venerdì 20 marzo 2015
PRONTUARIO DI MONOSILLABI DELLA PARLATA NAPOLETANA.1°
PRONTUARIO DI MONOSILLABI DELLA PARLATA NAPOLETANA.1°
Elenco qui di sèguito un congruo numero di monosillabi in uso nella parlata napoletana, indicandone volta a volta oltre significato ed (ove possibile) etimo anche quella che è (a mente delle regole di grammatica e linguistica) la maniera piú corretta di scriverli.
Cominciamo con i piú semplici monosillabi e cioè gli articoli; abbiamo gli articoli determinativi
‘A = la art. determ. f.le sing. si premette ai vocaboli femminili singolari; deriva dal lat. (ill)a(m), f.le di ille 'quello'; la caduta per aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘);
‘O/’U = lo/il art. determ. m. sing. si premette ai vocaboli maschili o neutri singolari; la forma ‘u è forma antica di ‘o ora ancóra in uso in talune parlate provinciali e/o dell’entroterra; la derivazione sia di ‘o che di ‘u è dal lat. (ill)u(m), acc.vo di ille 'quello'; la caduta per aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘); la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo inteso neutro, ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘o pate voce maschile, ma ‘o ppane voce neutra etc.).
O’ non è come a prima vista potrebbe apparire un’errata scrittura del precedente articolo ‘o (lo/il), errata scrittura (tutti possiamo sbagliare!) che talvolta mi è capitato di ritrovare inopinatamente in talune pagine di giornali, vergata da indegni pennaruli che per mancanza di tempo o ignavia non usano piú rileggere e/o correggere ciò che scrivono (....mi rifiuto infatti di credere che un giornalista non sappia che in napoletano gli artt. lo/il vanno resi con ‘o e non con o’) a meno che quei tali pennaruli nel loro scrivere non errino lasciandosi condizionare dalla dimestichezza con lo O’ (apocope dello of inglese che vale l’italiano de/De).
L’ o’ napoletano a margine è anch’esso un apocope, quella del vocativo oj→o’=oh e viene usata nei vocativi esclamativi del tipo o’ fra’!= fratello! oppure o’ no’!= nonno! La forma intera oj è usata in genere nei vocativi come oj ne’! – oj ni!’= ragazza! – ragazzo!. Rammento che il corretto vocativo oj viene – quasi sempre e nella maggioranza degli anche famosi e famosissi scrittori e/o poeti partenopei – riportato in una scorrettissima forma oje con l’aggiunta di una pletorica inesatta semimuta e, aggiunta che costringe il vocativo oj a trasformarsi nel sostantivo oje = oggi con derivazione dal lat. (h)o(di)e→oje; ah, se tutti i sedicenti scrittori e/o poeti partenopei prima di mettere nero sul bianco facessero un atto di umiltà e consultassero una buona grammatica del napoletano, o quanto meno compulsassero un qualche dizionario, quante inesattezze o strafalcioni si eviterebbero! Purtroppo tra i piú o meno famosi o famosissimi scrittori e/o poeti partenopei che reputano d’esser titolari di scienza infusa, l’umiltà non trova terreno fertile! Il Cielo perdoni la loro supponenza spocchiosa...
E (pronunzia chiusa) = e congiunzione coordinante comporta il raddoppiamento della consonante iniziale successiva (es.lloro e nnuje – i’ e tte – venco e vvaco etc.) è dal lat. e(t).
‘E(pronunzia chiusa) = i, gli, le art. determ. m.le e f.le plurale. si premette ai vocaboli maschili o femminili plurali; deriva dal lat. (ill)ae(s), 'quelli 'di influsso osco; la caduta per aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘);la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo femminile , ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘e pate voce maschile, ma ‘e mmamme voce femminile, ‘e figlie= i figli voce maschile, ma ‘e ffiglie= le figlie voce femminile etc.); la geminazione è ovviamente prevista quando la consonante iniziale del vocabolo femminile sia seguita da una vocale e non da un’altra consonante (ad es. ‘e ppatane= le patate, ma ‘e stanze= le stanze);
È(pronunzia aperta) = è voce verbale (3ªpers. sg. ind. pres.) dell’inf. essere; deriva dal lat. e(st). comporta il raddoppiamento della consonante iniziale successiva (es. è pparuto= è sembrato – è ssuccieso= è accaduto etc.)
