martedì 31 marzo 2015
VARIE 15/252
1. 'A CARCIOFFOLA S'AMMONNA A 'NA FRONNA Â VOTA.
Letteralmente: il carciofo va mondato brattea a brattea. Id est: le cose vanno fatte con calma e pazienza, se si vogliono ottenere risultati certi bisogna procedere lentamente e con giudizio.
2. ACQUA SANTA E TTERRA SANTA, PURE LOTA FANNO.
Letteralmente: acqua santa e terra santa pure fango fanno. Id est: l'unione di due cose di per sè buone, non è detto che non possano produrre effetti spiacevoli. Lo si dice con riferimento alla società di due individui che, presi singolarmente, mai farebbero sospettare esser capaci di produrre danno e che invece, uniti, producono grave nocumento ai terzi.
3. CHI SE METTE PAURA, NUN SE COCCA CU 'E FFEMMENE BBELLE.
Letteralmente: chi à paura, non va a letto con le donne belle. È l'icastica trasposizione dell'algido toscano: chi non risica, non rosica. Nel napoletano è messo in relazione il comportamento coraggioso, con la possibilità di attingere la bellezza muliebre, che rappresenta un gran bel rosicchiare.
4. ESSERE 'O RRE CUMMANNA A SCOPPOLE.
Letteralmente. essere il re comanda a scappellotti. Cosí è detto chi voglia comandare o decretare maniere comportamentali altrui senza averne né l'autorità certificata, né il carisma derivante da doti morali o conclamate esperienze, un essere insomma che potrebbe comandare giusto ai ragazzini, magari assestando loro qualche scappellotto, per essre ubbidito.
5. CCA SOTTO NUN CE CHIOVE!
Letteralmente: Qui sotto non ci piove. L'espressione, tassativamente accompagnata dal gesto dell' indice destro puntato contro il palmo rovesciato della mano sinistra, sta a significare che oramai la misura è colma e non si è piú disoposti a sopportare certe prese di posizioni o certi comportamenti soprattutto di certuni che sono adusi a voler comandare, impartire ordini et similia, non avendone né l'autorità, né il carisma; la locuzione è anche usata col significato di: son pronto a render pane per focaccia , nei confronti di chi à negato un favore, avendolo invece reiteratamente promesso.
6. 'A CERA SE STRUJE E 'A PRUCESSIONA NUN CAMMINA.
Letteralmente: le candele si consumano, e la processione non cammina. La locuzione viene usata, soprattutto nei confronti degli abulici o inetti quando si voglia con dispetto sottolineare una situazione nella quale, invece di affrontare concretamente i problemi, ci si impelaga in discussioni oziose, vani cavilli e dispersive chiacchiere che non portano a nulla di concreto.
7. SULO ‘A MORTE È CCERTA, POTUTTO PO’ ESSERE, FORA CA LL'OMMO PRIÉNO.
Solo l’evenienza della morte è un fatto certo, poi tutto può essere, fuorchè l'uomo incinto. Ciò è ancóra vero anche se l'alchimie della moderna scienza non ci permette di essere sicuri né dell’ineluttabilità della morte, né del fatto che l’uomo possa restare incinto... La locuzione viene usata per sottolineare che non ci si deve meravigliare di nulla, essendo, nella visione popolare della vita, oltre la morte solo una cosa impossibile.
8. ABBIÀRSE A CCURALLE.
Letteralmente: avviarsi verso i coralli. Id est: Anticiparsi, muovere rapidamente e prima degli altri verso qualcosa. Segnatamente lo si dice delle donne violate ed incinte che devono affrettare le nozze. La locuzione nasce nell'ambito dei pescatori torresi (Torre del Greco -NA ), che al momento di mettersi in mare lasciavano che per primi partissero coloro che andavano alla pesca del corallo.
9. AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE.
Letteralmente: Ò veduto la morte con gli occhi. Con questa locuzione tautologica si esprime chi voglia evidenziare di aver corso un serio pericolo o rischio mortale tale da portarlo ad un passo dalla morte e di esserne fortunatamente restato indenne.
10. VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA/VULé FóTTERE E SBATTERE ‘E MMANE. Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.Per mingere bisogna necessariamente smontar di carrozza.Altrove con identico significato si dice: Vulé fottere e sbattere ‘e mmane. Td est: voler coire sbattendo le mani cosa impossibile soprattutto per l’uomo nella posizione détta del missionario.
Piscià = míngere, orinare; quanto all’etimo dal t. lat. pi(ti)ssare→pisciare;
gghí = andare; forma collaterale di jí che è dal lat. ire. fottere/ffottere = 1coire, congiungersi carnalmente possedere sessualmente; (assol.) avere rapporti sessuali | va' a farti fottere!, lo stesso che 'va' all'inferno, al diavolo'
11. VE DICO 'NA BUSCÍA.
Vi dico una bugia. È il modo sbrigativo e piuttosto ipocrita di liberarsi dall'incombenza di dare una risposta, quando non si voglia prender posizione in ordine al richiesto e allora si avverte l'interlocutore di non continuare a chiedere perché la risposta potrebbe essere una fandonia, una bugia...
12. FÀ 'O FRANCESE.
Letteralmente: fare il francese, id est: mostrare, dare a vedere o - meglio - fingere di non comprendere, di non capire quanto vien detto, allo scoperto scopo di non dare risposte, specie trattandosi di impegnative richieste o ordini perentorii. È l'equivalente dell'italiano: fare l'indiano, espressione che, storicamente, a Napoli non si comprende, non avendo i napoletani avuto nulla a che spartire con gli indiani, sia d'India che d' America, mentre ànno subíto una dominazione francese ed ànno avuto a che fare con gente d'oltralpe.
13. 'O PESCE FÈTE DÂ CAPA.
Letteralmente: Il pesce puzza dalla testa. Id est: il cattivo esempio viene dall'alto, gli errori maggiori vengon commessi dai capi. Per cui: ove necessario, se si vogliono raddrizzare le cose, bisogna cominciare a prender provvedimenti innanzi tutto contro i comandanti.
14. 'O PURPO S' À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo va fatto cuocere con la sola acqua di cui è pieno. La locuzione si usa quando si voglia commentare l'inutilità degli ammonimenti, dei consigli et similia, che non vengono accolti perché il loro destinatario, è di dura cervice e non intende collaborare a recepire moniti e o consigli che allora verranno da lui accolti quando il soggetto si sarà autoconvinto della opportunità di accoglierli.
15. ACQUA 'A 'NNANZE E VVIENTO 'A RETO...
Letteralmente: Acqua da davanti e vento da dietro. È il malevolo augurio con cui viene congedato una persona importuna e fastidiosa cui viene indirizzato l'augurio di essere attinto di faccia da un violento temporale e di spalle da un impetuoso vento che lo spingano il piú lontano possibile.
16. ABBUFFÀ 'A GUALLERA.
Letteralmente: gonfiare l'ernia. Id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno al punto di procurargli una metaforica enfiagione di un'ipotetica ernia. Si consideri però che in napoletano con il termine "guallera" si indica oltre che l'ernia anche il sacco scrotale, ed è ad esso che con ogni probabilità fa riferimento questa locuzione.
17. QUANNO 'A FEMMENA VO’ FILÀ, LL'ABBASTA 'NU SPRUOCCOLO.
Letteralmente: quando una donna vuol filare le basta uno stecco - non à bisogno di aspo o di fuso.Id est: la donna che vuole raggiungere uno scopo, una donna che voglia qualcosa, è pronta ad usare tutti i mezzi pur di centrare l'obbiettivo, non si ferma cioè davanti a nulla...
Brak
VARIE 15/251
1 -Canta ca te faje canonico!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sarcasticamente sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta l’abitudine dei canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
2 -Armammoce e gghiate.
Letteralmente: armiamoci ed... andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al pericolo; come son soliti fare troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.
3 - A - Cane e ccane nun se mozzecano B- Cuóvere e cuóvere nun se cecano ll'uocchie.
Letteralmente:
A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO
B- CORVI E CORVI NON SI ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, ma intendo sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
4 -Cca 'e ppezze e cca 'o sapone.
Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del sapone per bucato e che perciò erano detti sapunare.
Il sapone da bucato offerto da quei rigattieri era un sapone molto morbido, di colore ambra ed era un sapone di produzione artigianale che non si trovava in vendita nelle botteghe, ma era reperibile quasi esclusivamente presso quei rigattieri girovaghi che svolgevano all’aperto (in piazza) la loro opera e perciò fu detto sapone ‘e piazza , ma come tutti i manufatti artigianali d’antan era un ottimo prodotto che serviva egregiamente allo scopo.
