1 - T'AMMERETAVE 'A CRUCE (oppure CROCE) GGIÀ 'A PARICCHIO..
Ad litteram: ti meritavi (nel senso di: avresti meritato) la croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco pesantemente di coloro che, avendo ottenuta una croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo, quasi certamente, immeritatamente raggiunto; ebbene a costoro (soprattutto quando siano bottegai e/o liberi professionisti), con la locuzione in epigrafe, si vuol sarcasticamente rammentar loro che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendoli classificare e ritienerli malfattori, delinquenti, masnadieri tali da poter meritare piú che il premio della commenda o del cavalierato, il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...e/o truffatori.
Ad litteram: ti meritavi (nel senso di: avresti meritato) la croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco pesantemente di coloro che, avendo ottenuta una croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo, quasi certamente, immeritatamente raggiunto; ebbene a costoro (soprattutto quando siano bottegai e/o liberi professionisti), con la locuzione in epigrafe, si vuol sarcasticamente rammentar loro che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendoli classificare e ritienerli malfattori, delinquenti, masnadieri tali da poter meritare piú che il premio della commenda o del cavalierato, il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...e/o truffatori.
ammeretave letteralmente
meritavi (voce verbale 2 pers. sing. imperfetto ind. dell’infinito ammeretà),
ma nell’espressione a margine, più che valore di imperfetto à il valore di condizionale passato; ammeretà=esser
degno di avere, di guadagnare rafforzativo attraverso la prostesi della
prep. ad di meritare
(ad+meritare→ammeretà) con etimo dal latino meritare derivato di meritus
p.p. di merere;
cruce/croce= croce (segno di
distinzione, ma pure strumento di morte
infamante) con etimo dall’acc.vo lat. cruce(m)
da crux-crucis; da notare la particolarità che il napoletano
conserva sia la voce cruce (con la vocale etimologica chiusa u) sia la voce croce
forse per suggestione dell’italiano che muta, stranamente,
l’originaria u nella vocale o sia
pure chiusa (ó) per conservare la chiusura della u e se ciò non meraviglia per l’italiano, per il napoletano è cosa inusuale: infatti il
napoletano conserva quasi sempre tali qual sono
le originarie sillabe e vocali lunghe e tende a chiuderle ulteriormente,
piuttosto che ad aprire le sillabe d’avvio etimologiche che se brevi tendono
alla dittongazione;
ggià =già,
prima d’ora, prima d’allora avverbio di tempo dal lat. iam;
‘a paricchio = da
parecchio (tempo) loc. avv.le di tempo formata dalla prep. sempl. ‘a (da)
+paricchio= parecchio, non poco; agg. indefinito, in nap. usato in
modo indeclinabile, che indica quantità o numero rilevante, ma leggermente
inferiore rispetto a molto (tuttavia i due agg. vengono spesso usati
come sinonimi):doppo paricchi juorne (dopo parecchi giorni); nce
stevano paricchi persone (c'erano
parecchie persone); l’etimo è
dal lat. volg. *pariculu(m), dim. di par paris pari.
2 - TRE CCOSE VO’ ‘O RRAÚ:
CURA, CUNZEVERA E CCUNNIMMA.
Tre sono gli elementi essenziali al conseguimento di un buon ragú (ed evito di dilungarmi su questa regina delle salse, di cui alibi già dissi ad abundantiam…): 1) cura nella preparazione (con particolare riferimento al lungo tempo necessario (7 – 8 ore) per prepararlo), 2) congrua conserva di pomidoro(un buon ragú non si puó preparare con soltanto del pomidoro fresco...) ed infine 3) un adeguato condimento(olio e strutto).