Ê (pronunzia chiusa) = ai, a gli , alle preposizione art. pl.; crasi della preposizione a + l’articolo ‘e (i, gli, le)
I’ = io pron. pers. m. e f. di prima pers. sing.
s. m. invar.
1 il proprio essere, la propria persona;
2 il soggetto pensante in quanto à coscienza di sé, contrapposto al mondo esterno, al non-io; (voce dal
lat. volg. *eo→io→i(o)→i’, per il class. ego).
‘Í = vedi; è l’aferesi dell’imperativo esclamativo (ved)i del verbo vedere; di per sé si potrebbe rendere correttamente anche con ‘i dove il segno d’aferesi (‘) indicherebbe la caduta della sillaba (ved); ò invece optato per ‘í perché ‘i fuor del contesto potrebbe crear confusione con l’antico art. m.le pl. (ll)i→’i; rammento che questo ‘í a margine è sempre usato in unione dei pronomi(posti in posizione proclitica) ‘o oppure ‘a nelle epressioni: ‘o ‘í ccanno(eccolo qui vicino); ‘o ‘í lloco (eccolo lí) ‘o ‘í llanno (eccolo laggiú) ‘a ‘í ccanno(eccola qui vicino); ‘a ‘í lloco (eccola lí) ‘a‘í llanno (eccola laggiú). Rammento e me ne dolgo che l’amico avv.to Renato de Falco abbia scelto nel suo Il Napoletanario una assurda morfologia che rende i corretti ‘o ‘í ccanno ‘o ‘í lloco ‘o ‘í llanno con degli scorretti oi’ ccanno oi’ lloco oi’ llanno atteso che non si capisce proprio da quale grammatica o dizionario, l’amico de Falco abbia tratto quei suoi assurdi oi’ comunque tradotti: vedilo. Come è vero che quandoque bonus dormitat Homerus! (talora anche il buon Omero sonnecchia!).
‘I ) forma aferetica di li→(l)i→’i = i, gli, le art. determ. m.le e f.le plurale. articolo d’ uso antico che si premetteva ai vocaboli maschili o femminili plurali, comportava il raddoppiamento della consonante iniziale successiva; deriva dal lat. (il)li;
questo articolo come ò détto fu d’uso antico (cfr. Di Giacomo: lli ccerase rosse). Successivamente cadde in disuso e fu sostituito dall’ art. ‘e ,ma il suo uso à lasciato un grave retaggio in provincia ove si è restii a sostituirlo con l’art. ‘e e perdura nel parlato provinciale e talvolta torna ad incunearsi (per fortuna solo nel parlato) nell’idioma partenopeo della città bassa che – purtroppo – spesso mutua espressioni provinciali;il retaggio dell’ antica esistenza di questo articolo ‘i in luogo dell’art. ‘e comporta soprattutto nel parlato provinciale una sorta di fenomeno di assimilazione regressiva orale che determina in talune frasi lo stravolgimento morfologico della congiunzione e che viene resa i giacché pur in presenza dell’art. ‘e, lo si continua a ritenere ‘i ed a questo i nella lettura viene assimilata la congiunzione e stravolta in i ( es.: ‘e ppatane e ‘e cucuzzielle viene letto ‘e ppatane i ‘e cucuzzielle come se ancóra fosse scritto ‘i ppatane e ‘i cucuzzielle letto ‘i ppatane i ‘i cucuzzielle), ma per fortuna si tratta di un fenomeno solo provinciale e del parlato e sottolineo parlato che per iscritto va assolutamente evitato come è da evitare ògni prestito provinciale! Tuttavia davanti all’art. m.le o f.le ‘E (gli/le) e talora davanti a vocale, la congiunzione E può essere resa con I dritto per dritto dall’iberico Y.
