sabato 3 ottobre 2015
VARIE 15/715
1.COPPOLA PE CCAPPIELLO E CCASA A SANT'ANIELLO.
Ad litteram:Berretto per cappello, ma casa a sant'Aniello (a Caponapoli). Id est: vestirsi anche miseramente, ma prendere alloggio in una zona salubre ed ariosa, poiché la salute viene prima dell'eleganza, ed il danaro va speso per star bene in salute, non per agghindarsi.
2. TENÉ TUTTE 'E VIZZIE D''A ROSAMARINA.
Ad litteram: avere tutti i vizi del rosmarino. Id est: avere tutti i difetti possibili, essere cioè cosí poco affidabile ed utile alla stregua del rosmarino, l'erba aromatica che serve a molto poco; infatti oltre che per dare un po' di aroma non serve a nulla: non è buona da ardere, perché brucia a stento, non fa fuoco, per cui non dà calore, non produce cenere che - olim - serviva per il bucato, se accesa, fa molto, fastidioso fumo...
3.SI 'O SIGNORE NUN PERDONA A 77, 78 E 79, LLA 'NCOPPA NCE APPENNE 'E PUMMAROLE.
Ad litteram: Se il Signore non perdona ai diavoli(77), alle prostitute(78) e ai ladri(79), lassú (id est: in paradiso ) ci appenderà i pomodori. Id est: poiché il mondo è popolato esclusivamente da ladri, prostitute e cattivi soggetti (diavoli), il Signore Iddio se vorrà accogliere qualcuno in paradiso, dovrà perdonare a tutti o si ritroverò con uno spazio enormemente vuoto che per riempirlo dovrebbe coltivarci pomodori.
4.CHILLO SE METTE 'E DDETE 'NCULO E NE CACCIA 'ANIELLE.
Ad litteram: Quello si mette le dita nel culo e ne tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili.
5.AVIMMO PERDUTO 'APARATURA E 'E CENTRELLE.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature o apparature (etimologicamente deverbale d’un basso latino ad+ parare =addobbare; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliassero, fino a distruggerli gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini o bullette(in napoletano centrelle dal greco kéntron= chiodo) usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
6.'A FEMMENA È CCOMME Â CAMPANA: SI NUN 'A TUCULJE, NUN SONA.
Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la donna à bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma pure i propri istinti.
7. 'A TONACA NUN FA 'O MONACO, 'A CHIERECA NUN FA 'O PREVETO, NÈ 'A VARVA FA 'O FILOSEFO.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo.
8. ME PARENO 'E CCAPE D''A VECARIA.
Ad litteram: mi sembrano le teste della Vicaria. Lo si suole dire di chi è smagrito per lunga fame, al segno di averne il volto affilato e scavato quasi come le teste dei giustiziati, teste che nel 1600 venivano esposte per ammonimento infilzate su lunghe lance e tenute per giorni e giorni all'esterno dei portoni del tribunale della Vicaria, massima corte del Reame di Napoli.
9. ARIA NETTA NUN AVE PAURA 'E TRONNELE.
Ad litteram: aria pulita non teme i tuoni; infatti quando l'aria è tersa e priva di nuvole, i tuoni che si dovessero udire non sono annunzio di temporale. Per traslato: l'uomo che à la coscienza pulita non teme che possa ricevere danno dalle sue azioni, che - improntate al bene - non potranno portare conseguenze negative .
10.ASCÍ 'A VOCCA Ê CANE E FERNÍ 'MMOCCA Ê LUPE
Ad litteram: scampare alla bocca dei cani e finire in quella dei lupi. Maniera un po' piú drammatica di rendere l'italiano: cader dalla padella nella brace: essere azzannati da un cane è cosa bruttissima, ma finire nella bocca ben piú vorace di un lupo, è cosa ben peggiore.
11. RROBBA 'E MANGIATORIO, NUN SE PORTA A CUNFESSORIO.
Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione. Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un gran peccato, a malgrado che la gola sia uno dei vizi capitali, il popolo napoletano, atavicamente perseguitato dalla fame, non riesce a comprendere come sia possibile ritenere peccato lo sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.
12.CU LL'EVERA MOLLA, OGNUNO S'ANNETTA 'O CULO.
Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione , anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati
13.T'AMMERETAVE 'A CROCE GGIÀ 'A PARICCHIO...