Tre sono gli elementi essenziali al conseguimento di un buon ragú (ed evito di dilungarmi su questa regina delle salse, di cui alibi già dissi ad abundantiam…): 1) cura nella preparazione (con particolare riferimento al lungo tempo necessario (7 – 8 ore) per prepararlo), 2) congrua conserva di pomidoro(un buon ragú non si puó preparare con soltanto del pomidoro fresco...) ed infine 3) un adeguato condimento(olio e strutto).
tre= tre
agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a due unità piú una; nella
numerazione araba è rappresentato da 3, in quella romana da III; etimo dal lat.
tris;
ccose= cose sost. femm. plur. del sing. cosa termine
generico usato per indicare qualsiasi entità, concreta o astratta, che sia
oggetto dell'attenzione di chi parla o di chi scrive e che riceve
determinazione dal contesto del discorso o dello scritto; spesso si impiega per
alludere a ciò che non si può o non si vuole indicare con precisione; l’etimo è
dal lat. causa(m); il medesimo che dà causa;
vo’/vole= vuole voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.)
dell’infinito vulé= volere, esser risoluto a fare, ad ottenere, preceduto
da negazione e seguito dal compl. oggetto anche verbale, non ammettere, non
permettere etc con etimo dal lat.
volg. *volíre, per il class. velle, ricostruito sul tema del
pres. volo e del perfetto volui; faccio notare che la prima delle
voci a margine: vo’ (vuole)
è voce autenticamente
napoletana, forma apocopata dell’adiacente vole ed è voce della 3° pers. sing. ind. pres. da
non confondere con l’omofona ed omografa voce vo’ del toscano che
sostituisce in proclisi (fenomeno che si produce quando una parola priva
d'accento si appoggia alla parola seguente formando con essa un'unità fonetica
(p. e. la strada, pr. lastràda; ti parlo, pr. tipàrlo)il
normale voglio (voce della 1° pers. sing. ind. pres.);
cura= cura,
attenzione, dedizione, sollecitudine, preoccupazione con etimo dal lat. cura(m);
cunzerva/cunzèvera =
conserva, genericamente cibo
preparato e confezionato per essere conservato a lungo senza che perda le sue
caratteristiche: conserve alimentari; conserva di frutta: marmellata, conserva (di pomidoro) che
è quella che ci occupa: sorta di salsa
preparatoria e/o propedeutica di piú complessi sughi a base di pomidoro,
ottenuta facendo essiccare al sole ed all’aria della passata di pomidoro, addizionata di poco sale e
talvolta con foglie di basilico; l’etimo della voce è un deverbale dal lat. conservare,
comp. di cum 'con' e servare 'custodire, mantenere'; da notare
che mentre per la voce cunzerva ci troviamo di fronte ad una diretta
derivazione da conservare con nomale passaggio di ns→nz, per la forma cunzevera si è avuta una metatesi e successiva anaptissi eufonica della vocale e secondo il percorso cunzerva→cunzevra→cunzevera;
cunnimma sost.
femm. usato per indicare genericamente un abbondante condimento: olio e altri
grassi (si noti come rispetto alla voce italiana condimento, il
napoletano, per indicarne l’abbondanza
usi una voce femminile; sappiamo che il napoletano infatti quasi sempre
usa il femminile per indicare cosa più grande e/o abbondante di un
eventuale maschile; vedi alibi cucchiara piú grande di cucchiaio,
tammorra piú grande di tammurro,
tina piú grande di tino etc. l’etimo di cunnimma è un deverbale del
lat. condire attraverso l’aggiunta al tema verbale cond del consueto
suffisso intensivo imma (femm. di immo←imen) e tipica assimilazione nd→nn.
3 - FARSE 'A PASSÏATA D''O RRAÚ.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che à bisogno di una lunghissima, sorvegliata cottura, tanto che la sua preparazione, un tempo cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate domenicali, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata della domenica.