E passiamo a gli articoli indeterminativi: abbiamo
‘NO/’NU = corrispondono ad un ed uno della lingua italiana dove sono agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm. [ in italiano, uno come agg. num. e art. maschile si tronca in un davanti a un s. o agg. che cominci per vocale o per consonante o gruppo consonantico che non sia i semiconsonante, s impura, z, x, pn, ps, gn, sc (un amico, un cane, un brigante, un plico; ma: uno iettatore, uno sbaglio, uno zaino, uno xilofono, uno pneumotorace, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sceriffo); il napoletano non conosce tante complicazioni ed usa indifferentemente ‘no/‘nu davanti ad ogni nome maschile sia che cominci per vocale, sia che cominci per consonante o gruppo consonantico (ad es.: n’ommo= un uomo – ‘nu sbaglio= un errore;) da notare che mentre nella lingua nazionale si è soliti apostrofare solo l’art. indeterminativo una davanti a voci femm. comincianti per vocali, mentre l’art. indeterminativo maschile uno non viene mai apostrofato e davanti a nomi maschili principianti per vocali se ne usa la forma tronca un (ad es.: un osso), nella parlata napoletana è d’uso apostrofare anche il maschile ‘no/‘nu davanti a nome maschile che cominci per vocale con la sola accortezza di evitare di appesantir la grafia con un doppio segno diacritico: per cui occorrerà scrivere n’ommo= un uomo e non ‘n’ommo l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente dal lat. (u)nu(m) l’apocope della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il vezzo di scrivereno/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile ;la medesima cosa càpita con il corrspondente art. indeterminativo femm.le
‘NA = corrispondente ad una della lingua italiana dove è agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm.come del resto nel napoletano dove però come agg. num. card. non viene usata la forma aferizzata ‘na, ma la forma intera una; l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente dal lat. (u)na(m) l’apocope della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il vezzo di scrivere l’articolo na privo di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando, mi ripeto, ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile.
E passiamo alle preposizioni cioè quella parte invariabile del discorso che, preposta a sostantivi, aggettivi, pronomi, infiniti di verbi, indica la relazione che passa tra quelli e altri nomi e verbi, serve cioè a formare dei complementi; ricordato che, cosí come nell’idioma italiano, anche in quello napoletano si ànno preposizioni proprie che sono ‘E/DE =di, A= a, ‘A/DA =da, CU = con, PE= per, ‘NFRA = fra e si ànno preposizioni improprie che sono: annante/ze= davanti, arreto= dietro, doppo=dopo, vicino l ecc. nonché ' preposizioni articolate, che sono quelle che risultano dalla fusione di una preposizione propria (in napoletano di solito la a con un articolo determinativo.
Posto che come indicato in epigrafe qui ci interessano i monosillabi, tenendo da parte le preposizioni improprie dirò di quelle proprie:
‘e/de corrisponde all’italiano di e 1) serve a stabilire una relazione di specificazione, in cui determina il concetto piú ampio espresso dal nome da cui dipende, continuando la funzione che era stata del genitivo latino: ‘o calore d’’o (=de ‘o) sole; ‘o profumo d’’e(=de ‘e) rrose; ‘e rummure d’’a(=de ‘a) strata; 2) rientrano nell'ambito della specificazione talune relazioni particolari; di possesso o appartenenza: ‘a casa ‘efràtemo; ‘e guagliune d’’o salumiere etc. | rispetto ad un'opera, l'appartenenza può essere riferita al suo autore, inventore ecc.: ‘nu libbro’e Marotta; ‘a «Pietà» ‘e Michelangelo etc. | di