5 - Tené 'a sàraca dint' â sacca
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca (aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna.
6 -T'aggi''a fà n'asteco areto a 'e rine...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per asteco (dal greco óstrakon= coccio) a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio la cui copertura anticamente era formata con coccio residuo della lavorazione delle anfore e con abbondante lapillo vulcanico ammassato all'uopo e poi violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana.
7 -Ogne anno Ddio 'o ccumanna
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
8 - Pe gulío 'e lardo, mettere 'e ddete 'nculo ô puorco.
Letteralmente: per desiderio di lardo, infilare le dita nell'ano del porco. Id est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la parola gulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies divenuta raggia.
9 -Sciorta e mole spontano 'na vota sola.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
10 -Ll'arte 'e tata è mmeza 'mparata.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però càpita che taluni inetti ed incapaci si vedano immeritatamente spianata la strada ed invece al redde rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico.
11 - Attaccarse ê felínie.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
12 - Jí facenno 'o Ggiorgio Cutugno.
Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e guappesca alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli. Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria tracotante anche davanti al proprio re.
13 - 'Ncasà 'o cappiello dint' ê rrecchie.
Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie, ossia calcarlo in testa con tanta forza che il cappello con la sua tesa faccia quasi accartocciare i padiglioni auricolari. A Napoli, l'icastica espressione fotografa una situazione nella quale ci sia qualcuno che vessatoriamente, approfittando della ingenuità e disponibilità di un altro richieda a costui e talvolta ottenga prestazioni o pagamenti superiori al dovuto, costringendo - sia pure metaforicamente - il soccombente a portare un supposto cappello calcato in testa fin sulle orecchie.
14 -Rompere 'o nciarmo.
Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a situazioni che per potersi mutare ànno bisogno di decisione e pronta azione in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu per venire a capo della faccenda.
La parola nciarmo= magia, fascino, incantesimo non deriva dal lat. in+ carmen ma da un francese n + charme
15 -'Ngrifarse comme a 'nu gallerinio.
Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india (da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato.
‘ngrifato=rizzato, irsuto etc. è il part. pass. dell’infinito ‘ngrifà/arse=rizzare/adirarsi etc. dallo spagnolo engrifar
16 -Fà zite e murticielle e battesime bunarielle.
Letteralmente: fare(partecipare a)matrimoni e funerali e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose portate di pesce fresco.
17 - Vieste Ciccone, ca pare barone.
Letteralmente:vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco. Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone...
18 -Pigliarse 'e penziere d''o Russo.
Letteralmente: Prendersi i pensieri del Rosso. Id est: preoccuparsi di faccende senza importanza, trascurandone altre ben piú importanti.Il Rosso della locuzione fu un famoso ladro, che condannato al capestro, invece di preoccuparsi della propria sorte, si chiedeva chi sarebbe stato incaricato di portare la scala necessaria all'esecuzione.
19 - Vestirse 'a fesso.
Letteralmente: indossare l'abito dello stupido. Id est: comportarsi in maniera volutamente sciocca, fare lo gnorri, tenere un comportamento da stupido nella speranza che cosí facendo si possa indurre una ipotetica controparte a non calcar la mano con pretese e richieste e raggiungere cosí il fine sperato con poca fatica e minimo impegno.E' l'atteggiamento che temporibus illis tenevano taluni chiamati alle armi per evitare la partenza per il fronte.Il fatto era compendiato nella frase: fà 'o fesso pe nun gghí â guerra(fare lo sciocco per non andare in battaglia; spesso si raggiungeva lo scopo, giacché non erano graditi soldati stupidi.
20 - Fà 'nu sizia-sizia.
Letteralmente: fare un sitio- sitio Id est: richiedere ripetutamente e lamentosamente qualcosa con ossessiva petulanza. La locuzione nasce prendendo spunto dal Sitio! pronunciato da Cristo sulla croce. Alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli dell'aceto che misto ad acqua è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
21 - Essere 'na pimmice 'e canapé.
Letteralmente: essere una cimice annidata in un divano. Id est: essere inaffidabile, subdolo e perfido come una cimice che - secondo la credenza popolare - è pronta a tradire il proprio simile o colui che abbia la sventura di tenerla nascosta nel proprio divano; il primo ad essere morsicato sarà proprio il padrone del divano.
22 -Ma tenisse 'e gghiorde?
Letteralmente: fossi affetto da giarda? Domanda retorica che con aria insolente, viene rivolta a Napoli, a qualcuno che appaia pigro, indolente, scansafatiche, che non si muove, nè fa alcunché, quasi fosse affetto da giarda la malattia che colpisce le giunture ed in ispecie il collo del piede dei cavalli producendo eccessiva enfiagione delle zampe delle bestie, impossibilitate, per ciò a procedere speditamente.
23 -Jí cercanno 'mbruoglio, aiutame!
Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che possa aiutare. Id est: quando ci si trovi in situazioni o circostanze tali che non lascino intravedere vie d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di rifugiarsi in un non meglio identificato ‘mbroglio (imbroglio,astuzia, inganno, moto di destrezza) che in un modo o in un altro consenta di risolver la faccenda. La locuzione a Napoli è usata a salace commento delle azioni di chi, per abitudine, non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per habitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido.
24 - Appíla ca jesce feccia!
Letteralmente: tura ché esce feccia. È questo il comando imperioso dato dall'oste al garzone che stia aiutandolo a travasare il vino affinché ponga lo stoppaccio o zipolo alla botte quando, oramai vuotata, questa comincia a metter fuori la feccia o (in gergo) la mamma del vino; per traslato è il caustico ed imperioso comando che a Napoli si suole dare a chi - colloquiando - cominci a metter fuori sciocchezze o, peggio ancora, offese gratuite.
25 - Â pprimma entratura, guardateve 'e ssacche!
Letteralmente: entrando per la prima volta, in qualche sito sconosciuto, badate alle tasche; id est: state attenti alle nuove frequentazioni specie di sconosciuti che possono derubarvi o procurare altri danni.
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VARIE 15/250
1 -Fà zite e murticielle e battesime bunarielle.
Letteralmente: fare(partecipare a)matrimoni e funerali e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un pantagruelico pasto consolatorio( detto cunzuòlo(cibo di conforto deverbale di cunzulà= consolare da un lat. volg. consolare per il class. consolari, comp. di cum 'con' e solari 'confortare' con il consueto ns→nz) spesso comportante, in luogo della vietatissima carne (inteso cibo grasso adatto alle festività e non ai giorni di lutto) gustose portate di pesce fresco ritenuto - in quanto cibo di magro - piú consono ai momenti di dolore; il pranzo elargito si disse cunzuòlo, mentre le portate di pesce fresco che venivano ammannite si dissero cuónzolo derivato della voce a margine con dittongazione nella sillaba d’avvio e cambio d’accento;ne derivò che in prosieguo di tempo una congrua portata di pesce fresco venne detta cuónzolo ‘e pesce anche quando tale pesce fresco non servisse alla bisogna di confortare i parenti di un defunto; ma di tale offerta consolatoria ovviamente profittavano non solo i parenti del defunto, ma anche chi avesse partecipato alla cerimonia funebre.
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2 - Vieste Ciccone, ca pare barone.
Letteralmente:vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco. Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone...
3 - Pigliarse 'e penziere d''o Russo.
Letteralmente: Prendersi i pensieri del Rosso. Id est: preoccuparsi di faccende senza importanza, trascurandone altre ben più importanti.Il Rosso della locuzione fu un famoso ladro, che condannato al capestro, invece di preoccuparsi della propria sorte, si chiedeva chi sarebbe stato incaricato di portare la scala necessaria all'esecuzione.
4 - Jí facenno 'e ssette chiesie.