Ad litteram: avresti meritato lo croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco di coloro che, ottenuta la croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo raggiunto; ebbene a costoro, con la locuzione in epigrafe, si vuol rammentare che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendendo che li si ritiene malfattori, delinquenti, masnadieri tali da meritare il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...
14.LL'AVVOCATO À DDA ESSERE 'MBRUGLIONE.
Ad litteram: l'avvocato deve essere imbroglione. A Napoli - terra per altro di eccellentissimi principi del foro, si è convinti che un buono avvocato debba esser necessariamente un imbroglione, capace cioè di trovare argomentazioni e cavilli giuridici tali da fare assolvere anche un reo confesso o - in sede civilistica - far vincere una causa anche a chi avesse palesemente torto marcio.
15. LL'AVVOCATO FESSO È CCHILLO CA VA A LLEGGERE DINT' Ô CODICE.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che - certamente - sarà stata piú dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
16. Â GGATTA CA ALLICCA 'O SPITO, NUN CE LASSÀ CARNE P'ARROSTERE.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...
17. 'A FEMMENA BBONA SI - TENTATA - RESTA ONESTA, NUN È STATA BUONO TENTATA.
Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata - resta onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza del compito...
18.TRE CCOSE NCE VONNO P''E PICCERILLE: MAZZE, CARIZZE E ZIZZE!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi: busse, carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportano bene.
19.'E PEJE JUORNE SO' CHILLE D''A VICCHIAIA.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si ànno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che in vecchiaia non mancano mai...
20.DIMMÈNNE N'ATA, CA CHESTA GGIÀ 'A SAPEVO.
Ad litteram: raccontamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi e vanificare il tuo operato.
21.DENARO 'E STOLA, SCIOSCIA CA VOLA.
Ad litteram: denaro di stola, soffia che vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso.
22. 'E MARIUOLE CU 'A SCIAMMERIA 'NCUOLLO, SO' PPEJE 'E LL' ATE.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità
23.DICETTE FRATE EVARISTO:"PE MMO, PIGLIATE CHISTO!"
Ad litteram: disse frate Evaristo: Per adesso, prenditi questo!"Il proverbio viene usato a mo' di monito, quando si voglia rammentare a qualcuno, che si stia eccessivamente gloriando di una sua piccola vittoria, che per raggiungerla à dovuto comunque sopportare qualche infamante danno. Il frate del proverbio fu tentato dal demonio, che per indurlo al peccato assunse l'aspetto di una procace ragazza discinta; il frate si lasciò tentare e partí all'assalto delle grazie della ragazza che - nel momento culminante della tenzone amorosa riprese le sembianze del demonio e principiò a prendersi giuoco del frate, che invece portando a compimento l'operazione iniziata pronunciò la frase in epigrafe.
24.‘A MONACA D' 'O BBAMMENIELLO:ÒGNE NOVE MISE FASCIATORE E SAVANIELLE!
Antichissima desueta espressione che tradotta letteralmente suona:La monaca del Bambin Gesú: ogni nove mesi fasce e sottofasce; espressione che fino a tutti gli anni cinquanta fu usata con sarcasmo nei confronti di spose eccessivamente prolifiche ed usata altresí, per traslato giocoso, nei confronti di chiunque che, per colpevole iperattività in qualsivoglia campo d’azione, necessitasse di aiuti continui. L’espressione nacque in àmbito popolare con malevola cattiveria, chiamando in causa le pie Suore del Bambino Gesú, dell’omonimo Istituto Suore del Bambino Gesú sito in Napoli in san Giovanni Maggiore Pignatelli a ridosso dell’Università degli Studi in pieno centro storico; l’istituto era nato (per opera di un tal Nicola Barrè dell’Ordine dei Minimi di s. Francesco di Paola, noto professore di teologia e Bibliotecario a Parigi) in Francia nel 1666,(con il fine dell’assistenza ed istruzione di bambini, ragazzi/e bisognosi) e solo nel 1906 era approdato in Italia,dapprima nel Bergamasco e poi si era esteso , rispondendo agli appelli della Chiesa Italiana, con molte comunità in Calabria , nelle periferie di