parentela: ‘a mugliera d’’o duttore; ‘a sora ‘e Salvatore etc. 3) in dipendenza da nomi che indicano quantità, insieme, numero, oppure da aggettivi sostantivati o pronomi che indicano una quantità indefinita, introduce ciò a cui quella quantità o quell'insieme si riferisce: ‘nu chilò ‘e pane; ‘na duzzina d’ ova; ‘na ‘nzerta ‘e rafanielle; ‘nu sacco ‘e patane etc.; 4) davanti a un nome proprio (spec. di città, località, persona) in funzione denominativa, stabilisce una relazione di tipo appositivo: ‘a città ‘e Roma;’a repubblica ‘e matu Rrafele; ‘o nomme ‘e Salvatore è assaje ausato a Napule; 5) limita l'ambito, l'aspetto per cui è valida una qualità, una condizione: sano ‘e cuorpo; buono ‘e core; tardo ‘e refresse; cunoscere quaccheduno sulo ‘e nome | la qualità o la condizione può implicare un concetto di abbondanza o di povertà, privazione: n’ommo chino ‘e ‘ngegno; ; mancà ‘e ‘sperienza; ‘nu paese privo ‘e mezzi | di colpa o di pena: accusato ‘e ‘nu ‘micidio; accusà ‘e trarimento; multà ‘e cientumila lire etc; 6) introduce l'argomento di un discorso, di uno scritto, di un'opera: discutere ‘e pallone; parlà bbuono ‘e quaccheduno ; ‘nu trattato ‘e pasticciaria ;’na pellicula ‘e spionaggio; 7) nelle comparazioni può introdurre il secondo termine di paragone: Mario è cchiú aveto ‘e Giuanne; Bologna è cchiú a nord ‘e Firenze
8) esprime una modalità: essere ‘e buon umore; jí ‘e corza; ; ridere ‘e core; vevere ‘e unu surzo. etimologicamente la prep. ‘e= de deriva lal lat. dí;
‘A /DA corrisponde alla preposizione da dell’italiano in tutte le sue funzioni ed accezioni : 1) introduce un moto da luogo: vengo ‘a casa 2) esprime allontanamento, separazione, distacco: me ne vaco ‘a/da cca! 3) in dipendenza da taluni verbi, in correlazione con a, indica quantità approssimativa: pesa ‘a quaranta a ccinquanta chile (peserà da quaranta a cinquanta chili; 4) con il verbo al passivo introduce l'agente o la causa efficiente: Pumpeje fuje distrutta dô Vesuvio; ‘a porta fuje sbattuta dô viento (Pompei fu distrutta dal Vesuvio; la porta fu sbattuta dal vento); 5) con significato temporale, indica il momento o l'epoca, l'età in cui ha avuto inizio un'azione o una situazione si è determinata: venimmo a villeggià cca ‘a paricchi anne; è ‘a Natale ca nun aggio cchiú nutizie soje; 6) unita a nomi propri di persona, a pronomi che si riferiscono a persona, a nomi che indicano mestiere, professione, condizione, grado, relazione di parentela, di amicizia, di lavoro e sim., introduce uno stato in luogo, per lo più con il valore di 'presso': fermarse a durmí a ddu quaccheduno; ‘ncuntrarse a dd’ ‘o nutaro ; restà a cenà a ddu n’amico 7) seguita dagli stessi elementi lessicali indicati al punto precedente e in dipendenza da verbi di movimento, esprime moto a luogo: vaco a dd‘o farmacista; arrivo a ddu mio figlio appena pozzo; 8) con valore variamente modale: aggi’ a campà ‘a signore; aggi’ ‘a vivere ‘a marchese; | apparentemente modale, in realtà in funzione rafforzativa: faccio ‘a ppe mme; pigliatello ‘a ppe tte; chi fa ‘a ppe sé fa pe ttre | con sfumatura di limitazione: cecato ‘a n’ occhio; zuoppo ‘a ‘nu pere. 9) introduce la destinazione, il fine, lo scopo a cui qualcosa o anche un animale è adibito: rezza ‘a pesca ma piú spesso rezza pe piscà; cavallo ‘a corza ma piú spesso cavallo ’e corza; ; lente ‘a sole ma piú spesso lente p’’o sole; | in talune locuzioni, apparentemente di questo stesso tipo, prevale la funzione attributiva: carta ‘a bollo; festa ‘a bballo; messa ‘a requiem ma piú spesso messa ‘e requiem. l’etimo della preposizione da/’a è dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; e dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc.