Letteralmente: Andar visitando le sette chiese. Id est: andar perdendo tempo occupato nella visita delle altrui abitazioni e non per una reale necessità o incombenza, ma per il gusto di bighellonare, soffermandosi nelle case di amici e conoscenti. Le sette chiese indicate nella locuzione, a Napoli sono ben note a tutti essendo quelle disseminate sulla famosa strada di Toledo partendo da piazza Dante per giungere a piazza del plebiscito o Largo di PALAZZO. Esse nell'ordine sono:Spirito santo - San Nicola alla Carità - San Liborio - Santa Maria delle Grazie - Santa Brigida - San Ferdinando - San Francesco di Paola e vengon visitate da tutti i napoletani che nel pomeriggio del giovedì santo si recano a fare il tradizionale "struscio" ossia la passeggiata rituale che comporta la visita (da farsi in numero dispari)dei così detti Sepolcri ossia delle solenni esposizioni del SS. Sacremento, che si tiene in tutte le chiese cattoliche per ricordare l'istituzione del sacramento dell' Eucarestia.
5 - Vestirse 'a fesso.
Letteralmente: indossare l'abito dello stupido. Id est: comportarsi in maniera volutamente sciocca, fare lo gnorri, tenere un comportamento da stupido nella speranza che cosí facendo si possa indurre una ipotetica controparte a non calcar la mano con pretese e richieste e raggiungere cosí il fine sperato con poca fatica e minimo impegno.È l'atteggiamento che temporibus illis tenevano taluni chiamati alle armi per evitare la partenza per il fronte.Il fatto era compendiato nella frase: fà 'o fesso pe nun gghí â guerra(fare lo sciocco per non andare in battaglia; spesso si raggiungeva lo scopo, giacché non erano graditi soldati stupidi.
6 -Fà 'nu sizia-sizia.
Letteralmente: fare un sitio- sitio Id est: richiedere ripetutamente e lamentosamente qualcosa con ossessiva petulanza. La locuzione nasce prendendo spunto dal Sitio! pronunciato da Cristo sulla croce. Alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli dell'aceto che misto ad acqua è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
7 - Essere 'na pimmice 'e canapé.
Letteralmente: essere una cimice annidata in un divano. Id est: essere inaffidabile, subdolo e perfido come una cimice che - secondo la credenza popolare - è pronta a tradire il proprio simile o colui che abbia la sventura di tenerla nascosta nel proprio divano; il primo ad essere morsicato sarà proprio il padrone del divano.
8 - Ma tenisse 'e gghiorde?
Letteralmente: fossi affetto da giarda? Domanda retorica che con aria insolente, viene rivolta a Napoli, a qualcuno che appaia pigro, indolente, scansafatiche, che non si muove, nè fa alcunché, quasi fosse affetto da giarda la malattia che colpisce le giunture ed in ispecie il collo del piede dei cavalli producendo eccessiva enfiagione delle zampe delle bestie, impossibilitate, per ciò a procedere speditamente.
9 - Jí cercanno 'mbruoglio, aiutame!
Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che possa aiutare. Id est: quando ci si trovi in situazioni o circostanze tali che non lascino intravedere vie d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di rifugiarsi in un non meglio identificato ‘mbroglio (imbroglio,astuzia, inganno, moto di destrezza) che in un modo o in un altro consenta di risolver la faccenda. La locuzione a Napoli è usata a salace commento delle azioni di chi, per abitudine, non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per habitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido.
10 - Appíla ca esce feccia!
Letteralmente: tura che esce feccia. È questo il comando imperioso dato dall'oste al garzone che stia aiutandolo a travasare il vino affinché ponga lo stoppaccio o zipolo alla botte quando, oramai vuotata, questa comincia a metter fuori la feccia o (in gergo) la mamma del vino; per traslato è il caustico ed imperioso comando che a Napoli si suole dare a chi - colloquiando - cominci a metter fuori sciocchezze o, peggio ancora, offese gratuite.
11Â pprimma entratura, guardateve 'e ssacche!
Letteralmente: entrando per la prima volta, in qualche sito sconosciuto, badate alle tasche; id est: state attenti alle nuove frequentazioni specie di sconosciuti che possono derubarvi o procurare altri danni.
12 - Meglio scommunicato, ca communicato 'e pressa.
Letteralmente: meglio scomunicato che comunicato di fretta.Id est: il danno morale è da preferirsi al danno fisico, soprattutto quando questo sia il danno ultimo:la morte; communicato 'e pressa significa: ricevere il Viatico.
13 -Doppo magnato e vìppeto" â salute vosta".
Letteralmente: Dopo d'aver mangiato e bevuto:"alla vostra salute". L'espressione in epigrafe si usa a Napoli, per commentare sarcasticamente il comportamento di chi approfitta di una situazione proficua e posticipa gli atteggiamenti augurali, dopo di aver goduto di benefici per i quali la buona norma vorrebbe che gli auguri venissero fatti antecedentemente prima cioè di godere dei frutti di azioni comuni; a mo' d'es.: un brindisi va fatto prima, non dopo una bevuta corale.
14 - Metterse 'e casa e puteca.
Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casa e viceversa.
15 -Fà 'o scrupolo d''o ricuttaro.
Letteralmente: fare lo scrupolo del magnaccia. Id est: scandalizzarsi grandemente al cospetto di altrui veniali mancanze, alla stregua di un lenone abituato a compiere gravi mancanze che si scandalizzasse di piccoli reati compiuti da altre persone.La locuzione è usata a Napoli appunto per bollare il comportamento chiaramente falso di chi abitualmente incline a delinquere mostra di scandalizzarsi davanti a piccole mancanze...
16 - Purtà p''e viche.
Letteralmente: menare per i vicoli. Id est: comportarsi truffaldinamente nei confronti di qualcuno, imbrogliandolo, confondendolo, rimandando sine die il compimento di promesse formulategli, conducendolo per tortuosi e dispersivi vicoli in luogo della retta e più breve via maestra. L'espressione è normalmente intesa in senso figurato, ma potrebbe esserlo anche in senso concreto nel deprecato caso del furbo tassista che,invece di andare diritto alla meta, porti il povero passeggero in giro per la città prima di depositarlo a destinazione.
17 'A raggione s''a pigliano 'e fesse.
Letteralmente: la ragione se la prendono gli sciocchi. La locuzione con aria risentita viene profferita da chi si vede tacitato con vuote chiacchiere, in luogo delle attese concrete opere.
18 - Se so' stutate 'e llampiuncelle.
Letteralmente: si sono spente le luminarie. Id est: siamo alla fine, non c'è piú rimedio, non c'è piú tempo per porre rimedio ad alcunché; la festa è finita.
19 - Truòvate chiuso e piérdete chisto accunto.
Letteralmente: Trovati chiuso e perditi questo cliente.
La divertita locuzione viene usata in senso ironico a commento della situazione antipatica in cui qualcuno abbia a che fare con persona pronta ad infastidire o a richiedere i maggior vantaggi da un quid senza voler conferire il giusto corrispettivo, come nel caso ad es. di un cliente che pretenda di accaparrarsi la miglior merce, ma sia restio a pagare il giusto prezzo dovuto.L'accunto deriva dal latino: accognitus=cliente
20 -Fà tre fiche nove rotele.
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera con le parole e si ammanta di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, appartenne al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano.
21 - 'A disgrazzia d''o 'mbrello è quanno chiove fino fino.
Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sé che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; cosí l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di piú nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante, danno.
22 - Avimmo fatto cupinte, cupinte: 'e cavére 'a fora e 'e fridde 'a dinto.
Letteralmente: abbiamo fatto cúpidi, cúpidi: i caldi (son restati) di fuori ed i freddi(sono entrati) dentro. Icastica espressione napoletana che fotografa una realtà nella quale, stravolgendo la logica e l'attesa, si dà via libera a chi non è all'altezza della situazione e si lascia a bocca asciutta chi meriterebbe la priorità nel godimento di un quid (che - nella fattispecie - sono i favori di una donna).
23 - 'A pecora s'à dda tusà, nun s'à dda scurtecà
Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi.
24 - Dicette Nunziata: Ce ponno cchiúll'uocchie ca 'e scuppettate!
Letteralmente: Disse Nunziata: Ànno piú potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire; piú difficile, quando non impossibile sfuggire alla iettatura.
25 - Â nnotte se 'nzuraje Catiello.
Letteralmente: Catello (inguaribile scapolo) prese moglie di notte. La locuzione fotografa una situazione che in italiano è resa con: MEGLIO TARDI CHE MAI; il Catello, infatti procrastinò tanto il suo matrimonio che quando fu celebrato era oramai notte. Nella locuzione partenopea si tenga presente la geminazione iniziale della lettera N nella parola notte che lascia capire che la A iniziale non è l'articolo femminile ('A) ma una preposizione articolata (Â= alla) che introduce un concetto temporale reso con la doppia N di notte; se la A fosse stato un articolo la successiva parola notte sarebbe stata scritta in maniera scempia con una sola N.
