martedì 27 maggio 2014
CHE SCIORTA! E CHE MAZZO!
CHE SCIORTA! E CHE MAZZO!
Questa volta faccio sèguito ad una stimolante richiesta rivoltami dall’amica B.G. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi delle due icastiche espressioni esclamative partenopee in epigrafe usate ambedue alternativamente per sottolineare, con un malcelato senso d’invidia, la buona fortuna che accompagna talora l’esistenza altrui. Tale fortuna si sostanzia talvolta nella buona riuscita di uno o piú accadimenti che veda coinvolti gli invidiati. Le locuzioni vengono usate soprattutto quando gli invidiosi mettano a confronto analoghe situazioni che li abbiano visti protagonisti, ma che non abbiano avuto soluzioni positive,utili, feconde, favorevoli, vantaggiose o valide, quelle che al contrario son occorse a gli invidiati.
Analizziamo singolarmente le espressioni:
Che sciorta! Ad litteram: Che sorte! Id est: Che (gran, buona) fortuna (à avuto oppure ànno avuto colui/coloro)! Come si vede nella locuzione è sempre sottinteso l’aggettivo grande (granna) oppure buona (bbona) che accompagna il sostantivo f.le sciorta, s.vo che [con derivazione dal lat. sorte-m] vale destino, sorte, fortuna la cui valenza positiva (bbona sciorta) o negativa (mala sciorta) è indicata appunto dall’aggettivo che l’accompagna.
Rammento che talvolta l’espressione a margine è usata sarcasticamente per autocommiserarsi ed in tal frangente va intesa in senso antifrastico: accidenti, che sventura mi è occorsa!
E passiamo alla piú icastica ancorché becera:
Che mazzo! che ad litteram vale: Che sedere, che fondoschiena! Anche questa locuzione, per essere intesa al meglio nel suo significato di invidioso commento alla buona fortuna altrui, dovrebbe vedere il sostantivo mazzo addizionato dell’ aggettivo rutto oppure scassato . Indico qui di sèguito la semantica dell’espressione e la ragione dell’opportunità di addizionarla dell’aggettivo rutto oppure scassato il tutto dopo d’aver ricordato che il s.vo.m.le mazzo di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. alibi) non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione ‘a gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo esaminata altrove si preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare di ‘o bbuco d’’o culo con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso, se maschile, piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone.
A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom. lat. med. macĭus. Quanto alla semantica dell’espressione, essa è risalente addirittura alle teorie di Ippocrate di Cos o Kos (Coo, 460 a.C. circa – †Larissa, 377 a.C.) medico, geografo e aforista greco antico, considerato il padre della medicina il quale riportando un’elencazione di alcuni organi del corpo umano ritenuti sede di sentimenti e/o sensazioni rammentò che la memoria risiedesse nel cervello, l’amore nel cuore, il coraggio nel fegato e buon ultima la sorte, il destino nel fondoschiena e nell’inteso greco si ritenne che un sedere sodomizzato fósse titolare di piú ampia fortuna in quanto per i greci antichi la sodomia non fu onta subíta, ma veicolo per ottenere il favore dei facoltosi e dei potenti e pertanto fósse una comoda via per aggrandire la propria buona fortuna rappresentata da guadagni o favori ricevuti!
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amica B.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
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