CU corrisponde all’italiano con in tutte le sue funzioni ed accezioni : 1) esprime relazione di compagnia, se è seguito da un nome che indica essere animato (può essere rafforzato da insieme): è partito cu ‘o pato ; à magnato cu ll’ amice; campa (‘nzieme) cu ‘a sora; 2) in senso piú generico, introduce il termine cui si riferisce una qualsiasi relazione: s’è appiccecato cu ‘o frato; à sfugato cu mme; 3) con valore propriamente modale: restà cu ll’uocchie nchiuse; vulé bbene cu tutto ‘o cuore; trattà cu ‘e guante gialle( cioè con rispetto e dedizione quelli dovuti ai nobili che usavano indossare guanti di camoscio in tinta chiara) | con valore tra modale e di qualità: pasta cu ‘e ssarde; stanza cu ‘o bbagno; casa cu ‘o ciardino; 4) introduce una determinazione di mezzo o di strumento: cu ‘a bbona vulontà s’ave tutto; ‘o vino se fa cu ll'uva; scrivere cu ‘a penna stilografica; partí cu ‘o treno ;
5) indica una circostanza, stabilendo un rapporto di concomitanza: nun ascí cu ll’acqua!; 6) può avere valore concessivo o avversativo, assumendo il significato di 'non ostante,a malgrado': cu tutte ‘e guaje ca tène, riesce ancòra a ridere; cu tutta ‘a bbona vulontà, ma è proprio impossibbile. L’etimo della preposizione a margine è dal lat. cum. Rammento qui e valga anche a futura memoria che tutte le parole che abbiano un etimo da voce latina terminante per consonante (che nella parola formata cade) non necessitano di alcun segno diacritico in quanto il segno diacritico dell’apocope (accento o apostrofo) è necessario apporlo graficamente quando a cadere sia una sillaba e non una o due consonanti; nel caso in esame cum dà cu e non l’inesatto cu’ che spesso mi è occorso di trovare negli scritti anche di famosi autori, sedicenti esperti della parlata napoletana. Ciò che ò appena detto vale anche per la preposizione seguente cioè
PE che (con etimo dal lat. per) corrisponde all’italiano per in tutte le sue funzioni ed accezioni :
1) determina il luogo attraversato da un corpo in movimento o attraverso il quale passa qualcosa che à un'estensione lineare (anche fig.): il ‘o treno è passato pe Caserta; ‘o curteoà sfilato pe ‘o corzo;’o mariuolo è trasuto p’’a fenesta; | può anche specificare lo spazio circoscritto entro cui un moto si svolge e, per estens., la cosa, l'ambito entro cui un fenomeno, una condizione si verificano: passiggià p’’o ciardino;jí pe mmare e pe tterra; tené delure pe tutt’’a vita | indica anche la direzione del moto: saglí e scennere p’’e scale; arrancà pe tutta ‘a sagliuta
2) indica una destinazione: partí pe Pparigge; ‘ncammenarse p’’a città; piglià ‘a strata p’’o mare; ‘o treno pe Rroma | (estens.) esprime la persona o la cosa verso cui si à una disposizione affettiva, un'inclinazione: tené simpatia pe quaccheduno; avé passione p’’a museca ;
3) introduce una determinazione di stato in luogo, che si riferisce per lo piú a uno spazio di una certa estensione: ‘ncuntrà quaccheduno p’’a strata; ce stanno cierti giurnale pe tterra;
4) esprime il tempo continuato durante il quale si svolge un'azione o un evento si verifica (può anche essere omesso): aspettà (pe) ore e ore; faticà (pe) anne e nun cacciarne niente; sciuccaje (pe) tutta ‘a notte; durarrà (pe) tutta ‘a vita | se introduce una determinazione precisa di tempo, esprime per lo piú una scadenza nel futuro: turnarrà p’’e ddiece; êsse ‘a essere pronto pe Nnatale
5) introduce un mezzo: mannà pe pposta; spedí pe ccurriere; dirlo pe ttelefono; parlà pe bbocca ‘e n’ato;
6) esprime la causa: era stracquo p’’a fatica; alluccava p’’o dulore; non ve preoccupate pe nnuje; supportaje tutto p’ ammore sujo; condannà pe ‘mmicidio;
7) introduce il fine o lo scopo: libbro pe gguagliun; pripararse pe ‘nu viaggio; attrezzarse p’’a montagna; | in dipendenza da verbi che indicano preghiera, giuramento, promessa, esortazione e sim., indica l'ente, la persona, il principio ideale per cui o in nome di cui si prega, si giura, si promette ecc.: facítelo pe Ddio; pe ccarità, facite ca nun se vene a sapé in giro; giurà pe ll’uocchie suoje; ll’à prummiso pe qquanto tène ‘e cchiú ccaro |, Pe ttutte ‘e diavule!, p’’a miseria! e sim., formule di esclamazione o di imprecazione
