenuto in quello della lingua italiana dove è pur presente la voce paglietta nel significato di avvocatucolo etc.; ò detto per sua fortuna poi che se la voce pagliettaría fosse approdata nel dialetto di alighieri dante sarebbe stata certamente stravolta in pagliettería= azione o comportamento da paglietta subendo lo stesso trattamento della voce partenopea fessaría che pervenuta nell’italiano divenne fessería assumendo una inesatta e chiusa e non etimologica al posto della esatta aperta a forse nella sciocca convinzione che una vocale chiusa fosse piú consona di una aperta alla eleganza (?) della lingua nazionale;in coda e con riferimento al termine paglietta riporto un icastico antico proverbio che suona: Chi saglie e scenne ‘e scale d’’e pagliette, o s’arruvina o s’arricetta! (Chi sale e scende le scale degli avvocatucoli, id est: chi à continue frequentazioni con legulei cavillosi, ma inesperti e truffaldini è destinato alla rovina ed addirittura a decedere, per le esosità delle parcelle richieste e per la lungaggine delle liti giudiziarie.)
raciàmmulo s.vo m.le voce singolare maschile usata per indicare un giro di parole ingegnoso e bizzarro e fuorviante che miri a nascondere verità altrimenti palesi; etimologicamente è un derivato del tardo latino *racimulus, diminutivo per il class. racímus; =gracimolo,ciascun rametto di un grappolo d'uva; piccolo grappolo d'uva; semanticamente si spiega col fatto che come il gracimolo si nasconde tra i pampini e copre a sua volta gli acini del grappolo, cosí il raciàmmulo tenta di non far apparire, nascondendole con giri di parole, talune verità altrimenti palesi;
scazzella s.vo m.le voce singolare maschile (a malgrado della desinenza in a) usata esattamente per indicare non l’azione cavillosa, pretestuosa, capziosa quando non litigiosa, ma per indicare colui che agisca e si esprima cavillosamente, pretestuosamente, capziosamente; in effetti la parola a margine (‘o scazzella) risulta essere etimologicamente una contrazione per sincope del termine scazzazella→scaz(za)zella→scazzella a sua volta formato dal verbo scazzà/scazzecà= schiacciare, scacciare, sommuovere (da una base di lat. reg. s(intensivo) + capticare frequentativo di captiare= cacciare) + il sost. zella =tigna, debito, magagna, imbroglio (da un lat. reg. psilla(m)); va da sé che chi schiaccia, smuove i residui della tigna lo fa in maniera attenta, cavillosa, pretestuosa alla medesima maniera di chi tenti di schiacciare, scacciare, sommuovere un debito o magagna;
tràstula s.vo f.le sostantivo femm. sing. usato per indicare un generico trucco e/o inganno; in realtà come deverbale di trastulià (che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o inganni da saltimbanchi) la voce a margine solo estensivamente indica ogni altro inganno teso ad imbrogliare, raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo napoletano trastulià donde la derivata tràstula sia un adattamento del toscano trastullare; non è cosí però; è vero che ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle galee romane, per poi divenire i banchi su cui si esibivano i saltimbanchi con i loro trucchi ed inganni detti in napoletano trastule e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir semplicemente l’imbroglione , ma mentre l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto per ledere gli adulti;
Giunti a questo punto rammenterò che tutte le voci che ò elencate furono usate negli scrittori partenopei (poeti, drammaturghi etc.) a far tempo dal 1400 con eccezione di quelle nate (ad. es. pagliettaría) in epoche successive. C’è una sola voce che non à trovato posto nei reperti letterarii, ma è rimasta a far tempo dal 1940 circa, nel parlato popolare ed ancora vi permane ben salda avendo soppiantato quasi tutte le voci elencate fin qui con le sole eccezioni di ‘mbroglia e tràstula; la voce è
paraustiello s.vo m.le voce singolare maschile nata in origine in senso positivo per significare esempio, spiegazione ma che à finito per prendere il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, pretestuoso cavillo, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio, esempio, ma ad usum delphini, argomentazione tortuosa etc. Quanto all’etimologia ancòra c’è qualcuno che sulla scorta del primo significato di esempio, spiegazione propende per l’iberico para usted (per voi) quasi che con la parola paraustiello si volesse avvertire: tutto ciò che abbiamo detto è stato un esempio portato per voi. La cosa non convince soprattutto perché il paraustiello fin quasi dal suo apparire non fu usato solo nel senso positivo di esempio, spiegazione ma prese quasi súbito nell’uso del discorrere popolare (come ò detto) il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio,argomentazione tortuosa e dunque mi pare corretto pensare per l’etimo di paraustiello ad un adattamento del greco paràstasis che vale giustappunto ragionamento, metafora, argomentazione.
zellemmo s.vo m.le ma usato nella quasi totalità dei casi solo al pl. zellemme nel significato di pretesti, cavilli, scuse, sofisticherie quasi innominabili e da celare; etimologicamente la voce è un derivato di zella (da un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento della liquida nel latino regionale è d’origine popolare) cui è stato aggiunto il suffisso emmo←immo suffisso in genere di chiaro sapore dispregiativo o riduttivo ma talora anche, come in questo caso, intensivo , suffisso probabilmente coniato su di un latino: ime(n) con successivo raddopiamento rafforzativo della emme fino a giungere ad immo o imma.
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale
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