3 - FARSE 'A PASSÏATA D''O RRAÚ.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che à bisogno di una lunghissima, sorvegliata cottura, tanto che la sua preparazione, un tempo cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate domenicali, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata della domenica.
passïata=
passeggiata, il passeggiare, a piedi o talvolta su un mezzo di trasporto; il
percorso che si compie passeggiando; sost. femm. derivato dal lat. passus
+ terminazione verbale (part. pass.) terminazione che all’infinito è iggiare/iggià
di tipo frequentativo indicante ripetizione o frequenza di atti: infatti
l’infinito passiggià/passià donde passïata non è che il
frequentativo di pandere;
rraú = ragú s. m.
tipica salsa della cucina partenopea (probabilmente mutuata dalla cucina
francese) salsa per paste asciutte, risotti e sim. che si ottiene facendo
cuocere lungamente a fuoco lento in un corposo intingolo di olio, sugna,
conserva e succo di pomidoro un pezzo di
carne con aggiunta di cipolla, erbe aromatiche e altri ingredienti;
etimologicamente la voce è un adattamento popolare (con geminazione della
liquida d’avvio r→rr e sincope della gutturale g)
del fr. ragoût, deriv. di ragoûter 'stuzzicare l'appetito' (da goût
'gusto').
4 - 'A
COLLERA È PPETROSA: TRASE 'NCUORPO E FA PERTOSE!
Ad litteram: Il dispiacere è (come) un sasso: entra nel corpo (animo) e fa buchi (fa danni). Ricorderò che in napoletano la voce collera non sta - come invece in italiano - per sentimento di sdegno, spesso improvviso, che si manifesta con parole o atti violenti; ira, ma vale ( con etimo dal lat. cholera(m))dispiacere, noia , fastidio quel dispiacere che si ritiene produca piú danno delle offese e/o percosse.
Ad litteram: Il dispiacere è (come) un sasso: entra nel corpo (animo) e fa buchi (fa danni). Ricorderò che in napoletano la voce collera non sta - come invece in italiano - per sentimento di sdegno, spesso improvviso, che si manifesta con parole o atti violenti; ira, ma vale ( con etimo dal lat. cholera(m))dispiacere, noia , fastidio quel dispiacere che si ritiene produca piú danno delle offese e/o percosse.
petrosa=
generatrice di pietra agg.
femm. derivato dell’acc. lat. petra(m) + il suff. di
presenza e/o abbondanza (cfr. Rohlfs) osa (femm. di oso←osus); dal sost. petra(m)
deriva oltre che l’aggettivo a margine, il sostantivo metatetico preta;
trase= entra,
penetra, si insinua voce verbale (3° pers.
sing. ind. pres.) dell’infinito trasí= entrare, penetrare, insinuarsi con etimo dal lat. trans+ire→tra(n)sire=andare
attraverso;
‘ncuorpo= nel
corpo, dentro il corpo agglutinazione
della prep. in (aferizzata ‘n) con il sost. cuorpo = corpo che è dal nom. lat. corpus con dittongazione
della o intesa breve: ŏ→uo;
pertose lett. buchi, pertugi s. femm. plur.metafonetico del sing. masch. pertuso
che etimologicamente è dal Lat. tardo pertusiu(m), deriv. del class. pertusus,
part. pass. di pertundere 'bucare, forare', comp. di per
'attraverso' e tundere 'battere, passare'.
5. CHIJARSELA A LIBBRETTA.
Ad litteram: piegarsela a mo’ di libriccino
id est:accettare, sia pure obtorto collo, che le cose vadano in un certo
modo ed uniformarvisi atteso che non ci
sia altro da fare per migliorare la situazione ed anzi quell’accettare la
situazione ed uniformarsi a che le cose vadano in quel modo rappresenta il
miglior partito da prendere evitando di
contrastarsi per non soccombere o peggiorare la situazione. Come
si capisce, intesa nel senso di
accettare etc. la locuzione à un suo senso riduttivo e quasi negativo, che non
ebbe in origine, allorché, fu
usata come consiglio positivo e
d’opportunità, e la si riferí al modo piú acconcio di consumare una pizza
allorché non ci si potesse accomodare
ad un tavolo e servirsi di adeguate stoviglie (piatto, bicchiere) e posate
(forchetta e coltello): in tal caso la pizza veniva e viene consumata addentandola stando all’impiedi o
addirittura passeggiando e la maniera
piú acconcia di tenere fra le mani la pietanza fu ed ancora è quella di piegare la pizza in quattro parti
fino a farle assumere quasi la foggia di un piccolo libro di quattro fogli,
affinché, così piegata trattenga e non
lasci cadere i condimenti di cui è coperta , che se cadessero imbratterebbero
gli abiti di colui che mangia la
suddetta pizza da asporto. Successivamente l’espressione in epigrafe che
indicava il miglior modo di consumare una pizza d’asporto, estese per traslato
il suo significato a quello di indicare il miglior atteggiamento
comportamentale da tenere in malagurate evenienze quotidiane quando bisognasse
far buon viso a cattivo gioco…e semanticamente questo secondo significato si
spiega con il fatto che come il piegare la pizza a mo’ di libriccino è il modo
piú vantaggioso per evitare di imbrattarsi, cosí l’accortezza di avere un
atteggiamento di sopportazione innanzi ad eventi negativi o fastidiosamente
vessatorî, è il modo migliore per eludere contrasti e lotte che normalmente non fanno che peggiorare la
situazione.