8) introduce la persona o la cosa a vantaggio o a svantaggio della quale un'azione si compie o una circostanza si verifica: faciarria qualsiasi cosa pe tte; accussí nun va bbuono pe nnuje; piezzo e ppejo pe cchi nun vo’ capí; n’aria ca nun è bbona p’’a salute; murí p’’ammore d’’e figlie; pregàe p’’e muorte; avutà pe n’amico ; ‘a partita è fernuta tre a ddoje p’’a squadra ‘e casa ;
9) determina il limite, l'ambito entro cui un'azione, un modo di essere, uno stato ànno validità: pe ll’intelliggenza è ‘o meglio d’’a classe; p’’e tiempe ‘e mo, è pure assaje; pe chesta vota sarraje perdunato; pe lloro è comme a ‘nu figlio; pe mme, state sbaglianno; pe quanto te riguarda, ce penzo io personalmente ;
10) introduce il modo, la maniera in cui un'azione si compie: ; parlà pe ttelefono; chiammà pe nnomme ; pavà pe ccuntante; tené pe mmano; assumere pe ccuncorzo;
11) indica un prezzo, una stima: aggio accattato pe ppochissimi sorde ‘nu bbellu mobbile antico; vennere ‘na casa pe cciento meliune; nun ‘o faciarria pe ttutto ll'oro d’’o munno;
12) in funzione distributiva: marcià pe dduje;metterse pe ffile; uno pe vvota; duje pacche pe pperzona; juorno pe gghiuorno | per estensione, indica la percentuale (pe cciento, nell'uso scritto %): ‘nu ‘nteresse d’’o diece pe cciento (o 10%) | nelle operazioni matematiche, dice quante volte un numero si moltiplica o divide (nel secondo caso può essere omesso): multiplicà cinche pe ddoje 5 ; diciotto diviso (pe ttre dà seje; da qui l'uso assol. di pe a indicare un prodotto (nell'uso scritto rappresentato dal segno X)
13) introduce una misura o un'estensione: ‘a strata è ‘nzagliuta pe pparicchie chilometri; l'esercito avanzaje pe ccinche miglia e cchiú;
14) introduce una funzione predicativa, equivalendo a come: averlo p’ amico; pigliarla pe mmugliera; tené pe ccerto; pavà ‘nu tot pe ccaparra;
15) indica scambio, sostituzione, equivalendo alle locuzioni in vece, in cambio, in luogo di e sim.: l’aggiu pigliato p’’o frato; t’’o ddice isso pe mme; capí ‘na cosa pe n’ata;
16) indica origine, provenienza familiare nella loc. pe pparte ‘e: parente pe pparte ‘e mamma;
17) il pe seguito dal verbo all'infinito introduce una prop. finale: l’hê scritto p’’o ringrazziarlo?; ce ne vo’ pe tte cunvincere!; | causale: fuje malamente cazziato p’ avé risposto malamente; era assaje stanco pe nun avé durmuto tutt’’a notte| consecutiva: è troppo bbello p’ essere overo; sî abbastanza crisciuto pe ccapirlo
18) nelle loc. perifrastiche , stare/stà pe, essere sul punto, in procinto di: stongo pe ppartí; steva quase pe sse cummuovere;
19) concorre alla formazione di numerose loc. avverbiali: p’’o mumento; pe qquanno è ‘o caso; pe ttiempo; pe lluongo; pe llargo; pe ccerto; pe ll'appunto; pe ccaso; pe ccumbinazzione; pe ppoco | congiuntive: p’’o fatto ca; pe vvia ca | pe ppoco (assaje, bello, brutto, caro e sim.) ca è o ca fosse , con valore concessivo: pe ppoco ca è, meglio ‘e niente.
Rammento, come ò già detto, che derivando il napoletano pe dal lat. pe(r) non necessità di alcun segno diacritico (accento o apostrofo) e pertanto va sempre scritta semplicemente pe e non nel modo scorretto pe’ che purtroppo ò spesso trovato anche fra i grandi autori partenopei accreditati, ingiustamente!, di essere esperti della parlata napoletana; ovviamente il pe usato davanti a vocale va eliso in p’,(ed è chiaro che l’apostrofo non indica la caduta del gruppo originario er ma della sola vocale e di pe); usato invece davanti a consonante il pe esige la geminazione della consonante per cui avremo pe pparlà e non pe parlà e cosí via.
R.Bracale (segue)
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