Roma, nel centro storico di Napoli ed in diversi luoghi della regione campana , dove le pie suore stavano accanto ai bambini, alle famiglie in difficoltà , condividendo la vita delle persone semplici. e distinguendosi per la catechesi e l’istruzione di tutti i ragazzi/e e facendosi amare per la loro presenza fattiva nei confronti di tutti coloro che ne avevano bisogno; tra coloro che si mostravano bisognosi di aiuto vi furono i primis le ragazze traviate che, per essere assistite, venivano spesso accolte nell’istituto (dove ricevevano accanto ad una migliore istruzione anche un avviamento ai lavori donneschi) e poiché moltissime di esse vi entravano da gravide, diventando madri nell’istituto, si diffuse l’infame credenza che i bimbi generati lo fossero stati, non dalle ragazze madri accolte nell’istituto, ma dalle stesse monache del Bambino Gesù e si coniò persino, con inusuale cattiveria,(per un popolo come il napoletano sempre paziente e comprensivo difronte ai casi della vita...), si coniò persino l’espressione in epigrafe con la quale si fa riferimento al continuo sciorinio di fasce e sottofasce imbandierate alle finestre del’Istituto. Rammento che a Napoli all’incirca nel medesimo periodo vi fu alla Salita Pontecorvo un altro istituto che accoglieva le ragazze madri ed era annesso al Convento di San Francesco dette delle Cappuccenelle (Il complesso fu costruito al termine del XVI secolo allo scopo di potervi ospitare le ragazze madri. Si trattava di una struttura gestita da suore appartenenti all'ordine francescano. All'inizio del XVIII secolo la ristrutturazione del convento fu affidata a Giovan Battista Naclerio, che progettò il suo rifacimento in stile barocco.; in questo istituto venivano altresí segregati i ragazzi disobbedienti e/o riottosi che affidati alla severa educazione delle suore, si sperava mutassero indole diventando piú costumati, disciplinati,rispettosi etc. Ed in effetti la reputazione di istituto in cui si impartiva un’educazione rigida ottenuta anche con metodi severi, rigorosi, rudi, inflessibili faceva sí che tra i ragazzi si temesse molto la minaccia: Te ‘nzerro dint’ ê Ccappuccenelle! (Ti rinchiudo nell’istituto di Correzione delle Cappuccinelle), minaccia grave quasi come quella: Te ‘nzerro dint’ ô Serraglio (Ti rinchiudo nell’istituto di Correzione annesso all’ Albergo dei Poveri!). Si trattava di minacce severe che spesso sortivano l’effetto voluto di ridurre all’obbedienza i ragazzi che non lo fossero, ma che non fossero di indole veramente cattiva e/o ribelle e si contentassero delle sole minacce per rientrare nei ranghi.
Ricordo che il monumentale Albergo dei Poveri (détto anche Reclusorio oppure Serraglio )in piazza Carlo III fu opera voluta dal re Carlo di Borbone (Carlo Sebastiano di Borbone (nome completo: Carlos Sebastián de Borbón y Farnesio; Madrid, 20 gennaio 1716 –† Madrid, 14 dicembre 1788) fu duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I dal 1731 al 1735, re di Napoli e Sicilia senza utilizzare numerazioni (era Carlo VII secondo l'investitura papale, ma rifiutò tale ordinale) dal 1735 al 1759, e da quest'anno fino alla morte re di Spagna con il nome di Carlo III (Carlos III) e cosí I napoletani lo ricordarono. Quinto figlio di Filippo V di Spagna, ma primogenito dei nati dal suo secondo matrimonio con Elisabetta Farnese) ed edificato, ma non completato mai, su progetto di Ferdinando Fuga (Architetto Firenze 1699 - † Roma 1781), nell’utopica idea originale di raccogliervi tutti i poveri del regno, ma ci si limitò ad accogliervi vecchi e vecchie poveri ed abbandonati che affidati all’assistenza pubblica continuarono ad elemosinare per le strade ed a partecipare, dietro piccolissimo compenso ai funerali di borghesi facoltosi o alle processioni rituali; nel medesimo Albergo de’ Poveri furono accolti sempre affidati alla gratuita assistenza pubblica i ragazzi e le ragazze sordomuti/e di famiglie povere, mentre quelli/e di famiglie borghesi versavano una contenutissima retta mensile; a questi sordomuti/e erano equiparati i ragazzi e/o le ragazze che indocili/e, indisciplinati/e quando non addirittura d’indole malvagia,che venivano rinchiusi nell’istituto di correzione annesso all’ Albergo; tenendo presente il comportamento aggressivo e quasi ferino di di tali ragazzi/e giudicati alla stregua di animali, l’Albergo dei Poveri fu comunemente détto Reclusorio (deriv. del lat. reclusus, part. pass. di recludere 'recludere': prigione, ricovero per i mendicanti e gli accattoni) oppure Serraglio che di per sé con derivazione dal provenz. serralh, che è dal lat. volg. *serraculu(m) 'chiusura', deriv. di *serrare 'chiudere' è un s.vo m.le