pizza=
pizza, focaccia rustica variamente condita di antichissime origini latine,
divenuta emblema della città partenopea e di qui esportata ovunque; l’etimo è
per qualcuno da un lat. *(a)picia
quale vivanda inventata dal cuoco romano Apicio, ma molto piú verosimilmente
ritengo percorribile l’ipotesi che pizza
stia per pinsa part. pass.
femm. del verbo pinsere=comprimere,
schiacciare (infatti la pasta di cui è fatta la pizza dev’essere compressa,
schiacciata e poi condita); normale nel
napoletano il passaggio di ns ad nz e la successiva assimilazione regressiva nz→zz;
chijatella= piégatela voce verbale (2° pers. sing. dell’imperativo,
di tipo esortativo addizionato in posizione enclitica dei pronomi te(per
te) e la ( da (il)la(m))
dell’infinito chijare/à- chiejare/à= piegare, curvare, flettere ed
estensivamente sottomettere con
etimo dal tardo latino plicare denom. di plica(piega)normale il
passaggio di pl→chi; nella forma chiejare/à si è determinata una necessaria dittongazione in sillaba d’avvio
con ii diventati ie;
a llibbretta = a mo’ di libriccino;
libbretta s.
forma femm. del normale masch. libbretto
dim.(vedi suff. etto/a) di libbro
con etimo dal lat. libru(m),
originariamente 'sottile membrana fra la
corteccia e il legno dell'albero', che prima dell'introduzione del papiro si
usava come materiale per scrivere; la voce latina in napoletano comportò il
raddoppiamento espressivo della labiale esplosiva b ed in luogo
di libro (come in italiano) si ebbe libbro;
la voce libbretta è usata spesso nel linguaggio popolare per
indicare un attestato di credito o bancario o postale.Da notare che la voce libbretta
se preceduta dall’articolo ‘a si rende con ‘a libbretta con la elle scempia; se invece è preceduta dalla
preposizione a si rende con a llibbretta con la elle geminata!
6 -CHESTO PASSA ‘O CUNVENTO oppure ‘O
GUVERNO
Letteralmente: questo elargisce il
convento oppure il governo
id est: questo ci viene dato e di questo occorre contentarsi; bisogna far
buon viso a cattivo gioco essendo
inutile ribellarsi o adontarsi, tanto la
situazione non potrebbe in alcun modo migliorare, né, in effetti, migliorerà!
chesto = questo, ciò agg. dimostr. [precede
sempre il sostantivo], ma anche, come nel caso ns. pron. dimostr. [f. -a]
indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando, con etimo dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo';
indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando, con etimo dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo';
passa = dà,
concede, offre, (voce verbale 3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito passà=passare,
concedere, dare, offrire con etimo
dal lat. volg. *passare, deriv. di passus 'passo';
cunvento= s. m.
