domenica 31 marzo 2019

NTUPPÚSO E NTUPPÓSA



NTUPPÚSO E NTUPPÓSA

Anche questa volta è stato il  caro amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a  chiedermi via e-mail di chiarirgli  significato e portata dell’ aggettivo femminile partenopeo   in epigrafe.
Trovo opportuno per rispondere all’amico principiare con il dire che benché l’aggettivo venga usato giustamente e spessissimo nella morfologia femminile, nulla osta che lo si usi anche in quella maschile atteso che benché il difetto che sta alla base dell’aggettivo e cioé l’insofferenza ingiustificata,  l’urtarsi  od infastidirsi per ogni quisquilia,bazzecola, inezia  provandone risentimento, astio ed irritazione ingiusti ed infondati sia tipico del sesso femminile, l’identico difetto possa esser riscontrato in taluni soggetti di sesso maschile; tanto premesso che fa anche da spiegazione del significato dell’aggettivo femminile e maschile, non mi resta che indicarne l’etimologia per la quale occorre riferirsi alla radice “ ntupp”  del verbo    ntuppà [dal greco týp-to con protesi di una N eufonica (che- come tale – non esige alcun segno diacritico), radice addizionata del suffisso úso/ósa [ suffisso di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi/verbi, dal lat. -osu(m)→usu(m);che  indica presenza, caratteristica, qualità, abbondanza, esser proclive ecc.(cfr.addirúso/rósa,scardúso/dósa,mafiúso/ósa,smurfiúso/ósa,zezzúso/ósa, fumúso/osa, rattúso/ósa).]
 E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale

“FRATE ‘E PRIEVETE, NEPUTE ‘E PRIEVETE NEMICE ‘E CRISTO”


“FRATE ‘E PRIEVETE, NEPUTE ‘E PRIEVETE NEMICE ‘E CRISTO”
Questa volta è stato il  caro amico S. C. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a  chiedermi via e-mail di chiarirgli  significato e portata dell’espressione partenopea   in epigrafe. Gli ò cosí risposto:
Pur trattandosi di un’espressione datata è quasi del tutto desueta e la si puó cogliere pressoché solo sulle labbra dei napoletani d’antan. Eppure si tratta di locuzione sapida,interessante ed antichissima, risalente com’è  ai princípi del 1500 e  non mi  spiego come mai non la si usi ancóra, magari in senso estensivo e non soltanto nei riguardi del clero e della relativa parentela. Parliamone;  ad litteram essa vale: fratelli  di  preti, nipoti  di sacerdoti,nemici di Cristo e nacque, come già ò accennato ai primordi del 1500, dalla disincantata osservazione della realtà per sottolineare che non è sufficiente essere fratelli o nipoti di consacrati per essere innamorati, sostenitori, fautori, simpatizzantI o seguaci di Cristo, ma spesso se ne è avversari,a volte  ostili ed addirittura rivali come nel caso di quei Cesare Borgia [(Subiaco, 13 settembre 1475 –† Biana, 12 marzo 1507),  nobile, cardinale e condottiero italiano] e Lucrezia Borgia[(Subiaco, 18 aprile 1480 –† Ferrara, 24 giugno 1519),soggetti ambedue dalle vite burrascosa, macchiate di violenze ed omicidi,   figli illegittimi  del cardinale Roderic Llançol de Borja (piú tardi divenuto papa Alessandro VI [(Xàtiva, 1 gennaio 1431 – †Roma, 18 agosto 1503),  214º papa della Chiesa cattolica dal 1492 alla morte]); dagli esempi sullodati,  in àmbito chiesastico napoletano cinquecentesco,se ne dedusse che pur nulla vietando che congiunti di preti fóssero individui pii, religiosi, credenti, osservanti, buoni, giusti, pietosi, caritatevoli e forse anche consacrati alla medesima stregua dei consanguinei, il piú delle volte [donde la generalizzazione] capitava l’esatto contrario; va da sé che l’espressione venne usata ed tuttora lo si potrebbe fare in modo estensivo in riferimento ai congiunti di politici e/o professionisti, congiunti che, benché lo facciano non son tagliati per seguire le orme dei familiari fossero pure i genitori!    E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico S.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in questa paginetta.Satis est.
 Raffaele Bracale