26 - 'E maccarune se magnano teniénte, teniénte.
Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata per traslato anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo.
27 - Quanno siente 'o llatino da 'e fesse, è ssigno 'e mal' annata.
Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti...
28 - Pare 'o sorice 'nfuso 'a ll'uoglio.
Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleiphar=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante.
29 - 'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, potrebbe commentare la situazione con le parole in epigrafe.
30 - 'A vecchia ê trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo ô ffuoco.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di coloro che chi si atteggino a giovani, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
31 - Jí zumpanno asteche e lavatore.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi (in nap. lavotore dal lat. tardo lavatori°u(m), deriv. di lavare 'lavare') erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
32 - Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende.
33 - 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
34 - Tu muscio-muscio siente e frusta lla, no!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
35- 'E denare so' comm'ê chiattille: s'attaccano ê cugliune.
Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente.
36 - Hê 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare
37 - Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo?
Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso cosí le facoltà raziocinanti del... fiutatore.
38 -Fà 'e scarpe a quacched'uno o anche cóserle ‘nu vestito.
Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno o anche cucirgli un vestito. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva infatti dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe ed un vestito nuovi conservati all'uopo dai familiari.
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lunedì 30 marzo 2015
VARIE 15/249
1 -TENÉ 'A BBOTTA DINT' Â SCELLA
Ad litteram: avere un colpo nell'ala Locuzione usata per sarcasticamente commentare il comportamento di chi tenti disperatamente di dissimulare o tener nascosta una colpa o magagna a lui attribuibili; di costui, costretto ad arrangiarsi per non far scoprire quanto tenga noscosto, si dice che tene 'a bbotta dint' â scella (à un colpo nell'ala) si comporti cioè quasi come un uccello che, ferito ad un ala, è costretto alle piú strane posizioni e circonvoluzioni pur di continuare a volare.
2 -TENÉ 'A CAPA A PPAZZÍA
Ad litteram: tenere la testa al giuoco. Detto di chi, contrariamente a quanto ipotizzabile dati la sua congrua età ed il suo status sociale, si mostri eccessivamente incline al giuoco, prendendo tutto a scherzo, non dimostrando serietà alcuna né nel lavoro, né nei rapporti interpersonali.
3 -TENÉ 'A CAPA A TTRE ASSE
Ad litteram: tenere la testa a tre assi id est: essere nervoso e preoccupato; locuzione mutuata dal giuoco del tressette dove un giocatore in possesso di tre assi,che valgono ciascuno un punto intero, sebbene ipoteticamente possa conquistare i relativi tre punti, in realtà si preoccupa, non essendo certo che potrà raggiungere lo scopo atteso che gli assi possono venir catturati dall'avversario che sia in possesso del due o del tre del medesimo seme degli assi; il due ed il tre infatti, sebbene valgano un terzo di punto ciascuno, sono nella scala gerarchica delle prese superiori all'asso e possono catturarlo.
4 -TENÉ 'A CAPA A VVIENTO
Ad litteram: tenere la testa nel vento id est: essere una banderuola, un essere poco affidabile e/o raccomandabile.
5 - TENÉ 'A CAPA FRESCA
Ad litteram: tenere la testa fresca id est: non coltivare pensieri serii, anzi - al contrario - essere occupato solo da fandonie, quisquilie, scherzi e futilità cose tutte che, lasciando la mente sgombra di preoccupazioni, tengono la testa fresca, al contrario dei pensieri serii che, altrove, si dice fanno cocere 'o fronte (fanno scottar la fronte).
6 -TENÉ 'A CAPA 'E PROVOLA
Ad litteram: tenere la testa di provola Detto di chi abbia la testa bernoccoluta, con la tipica protuberanza della provola gustoso formaggio fresco, dalla caratteristica forma; al di là però del riferimento alla forma del latticino, la locuzione è usata anche per significare che colui che à la testa di provola non è particolarmente intelligente e manca perciò di sale cosí come la suddetta provola, che non essendo un formaggio stagionato, è piuttosto sciapito.
7 -TENÉ 'A CAPA GLURIOSA
Ad litteram: tenere la testa gloriosa Si dice cosí di chi sia incline ad improvvisazioni assurde, astruse trovate, soluzioni ardite quando non pericolose, espedienti improvvisati.
8 - TENÉ 'A CAPA SCIACQUA.
Ad litteram: tenere la testa annacquata. Si dice cosí, offensivamente , ma anche solo causticamente di chi si ritenga non abbia la testa a posto, e sia dotato di minime qualità intellettive quasi che nella testa abbia non il cervello, ma dell' acqua .
9 -TENÉ 'A CAPA PE SPARTERE 'E RRECCHIE
Ad litteram: tenere la testa per dividere le orecchie Locuzione di valenza molto simile alla precedente riservata a coloro che sono inveteratamente sciocchi, stupidi ed incapaci; di costoro si ritiene iperbolicamente e furbescamente che abbiano la testa (priva di cervello e dunque di raziocinio) solo come elemento necessario alla separazione delle orecchie.
10 -TENÉ 'A CAPA TOSTA
Ad litteram: tenere la testa dura id est: esser caparbio, cocciuto, ma anche: ben fermo nelle proprie opinioni; estensivamente, poi: esser duro di comprendonio, tardo all'apprendimento.
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VARIE 15/248
1.'A CARNE SE VENNE Â CHIANCA
'A carne se venne â chianca. Ad litteram: La carne viene venduta in macelleria. Id est: per acquistare qualcosa bisogna rivolgersi al suo commerciante o per ottenere alcunché bisogna necessariamente rivolgersi a chi ne sia esperto; insomma per ottenere qualcosa, non si può fidare del dilettante o di chi improvvisi, ma bisogna rivolgersi sempre al competente ed al professionista.
Chianca s.vo f.le beccheria, macelleria (dal lat. planca(m)=panca di legno perché un tempo la carne era esposta e sezionata per la vendita al minuto, su di un tavolo di legno; normale il passaggio di pl→chi (cfr. plus→cchiú – plena(m)→chiena - plumbeum→chiummo etc.).
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2 . CHI CAMPA STURTARIELLO CAMPA BUNARIELLO, CHI CAMPA ADDERITTO...CAMPA AFFLITTO!
Chi vive di sotterfugi e di espedienti riesce sempre a sbarcare il lunario, chi vuol vivere in modo retto e corretto troverà sempre tante difficoltà sul suo cammino.
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3. ANCÒRA NUN È PPRENA MARIANNA E GGIÀ ÀNNO SPASO FASCIATORE E PPANNE.
Letteralmente: Marianna non è ancora incinta e già ànno sciorinato fasce e pannolini Locuzione proverbiale usata a divertito commento delle azioni di chi si predispone e si prepara a qualcosa con evidente eccessivo anticipo.
prena agg.vo e s.vo f.le = incinta, gravida voce dal lat. *praegna-m→prae(g)na-m→prena, rifacimento di praegnas -atis, altra forma per praegnans -antis «pregnante».
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4. A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TARDE SE PO’
Ad litteram: A pagare ed a morire, quando piú tardi sia possibile... Id est:
È buona norma il tentare di rimandare sine die due cose ugualmente nocive: il pagare ed il decedere.
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5.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’ Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie"(prima di abdicare a questo nome – ceduto ai villici – per assumere quello di “mangiamaccheroni”), sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specialmente nell'intimità, moine che semanticamente sono per traslato appaiate ai broccoli perché come questi ultimi son fatte di tenerezza; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
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6. ZAPPA 'E FEMMENA E SSURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
7. AMICE E VVINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE! Adlitteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.Id est: come il vino migliore non è il novello, ma quello quello stagionato,cosí le migliori amicizie sono quelle datate che ànno dato modo di manifestare la loro bontà.
8.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DENARE. Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
9. 'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ A TTUTTE CHILLE CA GGHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
10.'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorrono.
11.'O GALANTOMO APPEZZENTÙTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
chiaveco s.vo ed agg.vo m.le immondo, laido, lercio, lordo, lurido, sordido, sozzo,sporco, sudicio, cattivo soggetto
voce adattamento al m.le del s.vo f.le chiavica= fogna,porcheria, sozzura [voce dal tardo lat. clavica-m→chiavica]
12. ‘E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
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13. LL'UOCCHIE SO' FFATTE PE GGUARDÀ, MA 'E MMANE PE TTUCCÀ.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano - sogliono azzardare furtivamente o meno palpeggiamenti delle rotondità femminili.
