sabato 31 ottobre 2009

MARUFFA, MARRUFFA & DINTORNI

MARUFFA, MARRUFFA & DINTORNI
Questa volta, sollecitato dalla richiesta di un caro amico che mi rende visita quasi ogni sera, mi soffermerò a parlare del vocabolo in epigrafe, icastica ed un tempo usatissima voce della parlata partenopea in uso, per tantissimo tempo dagli anni ‘30 sino a tutti gli anni ’50 e poi desueta, soprattutto nella città bassa.Difficile stabilire il perché una voce si sia mantenuta in vita ed usata per un tempo circoscritto e per un àmbito ristretto e si sia poi dileguata senza lasciar traccia di sé in nessuno dei numerosi calepini dell’idioma partenopeo i cui autori ànno un duplice torto: alcuni quello di copiarsi vicendevolmente e tutti quello di attingere esclusivamente nelle opere di autori classici e/o antichi, tenendo in non cale la parlata viva del popolo partenopeo che invece tiene in continuo divenire il proprio linguaggio assicurandogli quella vivezza di idioma che non è lingua morta!
Ciò precisato veniamo alle voci in epigrafe precisando che la prima maruffa è il s.vo e poi anche agg.vo f.le originario mentre la seconda marruffa anch’essa s.vo e poi anche agg.vo f.le, quantunque maggiormente in uso nella parlata viva del popolo partenopeo della città bassa, è voce derivata dalla prima attraverso un consueto raddoppiamento espressivo popolare della liquida r.
E veniamo al significato: in origine con il termine maruffa si indicò, secondo il noto criterio della parlata napoletana per il quale criterio un oggetto è inteso, se di genere maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente oggetto di genere femminile: abbiamo ad es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande di ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande di ‘a caccavella; dicevo dunque che in origine con il termine maruffa si indicò (per il criterio or ora illustrato) una nassa un po’ piú grossa del corrispondente m.le maruffo ( nassa, Cesto di vimini, di forma generalmente sferoidale, con una piccola apertura alla sommità, che si cala in acqua per contenere il pesce catturato e mantenerlo in vita fino a che non sia finita la pesca).
Successivamente quando la voce maruffa passò dai pescatori che frequentavano il mercato ittico prospiciente in Napoli la Porta Capuana, allorché, dicevo, la voce passò sulla bocca degli abitanti della zona,acquistando il raddoppiamento espressivo della liquida r perdette il suo significato originario, per acquistarne sotto la morfologia di marruffa e tenendo presente l’ aspetto ormai liso, frusto, consunto e scalcinato di una nassa pesta ed acciaccata per essere stata usata e piú vòlte riusata, quello traslato (riferito peraltro alle sole donne) di persona goffa, sgraziata, maldestra, inelegante,sciatta, dozzinale, rozza; la voce marruffa venne accostata, con riferimento a vecchie o anzione donne malmesse, alle precedenti scònceca e zàffia di significato pressocché simile: , goffa, maldestra, impacciata,trasandata,mediocre, scadente, rozza e persino volgare, mentre per il maschile, un soggetto che fosse goffo, sgraziato, maldestro, inelegante,sciatto, dozzinale, rozzo o anche deforme o storpio fu détto alternativamente
grisolaffío (dal greco bizantino krysoláios) voce esclusivamente maschile,
scuonceco ( deverbale di s (distrattiva)+ conciare= sciupare, rovinare che diede dapprima scuoncio= sciupato, rovinato e poi con ampliamento di suffisso il termine a margine scuonceco= deforme, storpio ma anchesmagrito, deperito, smunto,sformato etc.) voce come la successiva usata anche al femminile,
zàffio ( dal greco mod. tsáfos che è dall’arabo sāiyf).
E veniamo alla parte che ritengo piú interessante, quella che riguarda l’etimologia della/e voce/i in epigrafe.
Ricordato che per la nostra indagine occorre partire dalla voce maruffa, anzi da maruffo che la voce di partenza su cui fu marcata maruffa.