convento,edificio in cui vive una comunità di religiosi o religiose che
ànno pronunciato voti solenni; nell'uso corrente, sin. di monastero: ‘nu
cunvento ‘e muonece, ‘e monache (un convento di frati, di suore);
trasí dint’ ô cunvento (entrare in convento), farsi frate o suora anche l'insieme dei religiosi che abitano in un
convento, ed infine (ant.) adunanza, riunione; ed anche, moltitudine, folla; l’etimo della voce
a margine è dal lat. conventu(m) 'adunanza, convegno', deriv. di cum
+ venire =convenire'trovarsi insieme' con tipica chiusura della
sillaba lunga o intesa tale d’avvio ō→u;
guverno = governo, la direzione politica e amministrativa di uno
stato: il governo della cosa pubblica,il complesso delle istituzioni
alle quali compete il potere esecutivo con
il presidente del consiglio, i ministri ed esponenti minori: l’etimo della
voce a margine è dal lat. gubernu(m),
propr. 'timone' con tipica alternanza partenopea b/v come alibi varca
per barca o vocca per bocca.
7 - CHI VA PE CHISTI
MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.
ad litteram: chi va per questi mari,
questo pesce prende; id est: chi si imbarca in certe avventure, non può che
conseguire questo tipo di scadenti risultati e se ne deve contentare, specie se
si è imbarcato volontariamente, per sua scelta e non spinto da necessità.
8 - CHI M’À CECATO!?
Ad litteram: chi mi à accecato!? Id
est: chi mi à indotto a regolarmi nella maniera in cui mi sono regolato, quasi
rendendomi cieco, al segno di non farmi
rendere conto o del pericolo a cui
andavo incontro o degli errori che mi accingevo a compiere. Va da sé che la
locuzione non è una vera e propria domanda, quanto una sorta di pubblica
confessione del proprio errore a causa
del quale ci si trova in situazioni fastidiose; ci si chiede cioé da chi
dipenda ciò che è capitato, ma lo si
fa quasi surrettiziamente, ben sapendo
di essere i soli responsabili degli
accadimenti cui ci si riferisce.
chi= chi, pron.
rel. o interr. invar. [solo sing. ; ant. anche pl.] colui il
quale, colei la quale (con valore dimostrativo-relativo; usato sia come
sogg. sia come compl.): con etimo dal lat. qui (colui).
à cecato= lett. à
accecato e per traslato à spinto,
à indotto voce verbale (3° pers.
sing. del pass. pross.) dell’infinito cecare/cecà=accecare con
etimo dal lat. caecare= accecare, render cieco.
9 - COMME ‘AVUOTE E COMME
‘O GGIRE, SEMPE SISSANTANOVE È.
Ad litteram: come (lo) volti o come lo
giri sempre sessantanove è.
Detto
di cosa e/o avvenimento che si possono
leggere solo con interpretazioni univoche essendo, per loro natura o apparire
di semplice e diretta intellizione di talché è inutile arzigogolare intorno
alla loro essenza o sostanza.
La locuzione nasce dall’osservazione dei
piccoli cilindretti di legno su cui sono incisi i novanta numeri del giuoco
della tombola; orbene, detti numeri una volta estratti dal bussolotto che li
contiene sono tutti facilmente
riconoscibili ed individuabili o perché
scritti in maniera tale da non ingenerare confusione (come ad es. il caso del numero 1 che sia che venga guardato e letto da ds. o
da sn. , dal basso in alto o viceversa rimane
sempre 1 e non può esser confuso con altro numero) o perché si è ricorsi
allo strataggemma di segnalare con un piccolo tratto la base del numero che se letto in maniera capovolta potrebbe
risultare un numero diverso ( ad es. il numero sei è vergato 6 con una congrua
sottolineatura, che se mancasse potrebbe far leggere il sei - visto in maniera
capovolta - come nove). Il numero 69 invece
non à bisogno di sottolineatura, perché da qualsiasi parte lo si guardi permane 69, posto che il numero 96 nella
tombola non esiste.
