martedì 17 marzo 2015
VARIE 15/203
1 -TURNÀ 'A STIMA A CQUACCUNO
Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est: riconfermare la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore o transeunti, futili motivi erano stati tolti.
2 -UNA NE FA E CCIENTO NE PENZA
Ad litteram: una ne fa e cento ne progetta Locuzione che fotografa il comportamento iperattivo di chi si dedichi , ma non si sa con quanto successo, a troppe iniziative di varia portata; la locuzione è usata altresí per stigmatizzare,anche se bonariamente, la ipercinecità di un ragazzo attivamente impegnato a fare innumerevoli marachelle.
3 - UOCCHIE CHINE E MMANE VACANTE
Ad litteram: occhi pieni e mani vuote; cosí si suole dire di chi, o per suo demerito o per sopravvenute contrarietà insormontabili, non riesce a raggiungere il risultato sperato e resti a bocca asciutta o mani vuote e si debba contentare di veder prossimo il risultato sperato, senza però avere la capacità o possibilità di toccarlo con le mani ossia
realizzarlo; in chiave piú becera, ma simpatica la locuzione fu usata per stigmatizzare la situazione di chi, attratto da procaci, provocatorie rotondità femminili si doveva contentare di guardare, senza poter toccar con mano e quindi senza potersi regolare nel modo ricordato altrove.
4 -UOCCHIE 'NFRONTE NUN NE TIENE?
Ad litteram: occhi sulla fonte non ne ài? Icastica ed ironica domanda retorica che si suole rivolgere, per redarguirlo, a chi colpevolmente distratto o disattento sia incorso in errori che si ritenga siano stati provocati dal fatto che egli non abbia esattamente guardato o badato a ciò che faceva, quasi non fosse munito di occhi.
5 -UH, ANEMA D''E PIERE 'E PUORCHE!
Locuzione esclamativa intraducibile ad litteram atteso che è impossibile che le zampe di un maiale abbiano quell'anima che iperbolicamente, ma erroneamente, nella locuzione viene chiamata in causa;
il senso celato della locuzione è: che esagerazione!, cosa mi vai raccontando?, è incredibile ciò che mi dici!, come incredibile sarebbe un maiale provvisto nelle zampe o altrove di anima.
6 -UOCCHIE SICCHE
Ad litteram:occhi seccati, o - meglio - seccanti,cioè: occhi capaci di seccar, prosciugare(ossia arrecar danno) coloro contro cui vengon rivolti. Cosí, come in epigrafe, vengono chiamati i menagramo, gli iettatori, tutti coloro che con i loro sguardi sono ritenuti capaci di grandemente danneggiare qualcuno, non con azioni proditorie, ma semplicemente guardandolo.
7 -USO NUN METTERE E USO NUN LEVÀ
Ad litteram: non creare (nuove) abitudini e non toglierne; id est: lascia stare il mondo cosí com'è; non impegnarti a tentare di cambiarlo introducendo nuove abitudini che specialmente se si concretano in liberalità, omaggi e donativi nei confronti di terzi, diventano con il trascorrere del tempo eccessivamente onerosi e difficili se non impossibile toglier via; la cosa vale anche quando si trattasse di togliere inveterate abitudini; il tentativo di estirparle potrebbe ingenerare malumori nei terzi che vedendo eliminati o lesi alcuni pregressi privilegi potrebbero ribellarsi anche violentemente.
8 -UH, SSEVERE 'E PAZZE !
Esclamazione impossibile da tradurre ad litteram che viene pronunciata nell'osservare situazioni o accadimenti ritenuti cosí strani ed improbabili da destare gran meraviglia, stupore e/o rabbia, nell'intento di sottolineare che quelle situazioni o accadimenti son cose da matti, quasi incredibili.
Strana locuzione quella in esame dove con ogni probabilità il termine ssevere è l’adattamento corruzttivo dell'espressione francese: c'est vrai[lèggi:sè-vrè] ( de foux) (è veramente da folli); la stranezza della espressione napoletana consiste nel fatto che ci si è limitati nella sua formulazione, alla sola corruzione della prima parte di quella francese: c'est vrai,[sè-vrè→severe] completandola con il termine pazze = pazzi esatta traduzione del francese foux.
9 - VA' A FFÀ 'E PPEZZE!
Ad litteram: va’ a raccattare cenci!
Eufemistica espressione usata in luogo di altra piú corposa anche se becera, che qui di seguito illustrerò, per invitare un importuno, fastidioso individuo a liberarci della sua sgradita presenza, ed andare a raccattare cenci.
10 -VA' A FFÀ 'NCULO! ma meglio 10bis VALLO A PPIGLIÀ 'NCULO!