1 (ant.) riparo, sbarramento difensivo; luogo chiuso
2 il complesso degli animali appartenenti a un circo; il luogo in cui si tengono chiusi
monaca s.vof.le suora, appartenente a un ordine monastico femminile; voce che è dal lat. tardo monacha(m), che è dal gr. monaché;
fasciatóre s.vo f.le plurale di fasciatóra =fascia per neonato, striscia di tessuto robusto usata un tempo per avvolgere strettamente i neonati; quanto all’etimo si tratta di un deverbale di fasciare (dal lat. tardo fasciare ) aggiungendo al part. pass. fasciato il suff. ora→ura usato per ottenere dei sostantivi verbali;
savaniello/ savanella s.vo m.le o f.le sottofascia, topponcino, pannolino in cui avvolgere il bacino del neonato prima fasciarlo; quanto all’etimo si tratta di un derivato dello spagnolo sabanilla; da notare che la voce savaniello maschilizzazione dell’originaria savanella fu coniato per indicare un pannolino alquanto piú piccolo della corrispondente voce femm.le savanella che indicò un pannolino piú ampio secondo il noto criterio che in napoletano considera femminile un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo – tina piú grande, carretto piú piccolo – carrettapiú grande etc. con le sole eccezioni di caccavo piú grande e caccavella piú piccola, tiano piú grande, tiana piú piccola).
25. Ô RICCO LLE MORE 'A MUGLIERA, Ô PEZZENTE LE MORE 'O CIUCCIO.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio; morta la moglie il ricco non à da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il povero che à perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
26. PAZZE E CCRIATURE, 'O SIGNORE LL'AJUTA.
Ad litteram: pazzi e bimbi, Dio li aiuta. Id est: gli irresponsabili godono di una particolare protezione da parte del Cielo. Con questo proverbio, a Napoli, si soleva disinteressarsi di matti o altri irresponsabili, affidandoli al buonvolere di Dio e alla Sua divina provvidenza e protezione .
27. SI COMME TIENE 'A VOCCA, TENISSE 'O CULO, FACÍSSE CIENTO PIRETE E NUN TE N'ADDUNASSE.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per
bollare l'eccessiva verbosità di taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di chi - come si dice - apre la bocca per farle prendere aria, non per esprimere concetti sensati.
culo = culo, sedere; etimo:dal lat. culum che è dal greco koilos – kolon
pireto= peto, scorreggia; etimo: latino peditum
addunasse= accorgeresti voce verbale (cong. imperfetto 2° p. sing.) di addunà/arse= accorgersi; etimo: franc. s’addonner (darsi, dedicarsi).
28. SI 'A RENA È RROSSA, NUN CE METTERE NASSE.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile). Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna ànno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
29. SI 'A TAVERNARA È BBONA, 'O CUNTO È SEMPE CARO.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser remunerate in maniera eccessiva...
30. NUN TE DÀ MALINCUNÍA, NÈ PE MALU TIEMPO, NÈ PE MALA SIGNURIA.
Ad litteram: non preoccuparti nè per cattivo tempo, nè per pessimi governanti. Id est: sia il cattivo tempo, che i governanti cattivi prima o poi cambiano o spariscono per cui non te ne devi preoccupare eccessivamente fino a prenderne malinconia...
31. ASTIPATE 'O PIEZZO JANCO* PE CQUANNO VENONO 'E JUORNE NIRE.
Ad litteram: conserva il pezzo bianco per quando verranno le giornate nere. Id est: cerca di comportarti come una formica;
‘o piezzo janco è letteralmente il pezzo bianco e cioè la grossa moneta d’argento (scudo) anticamente detta appunta piezzo; non dilapidare tutto quel che ài: cerca di tener da parte sia pure un solo scudo d'argento (pezzo bianco) di cui potrai servirti quando verranno le giornate di miseria e bisogno.