Non di semplice soluzione la questione però! La maggior parte dei vocabolaristi si trincerano dietro il solito pilatesco etimo sconosciuto o incerto, cosa che – come è noto – mi procura attacchi d’orticaria. Qualcuno ( Treccani ) azzarda un non specificato, né chiarito voce di origine còrsa qualche altro (M.Cortelazzo) ipotizzò che non si potesse trattare di un continuatore di mafaro ← mamphur =cocchiume della botte; e fin qui son disposto a seguirlo, ma alla fine sulle orme di un tal Pier Enea Guarnerio (glottologo di fine ‘800) concluse, anche lui!, (parce sepulto) che trattasi di etimo sconosciuto. Sono grandemente insoddisfatto e mi son fatto una mia idea che partecipo volentieri a chi mi leggerà.
Entro súbito in medias res, ma poi chiarisco, affermando (checché ne dicano i paludati addetti ai lavori…) che a mio sommesso, ma deciso avviso la voce maruffo donde maruffa e poi marruffa è con molta probabilità degradazione semantica d’un nome proprio, anzi – per meglio dire – di un cognome quello di quel tal Matteo Maruffo (XIV sec.) di cui fallano e mi fallono estese notizie biografiche; so solo che si trattò d’un ammiraglio genovese divenuto famoso per aver sconfitto nel corso della guerra di Chioggia nel 1380 con la sua flotta di galee, nel mare al largo della città di Manfredonia, i veneziani di Vettor Pisani (Venezia, 1324 – † Manfredonia, 13 agosto 1380); ò pensato che i marinai delle galee a gli ordini del Maruffo, stanchi di cibarsi di gallette, carni secche e salate ed altri alimenti conservati, normalmente in uso tra la gente di mare cercassero di migliorare i pasti con del buon pesce fresco ed una vòlta procuratoselo avessere ideato una particolare nassa che legata ad una fune permettesse di conservarlo tenendolo, rinchiuso nella nassa, continuamente immerso in acqua fino al momento di consumarlo. Si può quindi ragionevolmente pensare, pur se mancano adeguati riferimenti storici(la voce maruffo,presente nel Cortelazzo/Marcato, nel Treccani e nel Garzanti, manca inopinatamente nel D.E.I.(che solitamente dei lemmi considerati riporta spesso l’indicazione del secolo in cui il lemma è stato usato per la prima vòltaed il nome dell’autore che l’abbia usato) ), si può ragionevolmente ipotizzare che i marinai di Matteo Maruffo, o per dileggio o per affetto abbiano assegnato il cognome del loro ammiraglio a quella particolare nassa di loro ideazione. E cosí penso d’aver chiarito o quanto meno d’aver indicato una strada da poter percorrere nella ricerca dell’etimo delle voci in epigrafe. Ma prima di apporre il mio consueto satis est, che il piú delle vòlte chiude le mie paginette di linguistica, mi piace rammentare che nel colorito, icastico idioma popolare partenopeo la voce marruffa è spesso accompagnata da altri aggettivi e l’espressione completa, usata quale offensivo dileggio rivolto ad una donna, suona: brutta, vecchia marruffa scuffata e sceriata!(brutta, vecchia, goffa donna, slombata e vanamente imbellettata!); preciso:
brutta agg.vo f.le del m.le brutto: 1)si dice di persona, animale o cosa di aspetto sgradevole, o che comunque produce un'analoga impressione; 2) cattivo, riprovevole, sconcio; 3) sfavorevole, che reca danno o molestia, che produce un effetto negativo; la voce è dal lat. brutu(m) 'bruto', con raddoppiamento consonantico espressivo.
vecchia agg.vo e s,vo f.le del m.le vecchio/viecchio: che si trova nell'ultimo periodo della vita naturale; con significato piú ampio, anziano (in contrapposizione a giovane); quanto all’etimo è voce del lat. tardo veclu(m), per il class. vetulu(m), dim. di vetus 'vecchio' seguendo il percorso vetulu(m)→vetlu(m)→veclu(m)→vĕcchio/viecchio
scuffata . agg.vo (ma in origine participio passato poi aggettivato) f.le del m.le scuffato; lo stesso che scioffato/a :pesto/a, malmenato/a,malmesso/a, storpiato/a dilombato/a con etimo da un lat. volg. exuffatu(m);
sceriata agg.vo (ma in origine participio passato poi aggettivato) f.le del m.le sceriato: sfregato strofinato, frizionato , soffregato, lucidato e per giocoso ampiamento semantico abbellito, adornato,agghindato, bardato, imbellettato; etimologicamente si tratta come ò détto del participio passato poi aggettivato dell’infinito
scerià id est: soffregare, nettare, lucidare verbo che viene da un tardo latino: flicare = soffregare. da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià (per il consueto passaggio di fl→sc (cfr. flos→sciore – flumen→sciummo – flamma→sciamma).
Satis est.
Raffaele Bracale

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