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14.DICETTE ‘O PAPPICE VICINO Â NOCE: "DAMME ‘O TIEMPO CA TE SPERTOSO!"
Disse il tonchio alla noce "dammi il tempo che ti foro".Anche chi non sia dotato di molta prestanza fisica può ottenere – con il tempo e l’applicazione – i risultati sperati.
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15.CHISTO È ‘NA GALLETTA CA NUN SE SPOGNA!
Ad litteram: Costui è una galletta che non si (riesce a) spugnare. Icastica espressione partenopea usata sarcasticamente nei confronti di qualcuno che sia cosí tanto avaro o cosí tanto restio a conferire la propria opera da poter esser messo a paragone ad una galletta ( voce dal francese galette, deriv. di galet, ant. gal 'ciottolo', per la forma e/o durezza) quel tipico pane biscottato, a forma di focaccia, conservabile per lunghissimo tempo, pane impastato con pochissimo lievito e perciò durissimo; tali gallette un tempo entrarono a far parte delle razioni alimentari dei soldati (fanti o marinai) ma pure delle delle riserve alimentari dei pescatori che le preferirono al pane giacché non ammuffivano e si conservavano per un tempo quasi indeterminato. Per potersene nutrire militari e pescatori usavano mettere a mollo in acqua di fonte o addirittura di mare...) le gallette fino a che, non se ne fossero ben bene imbibite, diventando morbidi ed edibili; tale operazione fu detta in napoletano spugnatura che come significato non corrisponde alla omofona ed omografa spugnatura della lingua italiana dove significa, quale deverbale di spugnare:(che è un denominale di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía) il bagnarsi, lo strofinarsi per mezzo di una spugna; in partic., lo spremere spugne imbevute di acqua o di liquidi medicamentosi su parti del corpo a scopo terapeutico; la spugnatura napoletana invece, quantunque pur essa derivata di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía indica esattamente l’operazione di mettere a mollo in acqua o altro liquido (brodo) le gallette spezzettate per modo che si imbibiscano d’acqua, brodo etc. a mo’ di una spugna, ammorbidendosi; cosa che non si può dire del protagonista della locuzione in epigrafe, protagonista che è cosí duro di cuore e/o volontà che mai lo si riuscirebbe ad ammorbidire convincendolo ad allargare i cordoni della propria borsa o convincendolo a prestar la propria opera a pro di terzi. chisto = questo, costui [dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo'] agg.vo e qui pronome dimostrativo; come agg. dimostr. [precede sempre il sostantivo] indica persona o cosa vicina, nel tempo o nello spazio, a chi parla o indica persona o cosa di cui si sta parlando o anche vale simile, siffatto, di questo genere ( ad es. nun ascí cu chistu tiempo! = non sortire con un tempo simile!); come pron. dimostr. indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando; o ciò, la cosa di cui si parla;
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16.NUN MANNÀ BBENE Ô PEZZENTE CA NCE ‘O PPIERDE!
Ad litteram: Non far del bene ad un povero ché lo perdi. Id est: Il bene fatto a chi è veramente povero è irrimediabilmente perduto;infatti in caso di prestito il povero non sarà mai in grado di restituire la cosa avuta in prestito, in caso di liberalità non si otterrà nemmeno riconoscenza: chi è povero, veramente povero per il suo stesso status è purtroppo proclive all’invidia anche del proprio benefattore!
17.'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno;sarcastica locuzione usata per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
18. E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagasse con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
19. TRE CCOSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO 'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini, di loro natura esuberanti, sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse.
20. UOVO 'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GUAGLIONA 'E VINT'ANNE.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare per intera tutta l'umidità dovuta alla cottura divenendo croccante al meglio, vino giovane che è il piú dolce ed il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte.
21. A CCHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio).
22. ADDÓ NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
23. ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
24. VUÓ CAMPÀ LIBBERO E BBIATO: MEGLIO SULO CA MALE ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo., ma precisa che se proprio si debba andare in compagnia, che questa sia buona e non foriera di danno.
25. QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di amante che soddisfi le sue voglie sessuali.
26 - PURE ‘E CUFFIATE VANNO ‘MPARAVISO
Anche i gabbati vanno in Paradiso
Locuzione proverbiale usata a mo’ di conforto dei corbellati per indurli ad esser pazienti e sopportare chi gratuitamente li affanna , atteso che anche per essi derisi ci sarà un gran premio: il Paradiso.
Cuffiate plurale di cuffiato =deriso, corbellato; etimol.: part.pass. di cuffià che è un denominale dell’arabo còffa=corbello.
27-PURE ‘E MMURE TENONO ‘E RRECCHIE
Anche i muri ànno orecchi
Fa d’uopo, quindi, se non si vuole far conoscere in giro le proprie idee o considerazioni usare, anche in casa un eloquio misurato e di basso volume evitando altresí di spettegolare o di dire cose pericolosamente compromettenti per sé o altri.
28. - PURE LL’ONORE SO’ CCASTIGHE ‘E DDIO.
Anche gli onori sono castighi di Dio
Atteso che comportano comunque aggravio di lavoro ed aumento delle responsabilità.
29. - PURE ‘NU CAUCIO ‘NCULO FA FÀ ‘NU PASSO ANNANTE
Anche un calcio in culo fa compiere un passo in avanti
Id est: per progredire nella vita, come nel lavoro, occorrono forti spinte, magari violente che vanno comunque accettate considerato i vantaggi che ne possono derivare.
30 -PUR’IO TENGO ‘A MANO CU CCINCHE DÉTE.
Anche io ò la mano con cinque dita.
Proverbio dalla duplice valenza; nella prima si adombra quasi un avvertimento minaccioso che significa: anche io sono dotato delle vostre medesime capacità operative,[comprese quelle di rubare] per cui fate attenzione a non misurarvi con me pensando di prevalere: potreste avere una brutta sorpresa! La seconda valenza sottindende una garbata protesta volendo significare: ò soltanto le vostre stesse capacità e/o possibilità; miracoli non ne posso fare: non chiedetemeli!
31. - QUANNO ‘A CAPA PERDE ‘E SENZE SE NE STRAFOTTE PURE ‘E SUA ECCELLENZA!
Quando la testa perde il raziocinio se ne impipa anche di Sua Eccellenza
Id est: Quando, nella vita, si è in preda all’ira o alla follia non si à rispetto per nessuno, nemmeno per l’autorità.
32. - QUANNO ‘A CARNA È CCOTTA È CCHIÚ FFACILE A SCEPPÀ LL’OSSA.
Quando la carne è cotta è piú facile spolparla
Id est: per ottenere il miglior risultato è necessario attendere il momento piú adatto che è il piú propizio o favorevole, armarsi di pazienza ed attenderlo.
33. - QUANNO ‘A CAURARA VOLLE MENA SÚBBETO ‘E MACCARUNE
Quando la pentola bolle, cala súbito i maccheroni
Id est:nella vita bisogna esser sempre solleciti e profittare del momento adatto per fare ciò che è da farsi, evitando,per non correre l’alea di un insuccesso, di rimandare o procrastinare la propria azione.Il proverbio à anche un significato furbesco ed in tale connotazione significa: quando una donna avverte i primi bollori, occorre darle súbito marito che la soddisfi e la calmi.
34. -QUANNO ‘A CUMETA ‘O VVO’, DALLE CUTTONE
Quando l’aquilone lo chiede, dagli spago
Al di là del suo concreto chiaro ed esatto significato, il proverbio vale:nella vita spesso è opportuno, se non necessario, assecondare le vanterie di chi si vanta ed è vanitoso, per tenerselo amico ed al fine di riceverne possibili futuri vantaggi.
35. - QUANNO Â FEMMENA ‘O CULO LL’ABBALLA, SI NUNN’ È PPUTTANA, DIAVULO FALLA!
Quando una donna ancheggia, se non è una meretrice ritienila tentatrice.
Le donne che sculettano o lo fanno di mestiere o provocatoriamente per trovar partito.
36 - QUANNO ‘A FEMMENA VO’ FILÀ LL’ABBASTA PURE ‘NU SPRUOCCOLO.
Quando una donna vuol filare le è sufficiente un piccolo bastoncino.