CUMPARE ‘E FAZZULETTO



CUMPARE ‘E FAZZULETTO
Questa volta è stato il  caro amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a  chiedermi via e-mail di chiarirgli quali siano le ragioni per le quali colui che è  il testimone alle nozze  della sposa che in tutta la penisola è détto compare  di matrimonio o  d’anello, in tutta la provincia napoletana prende il nome di “cumpare ‘e fazzuletto”,cosí come   in epigrafe.
Mette conto in primis soffermarsi sui termini usati nella locuzione:
cumpare s.vo m.le  [dal lat. tardo compatre-m, composto  di cum- e pater «padre»]. – 1. A. Chi tiene a battesimo o a cresima il figlio altrui, sia rispetto a questo, sia rispetto ai genitori di lui. Figuratamente: essere un soggetto  indispensabile in qualche faccenda. B. Come ò anticipato  Il testimone alle nozze della sposa (e reciprocamente lo sposo rispetto al testimone o alla testimone), detto anche, per distinzione da quello precedente, compare di matrimonio o compare d’anello per il compito che gli è, o era, riservato di consegnare gli anelli agli sposi nel corso della cerimonia nuziale, spesso come suo personale regalo. 2. estensivamente A.Titolo che si dà a un vecchio amico o a chi, anche occasionalmente, si considera come tale; B. Chi aiuta più o meno copertamente qualcuno in una brutta azione, in un imbroglio, o gli tien mano in giochi di prestigio, o finge a suo favore d’essere un acquirente in una vendita all’asta, e analoghe.
Fazzuletto s.vo m.le [da un lat. volg.:*facjolu-m con cj>z addizionato del suff.diminutivo m.le etto]. – Quadrato di tela (per lo più di lino, seta  o cotone), bianco o colorato, variamente ricamato o rifinito, adoperato per soffiarsi il naso, asciugarsi il sudore e per altri simili usi.
Tanto premesso veniamo al perché della locuzione che si spiega tenendo presente che sino a tutto il principio del 1900 a Napoli ed in tutta la sua provincia la sposa soleva ricambiare il dono degli anelli per le nozze con un fazzoletto di batista bianca ricamato con le iniziali degli sposi e chi lo riceveva invece di intascarlo per servirsene personalmente preferí adoperarlo per farne il supporto delle vere da presentare per la benedizione dando cosí vita ad una tradizione che sebbene obsoleta [oggi le fedi vengono poggiate su di un vassoietto o un minuscolo cuscino approntati ad hoc] à lasciato l’espressione che ancóra perdura nel parlato del napoletano verace.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in questa paginetta.Satis est.
 Raffaele Bracale

ARRICURDARSE D’ ‘O CIPPO A FFURCELLA, D’’A LAVA D’’E VIRGENE, D’‘O CATAFARCO Ô PENNINO, D’‘O MARE Ô CERRIGLIO. (codicillo)