Superfluo tradurre questi conosciutissimi modi di rendere l'italiano: va' a quel paese!La variante è sí piú becera, ma quanto piú corposa, esplicita, icastica ancorché dura, atteso che colui cui è rivolta la locuzione è invitato a tenere nell'ipotetico rapporto sodomitico la posizione soccombente, non quella attiva prevista dalla prima locuzione; ambedue però, come quella del num. precedente, si rivolgono ad un importuno, fastidioso soggetto, invitato qui a dedicare il suo tempo ad altre attività che non quella di infastidirci.
Rammento che nel fiorito linguaggio espressivo popolare talora la prima espressione in esame, (nello sciocco intento di evitar di pronunciare la parola culo ingiustamente intesa volgare o becera) viene imbarocchita in 10 ter VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E MAZZO che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di sedere dove con il termine piega di sedere si intende il solco anatomico di separazione delle natiche solco che icasticamente rappresenta una piegatura di quelle. Nel pronunciare tuttavia quest’ultima espressione accade che in luogo di pronunciare il termine culo, becero e volgare, se ne pronuncia uno analogo: mazzo di talché per ovviare a tutto ciò qualcuno trasforma eufemisticamente l’espressione in un’altra di analogo significato, ma che suona VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E VESTA! che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di veste e con essa espressione si dà luogo ad una precisazione utilissima , con cui si chiarisce che la piega di sedere da prendere in considerazione è esattamente una piega femminile, cosa che si evince dal fatto che la veste è un indumento femminile!
chieja sv.vo f.le =piega, piegatura, ma anche incavo, solco; voce dal lat. plica-m con consueta risoluzione del digramma latino pl seguito da vocale nel napoletano chi (cfr. chiummo←plumbeu(m) - chiazza←platea – pluere→chiovere etc.).
mazzo sv.vo m.le di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. ultra) non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione ‘a gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo si preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare de ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo nell’accezione indicata è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone.
A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom. lat. med. macĭus.
11 -VA' TE COCCA!
Ad litteram: va' a coricarti Altro modo di invitare qualcuno a togliersi di torno, ad andar via, a sparire per non importunarci o tediarci. Qui con modi piú contenuti e gentili rispetto a quelli dei numeri precedenti, lo si vuol convincere di liberarci della sua presenza, andandosene a dormire. Talvolta però, atteso che per coricarsi occorre stendersi su di un letto, con la locuzione in epigrafe si adombra il recondito, cattivo, se non pessimo desiderio che il soggetto contro cui è rivolta debba giacere definitivamente disteso cioè debba mancare, andarsene, scomparire, passare nel numero dei piú, liberandoci per sempre della sua sgradita presenza!
12 -VATTE A FFÀ FOTTERE!
Ad litteram: va' a farti possedere Ma è il medesimo perentorio invito a farsi sodomizzare - sia pure metaforicamente - contenuto nella variante di cui precedentemente al n°10.
13 -VEDÉ 'A MORTE CU LL'UOCCHIE
Ad litteram: vedere la morte con gli occhi ; e sarebbe sciocco ed inopportuno chiedere: E con che altro si può vedere?, atteso che il napoletano è ricchissimo di simili tautologie, come appunto:'a vista 'e ll'uocchie, puorto 'e mare, palazzo 'e case, etc. tutte però necessarie a quel tipico barocchismo dell'eloquio partenopeo.La locuzione si usa per riferire di essersi trovati in situazioni di vita di relazione o di salute cosí gravi e/o pericolose da vedere la morte in viso e di esserne fortunatamente venuti fuori tanto da raccontarne.
14 -VEDÉ COMME SE METTONO 'E CCOSE
Ad litteram: vedere come evolvono le cose; id est: mettersi in prudente attesa, vagliare e soppesare le situazioni e decidersi all'azione solo quando ci si sia resi ben conto di quali pieghe posson prendere o stanno prendendo le faccende che ci occupano
15 -VEDERSENE BBENE
Locuzione, impossibile da tradurre alla lettera, dalla doppia valenza: in primis: profittare di ciò che ci venga messo a nostra disposizione, godendone ampiamente, senza remore o misura; con altra valenza la locuzione è usata per indicare il franco, disinibito comportamento di chi apertamente affronti qualcuno e gli dica a muso duro tutto il fatto suo, senza scrupoli e/o timori reverenziali.
16 -VEDERSE PIGLIATO DÊ TURCHE
Ad litteram: vedersi preso dai Turchi Id est: Essere assalito da grande timore e disperazione , trovandosi in situazioni pericolose o cosí ingarbugliate e contorte da non poterne venire fuori, come temporibus illis dovevano trovarsi i rivieraschi assaliti continuamente da quei pirati saraceni, tutti ritenuti e detti Turchi adusi alle piú efferate violenze.
17 -VENÍ FRISCO FRISCO
Ad litteram: giungere fresco fresco; detto di chi con tranquilla faccia tosta si presenti ed entri nel merito di un accadimento già da gran tempo avviato ed in corso e senza dimostrare di essersi impegnato per parteciparvi o di avere conclamate capacità organizzative o risolutive, voglia imporre il proprio punto di vista a dispetto di quanti stiano da gran tempo e con grande impegno lavorando al progetto de quo.