32. MALE E BBENE A FFINE VÈNE.
Ad litteram: il male o il bene ànno un loro termine. Id est: Non preoccuparti soverchiamente ma non vivere sugli allori perché sia il male sia il bene che ti incorrono,non sono eterni e come son cominciati, cosí finiranno.
33. CHI TÈNE PANE E VVINO, 'E SICURO È GIACUBBINO.
Ad litteram: chi tiene pane e vino, di certo è giacobino. Durante il periodo (23/1-13/6 1799)della Repubblica Partenopea, il popolo napoletano considerò benestanti, i sostenitori del nuovo regime politico. Attualmente il proverbio è inteso nel senso che sono ritenuti capaci di procacciarsi pane e vino, id est: prebende e sovvenzioni coloro che militano o fanno vista di militare sotto le medesime bandiere politiche degli amministratori comunali, regionali o provinciali che a questi nuovi giacobini son soliti procacciare piccoli o grossi favori, non supportati da alcuna seria e conclamata bravura, ma solo da una vera o pretesa militanza politica.
34. DICETTE 'O PAGLIETTA: A TTUORTO O A RRAGGIONE, 'A CCA À DDA ASCÍ 'A ZUPPA E 'O PESONE.
Ad litteram: disse l'avvocatucolo: si abbia torto o ragione, di qui devon scaturire il pasto e la pigione; id est: non importa se la causa sarà vinta o persa, è giusto assumerne il patrocinio che procurerà il danaro utile al sostentamento e al pagamento del fitto di casa. Oggi il proverbio è usato quando ci si imbarchi in un'operazione qualsiasi senza attendersene esiti positivi, purché sia ben remunerata.
pesone = pigione, fitto da pagare; etimo: latino acc. pensione(m)da pendere= pesare, pagare.
35. 'O DIAVULO, QUANNO È VVIECCHIO, SE FA MONACO CAPPUCCINO.
Ad litteram: il diavolo diventato vecchio si fa monaco cappuccino. Id est: spesso chi à vissuto una vita dissoluta e peccaminosa, giunto alla vecchiaia, cerca di riconciliarsi con Dio nella speranza di salvarsi l'anima in extremis.
36. CHI TÈNE 'O LUPO PE CUMPARE, È MMEGLIO CA PURTASSE 'O CANE SOTT'Ô MANTIELLO.
Ad litteram: chi à un lupo per socio, è meglio che porti il cane sotto il mantello. Id est: chi à cattive frequentazioni è meglio che si premunisca fornendosi di adeguato aiuto per le necessità che gli si presenteranno proprio per le cattive frequentazioni. Da notare come in napoletano il congiuntivo esortativo non è reso con il presente, ma con l'imperfetto...
37. SI 'O CIUCCIO NUN VO' VEVERE, AJE VOGLIA D''O SISCÀ...
Ad litteram: se l'asino non vuole bere, potrai fischiare quanto vuoi (non otterrai nulla)Id est: è inutile cercar di convincere il saccente e presuntuoso; tale ignobile testardo si redime ed accetta il nuovo solo con il proprio autoconvincimento... ; alibi si dice:’o purpo s’à dda cocere cu ll’acqua soja=il polpo deve cuocersi nella propria acqua…
38.MO M'HÊ ROTTE CINCHE CORDE 'NFACCI' Â CHITARRA E 'A SESTA POCO TENE.
Ad litteram: ora mi ài rotto cinque corde della chitarra e la sesta è prossima a spezzarsi. Simpatica locuzione che a Napoli viene pronunciata verso chi à cosí tanto infastidito una persona da condurlo all'estremo limite della pazienza e dunque prossimo alla reazione conseguente, come chi vedesse manomessa la propria chitarra nell'integrità delle corde di cui cinque fossero state rotte e la sesta allentata al punto tale da non poter reggere piú l'accordatura.