ARRICURDARSE D’ ‘O CIPPO A FFURCELLA, D’’A LAVA D’’E VIRGENE, D’‘O CATAFARCO Ô PENNINO, D’‘O MARE Ô CERRIGLIO.    (codicillo)
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi  cose o luoghi o avvenimenti  ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populu(m); tipico il passaggio in napoletano PL→CHI).
La  parola chiuppo fu   poi,sulla bocca del popolo che l’usava, corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa  poi  sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1)- ‘a lava d’’e Virgene(la lava nella parlata  napoletana, etimologicamente dal  lat. labe(m)→laba(m)→lava(m) è'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma indica  anche estensivamente  una copiosa, quasi  torrentizia caduta di acqua; ed è a  quest’ultima che qui  si fa riferimento;   (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene  si intende infatti   quel tumultuoso torrente di acqua piovana  che a Napoli  fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente  sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata  perché nella zona  esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori)  e percorrendo di gran carriera la via Foria  si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura  e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso  percorso)
,2) - ‘O CATAFARCO  AL PENDINO (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra+  l’arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana (  anche cosí nel napoletano, con derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV SEC. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me  che divenne na  per render chiaramente  femminile la parola originariamente maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; l’adattamento corruttivo di me in  na si rese necessario, atteso che per errore non si  muta la  desinenza nel  volgere al femminile un nome terminante in me  ed invece di  farlo diventare terminante  nell’ovvio ma, si continua a mantenere il suffisso me  ; fu nessario perciò cambiar questo me  in na (desinenza che, quanto al genere non produce confusione)!) dicevo che la voce catafalco  che di per sé indica il tronetto ligneo   su cui veniva un tempo, al centro della chiesa,  sistemata la bara durante i funerali solenni,  qui è usato per  traslato ad indicare un altare molto imponente), infine:
3) - ‘O MARE AL CERRIGLIO (cioè al tempo di  quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio  esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il  popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio   Caravaggio o Milano, 1571  Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla  porta di detta bettola   erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:
Magnammo, amice mieje, e ppo vevimmo
nfino ca  stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace
= ci sta; il ce  dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano  ci  che è pron. pers. di prima pers. pl. [atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita  etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente  deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m)  che significò bottega ed osteria  ed è in quest’ultimo significato che la voce  fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella parlata napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
A margine e completamanto dell’espressione in epigrafe rammento che talora per commentare icasticamente  le parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi  cose o luoghi o avvenimenti  ormai remotissimi, s’usa dire: “Eh, quanno currette ‘a lava d’ ‘o seje!”  con riferimento però non alla torrentizia caduta d’acqua di cui antea,ma alla rovinosa, perniciosa colata lavica dell’ eruzione del Vesuvio risalente al 21 aprile del lontano 1906, quella cioè che dalle ore 5.30 circa del  4 e sino a tutto   il  21 aprile 1906  interessò il  versante meridionale del Vesuvio risultando  la maggiore eruzione del Vesuvio nel 20° secolo, eruzione che nel quarto  giorno  con caduta di cenere e lapilli, oltre ad interessare sensibilmente i paesi vesuviani ad est del vulcano tra cui Ottaviano e S.Giuseppe Vesuviano  e Napoli, raggiunse anche la Puglia.
A margine di tutto quanto scritto e segnatamente in riferimento all’espressione  arricurdarse ‘o cippo a fFurcella soprattutto per ciò che concerne il termine cippo
derivato, nel significato di pioppo, da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populu(m) con  tipico  passaggio in napoletano di  PL a CHI [cfr.  plus→cchiú, platea→chiazza, plumbeum→chiummo, clavum→chiuovo, plattu-m→chiatto etc.).], mi corre l’obbligo di dare una risposta ad un mio cortese lettore che mi à contestato sia l’origine che il significato del termine cippo  che per l’amico lettore varrebbe “stele funeraria” derivata da una voce dotta lat. cippu-m. L’amico lettore non si è reso conto che il “cippo” [stele funeraria] è un termine della lingua nazionale, risalente [cfr. DEI] al XVI sec. cioè al 1500, ed è ben diverso dal cippo napoletano che à altra origine e significato ed è ben piú datata di quella della lingua nazionale atteso che era già usata sin dal 1300 e ciò senza dimenticare che l’idioma  napoletano  non è tributario dell’italiano, ma una  parlata autonoma, spesso ad ampia diffusione regionale,   figlia del tardo latino e di quello volgare e parlato,   ricca di storia e di   testi  ed usatissimo per secoli in tutto il meridione. E m’auguro che l’amico si convinca! Satis est.
  
                                                            Raffaele Bracale