18 -VENÍ FRISCO E DÂ GROTTA.
Ad litteram: giunger fresco e dalla grotta; locuzione simile alla precedente con l'aggravante qui che il soggetto cui si riferisce avrebbe dovuto concorrere all'accadimento in questione ed invece se ne è a lungo disinteressato, per presentarsi a reclamare il proprio utile a giuochi fatti, quando le asperità sono state affrontate e livellate da altri.
L'immagine della locuzione ripete quella del cocomero che arriva in tavola solo a fine pasto dopo essere stato tenuto al fresco artificiale del ghiaccio o a quello naturale d'una cantina.
19 -VENCERE 'O PUNTO
Ad litteram: vincere il punto; id est: riuscire, in un contrasto, a far prevalere il proprio punto di vista, affermandolo e mantenendolo quasi che esso fosse un premio da conseguire.
20 -VENÍ O SCENNERE DÂ MUNTAGNA
Ad litteram: venire o scendere dalla montagna; Detto di chi sia ritenuto sciocco, stupido e credulone, nella erronea convinzione che coloro che vivono in luoghi impervii ed appartati siano, nel confronto con i cittadini cosí corrivi, sempliciotti e creduloni da poterli facilmente circuire ed imbrogliare.Per converso, ma con medesimo intento di dileggio, sulla bocca dei montanari si posson cogliere le espressioni vení dô mare oppure vení dâ riviera.
21 – FORA MARIA DÊ CRESTIANE!
Ad litteram: Fuori Maria dai cristiani! ; id est:la vergine Maria venga estromessa dal culto dei cristiani! Espressione usata quando si voglia imporre a chicchessia di tenersi fuori da ogni coinvolgimento in quale che sia azione o situazione (atteso che non si à fiducia nelle sue capacità operative o nella sua intelligenza.) La Maria coinvolta nell’espressione è proprio la Vergine Maria, madre del Cristo; l’espressione antichissima risale al tardo settecento quando i protestanti, che notoriamente negano la dulia mariana, vennero in contatto con i partenopei e fecero qualche proselito. A proposito dell’avverbio fora= fuori rammento come sia interessante e meritevole di sottolineatura la differenza di evoluzione della voce napoletana fora (fuori)derivato dal lat. fŏras e della evoluzione della voce italiana fuori derivato dal lat. fŏris.
Nel caso di fŏri(s)→fuori in sillaba libera la
vocale tonica “ŏ” subí la normale dittongazione “uó”; nel caso invece di fora che derivò dal collaterale “fŏra(s)”, data la vocale terminale “-a”, non si incorse nel fenomeno della dittongazione dovuta alla metafonia dialettale, onde la forma definitiva di “fora”, con conservazione della tonica e con la solita vocale finale atona di tipo evanescente.
22 -VENÍ A MMENTE
Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato.
23 -VENIMMO A NNUJE
Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere!
24 -VÉNNERE 'A SCAFAREA PE SSICCHIETIELLO
Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini.
Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso)
Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio)
25 - VOCA FORA CA 'O MARE È MMARETTA
Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza.
Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi.
maretta s. f.le
1 il movimento del mare quando il vento lo frange in onde piccole e brevi
2 (fig.) situazione di nervosismo, di tensione, di malcontento; voce derivata dal lat. mare addizionato del suffisso f.le etta suffisso che al m.le è etto e che altera in senso diminutivo, e spesso vezzeggiativo, sostantivi o aggettivi;si tratta d’un suffisso di origine gallica.
26 -VIDE addó hê ‘A Jí
Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire.
27- VA' FELICITA QUACCUN'ATO
Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire.
28 -VOLLE 'A CAURARA!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
29 - VÉNNERLO PE DINT' Â SENGA D''A PORTA
Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta.
30 -VIDE 'O CIELO CHE TE MENA!
Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo.
31 -VRENNA E SCIUSCELLE nell'espressione: FERNÍ A VVRENNA E SCIUSCELLE
Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice:
31 bis FERNÍ A TARALLUCCE E VVINO
(finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
32-ESSERE RICCO ‘E VOCCA.
Ad litteram: essere ricco di bocca Id est: : essere un vuoto parolaio che parla a sproposito, a vanvera, e si autocelebra vantando doti fisiche e/o morali che in realtà non possiede, nè possiederà mai; essere un millantatore a cui fanno difetto i fatti, ma non le chiacchiere, essere insomma un miserabile la cui unica ricchezza è rappresentata dalla bocca.
33- 'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco oggi 16, all’insegna : TAVERNA DEL TRENTA E TRENTUNO che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte.
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B - V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse la voce puteca.
trentuno = agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a trenta unità piú uno; nella numerazione araba è rappresentato da 31, in quella romana da XXXI; l’etimo è dal lat. triginta + unum.
Raffaele Bracale
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