Id est: Quando la donna intende raggiungere un determinato scopo usa, per farlo, ogni mezzo anche quelli apparentemente meno adeguati.
Brak
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1.'A CARNE SE VENNE Â CHIANCA
'A carne se venne â chianca. Ad litteram: La carne viene venduta in macelleria. Id est: per acquistare qualcosa bisogna rivolgersi al suo commerciante o per ottenere alcunché bisogna necessariamente rivolgersi a chi ne sia esperto; insomma per ottenere qualcosa, non si può fidare del dilettante o di chi improvvisi, ma bisogna rivolgersi sempre al competente ed al professionista.
Chianca beccheria, macelleria (dal lat. planca(m)=panca di legno perché un tempo la carne era esposta e sezionata per la vendita al minuto, su di un tavolo di legno; normale il passaggio di pl→chi (cfr. plus→cchiú – plena(m)→chiena - plumbeum→chiummo etc.).
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2 . CHI CAMPA STURTARIELLO CAMPA BUNARIELLO, CHI CAMPA ADDRITTO...CAMPA AFFLITTO!
Chi vive di sotterfugi e di espedienti riesce sempre a sbarcare il lunario, chi vuol vivere in modo retto e corretto troverà sempre tante difficoltà sul suo cammino.
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3. ANCÒRA NUN È PPRENA MARIANNA E GGIÀ ÀNNO SPASO FASCIATORE E PPANNE.
Letteralmente: Marianna non è ancora incinta e già ànno sciorinato fasce e pannolini Locuzione proverbiale usata a divertito commento delle azioni di chi si predispone e si prepara a qualcosa con evidente eccessivo anticipo.
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4. A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TARDE SE PO’
Ad litteram: A pagare ed a morire, quando piú tardi sia possibile... Id est:
È buona norma il tentare di rimandare sine die due cose ugualmente nocive: il pagare ed il decedere.
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5.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’ Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie"(prima di abdicare a questo nome – ceduto ai villici – per assumere quello di “mangiamaccheroni”), sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specialmente nell'intimità, moine che semanticamente sono per traslato appaiate ai broccoli perché come questi ultimi son fatte di tenerezza; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
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6. ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
7. AMICE E VVINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE! Adlitteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
8.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DENARE. Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
9. 'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GGHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
10.'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorrono.
11.'O GALANTOMO APPEZZENTÙTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
12. ‘E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
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13. LL'UOCCHIE SO' FFATTE PE GUARDÀ, MA 'E MMANE PE TUCCÀ.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano - sogliono azzardare furtivamente o meno palpeggiamenti delle rotondità femminili.
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14.DICETTE ‘O PAPPICE VICINO Â NOCE: "DAMME ‘O TIEMPO CA TE SPERTOSO!"
Disse il tonchio alla noce "dammi il tempo che ti foro".Anche chi non sia dotato di molta prestanza fisica può ottenere – con il tempo e l’applicazione – i risultati sperati.
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15.CHISTO È ‘NA GALLETTA CA NUN SE SPOGNA!
Ad litteram: Costui è una galletta che non si (riesce a) spugnare. Icastica espressione partenopea usata sarcasticamente nei confronti di qualcuno che sia cosí tanto avaro o cosí tanto restio a conferire la propria opera da poter esser messo a paragone ad una galletta (dal francese galette, deriv. di galet, ant. gal 'ciottolo', per la forma e/o durezza) quel tipico pane biscottato, a forma di focaccia, conservabile per lunghissimo tempo, pane impastato con pochissimo lievito e perciò durissimo; tali gallette un tempo entrarono a far parte delle razioni alimentari dei soldati (fanti o marinai) ma pure delle delle riserve alimentari dei pescatori che le preferirono al pane giacché non ammuffivano e si conservavano per un tempo quasi indeterminato. Per potersene nutrire militari e pescatori usavano mettere a mollo in acqua di fonte o addirittura di mare...) le gallette fino a che, non se ne fossero ben bene imbibite, diventando morbidi ed edibili; tale operazione fu detta in napoletano spugnatura che come significato non corrisponde alla omofona ed omografa spugnatura della lingua italiana dove significa, quale deverbale di spugnare:(che è un denominale di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía) il bagnarsi, lo strofinarsi per mezzo di una spugna; in partic., lo spremere spugne imbevute di acqua o di liquidi medicamentosi su parti del corpo a scopo terapeutico; la spugnatura napoletana invece, quantunque pur essa derivata di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía indica esattamente l’operazione di mettere a mollo in acqua o altro liquido (brodo) le gallette spezzettate per modo che si imbibiscano d’acqua, brodo etc. a mo’ di una spugna, ammorbidendosi; cosa che non si può dire del protagonista della locuzione in epigrafe, protagonista che è cosí duro di cuore e/o volontà che mai lo si riuscirebbe ad ammorbidire convincendolo ad allargare i cordoni della propria borsa o convincendolo a prestar la propria opera a pro di terzi. chisto = questo, costui ( dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo') agg.vo e qui pronome dimostrativo; come agg. dimostr. [precede sempre il sostantivo] indica persona o cosa vicina, nel tempo o nello spazio, a chi parla o indica persona o cosa di cui si sta parlando o anche vale simile, siffatto, di questo genere ( ad es. nun ascí cu chistu tiempo! = non sortire con un tempo simile!); come pron. dimostr. indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando; o ciò, la cosa di cui si parla;
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16.NUN MANNÀ BBENE Ô PEZZENTE CA NCE ‘O PPIERDE!
Ad litteram: Non far del bene ad un povero ché lo perdi. Id est: Il bene fatto a chi è veramente povero è irrimediabilmente perduto;infatti in caso di prestito il povero non sarà mai in grado di restituire la cosa avuta in prestito, in caso di liberalità non si otterrà nemmeno riconoscenza: chi è povero, veramente povero per il suo stesso status è purtroppo proclive all’invidia anche del proprio benefattore!
Raffaele Bracale
VARIE 15/246
1. 'O PATAPATO (o anche 'O PARAPATO oppure 'o PATABBATE) 'E LL'ACQUA oppure ‘O PATAPATO (o anche 'O PARAPATO oppure 'o PATABBATE)D''E MAZZATE etc.
Iperbolica locuzione, intraducibile ad litteram, con la quale si vuol significare che l'acqua o le percosse o quanto altro non richiamato espressamente dall'epigrafe è sparso in gran quantità e viene usata ad es. a commento di un improvviso copioso temporale o come pesante minaccia rivolta da un adulto nei confronti di un ragazzo al quale si promette una estesa gragnuola di percosse.
Premesso che, contrariamente da quanto affermato da taluno, il termine patabbate non richiama nessuna gerarchia ecclesiastica, essendo solo la corruzione del termine cardine parapato,ricorderò che quest'ultimo deriva dal greco parapatto donde in primis il parapato poi patapato richiamato che significa spargere, distribuire copiosamente in giro, proprio nel senso che si attaglia alla locuzione in epigrafe.
2. 'O PIZZO CCHIÚ SCURO È 'O FUCULARE
Ad litteram: il posto più buio è il focolare. Icastica espressione che si suole pronunciare per avvertire chi ci stia sollecitando d'un alcunché che non si è pronti, nè disposti all'azione, mancandone i relativi presupposti; in senso letterale l'espressione è usata per significare che il pasto richiestoci non è pronto, nè sarà pronto in quanto addirittura il fuoco non è stato acceso ancóra (o per mancanza di vettovaglie o perché non si è disposti a lavorare preparando il desinare) di talché il focolare risulta essere il luogo piú buio della casa; per traslato l'espressione è usata per render noto che non si potrà addivenire al richiestoci, in quanto, volontariamente o involontariamente, ma chiaramente, impreparati all'occorrenza.
3. 'O SAZZIO NUN CRERE Ô DIUNO
Ad litteram: il sazio non crede al digiuno Amara constatazione di chi si trovi in istato di necessità e venuto a contatto con colui a cui, invece, non manchi nulla, non sia considerato da quest'ultimo, come chi, sazio o in buona salute, difficilmente può veramente comprendere i disagi di uno che soffra la fame o sia ammalato.
In napoletano il s.vo ed agg.vo sazzio/a = sazio/a (deverbale del lat. satiare[contrazione del part. pass. sazziato→sazzi(at)o→sazzio]), nel napoletano esige la geminazione dell’affricata alveolare sorda ‹z› in quanto nel napoletano l’esito del digramma latino ti è sempre zzi laddove nel fiorentino toscano l’esito prevede la zeta scempia[ti→zi] cfr. azzione/a ← actione-m mentre nel fiorentino toscano troviamo azione← actione-m, oppure spazzio←spatiu-m mentre nel fiorentino toscano troviamo spazio ←spatiu-m etc.
