venerdì 25 marzo 2016
VARIA 16/270
1.CHISTO È N'ATO D''A PASTA FINA.
Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuto da un tal Pastafina. Letta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di offesa.
2. 'O CONTE MMERDA ‘A PUCERIALE.
Letteralmente: Il conte Merda da Poggioreale. Così, per dileggio vien definito dal popolo colui che vanti falsamente illustri progenitori, o colui che si dia arie da nobiluomo incedendo con sussiego ed alterigia. Ma il personaggio in epigrafe esistette veramente in Napoli e tale nomignolo fu affibbiato dal popolo al patriarca, un tal conte Brasco Iannicelli[mancano precise notizie biografiche] di un’antica famiglia napoletana che aveva il possesso di una villa nella zona di Poggioreale. Tale signore ebbe, sul finire del 1800, in appalto la gestione delle latrine comunali e si meritò ipso facto il soprannome, pur se affidò in pratica la conduzione dell’appalto ad un suo fidato dipendente un non meglio identificato Ernesto che rispondendo al famoso soprannome di Ernesto a Ffuria,presidiava de visu le latrine comunali site all’estremità della via Foria,latrine da cui trasse ingenti guadagni con la selezione delle urine, rivendute ad idustrie chimiche per la produzione d’albumina.
3.'AMICE E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.Va da sé che il vino stagionato sia migliore di quello novello, tal quali gli amici di vecchia data che abbiano già dato piú prove dei loro sentimenti amicali.
4.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
5.'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
6.'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorre.
7.'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDIVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
8.'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PPARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
9. 'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio à tutta l’aria d’esser nato quando i napoletani dismisero di esser mangiatori di foglia diventando mangiamaccheroni lasciando ai provinciali e/o cafoni il titolo di"mangiafoglie", quando cioè i cittadini napoletani ripudiarono ormai la verdura (‘e vruoccole) per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
10. STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca ha montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni così contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
11.QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ‘ACÍTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, più aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
12. 'O DULORE È DE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TÈNE MENTE.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! - affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
13. 'O FATTO D''E QUATTE SURDE.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
14. A 'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIAVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
15.CHI VA PE CHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce. Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi risultati diversi o migliori.
16. AMMORE, TOSSE E RROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
17.'MPÀRATE A PARLÀ, NO A FATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro,ironico ma ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere la disistima tenuta dai napoletani per tutti coloro che non si guadagnano da vivere con un serio e duro lavoro, ma fondono la propria esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro (FATICA).
In fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo.
18. 'A SOTTO P''E CHIANCARELLE.
Letteralmente:(Prestate attenzione, voi che siete) di sotto, ai panconcelli; id est: Attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili, ma resistenti assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi erigere un palazzo nella zona dtta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto! (toglietevi di sotto! ).
19. A 'STU NUNNO SULO 'O CÀNTERO È NICESSARIO.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla buona riuascita dell'esistenza la sola cosa che conta è nutrirsi bene e digerire meglio. In effetti con la parola cantero - oggetto destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che la parola cantero non à l'esatto corrispettivo in italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il cantaro era destinato ad accogliere quelli solidi.
20.SPARTERSE 'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí a Napoli si dice di chi, esoso al massimo,profitti di una situazione e si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato il Cristo sul Golgota , ne divisero, per appropriarsene, in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
21. ESSERE AURIO 'E CHIAZZA E TRIBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire - specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
22. TENÉ SEMPE ‘NA CAURARELLA D’AGGHIUSTÀ.
Letteralmente: avere sempre una pentolina da sistemare. Ironica espressione usata a dileggio di chi faccia le viste d’essere perennemente indaffarato ed oberato di lavoro di talché non possa rendersi disponibile a fornire il proprio richiesto aiuto non per cattiva volontà, ma essendone impossibilitato per mancanza di tempo. La locuzione prende a riferimento l’impegno giornaliero di quei ramai girovaghi che temporibus illis si spostavano di rione in rione per provvedere alla stagnatura o riparazione degli utensili di rame (pentole, padelle, vasellame etc.)b usati quotidianianamente nelle cucine partenopee; atteso che i clienti erano molti ed il lavoro non mancava ogni volta che il ramaio visitava il rione ecco che nell’inteso comune la sua figura diventò emblema di chi fósse perennemente oberato di fatica.
Caurarella s.vo f.le diminutivo di caurara = caldaia: recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa; etimologicamente dal tardo latino caldaria(m), deriv. di calidus 'caldo; normale l’esito del suffisso latino maschile arius nel femm. ara; tipico altresì il passaggio del lat. al al napoletano au come ad es. altus→auto/aveto= alto o anche alter→auto→ato= altro; come tipico è il passaggio osco-mediterraneo d→r;il sostantivo esaminato è un sinonimo di tianella a sua volta diminutivo di tiana s.vo f.le = pentola, tegame a bordo alto; è voce che à un collaterale nel m.le tiano utilità simili se non uguali che si differenziavano secondo la grandezza della pentola, per solito usata per la lessatura di taluni cibi; etimologicamente ambedue dal greco tégano(n) collaterale di tàghenon; rammento che in questo caso si fa eccezione alla regola che vuole che in napoletano si consideri femminile un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo - tammorra piú grande, tino piú piccolo - tina piú grande, carretto piú piccolo – carretta piú grande, cucchiaro piú piccolo - cucchiara piú grande etc.; fanno eccezione appunto tiano piú grande - tiana piú piccola, caccavo piú grande - caccavella piú piccola. )ed il maschile tiano indica una pentola piú grande della femminile tiana; nella tiana si potevano preparare contenuti cibi lessi o da brasare, ma per preparare tronfie minestre vegetali fino alla ridondante menesta mmaretata(= minestra dal latino:minestra(m) maritata(denominale da un latino in + maritus)in quanto minestra vegetale unita, sposata, maritata con varî tipi di carni lesse) era giocoforza ricorrere al piú vasto e capace tiano maschile.
Agghiustà voce verbale infinito = aggiustare, sistemare, riparare, riportare a nuovo utensili e/o vestimenti; etimologicamente deaggettivale del lat. iūstu-m, attraverso il percorso ad+ iūstu-m→agghiustu-m→ agghiustà.
Brak
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