comme= come, in quale modo, in quale maniera (in
prop. interrogative dirette e indirette): comme staje(come stai?); comme è gghiuto ‘o viaggio?(come è andato
il viaggio?) quanto (in prop. esclamative): comme chiove! (come piove!);comme
sî bbuono! (come sei buono!);
|e comme?! e come!, come è accaduto?!,il modo nel
quale, in quale modo (introduce una prop. dichiarativa):le raccuntaje
comme aveva fatto(gli raccontò come avesse fatto); l’etimo è dal lat. quo-mo(do)
con tipico raddoppiamento della labiale m
avuote= vòlgi,
indirizzi in altro verso, orienti altrove voce verbale (2° pers. sing. ind.
pres.) dell’infinito avutà= volgere, mutare, orientare alibi forma
intensiva di vutà con etimo dal
lat. volg. ad+volvitare in cui ol+cons. à dato ou attraverso
un *avoutare>avutare>avutà;
gire= giri,
inverti, volgi voce verbale (2° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito girare/à=
girare, invertire, volgere in altro senso con etimo dal tardo lat. gyrare, deriv. di gyrus
'giro';
sissantanove=
sessantanove agg. num. card. invar. qui in funzione di
sostantivo; numero naturale
corrispondente a sei decine + nove unità; nella numerazione araba è
rappresentato da 69, in quella romana da ILXX; rammenterò che, nella c.d.
smorfia napoletana (elenco dei significati cabalistici dei numeri dall’1 al
90), con il numero a margine si usa
furbescamente indicare il coito orale portato a compimento
reciprocamente.
10 -Â PPRIMMA ENTRATURA, GUARDATEVE 'E SSACCHE
Nell'accedere per la prima volta (in un luogo sconosciuto) badate
alle tasche!
Locuzione/proverbio usatissimo in
tutto il meridione (vedi Puglia e
Calabria) dove la naturale sospettosità induce la gente ad essere molto
attenta e guardiga con le persone o i luoghi sconosciuti che
si frequentano per la prima volta, nel timore che ci sia sempre il rischio d'esser defraudati o
vilipesi; d’altro canto tale sospettosità induce soprattutto i calabresi (vedi
l’espressione fa ‘o calavrese (fare
il calabrese) e cioè esser mentitori e mancator di parola, disattentendo
addirittura ai patti sottoscritti nel timore che l’altro contraente
(soprattutto se sconosciuto o forestiero) sia piú furbo o scaltro e sottoscriva patti in danno altrui.
â pprimma= alla prima; primma= prima agg. num. ord.femm. del masch. primmo;
che in una serie occupa il posto
numero uno, che precede tutti gli altri in ordine di tempo o di spazio;con etimo dal lat. primu(m), superl. di pri°or
'che sta innanzi';
usata da sola senza preposizione
o sostantivo di riferimento la voce primma=prima
è avv. di tempo:precedentemente o avv. di luogo:avanti,
davanti e quale avverbio deriva dal lardo lat. prima con raddoppiamento popolare della labiale m;
entratura lett. entrata, accesso estensivamente frequentazione con etimo dal lat. volg. intratura (che sta per accedere) p. fut. femm. dell’infinito intrare; l’originario part. con funzione
aggettivale, nel corso del tempo fu inteso sostantivo e finí per indicare piú
che la cosa o persona che si accingesse a compier l’azione di entrare, l’azione
medesima dell’entrare;
guardàteve = guardate+vi, badate, ponete attenzione voce
verbale (2° pers. plur. imperativo esortativo) dell’infinito guardare/à=guardare, badare, porre
attenzione e riguardo con etimo dal
francone *wardon 'stare in guardia'; cfr. ted. warten
'custodire' e Warte 'vedetta'addizionata in posizione enclitica del
pron. pers. obliquo ve= vi da v(uj)e=
voi (lat. vos);
ssacche= tasche, scarselle e
genericamente averi, danari
estensivamente qui vale : tutto ciò(cose
o persone) di vostro che se vilipeso o attentato, potrebbe arrecarvi danno; sost.
femm. plur. di sacca che è forma dell’acc.vo femm. sacca(m) del masch. Saccu-m
Raffaele Bracale
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