39.Jí ASCIANNO oppure VULÉ PAGLIA PE CCIENTO CAVALLE
Preciso in primis e prima di entrar nel vivo dell’argomento che l’espressione la si ritrova (quasi certamente mutuata dal napoletano) anche in altre parlate regionali meridionali come nel dialetto tarantino dove (coniugata nel verbo volere alla 2ª persona dell’indicativo presente) suona vo’ pagghia pe ciente cavadde o come nel dialetto della barlettana Margherita di Savoia dove( sempre coniugata nel verbo volere alla 2ª perona dell’indicativo presente) suona vòule pagghje che ccinde cavàdde
Come facilmente si comprende si tratta sempre della medesima locuzione una volta coniugata all’infinito (nel napoletano dell’epigrafe) altre vòlte coniugata alla 2ª persona dell’indicativo presente, ma la sostanza non cambia. Vediamola. Ad litteram del napoletano essa vale:andare in cerca, volere, o pretendere paglia per cento cavalli. Ugualmente ad litteram nella morfologia delle altre parlate regionali coniugata alla 2ª persona dell’indicativo presente essa sta per va in cerca, vuole, o pretende paglia per cento cavalli. Stabilita la corrispondenza della espressione nelle varie parlate, vediamo ora quale sia oppure siano il/i significato/i nascosto/i della locuzione.
In effetti la locuzione è intesa in piú significati nascosti anche in uno stesso luogo e volta a volta è usata
1) riferita a chi, lasciando intendere che come lui non c’è ne sono altri, si vanti di molte prodezze che però in realtà non à mai fatto;
2) riferita a chi sia aduso a tergiversare,a perdere tempo, cerchi di mettersi a fare qualcosa di spropositato rispetto alle forze di cui disponga;
3) riferita a chi sia aduso ad un comportamento provocatorio lasci sempre intendere che se si scontrasse con qualcuno, con lo spostarsi della conversazione sul contatto fisico, potrebbe diventare pericoloso, essendo egli pronto a venire alle mani.
Tuttavia a mio avviso l’unico autentico significato nascosto dell’espressione non è nessuno dei surriferiti quanto il seguente che illustro sub
4) trattasi di una locuzione riferita a chi sia aduso ad un comportamento prepotente, autoritario, sopraffattore, prevaricatore, addirittura aggressivo, arrogante mostrandosi nelle sue pretese e/o richieste esoso quando non sordido e/o avaro.
Tanto affermo in quanto dei quattro significati illustrati il quarto è il solo piú aderente alla situazione che generò la locuzione affiorata sulle spazientite labbra d’ un feudatario d’un non meglio identificato signorotto irpino che, per sfruttare al massimo le contribuzioni dovutegli dai suoi vassalli richiese ad uno di essi granaglie e foraggi in fieno e/o paglia in quantità esorbitanti, certamente eccedente il fabbisogno del signorotto che non aveva nella sua scuderia i cento cavalli per i quali chiedeva foraggio, né una famiglia/corte tanto vasta da giustificare le enormi, spropositate richieste di vettovaglie e/o granaglie.
Jí ascianno = andare in cerca, volere, agognare,pretendere letteralmente: jí = andare infinito del verbo jí/jire dal latino ire; ascianno voce verbale (gerundio) dell’infinito asciare/ ascià= cercare con impegno, quasi affannosamente con etimo dal lat. volgare adflare→afflare =annusare con il normale esito fl→sci;
vulé = volere, esigere, chiedere, pretendere infinito del verbo vulé dal Lat. volg.*vulire collaterale di *volíre, per il class. velle, ricostruito sul tema del pres. volo e del perfetto volui
paglia s.vo f.le 1 l'insieme degli steli disseccati dei cereali già mietuti e battuti
2 (non com.) stelo singolo di paglia: essere liggiero comme ‘na paglia (essere leggero come una paglia )
3 oggetto prodotto con paglia (spec. cappello, borsa, pantofole): ‘e ppaglie ‘eSciurenza (le paglie di Firenze)
4 paglia ‘e fierro, detta com. paglietta matassina di trucioli metallici usata per pulire o lucidare;
5 (gerg.) sicarreta (sigaretta)
6 (per estensione come nel caso che ci occupa .)fieno, foraggio,stoppia, strame. Voce dal lat. palea(m).
ciento agg. num. card. invar.
1 numero che corrisponde a dieci decine; nella numerazione araba è rappresentato da 100, in quella romana da C:
2 con valore indeterminato o iperbolico indica gran numero, grande quantità. Voce dal lat. cĕntu(m)→ cientu(m)→ciento.
cavalle s.vo m.le pl. del sg cavallo
1 grosso mammifero erbivoro con testa lunga, collo diritto sovrastato da criniera, coda corta con peli lunghissimi, orecchie corte e diritte, arti con un solo dito coperto dallo zoccolo; sorvolo su altri significati. Voce dal lat. caballu(m).
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A. A. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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