4. 'O SENZO D''A BONANEMA.
Ad litteram: il gusto della buonanima. Simpatica espressione con la quale si tenta di canzonare chi, pervenuto per disattenzione od insipienza ad un risultato errato e negativo voglia farlo ritenere giusto e migliore di quel che sia, dichiarandolo legato ad ottimi insegnamenti; si narra che un giovane sposo si lagnava dei manicaretti che la sua mogliettina gli preparava ed adduceva che non avevano mai il gusto di quelli che sua mamma soleva preparargli quando ancora era scapolo; le cose si misero a posto allorché la giovane mogliettina si adeguò al sistema della suocera e facendo bruciacchiare le pietanze, come era solita fare la di lei suocera,conferí alle pietanze il famoso gusto della buonanima, cosí gradito all’abituato palato dello sposo.
5. 'O SIGNORE CU LL'OGNA SPACCATA
Ad litteram: il signore dall'unghia bipartita. Cosí, a mo' di dileggio, viene indicato chi si atteggia ad individuo raffinato ed elegante e magari vanti falsamente nobili prosapie ed invece sotto le mendaci spoglie di un gran signore, sia solo un signore con l'unghia bipartita e cioè un maiale.
6. 'O SCARFALIETTO 'E GIESÚ CRISTO
Ad litteram: Lo scaldino di Gesú Cristo. Non si direbbe, ma la locuzione in epigrafe è una dura, sia pure sorridente offesa che si rivolge agli uomini ritenuti ignoranti o anche becchi. Non v'è chi non sappia che Gesú Cristo fu riscaldato nella greppia di Betlemme da un bue ed un asinello; di talché affibbiare ad uno il titolo di scaldino di Gesú Cristo significa dargli dell' asino e del bue id est: ignorante e cornuto e perciò significa accusare sua moglie di infedeltà continuata.
7 - 'O SPASSO D''O CARDILLO È 'O/’A PAPPAMOSCA
Ad litteram:il divertimento del cardellino è il ragno/la cinciallegra. Cosí si suole commentare il fastidioso, reiterato comportamento di chi si diverte a tormentare, insolentendolo e molestandolo chi sia meno dotato soprattutto fisicamente, tenendo il medesimo comportamento che tiene il cardellino con il ragno o - secondo altri - con la cinciallegra, che - pare - sia continuatamente e provocatoriamente angariata immotivatamente dal cardellino.Ricorderò che usata come voce maschile: ‘o pappamosca significa il ragno, mentre usata al femminile ‘a pappamosca è la cinciallegra.
brak
VARIE 15/245
1'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno;sarcastica locuzione usata per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
2 E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagasse con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
3 TRE CCOSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO 'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini, di loro natura esuberanti, sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse.
4 UOVO 'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GUAGLIONA 'E VINT'ANNE.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare per intera tutta l'umidità dovuta alla cottura divenendo croccante al meglio, vino giovane che è il piú dolce ed il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte.
5 A CCHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio).
6 ADDÓ NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
7 ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
8 VUÓ CAMPÀ LIBBERO E BBIATO: MEGLIO SULO CA MALE ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo., ma precisa che se proprio si debba andare in compagnia, che questa sia buona e non foriera di danno.
9. QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di amante che soddisfi le sue voglie sessuali.
10 QUANNO QUACCHE AMICO TE VENE A TRUVÀ, QUACCHE CAZZO LLE VVENE A MMANCÀ.
Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare, qualcosa gli manca (e la vuole da te)Id est: non bisogna mai attendersi gesti di liberalità o affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono - in fondo - degli sfruttatori, che ti frequentano solo per carpirti qualcosa. brak
VARIE 15/244
1 - PURE ‘E CUFFIATE VANNO ‘MPARAVISO
Anche i gabbati vanno in Paradiso
Locuzione proverbiale usata a mo’ di conforto dei corbellati per indurli ad esser pazienti e sopportare chi gratuitamente li affanna , atteso che anche per essi derisi ci sarà un gran premio: il Paradiso.
Cuffiate plurale di cuffiato =deriso, corbellato; etimol.: part.pass. di cuffià che è un denominale dell’arabo còffa=corbello.
2-PURE ‘E MMURE TENONO ‘E RRECCHIE
Anche i muri ànno orecchi
Fa d’uopo, quindi, se non si vuole far conoscere in giro le proprie idee o considerazioni usare, anche in casa un eloquio misurato e di basso volume evitando altresí di spettegolare o di dire cose pericolosamente compromettenti per sé o altri.
3 - PURE LL’ONORE SO’ CCASTIGHE ‘E DDIO.
Anche gli onori sono castighi di Dio
Atteso che comportano comunque aggravio di lavoro ed aumento delle responsabilità.
4 - PURE ‘NU CAUCIO ‘NCULO FA FÀ ‘NU PASSO ANNANTE
Anche un calcio in culo fa compiere un passo in avanti
Id est: per progredire nella vita, come nel lavoro, occorrono forti spinte, magari violente che vanno comunque accettate considerato i vantaggi che ne possono derivare.
5 -PUR’IO TENGO ‘A MANO CU CINCHE DÉTE.
Anche io ò la mano con cinque dita.
Proverbio dalla duplice valenza; nella prima si adombra quasi un avvertimento minaccioso che significa: anche io sono dotato delle vostre medesime capacità operative,[comprese quelle di rubare] per cui fate attenzione a non misurarvi con me pensando di prevalere: potreste avere una brutta sorpresa! La seconda valenza sottindende una garbata protesta volendo significare: ò soltanto le vostre stesse capacità e/o possibilità; miracoli non ne posso fare: non chiedetemeli!
6 - QUANNO ‘A CAPA PERDE ‘E SENZE SE NE STRAFOTTE PURE ‘E SUA ECCELLENZA!
Quando la testa perde il raziocinio se ne impipa anche di Sua Eccellenza
Id est: Quando, nella vita, si è in preda all’ira o alla follia non si à rispetto per nessuno, nemmeno per l’autorità.
7 - QUANNO ‘A CARNA È CCOTTA È CCHIÚ FFACILE A SCEPPÀ LL’OSSA.
Quando la carne è cotta è piú facile spolparla
Id est: per ottenere il miglior risultato è necessario attendere il momento piú adatto che è il piú propizio o favorevole, armarsi di pazienza ed attenderlo.
8 - QUANNO ‘A CAURARA VOLLE MENA SÚBBETO ‘E MACCARUNE
Quando la pentola bolle, cala súbito i maccheroni
Id est:nella vita bisogna esser sempre solleciti e profittare del momento adatto per fare ciò che è da farsi, evitando,per non correre l’alea di un insuccesso, di rimandare o procrastinare la propria azione.Il proverbio à anche un significato furbesco ed in tale connotazione significa: quando una donna avverte i primi bollori, occorre darle súbito marito che la soddisfi e la calmi.
9 -QUANNO ‘A CUMETA ‘O VVO’, DALLE CUTTONE
Quando l’aquilone lo chiede, dagli spago
Al di là del suo concreto chiaro ed esatto significato, il proverbio vale:nella vita spesso è opportuno, se non necessario, assecondare le vanterie di chi si vanta ed è vanitoso, per tenerselo amico ed al fine di riceverne possibili futuri vantaggi.
10 - QUANNO Â FEMMENA ‘O CULO LL’ABBALLA, SI NUNN’ È PPUTTANA, DIAVULO FALLA!
Quando una donna ancheggia, se non è una meretrice ritienila tentatrice.
Le donne che sculettano o lo fanno di mestiere o provocatoriamente per trovar partito.
11 - QUANNO ‘A FEMMENA VO’ FILÀ LL’ABBASTA PURE ‘NU SPRUOCCOLO.
Quando una donna vuol filare le è sufficiente un piccolo bastoncino.
Id est: Quando la donna intende raggiungere un determinato scopo usa, per farlo, ogni mezzo anche quelli apparentemente meno adeguati.
Brak
VARIE 15/243
1 -VENÍ A MMENTE
Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato.
2 -VENIMMO A NNUJE
Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere!
3 -VÉNNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO
Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini.
Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso)
Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio)
4 - VOCA FORA CA 'O MARE È MMARETTA
Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza.
Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi.
maretta s. f.le
1 il movimento del mare quando il vento lo frange in onde piccole e brevi
2 (fig.) situazione di nervosismo, di tensione, di malcontento; voce derivata dal lat. mare addizionato del suffisso f.le etta suffisso che al m.le è etto e che altera in senso diminutivo, e spesso vezzeggiativo, sostantivi o aggettivi;si tratta d’un suffisso di origine gallica.
5 -VIDE ADDO hê ‘A Jí
Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire.
6- VA' FELICITA QUACCUN'ATO
Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire.
7 -VOLLE 'A CAURARA!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
8 - VÉNNERLO PE DINT' Â SENGA D''A PORTA
Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta.
9 -VIDE 'O CIELO CHE TE MENA!
Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo.
10 -VRENNA E SCIUSCELLE nell'espressione: FERNÍ A VVRENNA E SCIUSCELLE
Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: FERNÍ A TARALLUCCE E VVINO
(finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
11-ESSERE RICCO ‘E VOCCA.
Ad litteram: essere ricco di bocca Id est: : essere un vuoto parolaio che parla a sproposito, a vanvera, e si autocelebra vantando doti fisiche e/o morali che in realtà non possiede, nè possiederà mai; essere un millantatore a cui fanno difetto i fatti, ma non le chiacchiere, essere insomma un miserabile la cui unica ricchezza è rappresentata dalla bocca.
12- 'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco oggi 16, all’insegna : TAVERNA DEL TRENTA E TRENTUNO che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte.
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B - V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse la voce puteca.
trentuno = agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a trenta unità piú uno; nella numerazione araba è rappresentato da 31, in quella romana da XXXI; l’etimo è dal lat. triginta + unum.
raffaele bracale
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domenica 29 marzo 2015
VARIE 15/242
1.Coppola pe ccappiello e ccasa a sant'Aniello.
Ad litteram:Berretto per cappello, ma casa a sant'Aniello (a Caponapoli). Id est: vestirsi anche miseramente, ma prendere alloggio in una zona salubre ed ariosa, poiché la salute viene prima dell'eleganza, ed il danaro va speso per star bene in salute, non per agghindarsi.
2. Tené tutte 'e vizzie d''a rosamarina.
Ad litteram: avere tutti i vizi del rosmarino. Id est: avere tutti i difetti possibili, essere cioè cosí poco affidabile ed utile alla stregua del rosmarino, l'erba aromatica che serve a molto poco; infatti oltre che per dare un po' di aroma non serve a nulla: non è buona da ardere, perché brucia a stento, non fa fuoco, per cui non dà calore, non produce cenere che - olim - serviva per il bucato, se accesa, fa molto, fastidioso fumo...
3.Si 'o Signore nun perdona a 77, 78 e 79, llà 'ncoppa nce appenne 'e pummarole.
Ad litteram: Se il Signore non perdona ai diavoli(77), alle prostitute(78) e ai ladri(79), lassú (id est: in paradiso ) ci appenderà i pomodori. Id est: poiché il mondo è popolato esclusivamente da ladri, prostitute e cattivi soggetti (diavoli), il Signore Iddio se vorrà accogliere qualcuno in paradiso, dovrà perdonare a tutti o si ritroverò con uno spazio enormemente vuoto che per riempirlo dovrebbe coltivarci pomodori.
4.Chillo se mette 'e ddete 'nculo e ne caccia 'anielle.
Ad litteram: Quello si mette le dita nel culo e ne tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili.
5.Avimmo perduto 'aparatura e 'e centrelle.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
6.'A femmena è ccomme â campana: si nun 'a tuculje, nun sona.
Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la donna à bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma pure i propri istinti.
7. 'A tonaca nun fa 'o monaco, 'a chiereca nun fa 'o preveto, nè 'a varva fa 'o filosefo.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo.
8. Me parono 'e ccape d''a Vecaria.
Ad litteram: mi sembrano le teste della Vicaria. Lo si suole dire di chi è smagrito per lunga fame, al segno di averne il volto affilato e scavato quasi come le teste dei giustiziati, teste che nel 1600 venivano esposte per ammonimento infilzate su lunghe lance e tenute per giorni e giorni all'esterno dei portoni del tribunale della Vicaria, massima corte del Reame di Napoli.
9. Aria netta nun ave paura 'e tronnele.
Ad litteram: aria pulita non teme i tuoni; infatti quando l'aria è tersa e priva di nuvole, i tuoni che si dovessero udire non sono annunzio di temporale. Per traslato: l'uomo che à la coscienza pulita non teme che possa ricevere danno dalle sue azioni, che - improntate al bene - non potranno portare conseguenze negative .
10.Ascí 'a vocca 'a 'e cane e ferní 'mmocca ê lupe
Ad litteram: scampare alla bocca dei cani e finire in quella dei lupi. Maniera un po' piú drammatica di rendere l'italiano: cader dalla padella nella brace: essere azzannati da un cane è cosa bruttissima, ma finire nella bocca ben piú vorace di un lupo, è cosa ben peggiore.
11. Rrobba 'e mangiatorio, nun se porta a cunfessorio.
Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione. Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un gran peccato, a malgrado che la gola sia uno dei vizi capitali, il popolo napoletano, atavicamente perseguitato dalla fame, non riesce a comprendere come sia possibile ritenere peccato lo sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.
12.Cu ll'evera molla, ognuno s'annetta 'o culo.
Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione , anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati
13.T'ammeretave 'a croce ggià 'a paricchio..
Ad litteram: avresti meritato lo croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco di coloro che, ottenuta la croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo raggiunto; ebbene a costoro, con la locuzione in epigrafe, si vuol rammentare che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendendo che li si ritiene malfattori, delinquenti, masnadieri tali da meritare il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...
14.Ll'avvocato à dda essere 'mbruglione.
Ad litteram: l'avvocato deve essere imbroglione. A Napoli - terra per altro di eccellentissimi principi del foro, si è convinti che un buono avvocato debba esser necessariamente un imbroglione, capace cioè di trovare argomentazioni e cavilli giuridici tali da fare assolvere anche un reo confesso o - in sede civilistica - far vincere una causa anche a chi avesse palesemente torto marcio.
15. Ll'avvocato fesso è cchillo ca va a lleggere dint' ô codice.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che - certamente - sarà stata piú dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
16. Â ggatta ca allicca 'o spito, nun ce lassà carne p'arrostere.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...
17. 'A femmena bbona si - tentata - resta onesta, nun è stata buono tentata.
Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata - resta onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza del compito...
18.Tre ccose nce vonno p''e piccerille: mazze, carizze e zizze!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi: busse, carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportano bene.
19.'E peje juorne so' chille d''a vicchiaia.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si ànno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che in vecchiaia non mancano mai...
20.Dimmènne n'ata, ca chesta ggià 'a sapevo.
Ad litteram: raccontamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi e vanificare il tuo operato.
21.Denaro 'e stola, scioscia ca vola.
Ad litteram: denaro di stola, soffia che vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso.
22.Fatte capitano e magne galline.
Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: infatti chi sale di grado migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser salito di grado, cosí vedrai migliorato il tuo tenore di vita.
23. 'E mariuole cu 'a sciammeria 'ncuollo, so' ppeje 'e ll' ate.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità
24.Dicette frate Evaristo:"Pe mmo, pigliate chisto!"
Ad litteram: disse frate Evaristo: Per adesso, prenditi questo!"Il proverbio viene usato a mo' di monito, quando si voglia rammentare a qualcuno, che si stia eccessivamente gloriando di una sua piccola vittoria, che per raggiungerla à dovuto comunque sopportare qualche infamante danno. Il frate del proverbio fu tentato dal demonio, che per indurlo al peccato assunse l'aspetto di una procace ragazza discinta; il frate si lasciò tentare e partí all'assalto delle grazie della ragazza che - nel momento culminante della tenzone amorosa riprese le sembianze del demonio e principiò a prendersi giuoco del frate, che invece portando a compimento l'operazione iniziata pronunciò la frase in epigrafe.
25.Chi ride d''o mmale 'e ll'ate, 'o ssujo sta arret' â porta.
Ad litteram: chi ride delle digrazie altrui, à le sue molto prossime; id est: chi o per cattiveria o per insipienza si fa beffe del male che à colpito altre persone, dovrebbe sapere che - presto o tardi - il male potrebbe colpire anche lui...
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